UNIVERSITÀ
. L'università nella sua storia. - Genesi e caratteristiche fondamentali. - La storia dell'istituzione scientifica e didattica che nella tradizione moderna si designa col semplice nome di "università" sembra possa far risalire le sue origini a una età più antica di quella che vide nascere la medievale universitas. E invero non mancarono nell'antichità classica istituzioni che per la profondità della ricerca scientifica in esse compiuta, per il metodo della trasmissione del sapere mercé insegnamento e dibattito, per la secolare costanza della tradizione possano essere paragonate assai da vicino all'università medievale e moderna. Basta citare, quale esempio principe, quello dell'Accademia platonica, di vita quasi millenaria: esempio al quale possono facilmente aggiungersi quelli delle altre principali scuole filosofiche e scientifiche del mondo classico. E se tali scuole sorgono come istituzioni private, e in particolare (come nel caso dell'Accademia platonica), quali associazioni di singoli assumenti la forma giuridica del thiasos, cioè della comunità per il culto religioso, venendo con ciò per certo aspetto ad anticipare la struttura dell'universitas medievale in quanto, appunto, "corporazione", non mancano d'altro lato, specie nell'età più tarda, anche istituzioni dipendenti dall'autorità pubblica (come, per es., le scuole giuridiche dell'impero romano), e quindi rispondenti all'altro aspetto che venne in larga misura assumendo l'università in fasi più avanzate della sua evoluzione. Cosicché non sembra che sussistano motivi per non far cominciare già dall'antichità classica la storia di tale istituzione.
Quel che peraltro segna nettamente il distacco fra la tradizione classica e quella medievale, da cui notoriamente si fa dipendere la genesi dell'università moderna non solo nel senso che essa ne è la diretta erede istituzionale ma anche in quello che ne continua lo spirito e la struttura, è il fatto del particolare riconoscimento giuridico, che l'università medievale e moderna concede a chi ha profittato del suo insegnamento. L'università antica (se così piace chiamarla) non conferisce gradi accademici: Platone e Aristotele ignorano la licentia docendi, per la quale non esiste infatti, in greco, alcun termine tecnico. Non solo, quindi, l'università medievale, la cui genesi è uno tra i fenomeni più salienti di quello che è stato detto il "rinascimento del secolo decimosecondo", è distaccata dalla tradizione classica da una lunga soluzione di continuità storica, ma essa se ne distingue per una caratteristica essenziale, che resta invece sostanzialmente immutata attraverso tutta l'evoluzione posteriore.
Per bene intendere questa sua caratteristica è necessario considerare la genesi dell'istituzione, e in primo luogo i nomi che la designano, e che ne costituiscono di per sé stessi i più antichi documenti.
Tali denominazioni sono, sostanzialmente, da un lato quello di universitas (con i varî genitivi che, come si vedrà, debbono specificare questo termine), dall'altro quello di studium generale. Quest'ultimo è il nome che più propriamente e ufficialmente designa l'università medievale in quanto istituto d'insegnamento: e va inteso nel senso di "luogo di studî aperto a tutti", il termine di generale (o commune, o universale) riferendosi al pubblico che poteva frequentarlo e non all'ambito degli studî in esso professati (s'incontra infatti, per es., la formula studium generale in iure canonico, o in quavis licita facultate, non dipendendo quindi quell'attributo dal fatto che lo studium possedesse tutte le "facoltà", e potendo anche sussistere quando ne possedeva una sola). Per ciò stesso, quando s'incontra la formula universitas studii, non è da vedere in essa qualcosa di simile a quella che più tardi sarà l'"università degli studî", nel senso di centro d'amministrazione dell'universo scibile: essa vale infatti solo "la corporazione dell'istituto d'insegnamento" (cioè la corporazione che esercisce tale istituto), esattamente come, all'inverso, studium universitatis è "l'istituto d'insegnamento appartenente alla corporazione". Universitas, d'altronde (come i termini corpus, collegium, societas, communio, consortium, che possono sostituirlo, talora fondendosi con esso, per es. in universitatis consortium o universitatis collegium: e cfr. ancora communionis consortium, ecc.) è la "corporazione", e sottintende quindi la specificazione magistrorum o scholarium, a seconda delle due forme tipiche che, come si dirà, assunse tale organismo in quanto corporazione d'insegnanti o corporazione di studenti.
Ora, la sopra ricordata caratteristica costitutiva dell'università medievale dipende direttamente dal suo aspetto di corporazione di docenti. Come ogni corporazione artigiana, per difendere i suoi membri dall'illecita concorrenza altrui, stabilisce le norme che dando ingresso nella corporazione medesima, autorizzano ad esercitare quell'arte, cosi l'universitas magistrorum, dopo congruo esame, concede la licentia (o facultas, donde il nome di "facoltà", che passò poi a designare il complesso d'insegnamenti rispetto a cui essa era conferita) ubique docendi. Ciò che è determinato dall'attribuzione di tale licentia è quindi, essenzialmente, un'assunzione dello scolaro nell'ambito stesso dei docenti, implicito nel titolo stesso, che esso perciò viene ad assumere, di magister o di doctor: ma naturalmente il nuovo insegnante non si aggrega di regola a quelli che lo hanno accolto tra loro, e, dopo una lezione inaugurale (che può essere d'altro lato la prova stessa su cui si fonda l'attribuzione del titolo dottorale), lascia l'università per andare a svolgere altrove la sua attività didattica, o semplicemente quella professionale (ai doctores legentes - cioè che effettivamente "leggono", ossia insegnano, in quanto l'insegnamento si svolge principalmente come lettura e commento di un classico della disciplina, o di un testo di leggi: donde l'origine del nome "lezione", e per es., in Germania, l'unicità del termine lesen per "leggere" e "far lezione all'università" - vengono così a contrapporsi i doctores non legentes).
Ora, tutta l'evoluzione strutturale dell'organismo universitario, che si è venuta compiendo attraverso i secoli, può vedersi configurata nella diversa maniera e misura in cui, caso per caso, si è realizzato o meno tale distacco del magister o doctor, che riceve il titolo, da quei magistri o doctores che glielo conferiscono. Basta considerare anche soltanto alcuni dei modi in cui la terminologia e la tradizione medievale sopravvivono in situazioni che nella sostanza ormai ne divergono e la varia misura in cui ne divergono, per avvertire come l'intera evoluzione dell'istituto universitario si compia entro quel quadro. Quello che per lo studente italiano è la "tesi (o "dissertazione") di laurea", per lo studente tedesco è la dissertatio inauguralis, l'Inauguraldissertation zur Erlangung der Doctorwrüde: nonostante, quindi, che in entrambe le tradizioni (e tenuto pur conto delle differenze che, come si vedrà, le distinguono), quella prova sia ormai tutt'altro che una "lezione inaugurale", cioè la lezione con cui il nuovo doctor inaugura il suo insegnamento (tanto è vero che doctor ancora non lo è, e compie quella prova appunto per diventarlo), esse conservano una terminologia che risale al periodo in cui essa aveva effettivo riscontro nella realtà. D'altra parte, la stessa terminologia, o una terminologia analoga, sopravvive per designare la prima lezione del "libero (o "privato") docente" (per quanto anche in questo caso, e a seconda dei varî modi in cui appare definita la figura e funzione di tale insegnamento, essa sia, volta a volta, o prova dell'attitudine a conseguire la venia legendi, o prima solenne manifestazione del suo possesso, sussistendo non di rado anche separatamente in entrambe le forme): cosicché può ben dirsi che il "docente" si distingua oggi dal "dottore", in quanto conserva in sé maggiore misura di quel motivo di parità e di colleganza, che originariamente avvicina, nell'università, chi riceve il titolo dottorale a chi lo conferisce. Analogamente, nella odierna organizzazione universitaria francese il libero docente è l'agrégé, cioè il "dottore aggregato", il doctor che l'universitas dei suoi pari non solo riconosce pubblicamente come tale, ma "aggrega" inoltre a sé nella sua opera didattica: e ciò concorda col più alto valore accademico, che ancora oggi conserva in Francia il titolo dottorale a paragone di quanto invece accade, per es., in Germania e più ancora in Italia, ove esso conclude, di regola o di necessità, il corso degli studî universitari (del resto anche il doctor honoris causa, in quanto figura rimasta, per la sua rarità, più arcaica, conserva talora la dignità dell'antico doctor anche in tradizioni universitarie in cui pure il doctor rite, cioè colui che ha conseguito il titolo per la via normale, non è più che il nostro "laureato").
Chi consideri tale processo evolutivo, qui illustrato attraverso qualche esempio terminologico, vede d'altronde come da esso dipenda, e in esso si manifesti, anche quello che è, si vedrà, il problema capitale dell'istituzione universitaria dal punto di vista della sua funzione culturale e sociale. In quanto, infatti, corporazione di docenti che crea docenti, l'università è nativamente orientata verso la continuazione di sé stessa: il suo ideale è quello della ricerca scientifica realizzantesi in una scuola, in cui maestri addestrano una eletta, e perciò esigua, schiera di scolari a proseguire la loro opera, e più tardi ad addestrare altri che a loro volta la proseguano. Ma d'altra parte essa non insegna soltanto ad insegnare: la grande maggioranza degli scolari, che pure conseguono il grado dottorale, non sale sulle cattedre dei suoi professori, né determina la fondazione di nuove cattedre o università. O insegna essa stessa, ma in istituti scolastici di grado inferiore, o esercita professioni di cui l'attività didattica non è parte integrante. L'università, insomma, è una fucina di "dottori", di cui solo pochissimi saranno veramente tali. Di qui il grande problema, se l'università debba occuparsi precipuamente degli uni o degli altri: giacché essa non può interessarsi esclusivamente di una sola di quelle classi di scolari, e deve quindi studiare il miglior modo di giovare ad entrambe.
Le prime università. - Com'è naturale, le più antiche università non sorsero da un momento all'altro: il mito della "fondazione" ha per esse valore ancor meno che per le città, per quanto ben si comprenda come motivi analoghi ne determinino la genesi e il consolidamento in entrambi i casi. Lo studium generale nasce a poco a poco da una scuola ecclesiastica, da una tradizione di studî, talora dall'influsso intellettuale di una singola personalità, finché viene riconosciuto largamente come tale, e la licentia docendi che esso conferisce diventa davvero una licentia ubique docendi. In questo senso, non è quindi possibile fissare in che momento cronologico ciò propriamente si manifesti. Accade bensì che, affermatasi la tradizione e la fama delle prime università, i supremi poteri politici intervengono a tutelarle: si stabilisce così che nessun nuovo studium generale possa essere istituito senza una specifica autorizzazione del papa o dell'imperatore. Le università già sussistenti figurano invece come autorizzate ex consuetudine: s'intende di conseguenza come, mentre per le università più antiche non è possibile indicare alcuna data di fondazione, per quelle meno antiche resti la data dell'autorizzazione imperiale o pontificia, che non di rado, del resto, anche università già riconosciute ex consuetudine tennero ad avere.
Dal punto di vista strettamente cronologico, la prima università medievale è senza dubbio quella di Salerno: la famosa scuola di medicina sussisteva infatti in tale città fin dalla metà del sec. XI, e rimase per circa due secoli il più illustre centro europeo di scienza medica. Dell'organizzazione interna della scuola nulla è però noto fino al 1231, quando Federico II di Svevia procedette a riordinarla, stabilendo che fosse l'unica facoltà di medicina del regno: e già nel 1224 lo stesso imperatore aveva fondato l'università di Napoli, mentre la tradizione degli studia generalia si era venuta costituendo con ben altra determinatezza, fin dal secolo precedente, a Bologna e a Parigi.
