UNIONI DOGANALI (v. unioni economiche, App. III, ii, p. 1014)
L'integrazione doganale tra paesi può assumere forme diverse. Il primo stadio è rappresentato dal sistema tariffario non discriminatorio: ogni paese aderente applica a tutti i paesi membri la clausola della nazione più favorita. Ove siano adottate tariffe preferenziali sulle importazioni provenienti dagli altri paesi dell'area, si ha un sistema tariffario preferenziale. Al limite, i paesi dell'area preferenziale non impongono affatto tariffe doganali sulle importazioni dagli altri stati membri: in questo caso si ha la creazione di un'area di libero scambio. Questo stadio d'integrazione comporta ancora l'esistenza di punti di controllo doganali anche per quello che riguarda le importazioni dai paesi aderenti, per evitare che le importazioni da paesi terzi entrino nell'area attraverso il paese caratterizzato dall'aliquota tariffaria minore, godendo quindi del trattamento preferenziale. I punti di controllo interni possono essere aboliti solo quando i paesi dell'area di libero scambio si accordino anche su tariffe esterne comuni: si ha in questo caso un'u. doganale. Questi accordi tariffari sono tuttavia compatibili con la ritenzione da parte dei paesi membri della facoltà d'istituire limitazioni quantitative alle importazioni. L'effettiva abolizione dei punti di controllo doganali interni si ha dunque solo quando i paesi membri di un'u. d. raggiungono altresì un accordo volto a garantire la libera circolazione dei prodotti all'interno dell'area, nel qual caso si ha un mercato comune. E opportuno osservare che si può avere una perfetta integrazione doganale tra paesi sovrani - e cioè la creazione di un mercato comune - senza addivenire a un'unione monetaria (v. teoria delle aree valutarie ottimali, in questa App.).
L'analisi delle riduzioni tariffarie preferenziali e quindi delle u. d. affonda le sue radici negli scritti degli economisti classici: in particolare, da un lato, A. Smith (An inquiry into the nature and causes of the wealt of nations, 1776) e D. Ricardo (On the principles of political economy and taxation, 1817), dall'altro, A. Hamilton (Report on the subject of manufactures, 1791), F. List (Das nationale System der politischen Oekonomie, 1841) e J. S. Mill (Principles of political economy, 1848). È solo nel dopoguerra, tuttavia, che si è assistito a una precisazione della teoria, che è stata feconda d'importanti sviluppi, stimolati specialmente dai lavori di I. Viner. In assenza di economie o diseconomie esterne, ove le condizioni di concorrenza perfetta siano soddisfatte, si dimostra che la situazione di libero scambio internazionale risulta ottimale, permettendo di massimizzare sia l'efficienza tecnica, sia il benessere mondiale: ciò deriva dal fatto che il libero scambio conduce all'egualizzazione tra i tassi marginali di trasformazione nella produzione interna e internazionale e i tassi marginali di sostituzione nel consumo, attraverso l'egualizzazione (tenuto conto dei costi di trasporto) di prezzi interni e prezzi internazionali. Accettando queste premesse, l'analisi tradizionale degli effetti derivanti dalla creazione di un'u. d. sosteneva che l'abolizione di tariffe doganali all'interno dell'area rappresentava un movimento verso la situazione di ottimo e che avrebbe comportato, in quanto tale, guadagni di benessere al livello aggregato. Il merito di Viner è stato di dimostrare che tale conclusione non risultava necessariamente corretta, anche rimanendo tra le ipotesi dello schema che dimostra l'ottimalità del modello di libero scambio internazionale.
