Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Le università rappresentano certamente una delle creazioni più significative tramandateci dal Medioevo. Nate tra il XII e il XIII secolo come corporazioni di maestri e studenti, divengono ben presto centri culturali e istituzioni in cui si rinnova lo studio delle arti liberali e si sviluppano programmi scolastici e curricula definiti. Anche la forma di insegnamento e la conseguente stesura dei testi rispondono sempre più a criteri stabili: si va affermando così il “metodo Scolastico”.
Tommaso d’Aquino
Il dottore della verità cattolica deve istruire non solo gli iniziati, ma anche i principianti, secondo il detto dell’Apostolo: “quasi a bambini in Cristo vi ho dato del latte da bere, non del cibo solido”; perciò l’intento che ci proponiamo in quest’opera è di esporre tutto ciò che concerne la religione cristiana nel modo più confacente alla formazione dei principianti. Abbiamo infatti notato che i novizi in questa disciplina trovano un grande ostacolo negli scritti di vari autori: in parte per la molteplicità di questioni e articoli e argomenti inutili; in parte anche perché le cose che essi devono imparare non sono insegnate secondo l’ordine della materia, ma come richiede il commento di dati libri o l’occasione della disputa; e infine anche perché quel ripetere sempre le medesime cose ingenera negli animi degli uditori fastidio e confusione.
Tommaso d’Aquino, Somma Telogica
AA. VV.
Statuto accademico
Chartularium Universitatis Parisiensis
L’ordinamento didattico.
Che nessuno legga alle Arti a Parigi prima del ventunesimo anno di età; senza aver frequentato le lezioni per almeno sei anni non sia ammesso a leggere; inoltre si impegni a farlo per almeno due anni a meno che non gli sopraggiunga un ragionevole impedimento, da provarsi pubblicamente o di fronte a una commissione, o che egli non si renda colpevole di qualche grave mancanza. Quando sarà pronto a leggere, il candidato sia esaminato secondo le modalità previste dal documento del vescovo di Parigi, che contiene inoltre la pace tra il cancelliere e gli studenti, confermata dai legati del Papa – ossia il vescovo e il decano di Troyes – approvata e controfirmata da Pietro vescovo di Parigi e dal suo cancelliere.
(n. 20, p. 78)
Il calendario accademico.
Quanti cominceranno le loro lezioni dopo la festività del beato Dionigi dovranno concluderle tanti giorni dopo gli altri quanto più tardi avranno iniziato. Ciascuno, in buona fede, valuterà quanto dedicare alle singole parti dei testi, in proporzione al tempo complessivo stabilito per le sue lezioni. Inoltre a nessuno sarà lecito leggere per più di due corsi ordinari, o tenere corsi straordinari, o tenerli in ore e con modalità diverse da quelle ordinarie. A partire dalla festività di san Giovanni Battista fino a quella del beato Remigio, ciascuno prepari le proprie lezioni in modo tale da fornire le spiegazioni più soddisfacenti per sé e per gli altri. […] Infine a nessuno sia consentito di leggere nei giorni consacrati agli apostoli e agli evangelisti, né nei tre giorni immediatamente successivi alle festività del Natale, della Pasqua e della Pentecoste, né alla vigilia di tali feste oltre l’ora terza.
(n. 246, pp. 278-279)
Dispute e tumulti.
I baccellieri ed altre persone che partecipano a dette dispute hanno la presunzione di intervenire sulla base solo della propria autorità, e mancano di rispetto ai maestri che dibattono, provocando un tumulto tale da impedire che si giunga a vere conclusioni del dibattito; è chiaro inoltre che tali dispute non sono affatto utili agli studenti che vi assistono; ragion per cui deliberiamo che nessun maestro, baccelliere o studente intervenga senza il permesso o l’autorizzazione del maestro che dirige il dibattito, e che si debba richiedere il permesso di intervenire non a voce, ma, rispettosamente, facendo un segno.
