UNIVERSALISMO
. Religione. - Si designa con questo nome la tendenza contraria al cosiddetto particolarismo, per cui l'appartenenza alla società religiosa è limitata ai membri di un determinato aggregato sociale o politico; in quanto, più precisamente, l'uno e l'altro sono contermini e si identificano. È questo, in genere, il caso delle religioni inferiori, ma anche di talune religioni superiori, cioè di quelle nazionali: benché quest'ultima forma possa essere - e di fatto è da alcuni - considerata come un passo verso l'universalismo, in quanto può dare luogo, come per es. in Grecia, alla formazione di un pantheon, le cui singole figure assorbono in sé le varie divinità locali, mentre su tutti gli dei emerge supremo Zeus, già da qualcuno intuito panteisticamente. Ma né il panteismo si può considerare come la forma tipica dell'universalismo religioso, né quel processo di "fusione" o "combinazione" è in sostanza altro che un sincretismo. E, se è vero che si ha così estensione di una religione, e dei beni ch'essa promette ai suoi aderenti, a uomini che in origine ne erano esclusi, resta tuttavia che con ciò non si ha ancora un vero e proprio universalismo, la cui caratteristica consiste nel considerare tutti gli uomini, in quanto tali, come posti, almeno potenzialmente, nella stessa relazione di fronte alla divinità.
È chiaro che a tale concezione non possono giungere se non le religioni supernazionali, capaci di costituire un'associazione religiosa del tutto indipendente dalla società politica, cioè una "chiesa" (v. associazione, V, pp. 47-49; chiesa, X, pp. 7 seg., 9), stabilendo da sé le condizioni necessarie per l'ammissione. Il che si verifica in particolare nelle religioni fondate, di cui è proprio anche l'avere una professione di fede, con tutto ciò che tale fatto implica, o comporta come conseguenza; tra cui notevolissima l'attività propagandistica e missionaria (v. missione). Questa non è però esclusiva delle religioni universalistiche; e un caso molto interessante sotto questo aspetto è quello del giudaismo, che pur acquistando il carattere, per molti lati, di religione universalistica non ha mai perduto del tutto quello di religione nazionale. In ciò è la radice prima del contrasto che si ebbe nel cristianesimo primitivo, fra la tendenza di chi era disposto ad ammettere senz'altro tutti gli uomini nella Chiesa e quella di chi, imponendo come condizione ai convertiti la circoncisione e l'osservanza della Legge, presupponeva che le promesse del Vangelo fossero ristrette ai soli Ebrei (v. giudeo-cristianesimo).