Unioni civili: la famiglia 2.0
La legge approvata l’11 maggio 2016 è una svolta storica per l’Italia: per la prima volta si riconoscono i diritti delle coppie omosessuali e delle famiglie ‘non tradizionali’. Resta il nodo delle adozioni.
Il 5 giugno 2016, dopo una lunga battaglia in Parlamento connotata da innumerevoli focose discussioni e altrettanti tentativi di mediazione per superare le contrapposizioni politiche, è entrata in vigore in Italia la legge che regolamenta le unioni civili tra persone dello stesso sesso e le convivenze tra persone omo ed eterosessuali. A distanza di ben 41 anni si registra, così, il passaggio dalla Riforma del diritto di famiglia del 1975 alla Riforma dei diritti delle famiglie, riconoscendo che, al di là della famiglia tradizionale, vivono, e dunque esistono, famiglie diversamente costituite, titolari di pari diritti e pari dignità. Ogni formazione sociale, comunque composta, ottiene così dal legislatore il riconoscimento dei propri diritti e potrà vivere liberamente la propria condizione di coppia.
L’unione civile tra 2 persone maggiorenni dello stesso sesso è costituita mediante dichiarazione, in presenza di 2 testimoni, all’ufficiale di stato civile del Comune di residenza, che provvede alla registrazione.
Non possono contrarre unione civile persone sposate o legate da rapporti di parentela, così come per il matrimonio, né quelle che hanno già costituito una unione civile, né quelle affette da infermità mentale o condannate per delitto, consumato o tentato, contro chi sia coniugato o unito civilmente con la parte con cui si intende contrarre l’unione civile.
L’atto deve specificare la residenza e i cognomi, che possono rimanere invariati, oppure ogni parte può aggiungere al proprio quello dell’altra, o entrambe scegliere di assumere uno dei due. L’unione civile ha una disciplina abbastanza simile a quella del matrimonio. Dalla registrazione dell’atto costitutivo dell’unione civile discendono doveri e diritti: reciproca assistenza morale e materiale, contributo ai bisogni comuni, subentro nel contratto di locazione, successione nell’eredità, reversibilità della pensione. I diritti riconosciuti alle parti dell’unione civile sono indubbiamente equiparabili a quelli che conseguono al matrimonio. In assenza di indicazioni, si applica la comunione dei beni. Non è previsto l’obbligo di fedeltà, e tale eccezione rispetto al matrimonio potrebbe voler marcare una diversità per le unioni civili.
Nella legge non ricorre mai il termine famiglia, a eccezione dell’aggettivo familiare quando si dice che le parti che costituiscono l’unione civile concordano l’indirizzo della vita familiare e la residenza comune, quasi a significare che detta unione non può ritenersi una vera e propria famiglia e chiamarsi tale.
Rilevante è il comma 20 dell’art. 1 della legge perché dichiara che laddove nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti, negli atti amministrativi e nei contratti collettivi si ritrovino disposizioni riferite al matrimonio, ovvero contenenti le parole coniuge o coniugi o termini equivalenti, esse debbano ritenersi applicabili anche alle parti delle unioni civili; tuttavia tale rimando non si applica alle norme contenute nel codice civile che non siano espressamente richiamate dalla legge sulle unioni civili, e neppure a quelle contenute nella legge 184/83 disciplinante la materia delle adozioni.
Manca una previsione in ordine alla filiazione perché le parti della unione civile sono escluse dalla procreazione assistita e dalla adozione coparentale, e possono essere solo genitori biologici; sono escluse anche dalla adozione ‘piena’ prevista per i bambini abbandonati e dichiarati adottabili, cui possono aspirare soltanto coppie coniugate, quindi eterosessuali. Ma la legge 184/83, all’art. 44, disciplina una diversa forma di adozione, denominata in casi particolari o mite, che riconosce il rapporto consolidato tra un determinato bambino e la persona che da tempo si prende cura di lui, prevedendo la possibilità di un’adozione con effetti limitati rispetto all’adozione piena, perché lascia sussistere i rapporti con i genitori chiamati a dare il loro assenso, e mantiene il cognome. I presupposti sono meno rigorosi rispetto all’adozione piena: può essere dichiarata in favore di coppie non coniugate e di persone singole, e non vengono richiesti i requisiti massimi di età, ma la sola differenza di almeno 18 anni tra adottante e adottando. Il motivo per cui il legislatore stabilizza la permanenza del bambino presso una determinata persona o coppia, accogliendone la disponibilità alla adozione, sta nel fatto che quel bambino vive una relazione positiva con la persona che lo chiede in adozione, è ben inserito e integrato, e il suo percorso di crescita è ritenuto dal tribunale idoneo a realizzare il preminente interesse del minore.