Se infatti l'università bolognese nacque, come quella salernitana, da una scuola specializzata, essa si sviluppò rapidamente fino a comprendere anche le altre facoltà (all'originaria facoltà di legge si aggiunsero infatti attorno al 1200 quelle di medicina e di filosofia, o di artes, come allora si diceva: mentre l'insegnamento della teologia, tenuto dai domenicani, fu riconosciuto come facoltà solo da Innocenzo VI nel 1360). La sua origine è nello studio del diritto romano, nuovamente basato sull'indagine diretta del Corpus iuris civilis e particolarmente del Digesto, dopo che la sua nozione era stata, per oltre quattro secoli, soltanto indiretta. Il principale autore di questa rinascita dell'antica scienza giuridica fu Irnerio (1100-1130); d'altro lato, verso la metà dello stesso secolo il Decretum di Graziano, dando la prima sistemazione del diritto canonico, faceva sì che l'ambiente ecclesiastico s'interessasse sempre più all'insegnamento giuridico bolognese. Chi diede allo studium generale di Bologna il primo riconoscimento ufficiale fu, comunque, l'imperatore Federico Barbarossa, che nel novembre del 1158 conferì agli studenti una serie di immunità e privilegi. Caratteristica di questa università è infatti quella di nascere non tanto come universitas magistrorum quanto come universitas scholarium, anzi, più esattamente, come complesso di simili "corporazioni di studenti", ciascuna delle quali difende i proprî diritti eleggendo proprî magistrati, i rectores (donde il nome complessivo di rectores et universitas scholarium, con cui è designato lo studio bolognese in un documento del 1253). Sono, propriamente, gli studenti non bolognesi, e quindi non difesi dalle leggi civiche, che si radunano per non essere, in terra straniera, vittime di soprusi da parte di albergatori e di osti: e che con tale unione raggiungono il loro intento, mercé la minaccia di una secessione in massa. Note, tra esse, sono le universitates dei Citramontani e degli Ultramontani, che in seguito dovettero però moltiplicarsi, specificandosi a seconda dei paesi di provenienza. D'altronde, vinta la battaglia per il vitto e l'alloggio, gli scholares si organizzano anche di fronte ai magistri, esigendo da loro (per es., in uno statuto del 1317) l'osservanza a tutta una serie di doveri didattici, e in particolare la regolarità e assiduità nell'insegnamento: cosicché non sarebbe affatto paradossale il dire che nello studio bolognese di questa età le universitates scholarium si contrappongono all'universitas magistrorum come sindacati di datori di lavoro a un sindacato di lavoratori, il quale, costituitosi in dipendenza dai primi, passa in seconda linea nel governo e nella costituzione dello studium generale. Una sopravvivenza di simili "corporazioni di studenti" (che naturalmente si ebbero anche altrove, per quanto varia fosse la misura della loro influenza) erano fino a poco tempo fa, anche nel nome, le Korporationen degli studenti delle università tedesche, che serbavano la tradizione della specificazione regionale e tutto un complesso di norme giuridiche interne, pur non avendo quasi più nessuna importanza per l'effettivo andamento dell'università. Così pure, attraverso una tradizione complessa, gli alumni (cioè, i diplomati e laureati) di talune università americane, i quali costituiscono la Corporation cui l'università stessa appartiene.
Tipica universitas magistrorum è invece quella di Parigi, la quale ebbe le sue prime origini dalla scuola della cattedrale di Notre-Dame e dalla consuetudine, che in essa già vigeva, di rilasciare licentiae attestanti l'attitudine ad insegnare quanto si era appreso.
La scuola aveva originariamente la sua sede nell'Île de la Cité, appartenente alla cattedrale di Notre-Dame, e si estese poi sulla riva sinistra della Senna, il futuro "Quartiere Latino" di Parigi, che ebbe questo nome appunto dalla presenza degli scholares. Non è naturalmente possibile fissare il momento in cui tale scuola ecclesiastica giunse, nel suo sviluppo, al punto da poter essere considerata uno studium generale: la data del 1200, ormai tradizionalmente assunta come quella della nascita dell'università parigina, è in realtà solo quella del primo decreto regio che la riconosce implicitamente come tale. In quell'anno, infatti, il re Filippo Augusto, prendendo occasione da una rissa in cui erano stati uccisi alcuni studenti, stabiliva la loro indipendenza dalla giurisdizione laica statuendo per essi speciali corti di giustizia (e inaugurando così una tradizione che ebbe a lungo risonanza, sotto molteplici aspetti, ed è ancora oggi viva, per es., nella vita universitaria inglese). Ma una comunità di magistri doveva sussistere già nel sec. XII, per quanto solo nel 1231 essa abbia assunto la forma vera e propria della corporazione: e come a Bologna gli scholares erano associati a seconda delle loro nazionalità, così qui i magistri della facoltà delle artes (accanto ai quali erano, ma in numero assai minore, quelli delle tre altre facoltà: diritto canonico, medicina e teologia) si distinguevano nelle "nazioni" dei Franchi (comprendenti tutti i Latini), dei Normanni, dei Piccardi (tra cui erano annoverati anche gli Olandesi) e degli Inglesi (che comprendevano anche i Tedeschi, e in genere tutti i provenienti dall'Europa settentrionale e orientale). Il rector, scelto da queste quattro "nazioni", era perciò, qui, il diretto antenato del "rettore", che sta a capo dell'università nelle tradizioni francese, italiana, tedesca e in tutte quelle che ad esse si ricollegano (mentre la gerarchia dell'università inglese, conservando la tradizione della scuola ecclesiastica, culmina nel chancellor, l'antico cancellarius o "cancelliere"); e così il decanus, che era a capo di ciascuna facoltà, trasmise tale titolo alla quasi totalità della tradizione universitaria (fr. décan; ted. Dekan; ingl. dean: in Italia, invece, al "decano" si è sostituito il "preside").
Un'altra fra le caratteristiche della vita dell'università parigina che esercitò grande influsso sulla tradizione posteriore (specie nell'ambiente inglese, in cui si sviluppò al massimo) fu quella dei "collegi". Questi erano, originariamente, solo degli alberghi, istituiti da fondatori per assicurare l'alloggio e il vitto a studenti i quali non avessero i mezzi per provvedervi per conto proprio (si è detto come a Bologna difficoltà di questo genere conducessero appunto gli studenti ad unirsi in universitates: ed anche a Bologna, di fatto, furono fondati alcuni collegi - nel 1256 quello per otto scolari di Avignone, nel 1326 il collegio di Brescia, nel 1364 il collegio di Spagna, per 24 scolari spagnoli - senza peraltro che tale tradizione vi si sviluppasse molto). Ma con l'andar del tempo essi divennero centri non soltanto di abitazione e di soggiorno, ma anche d'insegnamento, finendo così con assorbire buona parte del compito didattico dell'università stessa. Già nel 1180 c'era, a Parigi, almeno un collegio; nel 1257 Robert de Sorbonne fondò il Collège de la Sorbonne; nel sec. XIV i collegi erano una quarantina, e 68 intorno al 1500, finché la rivoluzione francese pose termine a tale tradizione escludendo l'autonomia dei collegi rispetto all'università e trasformandoli in molti casi (come in quello della Sorbona) in suoi istituti.
Massima erede del sistema parigino dei collegi fu d'altronde, come si è accennato, la tradizione inglese, accentrata intorno alle due università di Oxford e di Cambridge. Il primo di questi due studia generalia è, secondo ogni verosimiglianza, la più antica filiazione dell'università di Parigi: forse nato da una migrazione di studenti inglesi da Parigi avvenuta nel 1167 o 1168, esso era riconosciuto come centro universitario già verso il 1170 (la notizia della sua fondazione per parte di Alfredo il Grande è solo tradizione tarda). E già nel secolo successivo erano fondati i più antichi tra i suoi colleges: il University College, il Balliol College e il Merton College (v. anche oxford). Di poco posteriore a Oxford è Cambridge, riconosciuta come studium generale tra il 1230 e il 1240 circa: determinante, per essa, come per Oxford una migrazione di studenti da Parigi, fu una migrazione d'insegnanti dalla stessa Oxford, avvenuta nel 1209. In entrambe queste università, come a quella di Parigi, francescani e domenicani furono ammessi ad ottenere la licentia docendi e quindi esercitarono influsso sull'insegnamento, mentre in nessun'altra università ebbero, fino al 1337, tale privilegio.
La diffusione delle università nei principali paesi. - Se Bologna e Parigi, e immediatamente dopo Oxford e Cambridge, sono le grandi iniziatrici della tradizione universitaria medievale, tale tradizione si svolge d'altronde, da allora in poi, non solo in Italia, Francia e Inghilterra ma in ogni altro ambiente che a volta a volta venga in possesso dei necessarî presupposti culturali, con tanto grande ampiezza, che ci limiteremo a segnalare le grandi linee di tali processi evolutivi, mercé l'enumerazione dei loro momenti più importanti.
In Italia, Bologna ebbe la prima grande erede in Padova, la cui università fu fondata nel 1222 da un gruppo di suoi studenti colà emigrati; ma prima che a Padova erano già sorti altri studî a Reggio nell'Emilia, a Modena, a Vicenza. L'università di Napoli fu fondata, come si è detto, da Federico II nel 1224; a Roma, dove già sussisteva una scuola di diritto civile e canonico, la fondazione ebbe luogo nel 1303; per Perugia e per Pisa le date rispettive sono quelle del 1308 e 1343. Altri centri di minore fortuna erano peraltro già nati nel sec. XIII: così Piacenza, fondata nel 1248; Arezzo, dove dal 1215 al 1470 fiorì una scuola di diritto; Macerata, fondata intorno al 1290; Vercelli (1228); Siena (1246). Nel sec. XIV nacquero invece gli studî di Pavia (1361), sulla base di una tradizione precedente, e di Firenze (1349), che, chiuso nel 1472, rinacque propriamente come università solo nel 1923. Al sec. XV risalgono le università di Torino (1405), di Parma (1422) e di Catania (1434); al successivo le università sarde (Sassari, 1556; Cagliari, 1596) e quella di Messina (1548) e l'universìtà Gregoriana di Roma, affidata ai gesuiti (1552). L'università di Palermo, come tale, risale al 1779; quella di Genova data dal 1812; e solo dal 1923 (cioè dalla riforma Gentile, che elevò al rango universitario tanto l'Istituto di studî superiori di Firenze quanto l'Accademia scientifico-letteraria di Milano) quella di Milano, nata d'altronde quasi contemporaneamente all'Università cattolica del Sacro Cuore, fondata nella stessa città e pareggiata a quelle statali. Del 1924 è quella di Bari. La più recente riforma universitaria (1934) ha poi ampliato notevolmente la struttura delle università dei centri maggiori, aggregando ad esse, come facoltà, istituti superiori d'istruzione già sussistenti nelle città stesse. Ma su ciò v. sotto: Struttura e problemi dell'università moderna (per dati particolari v. anche italia: Ordinamento scolastico; e le voci concernenti le singole città; così per le nazioni e le città estere, per le quali diamo solo qualche cenno d'insieme).
In Francia, Montpellier aveva una scuola di medicina già nel sec. XII: aggiuntasi ad essa una facoltà di giurisprudenza, Nicolò IV riconobbe nel 1289 a tale centro di studî la natura di studium generale. A Tolosa l'università nacque per diretta azione della Chiesa di Roma, intesa a combattere l'eresia albigese: e vide riconosciuti i suoi privilegi da Gregorio IX già nel 1233. A Orléans sussisteva da secoli una scuola: ma lo studium generale sorse propriamente nel sec. XIII, e nel successivo godeva di grandissima fama per il suo insegnamento del diritto. Altre università francesi la cui genesi risale a questa età sono quelle di Angers, Avignone, Cahors e Grenoble. Nel secolo XV furono invece fondate (o acquistarono rango di studium generale, già sussistendo come scuole) le università di Aix in Provenza (1409), di Poitiers (1431), di Caen (1437), di Bordeaux (1441), di Valence (1452), di Nantes (1463), di Bourges (1465). Nel sec. XVI le università francesi furono duramente provate, specie verso la fine del secolo, dalle guerre: soprattutto Parigi decadde, mentre si affermava vastissima l'influenza della Compagnia di Gesù con i collegi di Clermont e La Flèche. Lo studio parigino cominciò a risollevarsi verso la fine del sec. XVII: nel 1762 i collegi dei gesuiti, che furono poco dopo espulsi dalla città, tornarono in possesso dell'università, finché, nel 1793, la rivoluzione abolì collegi e facoltà, e, nel 1808, Napoleone riorganizzò tutto, istituendo l'Università imperiale, che comprendeva tutte le scuole di ogni ordine e grado: le elementari, le medie e le superiori. Tale ordinamento riproduceva quello attuato in Piemonte nel 1729 da Vittorio Amedeo II. L'università napoleonica era divisa in accademie, che erano (e sono ancora) le circoscrizioni territoriali, nelle quali erano compresi i singoli istituti. Nel 1885 le varie facoltà ebbero personalità giuridica propria, e nel 1896 tale personalità fu estesa al complesso delle facoltà, che fu nuovamente denominato università. Nel 1918 è ridiventata francese l'università di Strasburgo.