(n. 695, pp. 154-155)
AA.VV., Chartularium Universitatis Parisiensis, Paris, H. Denifle e A. Chatelain, 1889
Henry Anstey
Alla Facoltà delle Arti il numero di quanti sono chiamati a “determinare” le questioni cresce talvolta al punto che, trovando già occupate dai maestri le scuole pubbliche, di ampiezza e condizione decorosa, altri maestri sono costretti a “determinare” in miseri e profani edifici privati, al di fuori o anche nella stessa strada delle scuole, all’interno di piccole stanzette o di appartamenti penetrali, malamente accessibili agli studenti. Qui sia a causa della mancanza di un uditorio di critici qualificati (graduatorum replicantium), sia per la scarsa conoscenza e la modestia del luogo, spesso essi vengono lasciati a lungo solamente con quanti hanno il compito di rispondere (cum responsalibus): ciò rappresenta un disonore e un’infamia per la Facoltà, e un grave danno per l’insegnamento. La venerabile congregazione dei maestri reggenti e non reggenti si compiace perciò di stabilire e ordinare che non sia consentito a costoro di assolvere i loro compiti accademici al di fuori delle trentadue scuole situate nella strada delle scuole […].
H. Anstey, Munimenta academica or Documents illustrative of academical life and studies at Oxford, 1868
Riccardo di Bury
Ordunque, quando uno scolaro qualsiasi, secolare o religioso (pari sono, quanto al presente beneficio), chieda in prestito un libro, i custodi devono considerare attentamente se esista una copia di esso; in tal caso prestino il libro dietro cauzione, che deve eccedere a loro giudizio il valore del libro prestato; si registri immediatamente tanto la cauzione che il libro prestato in una scheda che contenga i nomi delle persone che danno e di colui che riceve il libro, con il giorno e l’anno in cui avviene il prestito. Se invece i custodi scoprono che il libro richiesto non è stato duplicato, non debbono assolutamente prestarlo a nessuno, che non sia del gruppo degli scolari della detta aula; eventualmente possono concederlo in consultazione all’interno delle mura del collegio o della detta aula: ma non deve essere portato fuori.
Riccardo di Bury, Philobiblon, a cura di A. Altamura, Fausto Fiorentino, Napoli, 1954
All’inizio del XII secolo l’attività di insegnamento è affidata quasi completamente alle scuole monastiche o alle scuole cattedrali, in cui si provvede alla formazioni dei chierici e dei religiosi. Dirette da un magister scholarum scelto dal vescovo o dall’abate, queste scuole sono strutturate ancora secondo i programmi stabiliti da Alcuino di York (735-804) in età carolingia.
Lo sviluppo crescente delle città – in cui già sono presenti alcune scuole private di diritto pratico e attività notarile – e la progressiva chiusura di molte scuole nei grandi monasteri rurali, portarono ad una vera e propria “rivoluzione scolastica” che vide la crescita dell’attività di insegnamento proprio all’interno dei centri urbani. Nate come semplici accordi tra maestri e allievi, e finanziate almeno inizialmente dalle prebende di questi ultimi, le scuole si sviluppano rapidamente in molte città europee, assumendo sempre più le caratteristiche giuridiche di una vera e propria corporazione (spesso chiamata proprio universitas). Alle università sorte spontaneamente se ne affiancano altre fondate dal papa o dall’imperatore ed altre ancora generate dalla secessione promossa da alcuni studenti o maestri di università già esistenti. A Parigi e a Bologna vi sono tracce di queste corporazioni alla fine del XII secolo, ma la presenza di scuole cittadine è attestata già nel secolo precedente; a Napoli invece l’università sorge per volere dell’imperatore Federico II (1194-1250), mentre Padova o Orleans sono due esempi di università nate dalla migrazione di maestri, rispettivamente di Bologna e Parigi.
Per svolgere la loro attività, i maestri devono disporre della cosiddetta licentia docenti, la cui validità dapprima circoscritta alla diocesi di provenienza, viene in seguito estesa ovunque (licentia ubique docenti). Si tratta perlopiù di chierici o ecclesiastici, già attivi presso le scuole cattedrali, a cui si aggiunge nel XIII secolo l’apporto fondamentale dei docenti provenienti dall’ordine francescano e domenicano.