Il richiamato art. 44 prevede 4 situazioni specifiche in cui un bambino può trovarsi; quella prevista al comma d) è applicabile al caso di un bambino che vive con sua madre o suo padre e con il partner dello stesso sesso del genitore. L’ipotesi si riferisce alla impossibilità di affidamento preadottivo. Questa espressione fu intesa all’inizio come impossibilità ‘di fatto’ di affidare in adozione il bambino abbandonato in quanto, a causa del suo grave stato di salute, non accettato da alcuna delle coppie coniugate in attesa di adottare; successivamente fu, invece, intesa anche come impossibilità ‘di diritto’ ed estesa ai bambini non abbandonati che si trovavano presso coppie o persone singole e la cui collocazione fosse ottimale, tanto è vero che il genitore intendeva dare il suo assenso alla adozione in favore di chi già si occupava responsabilmente di lui.
Ci sono state così sentenze di alcuni tribunali per i minorenni che hanno accolto il ricorso inteso a ottenere l’adozione del figlio del partner, presentato dal genitore sociale con riferimento alla fattispecie sub d). La prima sentenza favorevole a questo orientamento, emessa dal tribunale per i minorenni di Roma, è stata confermata dalla Corte di appello e dalla Corte di cassazione; pertanto lo stralcio operato alla legge sulle unioni civili relativamente alla adozione coparentale è stato superato, potendo i giudici minorili dichiarare in favore del genitore sociale l’adozione in casi particolari. Ma le Corti superiori nazionali e internazionali potrebbero ritenere la normativa italiana discriminatoria perché alla coppia eterosessuale, coniugata o convivente, è possibile il riconoscimento del figlio alla nascita, mentre le parti dell’unione civile devono portare la loro istanza in sede giudiziaria e attendere i tempi della giustizia.
È assente nella legge il controllo giudiziale sulle ragioni della separazione: se le parti vogliono sciogliere l’unione possono farlo anche unilateralmente, non necessita il consenso dell’altra parte e dopo tre mesi dalla dichiarazione resa all’ufficiale dello stato civile, previa domanda ad hoc, l’unione risulta sciolta e l’atto viene registrato. Le parti possono poi rivolgersi al giudice per regolare le loro rispettive posizioni ai sensi delle apposite norme della legge sul divorzio richiamate dal comma 25. Ove una delle parti delle unioni civili abbia un figlio e l’altra parte non abbia richiesto o ottenuto l’adozione coparentale, il giudice decide tenendo presente la rilevanza della continuità affettiva della madre sociale con il bambino. Se la madre o il padre sociale ha adottato il figlio della compagna o del compagno, con adozione in casi particolari, si instaura un procedimento giudiziario come in tutti gli altri casi di affidamento in corso di divorzio.
L’unione civile si scioglie anche a seguito della rettifica di attribuzione di sesso, mentre, ove in costanza di matrimonio si determini la rettifica anagrafica di sesso per uno dei coniugi ed essi manifestino la volontà di non sciogliere il matrimonio o di non farne cessare gli effetti civili, al matrimonio conseguirebbe automaticamente la costituzione dell’unione civile tra persone dello stesso sesso.
Questa legge ha coniugato 3 valori fondamentali espressi nella nostra Costituzione: libertà, uguaglianza e dignità. C’è però da chiedersi se riuscirà a scalfire i pregiudizi, le ostilità e i condizionamenti culturali ancora radicati in parte della nostra società, la quale non comprende che la Costituzione e le leggi vanno interpretate alla luce dei cambiamenti sociali che la collettività fa continuamente registrare.
Cosa prevede la nuova legge
Unioni civili
■ L’unione civile come specifica formazione sociale ai sensi degli artt. 2 e 3 della Costituzione si costituisce mediante dichiarazione di fronte all’ufficiale di stato civile – che provvede alla registrazione dei relativi atti – alla presenza di 2 testimoni.
■ Le parti possono stabilire di assumere un cognome comune scegliendo tra i loro cognomi o di anteporre o posporre al cognome comune il proprio.
■ La costituzione dell’unione comporta in capo alle parti i medesimi diritti e doveri. Tra i doveri: obbligo di assistenza morale e materiale, obbligo di coabitazione, obbligo di contribuzione economica in relazione alle proprie capacità di lavoro professionale o casalingo, obbligo di definizione di comune accordo dell’indirizzo di vita comune e della residenza. Non è previsto l’obbligo di fedeltà.
■ In materia di successione, si applicano le disposizioni previste per il matrimonio. Pensione di reversibilità e TFR maturato spettano al partner dell’unione.
■ In mancanza di diverso accordo tra le parti, è previsto il regime della comunione dei beni.
■ L’unione civile si scioglie con manifestazione congiunta o disgiunta dinanzi all’ufficiale dello stato civile. È prevista l’applicazione di alcune norme relative al divorzio, a eccezione dell’istituto della separazione.
■ Non è prevista l’adozione del figlio di uno dei partner da parte dell’altro coniuge (stepchild adoption).