In Inghilterra, altamente caratteristico è il fatto che Oxford e Cambridge restarono le sole università non solo nel Medioevo, ma anche in tutta l'età moderna fino al sec. XIX. Se si prescinde, infatti, dalle quattro università scozzesi (St Andrews, fondata nel 1411, e a cui nel 1897 fu unito il University College fondato nel 1880; Glasgow, fondata nel 1451; Aberdeen, fondata nel 1494 come University and King's College e unita nel 1860 al Marischal College fondato nel 1593; Edimburgo, fondata nel 1583), che si distinguevano del resto da Oxford e Cambridge per proprie peculiarità di tradizione (più povero, p. es., essendo lo scolaro scozzese, minore era l'uso dei colleges), e dal Trinity College di Dublino in Irlanda, fondato nel 1596, tutte le altre università inglesi e irlandesi non sono nate che nel secolo XIX, o addirittura nel secolo XX. Basti dire che l'università di Londra è stata costituita nella sua forma attuale solo nell'anno 1900: giacché, se del 1836 è il Royal Charter (la "regia patente") che la fondava come università conferendole il diritto di assegnare degrees, cioè titoli accademici, solo nel corso del sec. XIX nacque quell'imponente complesso di colleges e d'istituti superiori che, insieme con una ventina di collegi medici e di ospedali, ora la compongono. Per le altre università, ecco le date in cui, o esse furono fondate come tali, o i colleges già sussistenti (ma anch'essi comunque non mai anteriori al sec. XIX) furono riconosciuti o incorporati quali università da un Royal Charter: Durham, 1832; Università del Galles (costituita dai colleges di Aberystwyth, Bangor, Cardiff e Swansea), 1893; Birmingham, 1900; Liverpool, 1903; Manchester, 1903; Leeds, 1904 (queste tre ultime università costituivano insieme, dal 1880, la Victoria University: il nome è rimasto ora a quella di Manchester); Sheffield, 1905; Bristol, 1909; Reading, 1926. A questi sono da aggiungere, per quel che concerne l'Irlanda, l'università di Belfast, fondata nel 1849, e la National University of Ireland, fondata nel 1909 mercé la riunione dei University Colleges di Cork, Galway e Dublino. Da ricordare, infine, è che esistono in Inghilterra anche alcuni University Colleges indipendenti (Southampton, Exeter, Nottingham, fondati rispettivamente nel 1862, 1867, 1881), i quali non si distinguono nell'organizzazione da quelli delle università, ma non possiedono la facoltà di conferire i gradi accademici.
Nei paesi germanici (intendendo questo termine in senso lato) le date di fondazione, o di riconoscimento ufficiale, delle più antiche università non risalgono oltre il sec. XIV. Nel 1364 è fondata Vienna; nel 1385 Heidelberg (la più antica tra le università germaniche stricto sensu); nel 1388 Colonia, dove i domenicani avevano una scuola fiorente, mentre Erfurt, già fondata nel 1379 dall'antipapa Clemente VII ma solo nel 1389 riconosciuta da Urbano VI, fu la grande università francescana di Germania. Del 1409 è Lipsia, del 1419 Rostock, del 1455 Friburgo in Brisgovia, dal 1472 Ingolstadt, del 1477 Tubinga. Il secolo successivo, che si inizia con la fondazione di quella di Wittenberg nel 1502, vede la fioritura delle università protestanti: la prima di esse è Marburgo (1527), a cui fanno seguito Königsberg (1544), Jena (1558), Helmstedt (1575), Altdorf (1575), Giessen (1607), Strasburgo (1621). Università della Controriforma sono invece quelle di Graz (1586), di Bamberga (1648), di Innsbruck (1672), di Breslavia (1702). Halle, fondata nel 1693, diventa presto una roccaforte del pietismo e, in generale, dell'illuminismo settecentesco; mentre Gottinga, fondata nel 1736, acquista fama per il suo indirizzo di ricerca, storica e scientifica. Tra il 1798 e il 1815 le condizioni politiche, dipendenti poi principalmente dal dominio napoleonico, determinano l'estinzione di molte tra le minori università tedesche, e la fusione di alcune con altre più importanti: tra l'altro, quella di Ingolstadt si trasferisce prima a Landshut e poi, nel 1826, a Monaco, dando così origine a una tra le maggiori università tedesche. E poco prima, nel 1809, era stata fondata da Federico Guglielmo III re di Prussia e secondo le direttive di Guglielmo di Humboldt l'università di Berlino, destinata a diventare la più grande della Germania.
In Spagna, l'università più antica è quella di Salamanca, fondata nel 1243 da Ferdinando III di Castiglia; segue, nel 1254, Siviglia (solo però per gli studî di latino e di arabo, fino al 1505), e, nel 1346, Valladolid, al cui modello si conformò Alcalá de Henares nel 1409. Del 1359 è Huesca, del 1470 Barcellona, del 1474 Saragozza. Al sec. XVI risalgono invece Valenza (1505), Santiago (1526), Granata (1531) e Oviedo, che, autorizzata da Gregorio XIII nel 1574, fu però aperta solo nel 1607. Solo nel 1770 fu fondata l'università di Madrid. Il sistema dell'istruzione superiore spagnolo fu completamente riorganizzato nel 1857, quando tutte le università furono poste sotto il controllo del Ministero dell'istruzione e il regno fu suddiviso in dieci distretti corrispondenti alle dieci università sussistenti (Barcellona, Granata, Madrid, Oviedo, Salamanca, Santiago, Saragozza, Siviglia, Valenza, Valladolid: estinte infatti, nella prima metà del secolo XIX, si erano quelle di Alcalá, Ávila, Huesca, Lérida, Palencia, Palma e Sigüenza). Nel 1857 fu pure fondata un'università a Manila nelle Filippine (allora possesso spagnolo). Nel Portogallo, l'università fondata nel 1290 ebbe sede alternativamente a Lisbona e a Coimbra, dove si fissò nel 1537; Lisbona riebbe un'università nel 1911.
Per quel che concerne il Belgio e l'Olanda, la più antica università è quella di Lovanio, nel ducato di Brabante, fondata nel 1426 e rapidamente salita in altissima fama, tanto da competere, nel secolo successivo, con Parigi. Del 1575 è Leida, del 1614 Groninga, del 1634 Utrecht (per non citare qualche altra minore); al sec. XIX appartengono invece Gand (1815), Liegi (1815), Bruxelles (1834), Amsterdam (1882).
Tra le università dell'Europa centrale e orientale dev'essere anzitutto menzionata quella di Praga, che già esisteva come centro di studî nel sec. XIII e fu riconosciuta quale studium generale nel 1347. Nel 1882 essa si suddivise in un'università cèca e un'università tedesca, rimaste entrambe in vita anche quando, dopo la guerra mondiale, Praga divenne capitale della Cecoslovacchia. Tra le università polacche è da ricordare soprattutto quella di Cracovia, fondata nel 1364: a Wilno (Vilna) l'università fu fondata nel 1578, a Leopoli nel 1661, a Varsavia nel 1816-18, ma, dopo ripetute interruzioni, ebbe grande sviluppo solo dopo la rinascita dello stato polacco; del 1919 è l'università di Poznań. In Russia vi erano, al principio del sec. XIX, solo tre università: quella di Wilno, già ricordata in quanto ora compresa nel territorio della Polonia, quella di Mosca, fondata dall'imperatrice Elisabetta nel 1755, e quella di Dorpat (ora Tartu, nell'Estonia), fondata nel 1632 ed essenzialmente tedesca nella sua tradizione almeno fino alla seconda metà del sec. XIX. In questo secolo la Russia si accrebbe delle università di Char′kov (1804), Kazań (1804), Pietroburgo (1819) e Odessa (1865), mentre, nel 1832, Kiev sostituiva Wilno. Negli ultimi decennî, e specialmente per opera del regime sovietico, il numero delle università russe si è pressoché triplicato: come in ogni altro ordine di scuole, l'insegnamento vi è gratuito. Per la Finlandia va citata l'università di Åbo (Turku), fondata dalla regina Cristina di Svezia nel 1640 e trasferita nel 1826 a Helsingfors (Helsinki); a Turku nel 1920 è stata inoltre fondata un'università con lingua e insegnamento finlandese.
In Ungheria l'università più antica è quella di Budapest (1635), che oggi è fiancheggiata da quelle di Debrecen, dove un collegio fondato nel 1531 fu elevato nel 1914 a rango universitario, e di Szeged (1921). Delle università romene tanto quella di Cluj (Kolozsvár) quanto quella di Cernăuţi, fondate ambedue nel 1878, la prima quale università ungherese, la seconda quale università tedesca, sono diventate romene solo nel 1919. Appartengono invece alla Romania dall'anteguerra le università di Bucarest (1869) e IaŞi (1860): come nelle università russe, l'insegnamento è gratuito.
La Iugoslavia ha due università complete: Zagabria (1879) e Belgrado (1863). L'unica università bulgara è a Sofia (1888). In Grecia, l'università di Atene, fondata nel 1837, ha avuto grande sviluppo negli ultimi decennî; l'altra università greca è quella di Salonicco, nata nel 1926. L'università di Istanbul, completamente riorganizzata, risale al 1896.
Nei paesi dell'Europa del Nord, se si prescinde da Kiel, fondata nel 1665 e poi passata con lo Schleswig-Holstein alla Prussia, università antiche sono solo Upsala (1477), Copenaghen (1479) e Lund (1666). La prima è rimasta ancora oggi la principale università della Svezia: non lontana dalla capitale, essa ha fatto sì che a Stoccolma siano sorti istituti superiori, ma non propriamente un'università. Recente (del 1887) è Goteborg, terza e ultima università della Svezia. In Norvegia fu fondata un'università a Cristiania, ora Oslo, nel 1811.
In Svizzera, l'università più antica è quella di Basilea, fondata nel 1460 con l'autorizzazione di papa Pio II. Le altre università sono tutte del sec. XIX, per quanto spesso già esistenti da tempo fossero gl'istituti di studio che ad esse diedero origine: del 1832 è quella di Zurigo; del 1834 quella di Berna, nata dal Gymnasium già fondato da Ulrico Zwingli; del 1806 (e formalmente solo del 1891) quella di Losanna, che peraltro già sussisteva fin dal 1586 come scuola di teologia protestante; del 1876 quella di Ginevra, già celebre come centro di studî dell'ambiente calvinistico; del 1889 quella di Friburgo.
Per quanto concerne i paesi extraeuropei, è necessario - fatta eccezione per gli Stati Uniti d'America, in cui il fatto storico della diffusione delle università ha assunto proporzioni grandiose - limitarsi qui solo a qualche cenno. Nel Giappone le università principali sono quelle di Tōkyō e di Kyōto, fondate entrambe (sulla base di istituti preesistenti) rispettivamente nel 1867 e nel 1897. La Cina ha una ventina di università, le quali sono peraltro ancora legate alla più antica tradizione nazionale, per quanto l'influsso della mentalità e dell'organizzazione europea vi si vada facendo strada. Del tutto dipendenti dalla civiltà inglese sono invece le università dell'India: le più antiche sono quelle di Calcutta, di Bombay e di Madras, fondate nel 1857, a cui se ne sono aggiunte altre due nel sec. XIX, e ben quindici nel XX (da ricordare, tra queste, è l'università internazionale, fondata da Rabindranath Tagore). Anche le università degli altri dominions sono tutte, naturalmente, non anteriori al sec. XIX: particolarmente numerose (e anche varie nella loro costituzione, risentendo alcune più della tradizione inglese, altre piuttosto di quella francese, altre, ancora, piuttosto di quella degli Stati Uniti d'America) sono quelle del Canada, mentre sei ne possiede l'Australia, una la Nuova Zelanda e quattro il Sud Africa. Nell'America latina non mancano, invece, università antiche, ricollegantisi naturalmente alla tradizione spagnola. Tra quelle di più ricca storia vanno citate l'università di Lima nel Perù, risalente a un seminario domenicano fondato nel sec. XVI; quella di Córdoba in Argentina, fondata nel 1613; l'università di Santiago del Chile; fondata nel 1743. Recentissime, datando entrambe dal 1920, sono invece le due università maggiori dell'America Meridionale, sussistenti nelle capitali dei due stati più importanti, Rio de Janeiro e Buenos Aires.