L'abolizione dei dazi doganali all'interno dell'u. e l'istituzione di una comune tariffa esterna hanno in realtà due effetti contrastanti sull'allocazione delle risorse e del consumo, e cioè sull'efficienza e sul benessere. Il paese membro caratterizzato da un costo di produzione minore per un dato bene viene posto in grado di conquistare il mercato dell'area: ove questa conquista di mercato avvenga a spese delle industrie di altri paesi membri - che pur essendo meno competitive potevano prima soddisfare i bisogni nazionali per la protezione loro accordata dal dazio sulle importazioni - si ha un effetto di "creazione di commercio" che comporta guadagni di efficienza. Si supponga invece che la conquista di mercati all'interno dell'u. comporti la sostituzione d'importazioni da fonti di minor costo in paesi non aderenti all'u., che sono discriminati dalla comune tariffa esterna. Si ha in questo caso un effetto di "deviazione di commercio", ovvero uno spostamento verso una situazione di minore efficienza e benessere. Un esempio aiuterà a chiarire meglio il problema. Si considerino tre paesi (A, B, C): il prezzo di una tonnellata di grano prodotta internamente - che riflette il tasso di trasformazione derivato dalla funzione di produzione - è equivalente a lire 30 in A, a lire 15 in B, a lire 10 in C. Si supponga che in ogni paese il dazio doganale imposto sul grano sia pari al 100% del valore: in queste condizioni per A risulta vantaggioso importare grano da C, anziché produrlo, mentre per B è conveniente la produzione interna. Si supponga ora che A e B decidano di dar vita a un'u. d. e mantengano il dazio esterno sul grano al livello del 100%: A sposterà la sua domanda da C a B, che guadagnerà il mercato dell'area. È questo, di per sé, un effetto di "deviazione di commercio". Invero, mentre A poteva prima approvvigionarsi di grano a un costo unitario di sole lire 10 - in termini di valore delle esportazioni - dovrà ora spendere il controvalore di lire 15. Ove invece siano B e C a costituire l'u. d., sarà C, cioè il paese più efficiente nella produzione del grano, a conquistare i mercati, con conseguente migliore allocazione delle risorse. L'u. ha in questo caso un effetto di "creazione di commercio". L'esempio fatto serve inoltre a precisare quali debbano essere le esatte definizioni di "creazione" e "deviazione" di commercio per evitare confusioni analitiche. Nel caso di u. tra A e B, se è vero che il costo-opportunità per A di una tonnellata di grano sale da lire 10 a lire 15, con effetti sull'allocazione delle risorse, e quindi sul benessere, negativi, è pur vero che il prezzo per il consumatore finale diminuisce da lire 20 - lire 10 (prezzo del prodotto acquistato da C) L lire 10 di dazio - a lire 15, prezzo del prodotto acquistato da B. Tale riduzione di prezzo può comportare effetti di sostituzione al livello del consumo in grado di stimolare nuovi flussi di commercio e quindi guadagni di benessere che possono più che controbilanciare gli effetti negativi sopra ricordati. Per evitare l'ambiguità di ammettere casi in cui la deviazione del commercio possa risultare complessivamente in grado di aumentare il benessere, conviene esplicitamente definire come "deviazione" lo spostamento dal luogo di produzione del volume iniziale di beni commerciati internazionalmente verso una fonte diversa a costo più elevato. S'intenderà invece per "creazione" la quantità globale addizionale di commercio internazionale (ivi incluso il nuovo commercio in un prodotto esistente, la cui localizzazione è modificata da effetti di sostituzione del consumo derivanti dall'u. doganale). In questo modo la "deviazione i ha sempre effetti negativi, e la "creazione effetti positivi, sul benessere e si tratta di valutare quale tra le due risulti predominante.