Le fondamenta dell’insegnamento universitario medievale sono le sette arti liberali, suddivise in trivium (grammatica, dialettica, retorica) e quadrivium (aritmetica, geometria, musica, astronomia). Ereditate dalla cultura classica e studiate nelle scuole cattedrali e monastiche, le artes sono insegnate con l’obiettivo di fornire allo studente un sapere propedeutico che gli consenta di accostarsi successivamente alle facoltà “superiori”. A questo scopo tutte le università sono tenute a istituire la cosiddetta “Facoltà delle Arti”, nella quale gli studenti compiono la loro prima formazione.
Le arti del quadrivium alimentate dagli studi neo-platonici dell’alto medioevo, tra cui spicca certamente il contributo della Scuola di Chartres, subiscono profonde modificazioni, tra XII e XIII secolo a causa della sempre maggiore diffusione delle opere aristoteliche e dei filosofi arabi. Centro universitario privilegiato a compiere questa operazione, grazie alla presenza di molti traduttori provenienti dalla Spagna, è l’università di Oxford, in cui si studiano molti trattati greci e arabi e si sviluppa una vera e propria scuola scientifica, di cui fanno parte tra gli altri, grazie ai loro studi sulla luce, Roberto Grossatesta (1175-1253) e Ruggero Bacone (1214-1294). Geometria, aritmetica, musica e astronomia non sono ovviamente prive di implicazioni metafisiche o teologiche, tuttavia mantengono un’autonomia scientifica, talvolta considerata troppo tecnica e pratica per far parte completamente dello studio universitario. Decisamente più complessa è invece l’evoluzione delle arti del trivium, perché strettamente collegate allo studio delle discipline superiori, in modo particolare della teologia.
Tra XI e XII secolo lo studio di grammatica, dialettica e retorica non consiste unicamente nel riproporre l’interesse classico per queste discipline, ma nel rinnovarne le strutture, come documentano in modo particolare le riflessioni filosofiche di autori ancora estranei al mondo universitario come Pietro Abelardo (1079-1142) o Gilberto de la Porrèe (1085-1154). Con l’avvento della Facoltà delle Arti, il trivium subisce ulteriori mutamenti: la grammatica inizia progressivamente a perdere importanza e alle opere antiche di Donato (IV secolo) e Prisciano (V-VI secolo) si sostituiscono grammatiche più recenti, come quelle di Alessandro di Villadei e di Eberardo di Bethune, dove però la correttezza sintattica prevale su ogni preoccupazione di eleganza letteraria o di composizione retorica. Le modificazioni più sostanziali tuttavia coinvolgono la dialettica. Considerata disciplina fondamentale tra le tre artes e studiata sui testi dell’Organon aristotelico e dei grandi logici del XII secolo (Abelardo e Gilberto de la Porrèe), essa tende a trasformarsi da disciplina preparatoria alla facoltà teologica a studio autonomo. Nel XII secolo la diffusione della logica nova, ovvero delle opere logiche aristoteliche ancora sconosciute, non fa che accelerare questo processo.
La dialettica si affranca dal sistema delle sette arti liberali, acquisendo sempre più la determinazione di logica o metodo di pensiero. La conoscenza e l’applicazione di grammatica, retorica e dialettica restano fondamentali per avvicinarsi allo studio delle altre discipline, in modo particolare la teologia, tuttavia ciò non impedisce il loro costituirsi progressivo come discipline autonome nel metodo e nel contenuto. L’insegnamento del trivium dunque non si limita a predisporre gli studenti allo studio successivo, ma incomincia ad acquistare un’importanza e una validità autonoma, che rende i maestri delle Arti sempre più consapevoli della loro forza. Nel XIII secolo sorgono numerosi contrasti con i teologi, interessati invece a smentire la presunta libertà della Facoltà delle Arti e a ribadirne la funzione strettamente preparatoria. Nel XIV secolo il processo di emancipazione delle arti del trivium dalle facoltà superiori è pressoché definitivo: specialmente nelle università inglesi si ha sempre più un’ampia diffusione di trattati e studi logici, che presentano un accentuato carattere tecnico. Vi si dedicano molti maestri, che non sempre però sono in grado di fornire una loro interpretazione personale, ma si limitano all’applicazione rigida di regole argomentative. Tra i più importanti si possono ricordare Tommaso Bradwardine, Guglielmo di Heytesbury, Riccardo Kilvington.