Grandioso è stato infine, come si è accennato, il processo diffusivo delle università negli Stati tniti d'America: e tanto più imponente in quanto, al pari che in Inghilterra, esso è derivato in larghissima misura dall'interesse privato dei cittadini, attraverso un complesso ingente di donazioni e legati da un lato, e di autonome iniziative didattiche dall'altro. La storia della collaborazione tra ricchezza privata e finanza pubblica ai fini dell'ampliamento dell'organizzazione universitaria è peraltro, in America, assai più complessa che in Inghilterra. In quest'ultimo paese, infatti, l'intervento dello stato è realmente solo qualcosa di postumo e secondario al processo genetico con cui la nazione fa nascere i suoi colleges e le sue università. Giuridicamente, esso si esplica anche ora solo nell'autorità di riconoscere al singolo istituto (mediante un Royal Charter, implicante quella che secondo la tradizione costituzionale inglese si dice la volontà del Sovereign in Council) il rango universitario, e con esso la facoltà di conferire degrees accademici: giacché le università sono poi pienamente autonome, non dipendendo neppure dal Board of Education, cioè dal Ministero dell'educazione, e attingendo eventuali sussidî statali solo attraverso decisioni prese caso per caso, e con grande libertà discrezionale, da un apposito organo di collegamento fra università e stato, fondato nel 1919 e detto University Grant Committee (Comitato per i sussidî alle università). Negli Stati Uniti, invece, a un primo periodo (corrispondente all'ingrosso ai secoli XVII e XVIII) d'iniziativa essenzialmente privata, in cui sorgono i colleges e le università più antiche ed illustri, seguì, nel corso del sec. XIX, la fondazione di università statali, sostenute dalla finanza pubblica, mentre però, in seguito alla grande prosperità economica, si formò il tipo del businessman mecenate, il quale, con la sua ricchezza privata, o fonda un'università intitolata al proprio nome o dota principescamente università già sussistenti. Al primo periodo risale, come si è detto, la fondazione delle università più illustri, tra cui siano qui ricordate la Harvard University (a Cambridge-Boston, Mass.; 1636), la Yale U. (a New Haven, Conn.; 1701), la Princeton U. (a Princeton, New Jersey; 1746) e la Columbia U. (a New York; 1754). Il tipo di università statale caratteristico del secondo periodo può essere esemplificato dall'università, fondata nel 1841 a Ann Arbor. Creazioni di mecenati sono infine, p. es., la Cornell University, fondata da Ezra Cornell a Ithaca (N. Y.) nel 1865, e la Johns Hopkins University, fondata da Johns Hopkins a Baltimora nel 1876: e tale può essere considerata anche l'università di Chicago, fondata nel 1890 in tale città col munifico (e poi più volte rinnovato) appoggio di John D. Rockefeller. Per dare un'idea della grandezza dell'organizzazione universitaria americana basti dire che la Columbia University, con un numero d'iscritti che si aggira sui 40.000 e che la fa quindi essere la più grande università del mondo, è tuttavia fiancheggiata, nella stessa città di New York, dalla New York University, che, fondata nel 1849, ha ora circa 20.000 studenti.
Struttura e problemi dell'università moderna. - Nella prima parte della precedente trattazione si è detto come quasi tutti i problemi strutturali, che si presentano nell'evoluzione dell'università non esclusa la stessa sua fase più moderna possano geneticamente ricondursi a quella situazione originaria, per cui essa, in quanto corporazione di docenti, da un lato prepara altri ad esercitare la medesima attività, e dall'altro non aggrega effettivamente a sé tutti coloro a cui conferisce il riconoscimento accademico di tale parità di attitudini. Conviene ora vedere come ciò si manifesti in concreto nell'organismo dell'università moderna, che qui si tratta di esaminare nelle sue linee fondamentali, con qualche accenno comparativo. Per i sistemi universitarî vigenti nelle diverse nazioni v. anche le trattazioni circa gli ordinamenti scolastici alle voci dei singoli stati: ciò valga anche per l'ordinamento universitario italiano. Aggiorniamo qui, secondo lo stato di fatto sussistente nel gennaio 1937, quanto è ormai invecchiato nella trattazione data alla voce italia, XIX, pp. 788-89.
L'università moderna, in quasi tutti gli stati, è un'istituzione avente autonomia e personalità giuridica propria, i cui elementi formativi sono: le persone che la compongono (docenti e discenti); gli scopi (insegnamento, educazione, ricerca); i mezzi materiali per il raggiungimento di detti scopi.
Nei riguardi delle persone, il primo problema che essa offre è quello del procedimento, mediante cui nuovi docenti siano ammessi a svolgere la loro attività nel suo seno, sia per colmare i vuoti lasciati dai loro predecessori (o per la loro morte, o per l'impossibilità di continuare nell'insegnamento, determinata o meno dalla sussistenza di norme sui limiti di età), sia per sopperire a nuove esigenze scientifiche e didattiche. L'attribuzione del titolo dottorale è in origine, s'è detto, nient'altro che il riconoscimento di tale facultas legendi, per cui il nuovo magister o doctor viene accolto come pari nella corporazione dei docenti: ma, tale riconoscimento acquistando sempre più il carattere di mera attribuzione di un grado accademico, nasce, nell'università moderna, la necessità di organizzare in altro modo il reclutamento dei nuovi professori. L'antico motivo autonomistico, unito al concetto che la classe universitaria, costituendo la più alta organizzazione didattico-scientifica di un dato ambiente di cultura, non può trovare all'infuori del suo ambito i giudici competenti per la scelta dei nuovi docenti, sopravvive tuttavia ben saldo alla base degli ordinamenti moderni. Più netto esso si conserva, per es., nell'organizzazione inglese, in quanto in esso ciascuna università o college sceglie in modo autonomo i proprî docenti: la tradizione però (e talora le stesse clausole istitutive di cattedre fondate per lasciti di privati) prescrive determinate forme di procedura, che in genere consistono nella costituzione di boards o committees in cui non mancano anche professori di università diverse da quella per cui il comitato stesso deve operare la scelta. In Germania prevale il sistema per cui ciascuna università è autonoma nella scelta di una terna di nomi, che vengono proposti al ministero, perché ne nomini uno. In Italia l'organizzazione è più centralizzata, in quanto l'ingresso nella schiera dei professori universitarî avviene solo in seguito a concorso che, chiesto dall'università interessata, viene, se riconosciuto utile, bandito dal ministero. I concorrenti sono giudicati, in base ai loro titoli scientifici, da una commissione di almeno cinque professori universitarî o cultori della materia; essa designa gl'idonei all'insegnamento superiore (i maturi), tra questi sceglie tre concorrenti, che costituiscono la cosiddetta terna: il primo di essi ha diritto di occupare la cattedra messa a concorso, mentre gli altri due possono, entro un biennio, essere chiamati a coprire altre cattedre della materia eventualmente vacanti. I professori già di ruolo in un'università possono invece essere chiamati in altra università senza partecipare a nuovo concorso (varia è stata peraltro, negli ultimi anni, la misura dell'intervento del ministero sia nella costituzione delle commissioni, sia nella nomina degl'insegnanti anche in assenza di chiamate delle facoltà; e ciò pur prescindendo dal potere, che il ministro possiede, di nominare direttamente a cattedre universitarie chi ne appaia degno per meriti insigni).
I professori così nominati si distinguono, in Italia, in "ordinarî" e "straordinarî": ma mentre nella tradizlone germanica, in cui pure tale distinzione s'incontra, essa caratterizza singolarmente cattedre o persone distinguendo gl'insegnamenti fondamentali e stabili da quelli istituiti sussidiariamente o ad personam (e in seno agli stessi ausserordentliche Professoren si vengono così a specificare varie ulteriori categorie), in Italia tutti i professori di prima nomina sono "straordinarî" per tre anni, dopo i quali, se la loro attività scientifica e didattica è approvata da una commissione di tre professori universitarî, della stessa materia o di materia affine, nominata a tale scopo dal ministero, sono promossi al grado di "ordinarî". Professori "incaricati" sono invece coloro che, o essendo già di ruolo per altra materia, o non avendo ancora superato l'esame di concorso universitario, o essendo stati dichiarati da una commissione "maturi" ma non inclusi in una terna, e talora non essendo neppure in possesso della libera docenza, ricevono, anno per anno, da una data università l'incarico di tenere un certo insegnamento (tale attribuzione di incarichi è ora regolata da precise norme di precedenza, che stabiliscono, per es., il maggiore diritto dei liberi docenti della materia, specie se dichiarati "maturi", rispetto ai professori di ruolo, ecc.). Infine, "libero docente" (o "privato docente", come anche si dice per analogia col Privatdozent che gli corrisponde nell'ordinamento tedesco; in quello francese è simile la figura dell'agrégé) è chi possiede la facoltà di tenere corsi universitarî sopra una data disciplina, senza peraltro ricevere, in via normale, altro onorario che quello derivante dalle tasse d'iscrizione pagate dagli studenti che frequentano il suo corso.
Il problema del riconoscimento dei liberi docenti non è meno grave di quello della nomina dei professori, non foss'altro per il fatto che, data la minore difficoltà del conseguimento di quel titolo, esso è largamente ambito, specialmente nelle materie giuridiche e mediche, da molti che desiderano soltanto fregiarsene ai fini di un maggiore successo professionale: donde il numero enorme di liberi docenti, iscritti, ad es., presso le facoltà mediche italiane. Né all'inconveniente può ovviarsi rendendo rigoroso l'obbligo dell'insegnamento (la vigente legge italiana prevede la decadenza dal titolo solo dopo che il libero docente non abbia fatto lezione per cinque anni consecutivi e senza giustificato motivo), giacché anche tale obbligo provoca inconvenienti, come quello della caccia affannosa alle firme d'iscrizione, destinate a comprovare frequenze fittizie nonché il diritto alla riscossione delle tasse corrispondenti, quando esse siano trasmesse direttamente al docente (com'era un tempo in Italia; nel vigente ordinamento, il compenso per l'esercita docenza è invece deliberato dal consiglio d'amministrazione dell'università, secondo l'importanza del corso). A favore della tradizione della libera docenza sta d'altronde il fatto che l'opera didattica del privato docente, il quale insegna a un numero ristretto di scolari ed è quindi in grado di seguirli e aiutarli assai meglio di quanto possa il professore ordinario, costituisce, quando è bene organizzata, una preziosa integrazione dell'insegnamento di quest'ultimo. Quanto alla scelta dei liberi docenti, la tradizione germanica è fedele al principio autonomistico (per cui si consegue la Habilitation, cioè la venia legendi, presso una data università, che è in genere quella presso cui ci si è addottorati), seguito, a lungo, anche dalla tradizione italiana (legislativamente fissata nella legge Casati del 1859). L'eccessiva indulgenza delle facoltà italiane, con la conseguente moltiplicazione dei liberi docenti, rese necessaria la riforma del 1923, che stabilì prove più rigorose (esame e discussione dei titoli scientifici e lezione di saggio su tema dato) e le affidò a commissioni uniche per ogni disciplina, composte da tre professori ufficiali e due supplenti, nominati dal ministro su designazione del Consiglio superiore e pagate dal candidato o dai candidati. E a disposizioni assai più restrittive si è giunti col R. decr. legge 20 giugno 1935, n. 1071 (modificante il Testo Unico delle leggi sull'istruzione superiore, che, approvato con r. decr. 31 agosto 1933, n. 1592, è oggi il testo base dell'organizzazione universitaria italiana): per esso (per non citare che le norme più notevoli) la libera docenza si può conseguire solo per quelle materie alle quali corrispondono gl'insegnamenti costitutivi delle facoltà (si veda, per ciò, più sotto); il ministro determina annualmente per quali delle suddette materie l'abilitazione può essere conferita, nonché, per ciascuna materia, il numero massimo dei nuovi liberi docenti; la commissione esaminatrice è composta non più di tre ma di almeno cinque membri.