Gli effetti statici di riallocazione delle risorse e dei consumi non permettono dunque di pervenire a conclusioni univoche sull'opportunità o meno di creare u. doganali. Una risposta può essere data solo dopo aver misurato i costi e i vantaggi e accertato l'esistenza di un guadagno netto globale. Bisogna tuttavia sottolineare che una tale valutazione comporta enormi difficoltà, sia pratiche, sia concettuali. Queste ultime hanno particolare attinenza alla plausibilità delle ipotesi di base dello schema di libero scambio - in particolare l'irrilevanza dei costi frizionali nella riallocazione delle risorse - e al significato di somme algebriche di variazioni nel benessere. Le difficoltà pratiche sono implicite nella misura stessa del livello effettivo di protezione prima e dopo la creazione dell'u. doganale. Sono stati tuttavia suggeriti diversi modi per rendere la questione più trattabile. È comunque opportuno ricordare al riguardo che la maggior parte degli studi empirici svolti su questi problemi indicano guadagni netti globali relativamente trascurabili, in generale dell'ordine dell'i % del prodotto nazionale dei paesi che aderiscono all'unione. Anche se risulta impossibile pervenire a priori a conclusioni precise circa le variazioni nette di benessere derivanti dalla creazione di un'u. d., si può tuttavia indicare l'influenza esercitata sul risultato finale da alcuni fattori base, quali:1. il livello delle tariffe interne ed esterne prima e dopo il processo di unificazione, 2. le differenze nei costi unitari di produzione dei vari beni all'interno e all'esterno dell'area, 3. le dimensioni dell'unione. Come si può facilmente comprendere in base alle considerazioni suesposte, tendono, in particolare, ad avere un'influenza positiva i seguenti elementi: in relazione al punto1., un elevato livello dei dazi prima dell'u. tra i paesi aderenti (poiché comporta in partenza un alto livello di autarchia e quindi un numero elevato di industrie potenzialmente esposte a riallocazioni in dipendenza di effetti di "creazione di commercio") e un basso livello delle tariffe nei confronti dei paesi terzi sia prima che dopo la creazione dell'u. (in quanto riduce la rilevanza degli effetti di "deviazione del commercio"); con riferimento al punto 2., una piccola differenza nei costi tra paesi aderenti e paesi terzi rispetto a ogni merce che è colpita da effetti di deviazione (perché la perdita dì benessere per unità di deviazione sarà limitata) e invece un'elevata differenza nei costi tra i diversi paesi aderenti all'u. rispetto a tutte le merci che risultano collegate a effetti di creazione (dal momento che si riscontrerà un forte guadagno per unità di creazione); infine, riguardo al punto 3., un'elevata estensione dell'u. (in dipendenza del fatto che si accresce l'importanza relativa degli effetti di creazione, mentre diminuisce quella dovuta agli effetti di deviazione).
L'analisi teorica degli effetti statici derivanti dalla creazione di un'u. d. ha comunque chiarito che, partendo da una situazione non ottimale, il soddisfacimento di alcune condizioni di ottimo, ma non di tutte, non conduce necessariamente a una situazione preferibile a quella di partenza. È questo un importante principio di ordine generale che è stato sviluppato in modo autonomo nella teoria economica del "secondo ottimo".
Passando ora a esaminare gli effetti dinamici dell'u. d., tradizionalmente, nella letteratura s'identificano tre effetti principali: quelli sul tasso di crescita potenziale dell'economia, quelli sulle forme di mercato e quelli derivanti da economie di scala. È tuttavia necessario osservare che solo il primo rappresenta un vero elemento dinamico, riferendosi gli altri due a mutamenti che hanno ancora, sotto molti punti di vista, attinenza alla statica comparata, piuttosto che alla dinamica economica. In questo secondo gruppo di effetti statico-dinamici sembra utile comprendere quelli collegati all'influenza che l'u. può esercitare sulla rimozione dei molti vincoli non-economici che in realtà impediscono spesso il raggiungimento di situazioni di "primo" ottimo all'interno dei singoli paesi, ostacolando il libero scambio internazionale. Per es., prima dell'u. il desiderio di assicurare un elevato grado di autosufficienza nella produzione di un certo prodotto poteva comportare restrizioni sulle importazioni. Se l'u. permette di eliminare tali vincoli, in quanto offre garanzie di approvvigionamento da paesi membri, si ottengono guadagni in termini di allocazione più efficiente delle risorse. Questa