Le scuole cattedrali e monastiche non avevano strutture, curricula e programmi ben definiti, e rilasciavano titoli di studio privi di valore al di fuori dell’ambito locale.
Le corporazioni universitarie invece si organizzano fin da subito attraverso statuti che regolano il loro ordinamento e la loro struttura: esse sono studium generale, cioè istituti di studi superiori dotati di un preciso stato giuridico confermato dall’autorità papale o imperiale e riconosciuto in tutta la cristianità. Perciò il termine stesso universitas non rappresenta i contenuti di studio, ma l’organizzazione di cui fanno parte gli studenti, i maestri delle diverse facoltà, ma anche un certo numero di lavoratori manuali che operano per conto delle università: bidelli, librai, copisti, e sotto la facoltà di medicina, barbieri e farmacisti. All’interno dell’organizzazione di base dell’università si sviluppa una suddivisione in “nazioni” e “facoltà”: nel primo caso si tratta dell’aggregazione autonoma di gruppi e studenti della stessa nazionalità, volta ad assicurare buona accoglienza, aiuto e fraternità ai compatrioti; l’organizzazione in facoltà invece riguarda direttamente la struttura didattica e amministrativa dello studium. L’ufficiale più importante dell’università ha il titolo di rettore; a Oxford viene chiamato cancelliere perché è anche il rappresentante del vescovo. Assistito da un consiglio di delegati delle nazioni e delle facoltà, vigila sull’attività didattica e governa le finanze dell’università, in modo particolare pagando gli affitti delle chiese o dei conventi, utilizzati come aule per i corsi o per le dispute.
Il termine stesso universitas esprime il desiderio di coprire i principali ambiti disciplinari per raggiungere l’universalità del sapere, perciò oltre allo studio delle arti liberali, si istituiscono quattro facoltà superiori: medicina, diritto (civile e canonico) e teologia. Tuttavia, non riuscendo ad attivare tutte queste cattedre o non avendone l’autorizzazione, la maggior parte delle università si accontenta di specializzarsi in un ambito particolare: Parigi, per esempio, detiene per molti anni il monopolio dell’insegnamento teologico, mentre Bologna deve la sua notorietà agli studi giuridici. Le gerarchie tra le facoltà sono stabilite secondo il sistema dei saperi caratteristico dell’età medievale, perciò se alla Facoltà delle Arti spetta il ruolo di studio preparatorio, la teologia è considerata la “regina delle scienze” tra le facoltà superiori ed è l’unica facoltà che accetta esclusivamente studenti già in possesso di un magistero nelle Arti, mentre medicina e diritto molto spesso non sono cosi esigenti.
Gli studenti si immatricolano alla Facoltà delle Arti intorno ai 14 anni e iniziano così un quadriennio di studi che prevede, nel primo biennio lezioni di grammatica, logica, filosofia naturale e arti liberali; nel secondo biennio invece si aggiunge a queste discipline anche l’obbligo di partecipare alle dispute accademiche. Al termine dei quattro anni, raggiunta un’adeguata preparazione, lo studente viene promosso baccelliere. Durante il baccellierato, lo studente continua a seguire le lezioni del suo maestro e a partecipare alle dispute, ma è anche incaricato di tenere alcuni corsi introduttivi o di svolgere attività didattiche integrative per gli studenti più giovani (ripetitiones).