La sopra ricordata determinazione delle materie nell'ambito delle quali può essere richiesta la libera docenza, si ricollega d'altronde a quella rigorosa delimitazione degl'insegnamenti da impartire nelle università, che è stata poco dopo sancita dal r. decr. 28 novembre 1935, n. 2044. Prima d'allora, ciascuna università poteva fissare in modo autonomo, nel proprio statuto, quali fossero gl'insegnamenti costitutivi delle sue facoltà (e ad essi fa quindi ancora riferimento il r. decr. legge 20 giugno 1935 circa la libera docenza): col decreto del 28 novembre, stabilito un elenco di 37 lauree e diplomi, è insieme statuito quali siano gl'insegnamenti fondamentali, che debbono essere impartiti nelle università e negl'istituti superiori in rapporto al conferimento delle singole lauree o diplomi, e quelli complementari che, nel numero massimo, potranno essere istituiti in aggiunta ai fondamentali". Insegnamenti "fondamentali" sono infatti (come sarà chiarito più oltre, a proposito degli obblighi degli studenti) quelli "obbligatorî", cioè quelli rispetto ai quali la frequenza e il superamento dell'esame è presupposto necessario per il conseguimento della laurea o del diploma, mentre "complementari" sono quelli tra cui lo studente può scegliere. Ciò presuppone una rigorosa predeterminazione, qualitativa e quantitativa, dei campi dello scibile universitario, la quale non può, per la forza stessa delle cose, non esigere frequenti correzioni e aggiornamenti (e già in corso di revisione è, di fatto, la stessa classificazione delle discipline in "fondamentali" e "complementari"). La precedente legislazione, che risaliva nella sostanza alla riforma del 1923, aveva perciò ritenuto più opportuno lasciar libere le università nella scelta e organizzazione dei proprî insegnamenti (salva approvazione ministeriale dei loro statuti): e la stessa libertà si ripercuoteva come si dirà, anche nella sfera degli obblighi imposti agli studenti. Conforme a questo principio è del resto, in genere, la tradizione universitaria delle maggiori civiltà straniere.
La rigorosa determinazione degl'insegnamenti universitarî leciti vuole bensì ovviare all'inconveniente di un'eccessiva specializzazione di discipline: interessi locali, riguardi ad personam, infatuazioni di singoli ricercatori possono infatti condurre a istituire cattedre o a concedere libere docenze per discipline che altrimenti sarebbero invece considerate soltanto capitoli di materie più ampie. Ma il provvedimento può sortire anche l'effetto opposto: e, di fatto, nell'odierna tradizione italiana, in certo modo cristallizzata nel decreto del 1935, si osserva, a paragone di altre tradizioni e ordinamenti, un'eccessiva specializzazione d'insegnamenti (alle cattedre tedesche di filologia classica corrispondono, per es., nell'ordinamento italiano, cattedre di letteratura latina, letteratura greca, filologia greco-latina, grammatica greca e latina; a quelle di filosofia corrispondono cattedre di filosofia teoretica, filosofia morale, estetica, storia della filosofia, con ulteriori specializzazioni in storia della filosofia antica e storia della filosofia medievale; altri esempî si potrebbero trarre dall'ambito degli insegnamenti giuridici, ecc.). Ciò può sembrare utile contro la dispersione, ma in realtà facilita l'isolamento reciproco dei problemi e dei ricercatori: s'intende quindi come altre grandi tradizioni universitarie preferiscano determinare molto più largamente gli ambiti didattici, e accogliere in ciascuna università, a seconda del numero degli studenti, più professori della medesima disciplina, i quali anno per anno stabiliscono tra loro un'armonica ripartizione della materia. Riprova di tutto ciò è del resto la facilità con la quale, nell'ordinamento italiano, il professore non solo assume l'incarico di insegnamenti affini ma passa da cattedra a cattedra (molto spesso mutando, in realtà, soltanto il nome del suo insegnamento).
Quanto al metodo didattico, due tipi d'insegnamento si delineano costanti, sia pure con varia prevalenza, nelle diverse organizzazioni universitarie: quello della lezione e quello dell'esercitazione. Nella prima, il professore parla ex cathedra; nella seconda (che ha quindi luogo per lo più nel "seminario" cioè nella biblioteca della scuola specializzata, o nel laboratorio dell'istituto) egli discute con gli scolari, o ne dirige le discussioni e le ricerche, partecipando in ogni caso direttamente al loro lavoro e facendoli partecipare al lavoro suo. I due tipi d'insegnamento si presentano con particolare nettezza nell'università tedesca, dove le Vorlesungen (dette anche, complessivamente, il Kolleg: in genere 4 ore settimanali) mantengono molto dell'antico carattere accademico (il professore non improvvisa, ma legge: e così, potrebbe dirsi, il lesen = leggere, nel senso di "far lezione" vi ha per oggetto non solo il testo dell'autore da interpretare, ma le stesse cartelle dell'interprete), mentre le Übungen ("esercitazioni": in genere due ore settimanali consecutive) ne costituiscono la normale integrazione. Nella tradizione italiana, se le lezioni hanno, per lo più, carattere accademico (il costume della lettura è però venuto perdendo sempre più terreno), le esercitazioni non sono ancora così frequenti da apparire parte integrante e imprescindibile dell'insegnamento universitario (il professore non è, a rigore, tenuto a farle e spesso ne lascia la cura all'assistente o al libero docente della stessa materia). Non perciò meno vivo è, anche in Italia, il senso di tale problema didattico, fondamentale per l'insegnamento nelle università; e sempre più si va facendo strada l'idea che la lezione cattedratica, pur serbando una sua ragion d'essere come esposizione dei problemi che il docente si propone nella sua stessa attività scientifica e del modo in cui egli pensa di risolverli, debba cedere largamente il passo all'esercitazione, o comunque al tipo della lezione-colloquio, in cui il docente abbia continuamente il modo di mantenersi in contatto con la mentalità e con gl'interessi degli scolari, e quindi d'insegnare imparando.
Questo problema didattico è d'altronde naturalmente connesso con quello, più vasto e radicale, del fine da ascrivere all'insegnamento universitario. In genere, la difesa delle esercitazioni è assunta da coloro che vedono nell'università soprattutto il vivaio dei nuovi docenti universitarî, e quella delle lezioni da coloro che, tenendo presente come la massima parte dei laureati o diplomati non segue la carriera accademica e scientifica ma o va a insegnare nelle scuole secondarie o esercita una professione, concepisce gli insegnamenti universitarî come mezzi per trasmettere le nozioni necessarie al fine di tale preparazione didattica o professionale. Il contrasto tra le due correnti è tuttavia assai più profondo, in quanto si va facendo sempre più strada l'idea che, anche al fine della preparazione professionale, l'utilità dell'insegnamento dogmatico, o istituzionale" (come si usa dire con la terminologia delle facoltà giuridiche), sia minore di quella della discussione problematica, del diretto cimento con le difficoltà. Di qui la polemica, che si fa sempre più viva, contro le "dispense", cioè contro i sunti stenografati e variamente riprodotti delle lezioni, su cui lo studente può prepararsi all'esame anche senza avere mai frequentato: polemica che si può ormai dire condotta dalla stessa evoluzione tecnica dell'ambiente, giacché, se l'utilità della lezione si esaurisse nel testo che di essa può registrarsi e leggersi, un professore potrebbe, per mezzo della radio, fare lezione in tutte le università dello stato, quando non preferisse non fare lezione affatto e scrivere e stampare il suo "corso".
Tutto ciò è del resto implicitamente già presupposto dall'ordinamento, per cui le principali organizzazioni universitarie concordano nel distinguere l'"esame di stato", che abilita all'insegnamento secondario o all'esercizio della professione, dal conseguimento del titolo accademico con cui si concludono, o si possono concludere, gli studî all'università. Talora il conseguimento del massimo grado non è neppure necessario per l'ammissione all'esame di stato (così è, per es., del "dottorato" in Francia e in Inghilterra e per certe carriere in Germania). In Italia la laurea era, prima del 1923, anche titolo di abilitazione professionale: dal tempo di tale riforma questo titolo si consegue solo superando esami di stato, davanti a commissioni nominate dal ministro (per l'insegnamento secondario la commissione abilitante è quella stessa che decide del concorso alle cattedre negli istituti medi statali), restando però la laurea, o il diploma corrispondente, titolo necessario per l'ammissione a tale prova.
Naturalmente collegato a tale problema è poi quello della determinazione degli obblighi di studio, che incombono agli studenti. Quando infatti si tiene conto soprattutto del fine della preparazione professionale, si è indotti a predisporre quegli obblighi in modo che lo studente - costretto a superare un certo numero di esami su materie uguali o affini a quelle su cui poi verterà la prova statale, e (quando un unico titolo accademico apra l'adito a più d'un esame di stato) su altre che assicurino la sua attitudine ad affrontare eventualmente anche le altre prove alle quali può essere ammesso, e comunque garantiscano la sua più generale cultura - orienti i suoi sforzi nel senso della maggiore possibile acquisizione delle conoscenze che gli saranno poi professionalmente utili. Quando invece si tiene conto soprattutto del fine scientifico, e si vede nell'università la fucina dei nuovi universitarî e ricercatori, si tende a lasciare allo studente maggiore libertà per l'autonoma organizzazione dei proprî studî, al fine della spontanea e organica formazione di quell'abito e interesse scientifico, che deve trovare la sua prima manifestazione nello svolgimento della tesi di laurea. E si può quindi (secondo, per es., l'ordinamento che ha avuto vigore in Italia dalla riforma del 1923 fino alla fine del 1935) lasciare liberi gli studenti nella scelta degli insegnamenti da frequentare tra quelli impartiti nelle facoltà, pur mantenendoli soggetti all'obbligo di frequentarne un certo numero e di sostenere l'esame su ciascuno di essi; o addirittura si può (secondo quanto è, per es., sostanzialmente statuito dalla tradizione universitaria germanica, ed è stato autorevolmente propugnato anche in Italia) lasciar liberi gli studenti da ogni obbligo di esami speciali, e assoggettarli soltanto a una prova finale, che dimostri la loro attitudine in quell'ambito generale dello scibile in cui intendono sostenere la dissertazione di laurea.
L'organizzazione italiana vigente, che dipende dal già ricordato regio decr. 28 novembre 1935, n. 2044, stabilisce molto rigorosamente gli obblighi di studio, in quanto fissa che, per accedere all'esame di laurea o di diploma, lo studente deve prima avere superato gli esami speciali in tutte le materie dalla legge stessa definite come "fondamentali" ai fini del conseguimento di ciascuna laurea o diploma.
Rispetto alle "materie complementari" per cui è fissato soltanto il numero degli esami che caso per caso debbono essere sostenuti, lo studente ha invece libertà di scelta (sia pure limitata dal fatto che la porzione dei suoi obblighi di studio costituita dagli esami nelle materie "fondamentali" è di gran lunga maggiore dell'altra, e da quello che nella più gran parte delle facoltà il numero degl'insegnamenti "complementari" effettivamente impartiti è solo di poco superiore a quello obbligatorio). Per intendere lo spirito di questo ordinamento bisogna anche tenere presente come la sua genesi sia stata contemporanea alla vasta opera di accentramento, per cui, tra il 1935 e il 1936, quasi tutti gl'istituti superiori regi esistenti in Italia sono stati aggregati, come nuove facoltà, alle università: in molti di essi, infatti, l'insegnamento era più spiccatamente orientato verso il fine della preparazione professionale di quanto fosse nelle facoltà di antica tradizione (scienze, filosofia e lettere, giurisprudenza, medicina), ed è quindi naturale che un ordinamento unitario dell'obbligo agli esami speciali sia stato influenzato da questa nuova situazione.