riallocazione sarà generalmente associata a mutamenti della situazione di partenza, per quanto riguarda sia le forme di mercato, sia le economie di scala. Guadagni di benessere di questo tipo sono maggiormente verosimili quando l'u. d. costituisce una premessa a una u. economica. Sotto il profilo delle economie di scala, ricordato che esse implicano una riduzione del costo marginale di lungo periodo in relazione all'aumento della produzione, è da osservare che l'allargamento dei mercati conseguente alla creazione dell'u. può condurre al punto di minimo nei costi marginali nelle industrie più efficienti. A questo riguardo occorre notare che, ove il costo marginale cui si è fatto riferimento fosse, come inteso normalmente, il costo marginale di produzione, non sarebbe possibile ipotizzare in partenza una condizione di concorrenza perfetta. Se invece con tale costo s'identifica il costo marginale di vendita - che in un mercato statico può risultare crescente, pure in presenza di un costo di produzione ancora discendente - l'ipotesi di concorrenza si può riconciliare con quella di economie di scala potenziali. Si entra così nell'analisi degli effetti della creazione di un'u. d. sulle forme di mercato. Se le condizioni preesistenti all'u. sono realmente di concorrenza perfetta, il processo d'integrazione tariffaria può, come si è visto, portare all'espansione della produzione in alcune industrie fino al punto in cui esse vengono ad acquistare potere di mercato. Ove invece la struttura iniziale di mercato sia già caratterizzata da forme monopolistiche od oligopolistiche, l'apertura dei mercati, rompendo posizioni protette, contribuisce a ridurre i fenomeni di collusione e ad elevare il grado di concorrenza.
Argomentazioni pro e contro possono essere avanzate anche per gli effetti sul tasso di crescita di lungo periodo. Quelli positivi più rilevanti si ricollegano alle economie di scala. Se le spese di ricerca e sviluppo richiedono il raggiungimento di una soglia minima per poter influenzare il tasso di progresso tecnico, e se tale soglia non è raggiungibile all'intermo del mercato nazionale, ma può essere varcata nell'ambito del mercato dell'u., la creazione di un'u. d. condurrà a un tasso più elevato di sviluppo dell'area nel suo complesso. Le argomentazioni sugli eventuali effetti negativi possono essere analizzate nell'ottica dell'approccio dell'"industria nascente", secondo il quale il sorgere di nuove industrie che potrebbero produrre a costi eguali o inferiori a quelle esistenti è impedito dai maggiori costi che devono essere sostenuti nell'arco di tempo necessario per pervenire al livello di produzione ottimale. Il livello di costi minimi cui si è fatto cenno dev'essere generalmente inteso con riferimento ai costi sociali; non si tratta infatti solo di costi interni di produzione, in quanto l'industria stessa dovrebbe essere in grado di finanziare i costi eccedenti di breve periodo facendo assegnamento sui guadagni netti di lungo periodo. Il problema appare assai più rilevante ove si tengano invece presenti tutte le possibili economie o diseconomie esterne che potrebbero essere generate dall'espansione dell'industria; in questo schema sarebbero almeno in parte spiegabili le sperequazioni regionali di lungo periodo che è dato osservare nel processo di sviluppo di molti paesi. Nel caso in questione occorre prendere in esame gli effetti della formazione di un'u. d. sugli spostamenti del fattore lavoro, tenendo conto di costi e ricavi privati e sociali. È questa un'area di ricerca che comincia solo adesso a essere presa in considerazione nell'ambito della problematica delle aree valutarie ottimali, e che è stata trascurata nella teoria tradizionale delle u. doganali. Essa richiede infatti l'abbandono di quella che costituisce un'ipotesi classica nell'analisi del commercio internazionale - e cioè una relativa immobilità internazionale dei fattori, a fronte di una più o meno elevata mobilità dei prodotti. La presenza di tanti effetti dinamici contrastanti rende assai arduo il tentativo di pervenire a valutazioni globali di tipo quantitativo. Le analisi disponibili tendono solitamente a concentrarsi su alcuni aspetti e non possono essere considerate probanti come conclusioni di carattere generale. Si può osservare che gli effetti identificati sembrano avere un peso quantitativamente limitato, e che questa è un'area dell'economia applicata la quale rivela uno stadio di evoluzione relativamente primitivo.
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