UNITÀ
. Filosofia. - Nella storia della filosofia il concetto d'unità interessa tanto il problema metafisico quanto il gnoseologico.
Già nella speculazione religiosa, che precede e accompagna il sorgere della filosofia in Grecia, l'esigenza dell'unità divina si afferma con le correnti mistiche dell'orfismo; e influisce così sopra il monoteismo di Senofane, come sopra la concezione ionica di un principio universale, fonte e foce dell'infinita moltitudine delle cose. Ma questo dualismo di unità e molteplicità, che la filosofia ionica con Eraclito concilia come identità di contrarî, e il pitagorismo considera fra le opposizioni fondamentali di cui costituisce tutta la realtà, diventa per l'eleatismo incompatibilità fra l'Uno affermato come eterna realtà e i molti negati come irreali. In Platone l'Uno diventa il principio della determinazione e del limite di fronte alla diade dell'illimitato; ma con esso tendono a identificarsi l'Essere e il Bene, suprema fra le idee. E di qui il neoplatonismo - mentre sviluppa le esigenze implicite al concetto aristotelico dell'individuo come sostanza, nell'affermazione che senza l'appoggio dell'Unità le cose non potrebbero esistere - arriva all'idea che prima del molteplice bisogna ci sia l'Uno: assoluto, trascendente, da cui per emanazione discendono tutti i gradi dell'essere, che tutti quindi ad esso tornano in processo di risalita.
Nel pensiero cristiano, accanto al concetto teologico dell'Unità divina (il cui rapporto con la trinità delle persone dà luogo a contrasti di dottrine ortodosse ed eretiche) si riafferma da Abelardo a S. Tomaso il concetto filosofico dell'unità quale condizione della realtà di ogni essere: "Omne quod est, ideo est, quia unum est". Ma nelle correnti mistiche si trasmette dal neoplatonismo la concezione di Dio quale unitas absoluta; che da Eckart e Cusano a Bruno si specifica quale coincidentia oppositorum, onde all'unità della sostanza è intrinseca la pluralità infinita delle cose, come l'explicatio alla complicatio: "nella moltitudine è l'unità e nell'unità è la moltitudine". Doppia esigenza che poi tende con Spinoza verso la prevalenza dell'unità, con Leibniz della molteplicità; ma congiunta all'affermazione che "ce qui n'est pas véritablement un être, n'est pas non plus véritablement un être".
L'unità dell'essere si afferma in genere in tutte le forme di monismo, specie contro il dualismo di corpo e spirito. Monistiche sono anche le dottrine positivistiche assumenti l'omogeneo o l'indistinto a principio dell'evoluzione naturale; monistico l'idealismo con la sua affermazione dello spirito assoluto, anche se contrastata in talune correnti dal pluralismo dei soggetti spirituali autonomi.
All'esigenza dell'unità ha portato un contributo particolare il riconoscimento dell'unità di coscienza, che l'associazionismo tentava spiegare come risultato, derivante dalla confluenza d'infiniti elementi psichici; ma senza riuscire a nascondere che la confluenza stessa presuppone una attività sintetica in luogo di generarla. E tale attività sintetica per Kant si dispiega con le forme a priori dell'intuizione in quella che è la categoria delle categorie, cioè l'unità dell'io pensante.
Ciò rispondeva anche al problema genetico, dibattuto fra innatismo ed empirismo. Locke faceva nascere l'idea di unità da qualsiasi esperienza (esterna o interna), ritenendola congiunta a ogni realtà (oggettiva o soggettiva); ma già Spinoza sosteneva non esser l'unità che un modo del nostro pensiero che distingue ogni oggetto dagli altri. Ma il pensiero che applica quest'idea come la possiede? Quale idea innata, dicevano platonici e cartesiani; quale semplice astrazione senza corrispondente oggettivo, diceva Berkeley; quale categoria o forma a priori dell'intelletto, legge della sua funzione conoscitiva, afferma Kant. E dall'impostazione da lui data al problema dipendono tutti gli sviluppi successivi della critica della conoscenza.