Convivenze di fatto
■ I conviventi di fatto possono disciplinare i rapporti patrimoniali relativi alla loro vita in comune sottoscrivendo un ‘contratto di convivenza’ in forma scritta, con atto pubblico o scrittura privata con sottoscrizione autenticata da un notaio o da un avvocato. Il contratto garantisce a ciascun convivente specifici diritti.
■ Stessi diritti dei coniugi nei casi previsti dall’ordinamento penitenziario e, in caso di malattia o ricovero, diritto reciproco di visita, assistenza e accesso alle informazioni personali.
■ Possibilità di designare il partner quale rappresentante per decisioni in materia di salute.
■ In caso di morte del proprietario convivente, il superstite può continuare a vivere per un periodo variabile nella casa comune di residenza.
■ Rilevanza della convivenza nelle graduatorie per l’assegnazione degli alloggi di edilizia popolare che diano rilievo all’appartenenza al nucleo familiare.
■ Diritto alla nomina come tutore, curatore o amministratore di sostegno in caso di interdizione o inabilitazione del convivente.
■ In caso di cessazione della convivenza, il giudice potrà accertare il diritto agli alimenti, per un periodo proporzionale alla durata della convivenza, in capo al convivente in condizioni di bisogno.
30 anni di battaglie per i diritti
- 1986. Il primo disegno sulle unioni civili nasce dall’incontro tra Arcigay e Interparlamentare delle donne comuniste. Se ne fanno promotrici la senatrice Ersilia Salvato e le deputate Romana Bianchi e Angela Bottari, ma il testo non viene calendarizzato nei lavori parlamentari.
- 1988. La deputata socialista Agata Alma Cappiello è prima firmataria di una proposta di legge che disciplina la ‘famiglia di fatto’ e ha come oggetto il riconoscimento delle convivenze tra persone, prescindendo dall’orientamento sessuale. Il testo non è mai discusso in aula.
- 1993. Il deputato Graziano Cioni presenta una proposta di legge contenente disposizioni in materia di unioni civili. Nel testo si fa riferimento anche all’unione civile «tra due persone dello stesso sesso», che «allarga e arricchisce il concetto di famiglia come società naturale».
- 1994. Il Parlamento Europeo approva una risoluzione con cui invita la Commissione a rimuovere «gli ostacoli frapposti al matrimonio tra coppie omosessuali ovvero a un istituto giuridico equivalente». Le proposte che seguono nel Parlamento italiano non riscuotono tuttavia successo.
- 1996-2001 (XIII legislatura). Vengono presentate diverse proposte, alcune concernenti esclusivamente la disciplina delle unioni tra persone di sesso diverso, altre riguardanti anche le coppie dello stesso sesso, senza tuttavia sortire effetti. Nel 1997, sul modello di Empoli (1993) il cui registro era stato tuttavia annullato, Pisa istituisce il suo registro delle unioni civili. Nel corso degli anni, seguiranno l’esempio circa 300 comuni.
- 2001-06 (XIV legislatura). Tra le proposte, è quella del Patto civile di solidarietà (PACS) nel 2002 ad avere il maggiore impatto mediatico. L’istituto riprende il modello francese e intende fornire garanzie giuridiche anche alle nuove formazioni sociali, come le famiglie non tradizionali o di fatto. Nel 2005 il testo viene calendarizzato in Commissione giustizia alla Camera, ma l’iter non procede.
- 2006-08 (XV legislatura). Su iniziativa governativa, viene presentato il disegno di legge (2007) sui diritti e i doveri delle persone stabilmente conviventi (DICO). Il provvedimento riguarda le coppie costituite da persone maggiorenni – anche dello stesso sesso – unite da vincolo affettivo, stabilmente conviventi e intente a prestarsi reciproca assistenza materiale e morale. Prevede la registrazione anagrafica della convivenza, il riconoscimento dopo 3 anni dei diritti connessi all’attività lavorativa, l’obbligo dell’assegno familiare a favore del convivente più debole in caso di interruzione della convivenza e dopo 9 anni i diritti inerenti la successione. Le proteste del mondo cattolico contro la proposta culminano nell’organizzazione del Family day; il provvedimento incontra anche le resistenze di parlamentari cattolici della maggioranza. L’iter s’interrompe con la caduta del governo Prodi.
- 2013-16. All’inizio della XVII legislatura, il tema delle unioni civili torna nell’agenda politica, con la formulazione di più proposte. Il 26 marzo 2015 la Commissione giustizia del Senato approva il testo base del ddl Cirinnà; l’iter prosegue fino all’approdo del provvedimento in aula e alla sua approvazione al Senato nel febbraio 2016, modificato rispetto al disegno originario soprattutto per lo stralcio della stepchild adoption.
A maggio, il sì definitivo della Camera, il 24 luglio la celebrazione della prima unione a Castel San Pietro (Bologna).
372 sì
i voti favorevoli per l’approvazione della legge Cirinnà alla Camera l’11 maggio 2016.
51 no
i voti contrari.
99
le astensioni.