Al termine del baccelierato, lo studente si candida alla licentia docenti, per diventare maestro a tutti gli effetti: dopo la cerimonia dell’inceptio, il neo-maestro rimane nella facoltà delle Arti per svolgere un biennio di docenza obbligatoria. A questo punto il curriculum studiorum può svilupparsi in diversi modi: alcuni abbandonano il mondo universitario per andare a insegnare nelle scuole inferiori o per lavorare nella pubblica amministrazione, altri accedono alle facoltà superiori, in modo particolare a teologia. Questo nuovo ciclo di studi è della durata di sette anni e prevede corsi sulla Bibbia e sulle Sentenze di Pietro Lombardo (1065-1160), al termine dei quali si consegue il titolo di baccelliere biblico. Quindi seguono altri quattro anni in cui il nuovo baccelliere deve, nel primo biennio, partecipare alle dispute teologiche e spiegare il testo sacro, mentre nel secondo biennio, conseguito il titolo di baccelliere sentenziario, deve occuparsi delle Sentenze, molto spesso stilandone dei commenti scritti. Dopo altri quattro anni di studio si ottiene il titolo di maestro di teologia e il giovane studente, immatricolatosi a 14 anni, è ormai un uomo di 35-40 anni. Al termine di questi 15 anni di studio all’interno della facoltà di teologia, il periodo di docenza non è molto lungo, sia per ragioni strettamente anagrafiche, che per il limitato numero delle cattedre disponibili e ciò determina un continuo ricambio dei docenti.
Il curriculum studiorum non è unicamente un percorso individuale, ma consiste spesso nel lavoro comune di studenti e maestri che formano così una comunità intellettuale aperta. È importante sottolineare infatti come la loro distinzione non sia sempre molto netta poiché gli studenti sono spesso a loro volta insegnanti nelle facoltà inferiori, inoltre la tecnica delle dispute accademiche prevede una comune partecipazione all’attività didattica. Esistono forti legami tra i diversi centri universitari, che non solo arricchiscono l’attività accademica, ma consentono in molti casi l’equipollenza dei titoli di studio e la mobilità di studenti e docenti, senza tuttavia privare ogni singola università delle sue caratteristiche specifiche in merito alle forme di insegnamento, ai programmi e ai testi adottati.
I programmi di studio comprendono essenzialmente la lettura dei testi composti dagli autori posti a fondamento delle singole discipline (auctoritates), a cui si aggiunge quella dei commenti più accreditati, che ne facilitano la comprensione. Nel XIII secolo la lista dei libri di testo universitari è completata dalle glosse e dalle summe di molti professori.
I testi fondamentali di diritto sono racchiusi nel Corpus iuris canonici e nel Corpus iuris civilis, di cui le parti fondamentali, come il Decretum e le Decretali per il diritto canonico e il Digesto e il Codice per il diritto civile, sono studiate nei corsi ordinari tenuti dai maestri; mentre il Digesto Nuovo, l’Infortiatum, le Istituzioni, il Liber feudorum e le Clementine e altri testi di minore importanza, sono affrontati dai baccellieri nei corsi straordinari. A Bologna, centro di studi giuridici per eccellenza, questi testi sono commentati con l’aiuto delle glosse dei dottori bolognesi, sintetizzate da Francesco Accursio alla metà del Duecento nella Glossa ordinaria. Altre università a loro volta compongono i propri commenti originali: è il caso delle glosse scritte verso la fine del XIII secolo da Jacques de Revigny (?-1296) ad Orleans.
Per gli studi medici si fa riferimento a Ippocrate (460a.C. - 377a.C.), Galeno (131-201), Costantino Africano (1020-1087) e ad alcuni trattati arabi, soprattutto il Canone di Avicenna (980-1037) e ai Colliget di Averroè (1126-1198). Dal XIV secolo nell’università di Montpellier e in alcune università si inizia anche il sezionamento dei cadaveri.
Lo studio della teologia si basa invece su due testi fondamentali: la Bibbia e il Libro delle Sentenze di Pietro Lombardo, che era considerato un trattato completo di dogmatica cristiana; a questi studi si aggiunge la lettura delle opere dei Padri della Chiesa e dei commenti di alcuni teologi moderni. I teologi utilizzano anche testi strettamente filosofici, destinati di norma alle Facoltà delle Arti, come gli scritti di Aristotele e di alcuni pensatori arabi.