D'altra parte, il motivo dell'autonomia scientifica, che secondo la tradizione classica domina la preparazione dello studente universitario, resta energicamente affermato nella disposizione secondo cui la dissertazione di laurea è conclusione necessaria del corso di studî, in quanto condizione per il conseguimento del titolo accademico che permette di accedere all'esame di stato (il decreto del 1935 ha aumentato il numero delle "lauree", elevando a tale rango antichi "diplomi": e anche in quei corsi di studî tecnico-scientifici che non si concludono con una dissertazione, cioè con un lavoro di ricerca scientifica, la prova finale è predisposta in modo che in essa possa più spiccatamente manifestarsi l'autonomia e l'iniziativa mentale del candidato). E ciò è anzi connesso con quella obbligatorietà del titolo dottorale per la maggior parte delle carriere, che costituisce, come si è detto, una caratteristica dell'ordinamento italiano a paragone dei principali ordinamenti moderni. Sussiste quindi, e talora si manifesta, la tendenza a proporre l'abolizione della tesi di laurea, come prova presupponente una personalità scientifica che nella maggioranza dei casi il candidato non ancora possiede al termine degli studî universitarî. Ed è da notare che tale abolizione è stata talora sostenuta anche da persone che non partivano dall'idea della prevalente finalità professionale degli studî universitarî, e in ogni modo consideravano la libertà nell'organizzazione personale del lavoro e la conseguente preparazione non mnemonica ma spontanea come più atta anche ai fini della preparazione professionale: il conseguimento del titolo dottorale attraverso la dissertazione di laurea avrebbe dovuto infatti, per essi (secondo quanto, s'è visto, accade in altri ordinamenti), costituire un grado accademico ulteriore rispetto a quello necessario per la carriera non scientifica. S'intende, poi, che lo stesso problema della dissertazione di laurea e dell'opportunità di conservarla o di abolirla o di trasferirla in un punto più avanzato del curriculum studiorum si presenta in vario modo a seconda delle caratteristiche peculiari di ogni disciplina, e del genere di attività scientifica che essa richiede dai suoi cultori. Tanto più, infatti, tale attività potrà ripartirsi tra maestro e scolari (come, poniamo, nel campo della ricerca storica, presupponente singole indagini d'archivio), tanto maggiore sarà la probabilità che la dissertazione di laurea riesca opera utile, e non semplice esercitazione accademica.
Ma c'è ancora un problema più profondo, alle cui varie forme di soluzione possibile si riconducono i principali tipi strutturali della università moderna. La più palese antitesi di motivi che in essa si manifesta è, s'è visto, quella per cui essa è da un lato istituto di scienziati, che tende a continuare sé stesso, e dall'altro scuola di insegnanti secondarî e di professionisti: e se quel primo fine appare più aristocratico, l'altro non è meno importante, perché è sopra tutto per l'opera svolta in tale senso che l'università esercita vastamente il suo influsso nella vita nazionale. Ma anche più importante è, allora, l'opera che essa svolge (o può svolgere) in quanto, prima ancora che l'universitario o il professionista, essa crea l'uomo: cioè in quanto essa determina orientamenti di cultura e di aspirazioni, e in generale influisce sul livello e sulla direzione etico-politica del proprio ambiente. L'effettiva realizzazione di quest'opera è naturalmente legata a un così grande complesso di condizioni (carattere più o meno "mondano" - nel migliore senso della parola - della cultura di un dato ambiente; valore di uomini; generale situazione politica, ecc.) che non può esser fatta dipendere da mere caratteristiche strutturali degli organismi universitarî; essa si rispecchia essenzialmente nella storia, e questa mostra ad usura esempî, per ogni ambiente di civiltà, del modo in cui ideologie e aspirazioni, nate o difese nelle aule degli atenei, si affermarono nella lotta o nella resistenza politica (basti citare l'opera delle università italiane nel periodo del Risorgimento, o quella delle università tedesche durante l'invasione napoleonica).
In sede di analisi strutturale della moderna organizzazione universitaria e dei problemi che essa presenta, è tuttavia lecito considerare quali più specifiche forme istituzionali abbia assunto, in taluni ambienti, la cura di fare dell'università il supremo organismo non solo dell'istruzione, ma anche dell'educazione: da questo punto di vista, particolare attenzione merita la struttura e la tradizione dell'università anglo-americana. Qui già la consuetudine alla vita in comune nei colleges (dove gli studenti fruiscono d'insegnamenti particolari - e fortemente individualizzati per opera dei tutors - in aggiunta a quelli che frequentano all'università), con la sua subordinazione a tradizionali regole di convivenza e perfino di giurisdizione, orienta gli spiriti verso quella idealizzazione normativa dei rapporti sociali, che costituisce tanta parte dell'etica del gentleman. Lo stesso esercizio dello sport è concepito anche come scuola di fair play, di "giuoco leale", cioè come allenamento a una libera manifestazione di energie contrapposte, che tuttavia non oltrepassi mai l'ambito legale entro cui esse devono esplicarsi. Analoga cura è posta nell'apprendimento di quelle che potrebbero dirsi le buone regole del giuoco in fatto di scambio e di dibattito di idee. A Oxford e a Cambridge, per es., vi sono addirittura dei clubs dove gli studenti intavolano discussioni seguendo norme rigorose, affini a quelle che regolano i dibattiti del parlamento inglese, e l'estrinsecità del procedimento, che può fare sorridere, non esclude che esso rechi buoni frutti in tema di allenamento alla comprensione reciproca e al rispetto morale della personalità altrui. Se si considera l'ambiente americano, si trova che analogo è, per es., lo spirito del Harvard man, dell'"uomo di Harvard", com'è chiamato chi è stato educato nell'ambiente della più antica università degli Stati Uniti, la Harvard University: anche qui il motivo della piena tolleranza reciproca, cioè dell'ambito che deve essere lasciato libero per l'esplicazione della personalità altrui, si compone col senso rigoroso delle norme, entro cui dev'essere compresa tale esplicazione. Si tratta, come si vede, di particolari abiti educativi, che certe tradizioni universitarie tendono a trasmettere, a fondamento di ogni altra e più specifica formazione scientifica o professionale. Per citare un esempio di altro genere, le Korporationen (o Körperschaften) studentesche delle università germaniche, ormai decadute o sciolte per legge, mantenevano viva la tradizione etico-nobiliare del Junker: donde, tra l'altro, la caratteristica usanza della Mensur, cioè del duello alla sciabola tra studenti protetti da coperture in tutto il corpo salvo che nelle guance e nella fronte, che avrebbe dovuto comprovare per tutta la vita, attraverso le cicatrici delle ferite ivi riportate, il coraggio e la forza dei contendenti.
In Italia, le associazioni di studenti non sono mai state fiorenti e sono state soprattutto dei circoli di divertimento; ora esse sono state sostituite dai Gruppi dei fascisti universitarî (G. U. F.), che curano l'educazione militare e sportiva ed esercitano anche una azione culturale, di tipo diverso da quello dell'università, attraverso la complessa organizzazione dei Littoriali della cultura e dell'arte, e dello sport (v. fascismo, App.; littoriali, App.).
Per concludere questa rapida indicazione dei più importanti problemi strutturali dell'università moderna occorre, infine, accennare alla sua organizzazione finanziaria. Un'università ha naturalmente sempre delle spese, per le prestazioni che compie; e nella grande maggioranza dei casi ha anche delle entrate, in forma di pagamento da parte degli studenti a favore dei quali tali prestazioni sono compiute. Ma nell'università moderna le spese eccedono sempre in larga misura gli introiti: essa è un'azienda tipicamente, fisiologicamente passiva, ed è anzi ovvio che, in linea di massima, quanto più alto sarà il livello della civiltà ambiente, tanto più forte sarà quella passività, se la possibilità dell'educazione deve in ogni suo grado essere resa sempre più largamente accessibile, e tendere quindi alla gratuità totale. Da ciò deriva, come naturale conseguenza, che l'università moderna non può essere un'azienda privata, nel senso strettamente economico del termine: essa presuppone infatti sempre uno sforzo finanziario non remunerativo, il quale può naturalmente essere compiuto anche dal privato, ma solo quando egli sia animato da quell'interesse per la comunità, che più normalmente appartiene al potere pubblico. Ciò non esclude, naturalmente, che in anteriori fasi di sviluppo l'organismo universitario possa avere tratto la totalità dei suoi proventi dagli studenti stessi, e quindi avuto, in questo senso, una parità di bilancio: si pensi, per es., alla genesi stessa dell'università dallo scambio di prestazioni e di beni effettuantesi tra l'universitas magistrorum e l'universitas scholarium, e alle forme, sia pure attenuate, in cui tale scambio sopravvive nelle organizzazioni moderne (in Germania, per es., il professore riscuote, oltre allo stipendio fisso, anche il Kollegengeld, costituito da una determinata tassa parziale che lo studente paga per iscriversi al suo corso, e che analogamente costituisce il compenso esclusivo dell'opera didattica del Privatdozent - il quale si presenta, appunto per ciò, come "insegnante privato" dei suoi scolari -; in Italia l'ordinamento è affine, nonostante qualche differenza). Ma quella parità risale a un periodo in cui l'istruzione universitaria è, da un lato, privilegio di pochi e, dall'altro, così ridotta ed elementare nella sua organizzazione, da non richiedere grandi spese: l'università moderna deve quindi, per entrambe le ragioni, sempre più allontanarsene.
Lo stesso processo genetico delle università nei paesi in cui esse sono state anzitutto una creazione dell'iniziativa privata conferma, non che smentire, la tesi. In Inghilterra il college nasce, appunto, come collegio: appunto perciò è caro, la sua parità finanziaria risalendo a un ambiente di educazione riservata all'aristocrazia; e quando, col progredire della civiltà, si avverte l'esigenza di combattere contro l'"università cara", e si moltiplicano per es., le borse di studio per gli studenti poveri, i fondi che rendono ciò possibile o sono di mecenati, o derivano direttamente (ma ciò solo dal sec. XIX) dalla finanza statale, attraverso l'University Grant Committee. Il fenomeno si manifesta in modo più grandioso (come già si è accennato nella parte storica) negli Stati Uniti d'America: qui non solo istituti già esistenti, ai quali non bastano le rendite del proprio patrimonio, ricevono di continuo doni per poter esplicare sempre meglio la loro opera, ma mecenati fondano addirittura università nuove, ed altri, che a ciò non possono giungere, istituiscono cattedre (professorships), o più ristretti corsi di lezioni e conferenze, per lo più legandovi il nome di persone care.
D'altronde, nella stessa America il numero delle università statali è ormai di gran lunga superiore a quello delle università di istituzione privata: e s'intende come il finanziamento pubblico debba costituire la forma prevalente nel maggior numero degli altri stati, la ricchezza privata essendo in essi per lo più meno ingente che in quelli anglosassoni. In Italia, la riforma del 1923 stabiliva, dal punto di vista del finanziamento, la distinzione di tre tipi di università: quelle "libere", cioè finanziate da privati o da enti locali; quelle cosiddette di tipo B, finanziate da enti locali col contributo dello stato; quelle cosiddette di tipo A, finanziate esclusivamente dallo stato. Nel 1935 è stata soppressa la categoria B riportando anche le università di questo tipo tra quelle sottoposte al pieno controllo finanziario dello stato. Immutata è rimasta, invece, la possibilità d'istituzione di università libere da parte dell'iniziativa privata: ma il fatto che essa abbia sinora determinato solo la genesi dell'Università cattolica del Sacro Cuore in Milano (se si prescinde da istituti parziali come l'Istituto superiore di magistero del Piemonte, sorto in Torino, e quello "Maria Immacolata", di Milano, del resto dipendente dall'Università del Sacro Cuore, entrambi ora facoltà di magistero delle rispettive università) conferma quanto sopra si è osservato circa le possibilità del finanziamento privato di istituti universitarî, ciò essendo finora riuscito, in Italia, solo alla potenza economica delle organizzazioni cattoliche, sorrette dall'interessamento e dall'obolo di larghe masse di fedeli. D'altra parte l'Italia, per la stessa ricchezza della sua tradizione storica, soffre piuttosto di sovrabbondanza che di penuria di università (tra statali e libere - cioè, oltre alle ricordate, quelle di Camerino, Ferrara e Urbino - esse sono 25: si pensi che per es., in Inghilterra, Scozia compresa, sono soltanto 16): uno dei più ardui problemi della politica universitaria italiana è perciò quello di conciliare l'esigenza di non interrompere antiche tradizioni, difese da interessi locali, col bisogno di non disperdere le risorse nazionali in troppi centri di studi.
Collegato col problema del costo degli studî superiori è quello dell'assistenza degli studenti universitari. Presso tutti gli stati moderni esistono organizzazioni governative e private (che in alcune nazioni dispongono di mezzi veramente imponenti), le quali hanno per fine di provvedere all'assistenza materiale e morale degli studenti. Tale assistenza si attua, normalmente, mediante alloggi e mense gratuite o a prezzi ridotti, mediante il pagamento o il rimborso delle tasse, il conferimento di assegni, borse, premî, ecc.; nell'America Settentrionale, molto anche con il fornire agli studenti lavoro rimunerato, anche nell'università stessa. In Italia, oltre alle numerose fondazioni e agli storici collegi (ricordiamo: il Ghisleri e il Borromeo di Pavia, il Carlo Alberto di Torino, il Puteano di Pisa, ecc.), esistono, presso ogni università, l'opera universitaria e la cassa scolastica. La prima ha lo scopo di promuovere e attuare l'assistenza degli studenti nelle sue varie forme, la seconda ha il fine di rimborsare agli studenti più meritevoli e bisognosi l'importo totale o parziale delle tasse.
Bibl.: Per il periodo medievale e per la genesi delle università: fondamentali H. Denifle, Die Universitäten des Mittelalters bis 1400 (vol. I, intitolato Die Entstehung der Universitäten des Mittelalters bis 1400, Berlino 1885; i volumi successivi non furono pubblicati) e H. Rashdall, The universities of Europe in the middle ages, voll. 2, Oxford 1895. Da vedere inoltre: C. H. Haskins, The rise of Universities, New York 1923; id., The Renaissance of the twelfth century, Cambridge 1927, p. 368 segg.; una breve esposizione è anche in C. Grant Robertson, The British Universities, Londra 1930. Alla vita dell'università medievale si riferisce inoltre largamente M. Grabmann, Geschichte der scholastischen Methode, voll. 2, Friburgo in B. 1909-11. Cfr. ancora: A. O. Norton, Readings in the history of education: mediaeval universities, Cambridge 1909; A. S. Rait, Life in the mediaeval university, Cambridge 1912 (dipende soprattutto dal Rashdall sopra citato).
Sull'università di Bologna: G. Cassani, Dell'antico studio di Bologna e sua origine, Bologna 1888; L. Chiappelli, Lo studio bolognese nelle sue origini e nei suoi rapporti con la scienza preirneriana, Pistoia 1888; F. Cavazza, Le scuole dell'antico studio bolognese, Milano 1896; H. D. Sedgwich, Italy in the thirteenth century, I, Boston 1912, capitoli 16-17. Da vedere inoltre la serie di Studî e memorie per la storia dell'università di Bologna, 1907 segg.; e, per la documentazione, il Chartularium studii bononiensis: documenti per la storia dell'università di Bologna dalle origini fino al sec. XV editi da L. Nordi e E. Orioli, I-VIII, Bologna e Imola 1909-27.
Sull'università di Parigi: C. Thurot, De l'organisation de l'enseignement dans l'université de Paris au moyen âge, Parigi 1850; C. Desmaze, L'Université de Paris, 1220-1875, ivi 1876. Sulla Sorbona: J. Bonnerot, La Sorbonne: sa vie, san röle, son oeuvre à travers les siècles, ivi 1928. Serbano ancora valore per il materiale, pur essendo naturalmente invecchiate, le seguenti grandi opere d'insieme: C. E. du Boulay (Bulaeus), Historia universitatis parisiensis a Carolo Magno ad nostra tempora, voll. 6, Parigi 1665-73; J. B. L. Crevier, Histoire de l'université de Paris depuis son origine jusqu'en l'année 1600, voll. 7, ivi 1761; G. Dubarle, Histoire de l'université de Paris, voll. 2, ivi 1844. Fondamentale, infine, dal punto di vista documentario il Chartularium universitatis parisiensis, edito da H. Denifle e E. Chatelain, voll. 4, ivi 1889-97, e integrato dall'Auctarium cahrt. univ. paris., a cura degli stessi, voll. 2, ivi 1894-97.
Sulle altre università italiane: E. Coppi, Le università italiane nel Medioevo, 3ª ed., Firenze 1886; S. De Renzi, Storia documentata della scuola medica di Salerno, 2ª ed., Napoli 1857; F. Torraca, G. M. Monti e altri, Storia dell'università di Napoli, Napoli 1924; G. Mengozzi, Ricerche sull'attività della scuola di Pavia nell'alto Medioevo, Parigi 1924; G. Mengozzi, Ricerche sull'attività della scuola di Pavia nell'alto Medioevo, Parigi 1924; Memorie e documenti per la storia dell'università di Padova, Padova 1922; A. Favaro, L'università di Padova, Venezia 1923; N. Spano, L'università di Roma, Roma 1935. Sulle altre università francesi: M. Fournier, Histoire de la science du droit en France, III (col sottotitolo Les universités françaises et l'enseignement du droit en France au moyen âge), Parigi 1892; id., Les status et privilèges des université françaises depuis leur fondation jusqu'en 1789, voll. 4, ivi 1890-94, L. Liard, l'enseignement supérieur en France, 1789-94, voll. 2, ivi 1894.
Sulle università inglesi: E. V. Vaughan, The origin and early development of the English universities to the close of the thirteenth century, in Social Science Series degli studî dell'Università del Missouri, II, 1908; H. Fletcher, Oxford and Cambridge, Londra 1910; J.-B. Coissac, Les universités d'Écosse depuis la fondation de l'université de Saint-Andrieux jusqu'au triomphe de la réforme, Parigi 1915; C. Grant Robertson, The British Universities, Londra 1930. Per la storia delle due università più antiche maggiori particolari in: Wood-Gutch, The history and antiquities of the university of oxford, voll. 5, Oxford 1786-96; P. Bliss, Alumni and Fasti Oxonienses, voll. 4, ivi 1813-1820; H. C. M. Lyte, A history of the University of Oxford to 1530, Londra 1886; G. C. Brodrick, A history of the university of Oxford, ivi 1886; 3ª ed., 1894; J. B. Mullinger, The university of Cambridge, voll. 3, Cambridge 1873-1911; C. H. Cooper, Annals of Cambridge, voll. 5, ivi 1842-1908.
Sulle università tedesche opere fondamentali d'insieme sono: G. Kaufmann, Die Geschichte der deutschen Universitäten, voll. 2, Stoccarda 1888-96; F. Paulsen, Geschichte des gelehrten Unterrichts auf den deutschen Schulen und Universitäten vom Ausgang des Mittelalters bis zur Gegenwart, 2ª ed., voll. 2, Lipsia 1896-97; id., Die deutschen Universitäten und das Universitätstudium, Berlino 1902 (trad. inglese, New York 1906); W. Lexis, Die deutschen Universitäten,, voll. 2, Berlino 1893 (relazione per l'esposizione mondiale di Chicago; e cfr. anche, dello stesso Lexis, il vol. Die Universitatën im deutschen REich, ivi 1904, che è il primo della serie Das Unterrichtswesen im deutschen Reich, presentato all'esposizione mondiale di St Louis. La prima opera del Lexis illustra principalmente la produzione scientifica, la sceonda l'organizzazione didattica delle università tedesche). Vastissima informazione bibliografica in W. Erman e E. Horn, bibliographie der deutschen Universitäten, voll. 3, Lipsia 1904-1905 (raccoglie tutta la letteratura fino al 1899). - Sulle università spagnole: V. de la Fuente, Historia de las universitades y demás establecimientos de ensenanza en Espana, 1884.
Sulle università americane: Burgess, The American University, Boston 1894; C. F. Thwing, The American colleges and American Life, New York 1897; N. M. Butler, The Meaning of Education, Boston 1898; D. C. Gilman, University Problems, ivi 1898; E. E. Brown, Origin of the American State universities, Berkeley (Cal.) 1903; C. F. Thwing, History of higher education in the United States, ivi 1906; N. M. Butler, Education in the United States, Albany 1907; C. W. Eliot, University Administration, Boston 1908; E. E. Slosson, Great American Universities, New York 1910. Cfr. anche stati uniti, XXXII, p. 571.
Per l'organizzazione contemporanea delle università, la migliore fonte complessiva d'informazioni è la pubblicazione annua Minerva: Jahrbuch der gelehrten Welt, Strasburgo 1892 segg. Essa è basata sui dati ufficiali comunicati dalle singole università o dai ministeri, alle cui pubblicazioni è naturalmente da risalire per informazioni più minute. Tra le pubblicazioni di carattere internazionale sono da ricordare i bollettini editi dal Comitato per la cooperazione intellettuale presso la Società delle nazioni.
Del moderno problema universitario trattano molte tra le opere storiche sopra ricordate. Si vedano inoltre: E. Spranger, Wandlungen im Wesen der Universität seit hundert Jahren, Lipsia 1913; G. Pasquali e P. Calamandrei, L'università di domani, Foligno 1923; K. Jaspers, Die Idee der Universität, Berlino 1923; R. Schairer e C. Hoffmann jr., Die Universitätsideale der Kulturvölker, Lipsia 1925.
Architettura.
Al sorgere nel Medioevo delle università degli studî corrispose in modo lento e discontinuo la costruzione di speciali edifici per accoglierle.
Già di alcuni di questi (v. madrasah) abbiamo notizia fin dal sec. Xl nel mondo musulmano. Alla metà del sec. XII Parigi e Bologna erano in Occidente i due soli centri d'attrazione per gli studiosi. In queste due città e altrove i dottori cattedratici impartivano l'insegnamento in casa propria o in altre prese in affitto.
Alcuni ordini religiosi presero perciò a fondare collegi per accogliere gli studenti che assai spesso erano indirizzati alla vita religiosa. Altri collegi furono anche fondati da stati o da enti e molti per liberalità di principi e di privati (v. sopra).
I collegi e i seminarî si aggrupparono intorno alle antiche università formando centri importantissimi della città, di cui qualche volta divennero l'elemento dominante. L'idea di un'antica università può ancora esserci data da quelle inglesi di Oxford e Cambridge.
Presto cominciò l'interessamento degli stati per l'insegnamento superiore; con lettera del 12 marzo 1365 i duchi Rodolfo Alberto e Leopoldo dispongono che l'università di Vienna sia sistemata in un quartiere della città. Nel 1366 l'imperatore Carlo comprò una casa e la donò all'università di Praga; il re Wenzel ne donò un'altra più grande e bella e volle si chiamasse "Carolinum": essa è tuttora in uso.
All'università di Heidelberg il principe Ruprecht I destinò una casa e una chiesa da lui comprate fuori delle mura; nel 1391 il principe Ruprecht II donò tutti i beni degli Ebrei da lui cacciati.
Le esigenze edilizie delle università si mantennero per secoli assai limitate, come è dimostrato dagli antichi edifici a noi giunti. Oltre agli esempî già visti va citato anche quello di Salamanca che aveva sede in un palazzetto quattrocentesco.
L'università di Bologna ebbe un'unica sede ufficiale nel 1562, quando per ordine del papa Pio IV fu edificato da Antonio Morandi il palazzo dell'Archiginnasio, incorporandovi precedenti edifici quattrocenteschi.
Non vi sono notizie certe sulla primitiva sede dell'università di Roma; si sa solo che era situata nei pressi della Minerva e probabilmente nello stesso luogo dell'attuale palazzo detto della Sapienza. La pianta dell'edificio attuale è quella iniziata al principio del Cinquecento. Nessuna cura ha avuto l'architetto di ricercare migliori condizioni per l'insegnamento.
A Padova, all'università fu data verso la fine del sec. XV una sede nel famoso palazzo del Bo, fatto costruire dalla repubblica veneta. In questo palazzo si trova il più antico teatro anatomico esistente, costruito da Gerolamo Fabrizi d'Acquapendente nel 1594.
A Pavia gl'insegnamenti fino alla fine del sec. XV venivano impartiti in varî conventi della città e specialmente in quello di S. Tommaso, nel Palazzo del comune e in varie case d'affitto. Gian Galeazzo Visconti aveva fatto costruire un'aula per le adunanze solenni nei pressi di S. Pietro in Ciel d'oro. Un edificio detto delle Scuole Nuove fu edificato da Ludovico il Moro verso il 1449 nel punto dov'è l'attuale università. L'ospedale di S. Matteo, attiguo all'università, fu fondato nel 1449, ma non fu usato per l'insegnamento che nel sec. XVIII.
A partire dal sec. XVII si cominciò a costruire edifici organici e grandiosi per le università. Elementi sostanziali della composizione rimangono i grandi cortili, quasi sempre con portici, la cappella, la biblioteca e le aule. L'insegnamento clinico che si cominciò a introdurre verso la metà del sec. XVI si svolgeva negli ospedali.
Ma solo col sec. XIX le sistemazioni edilizie delle grandi università cominciano a divenire organiche e grandiose; caratteristica della nuova fase è l'affermarsi dell'insegnamento tecnico e scientifico. Le università minori, o quelle decadute, sono costrette, per mancanza di mezzi, a ridurre il numero delle facoltà, eliminando le scienze e la medicina, che cominciano a richiedere importanti mezzi sperimentali e clinici e a continuare a vivere nelle vecchie sedi, o in palazzi e case costruiti per altri scopi.