Infine alle Arti gli scritti aristotelici hanno un ruolo fondamentale, ma non egemone, infatti dal XII secolo, all’Organon è affiancato lo studio del Liber sex principiorum e in seguito delle Summulae logicae di Pietro Ispano (1210 ca.-1277) e dei Modi significandi di Martino di Dacia (1250/60-1304). Particolare è il caso delle università inglesi in cui invece si leggono soprattutto l’anonima Logica cum sit nostra e le Introductiones di Guglielmo di Sherwood (?-1272). Si può inoltre constatare che, nel corso del XIV secolo, nei commenti di Oxford alle Sentenze viene dato sempre maggiore risalto alla tradizione inglese, a discapito del contributo degli autori parigini.
In ogni facoltà l’insegnamento si svolge secondo due forme fondamentali: la lezione e la disputa. La prima ha lo scopo di far conoscere allo studente gli autori fondamentali della disciplina studiata; la seconda permette al maestro di approfondire alcune tematiche più liberamente di quanto non sia consentito durante il commento di un testo.
Le lezioni si distinguono in ordinarie e straordinarie: le lezioni ordinarie sono tenute personalmente dai maestri sui libri più importanti del programma e si svolgono generalmente nelle prime ore della mattina; il baccelliere invece si occupa delle lezioni straordinarie che si svolgono nella tarda mattinata o nelle prime ore pomeridiane. Il metodo di entrambe le lezioni è lo stesso: dopo un discorso introduttivo, il maestro o il baccelliere, nel caso delle lezioni straordinarie, legge il testo da spiegare, interrompendosi per commentarlo in modo più o meno approfondito; mentre gli studenti seguono la lettura sulla copia di loro proprietà e prendono appunti (reportationes). I commenti del docente possono essere letterali (expositio o sententia) oppure per temi o questioni (commentum per modum quaestionis)
Le dispute sono invece molto più originali e rappresentano l’esercizio più caratteristico del metodo scolastico, tanto che i professori più bravi si dedicano con maggior interesse proprio a questa attività, trascurando le lezioni.
Inizialmente in forma privata all’interno della scuola, nel corso del XIII secolo le dispute ordinarie assumono sempre più un carattere definito. La durata è di due giorni non necessariamente consecutivi, il primo dei quali il maestro sceglie il tema (quaestio) e presiede la discussione tra due suoi baccellieri, rispettivamente nel ruolo di opponens e respondens. Nella seconda giornata il maestro valuta gli argomenti posti dai suoi assistenti e propone la sua soluzione (determinatio).
Dalla seconda metà del XIII secolo si diffonde un altro tipo di disputa che, nata alla facoltà di teologia di Parigi, si diffonde presto in molti altri atenei: si tratta della disputa quodlibetale (quodlibet). A differenza della disputatio ordinaria, il tema non è scelto dal maestro, ma dal pubblico, anche da persone estranee all’università, che possono chiedere al maestro di trattare qualunque argomento. Le numerose domande sono spesso una strategia per mettere in difficoltà il maestro o screditarne la carriera, non per niente le dispute quodlibetali sono privilegiate dai pensatori più maturi e preparati: Tommaso d’Aquino (1225 ca. - 1274), Enrico di Gand (?-1293), Goffredo di Fontaines (?-1306 ca.) fanno di queste dispute un’occasione per diffondere il loro pensiero. Negli anni tuttavia i quodlibet perdono la loro utilità, diventando perlopiù un mero virtuosismo formale.
La formazione è quindi largamente orale nei mezzi e nei fini che sono l’abilità di discutere, di predicare, di perorare una causa e di emettere un giudizio; tuttavia anche il libro diventa sempre più uno strumento indispensabile al lavoro universitario. Alcuni editori si procurano un exemplar dei testi più importanti usati nelle facoltà, che viene messo in circolazione, dopo essere stato esaminato da una commissione di maestri. Quando un maestro o uno studente hanno bisogno del testo, lo prendono in affitto e lo fanno copiare da un amanuense. Poiché l’exemplar è composto da fascicoli separati (peciae), potevano lavorare contemporaneamente più copisti.