Già la medicina aveva cominciato a distaccarsi per evidenti ragioni pratiche, svolgendosi presso gli ospedali; successivamente la fisica, la chimica e gli altri rami della facoltà di scienze si sviluppano rapidamente e in luogo dei modesti gabinetti, contenuti in poche comuni stanze, richiedono per l'insegnamento aule speciali e laboratorî completamente attrezzati. Contemporaneamente gl'insegnamenti di carattere tecnico, pur rimanendo, solo di nome, esclusi dall'università, assumono grandissima importanza.
Tuttavia la stessa rapidità del progresso dei mezzi d'indagine, il moltiplicarsi delle materie d'insegnamento e le ragioni tradizionali fecero sì che in Europa non si ebbe uno sviluppo edilizio contemporaneo e omogeneo. Frequentemente gli edifici rimasero disseminati in punti diversi della città, alcuni furono rimodernati e ampliati, molto spesso l'aula massima e il rettorato rimasero nella vecchia sede tradizionale.
Quasi tutte le maggiori università italiane ebbero in questo periodo uno sviluppo notevole, specie per la parte riguardante gli ospedali clinici. I singoli istituti ebbero sedi più o meno ben costruite, e rispondenti allo scopo, ma sempre sorte qua e là, alla spicciolata, su aree ristrette e raramente bene appropriate allo scopo. Mai, insomma, il problema edilizio, fu affrontato nel suo complesso, con visione grandiosa e lungimirante. Fu anche largamente applicato il sistema di adattare vecchi edifici ai nuovi usi; così a Torino nel 1860 fu sistemato il politecnico nel bellissimo castello secentesco del Valentino, mentre venivano costruiti ex novo, in bella posizione, sul parco del Valentino e con criterî di una certa larghezza, istituti della facoltà di medicina; le facoltà di lettere e giurisprudenza restarono nel vecchio fabbricato di Via Po del sec. XVII. A Napoli alla "vecchia università", oggi sede della biblioteca e di alcuni musei, fu aggiunto il moderno edificio terminato nel 1906.
A Roma dove prima del '70 tutti gl'istituti e le facoltà erano alla Sapienza (salvo la medicina a S. Spirito e l'Orto botanico), furono costruiti parecchi istituti e altri furono sistemati in vecchi conventi adattati allo scopo.
In Austria-Ungheria e in Germania lo sviluppo edilizio è grandioso. A Vienna, dove l'università aveva un bellissimo edificio proprio, fin dalla metà del sec. XVIII, fu costruito nel 1873-84 dal Ferstel un grande edificio di circa 20.000 mq., nello stile del Rinascimento italiano, ma gl'istituti di medicina e di scienze rimasero disseminati in diversi punti della città. A Budapest fu costruito il nuovo grande palazzo dell'università del 1898. Un gruppo organico di costruzioni è stato realizzato a Berlino, presso il Tiergarten, dopo il 1880; esso comprende tutti gl'istituti per l'insegnamento superiore tecnico.
A Zurigo l'università è stata fondata solo nel 1832; essa conta numerosi e grandiosi palazzi, nella parte alta della città, sorti in periodi diversi; tuttora se ne costruiscono dei nuovi e si rimodernano gli antichi.
Un esempio di sistemazione d'insieme ci è offerto dall'università di Strasburgo, suddivisa in due gruppi: l'uno per le facoltà di giurisprudenza, lettere e scienze, l'altro per la facoltà di medicina, situato presso l'ospedale. La sistemazione progettata per il primo gruppo subì notevoli varianti nell'esecuzione. A Barcellona fu edificata una grande università nel 1863-73. Grandioso esempio di una piccola università completa dell'epoca è quella di Algeri, costruita dal Dauphin. Interessante è anche l'università di Birmingham, in cui i varî istituti sono disposti a raggiera intorno a un corpo di collegamento semicircolare. L'aula magna è sull'asse. Per le università degli Stati Uniti, vedi qui appresso.
L'università di oggi. - Fin dal principio del secolo XIX cominciò a farsi strada l'idea di riunire tutti gl'istituti d' insegnamento in un'unica zona urbana, circondata da parchi; comincia così un nuova fase edilizia: quella delle città universitarie.
Per ragioni di tradizione e per lo sviluppo lento e graduale di molti istituti, di rado si è potuto in Europa applicare in pieno alle università il concetto urbanistico della zonizzazione, che ha avuto invece larga applicazione nel nuovo mondo. Un esempio recentissimo ne offre Canberra, la nuova capitale della Federazione Australiana, cominciata a costruire nel 1913, che destina una vasta zona al quartiere universitario.
Spetta agli Stati Uniti d'America, dove già le più antiche università, come la Harvard University (1636) e la Yale University (1701) erano state costruite su vastissimi spazî campestri, il merito di avere realizzato le prime grandiose città universitarie, concepite in modo organico e unitario. L'ordine e il sistema degli studî sono assai simili in America a quelli inglesi e anche gli edifici, sia nel loro organismo sia nella sistemazione urbanistica, risentono fortemente della tradizione britannica. In generale la disposizione degli edifici (suggerita dai grandi cortili quadrati di Oxford e Cambridge) è simmetrica intorno a un vasto spazio, lasciato a prato, detto campus. Dominano nella composizione la biblioteca, il rettorato e la cappella.
L'università della Virginia fu costruita nel modo descritto, secondo i piani del presidente Thomas Jefferson nel 1819: essa è perciò una delle più antiche; fu rinnovata nel 1898 dagli architetti McKim, Mead e White.
Lo schema fu poi innumerevoli volte applicato, anche nell'interno della città, come nella Columbia University, degli architetti ora nominati, situata al centro di New York.
Le piante cominciano ad essere studiate razionalmente e si perfezionano sempre più. Le installazioni e gl'impianti tecnici, sempre più abbondanti, completi e razionalmente eseguiti, pongono in questo campo le università americane all'avanguardia.
L'università di Houston nel Texas (architetti Gram, Goodhue e Ferguson), con una superficie di circa cento ettari, è un tipico esempio di pianta di università americana; essa è costruita secondo i canoni classici della simmetria e dell'assialità rigorosamente osservate, e ha, al solito, come centro, un vasto spazio quadrangolare, circondato dagli edifici di carattere più monumentale come il rettorato, la biblioteca e la chiesa.
Nel periodo che va dagli ultimi anni del sec. XIX ai giorni nostri, il numero delle nuove costruzioni universitarie in Europa è andato sempre più rapidamente aumentando.
Fra gl'innumerevoli edifici costruiti recentemente è possibile citare solo qualcuno dei principali. Esempio di vastissime dimensioni era, prima della guerra civile, la città universitaria di Madrid. Fondata nel 1928 per iniziativa di Alfonso XIII, era uno degli esempî più grandiosi in Europa. Era prevista per 15.000 studenti e occupava un terreno collinoso di 360 ettari.
Il raggruppamento delle zone era il seguente: a) zona delle facoltà comprendenti l'aula magna, il rettorato, la biblioteca, le facoltà di giurisprudenza, di filosofia e lettere, di scienze; b) zona della medicina, comprendente gl'istituti delle facoltà di medicina, la facoltà di farmacia, la scuola di odontologia e un ospedale clinico di 1500 letti; c) zona delle belle arti, comprendente le scuole di architettura e di belle arti e il conservatorio musicale; d) zona delle abitazioni per studenti; e) zona degli sport, comprendente molti campi di giuoco, piscine coperte e scoperte e un grande stadio per 60.000 persone che doveva servire anche per Madrid. L'architettura era modernissima; i prospetti, in mattoni con cornici di pietra, le strutture, di cemento armato; largo l'impiego di costosi materiali di rivestimento interno. Gl'impianti, eseguiti secondo gli esempî americani, abbondantissimi.
La nuova città universitaria di Aarhus è piccola, ma moderna e ben disposta. Importanti raggruppamenti universitarî recentissimi, con pianta del tipo a pettine, sono a Berna e a Colonia.
In Italia moltissime sistemazioni sono state compiute e sarebbe impossibile una citazione completa: a Roma si cominciò col dare assetto alle cliniche, costruendo il grandioso policlinico del Podesti (1896), voluto da Guido Baccelli; seguirono altre cliniche e istituti delle facoltà di medicina, finché si giunse alla realizzazione completa della grandiosa città universitaria, voluta da Benito Mussolini, e realizzata sotto la direzione di Piacentini. Tale complesso è oggi il principale centro di studî del Mediterraneo.
La parte eseguita comprende i seguenti edifici: 1. rettorato, aula magna, biblioteca; 2. facoltà di lettere; 3. facoltà di giurisprudenza; 4. scuola di matematica; 5. istituto chimico; 6. istituto fisico; 7. istituto d'igiene; 8. clinica ortopedica; 9. istituto di mineralogia e geologia; 10. istituto di botanica; 11. istituto di fisiologia; 12. casa dello studente; 13. caserma della milizia universitaria; 14. dopolavoro universitario.
A questi edifici seguiranno fra breve le facoltà di ingegneria, di magistero, di architettura, di commercio, di agraria, oggi sistemate in altri punti della città. Gl'istituti di medicina e le cliniche già avevano sede sufficiente e decorosa nel Policlinico e in edifici appositamente costruiti e che sono stati opportunamente rimodernati.
L'ateneo romano, che è oggi in grado di ospitare oltre 15.000 studenti, sorge su un'area complessiva di oltre 60 ettari, di cui 22 per la parte nuova. In quasi tutti gli edifici è stata prevista la possibilità di futuri ampliamenti e sopraelevazioni. La planimetria della parte nuova è concepita secondo uno schema assiale, ordinato e simmetrico, simile a quello di una pianta basilicale a transetto; la simmetria però non è osservata rigidamente e metodicamente e i varî edifici si bilanciano con le masse ma non sono eguali fra loro. Il progetto dei singoli edifici è stato eseguito da diversi architetti delle varie regioni d'Italia. L'architettura, moderna, ma senza concessioni a formule ultrarazionaliste, raggiunge nella sua semplicità e schiettezza un aspetto monumentale che culmina nel gruppo centrale, costituito dal rettorato e dagli edifici della facoltà di giurisprudenza e lettere, formanti un complesso unico, con una fronte di circa 200 metri.
Milano, pur non ricca di tradizioni come sede d'istituti superiori, vedeva sorgere rapidamente, a partire dal 1913, la sua città degli studî, su un'area di circa 15 ettari, a levante della città. L'edificio più importante e grandioso ne è il politecnico, costruito nel 1927, che ha un volume di circa 236.000 mc. Ancora grandioso è il programma da svolgere. Sempre a Milano l'università cattolica è stata sistemata negli antichi edifici del monastero di S. Ambrogio.
A Padova è tuttora in corso di esecuzione un completo riordinamento, ben concepito, se pur non permetta la riunione delle facoltà in un complesso unico. A Bologna molti istituti sono stati recentemente eretti e fra i più notevoli va annoverata la scuola d'ingegneria. La nuova università di Bari è stata felicemente sistemata nel preesistente grandioso palazzo ottocentesco.
Criterî costruttivi generali sulle università. - Le differenze sostanziali che passano fra i metodi applicati nelle principali branche in cui si divide l'insegnamento superiore, conducono di necessità a concepire l'università d'oggi come un raggruppamento di diversi edifici, ben distinti fra loro e ciascuno con caratteri suoi proprî.
Una prima classifica in questo senso, può essere stabilita, distinguendo: 1. edifici per gl'insegnamenti principalmente letterarî, storici, giuridici, ecc., e che vengono impartiti, di massima, oralmente; 2. edifici per gli insegnamenti scientifici che si servono di metodi sperimentali; 3. edifici per gl'insegnamenti clinici; 4. edifici per gl'insegnamenti di carattere tecnico; 5. edifici per gl'insegnamenti superiori di carattere artistico.
Raggruppando le facoltà e gl'istituti che presentano affinità più o meno accentuate fra loro, l'elenco degli edifici occorrenti per una grande università è il seguente:
1. Aula magna, rettorato, uffici, biblioteca; 2. facoltà di lettere e filosofia, di giurisprudenza e di scienze politiche; 3. facoltà di scienze, comprendenti gl'istituti di fisica, chimica, chimica farmaceutica, matematica, zoologia, botanica, fisiologia, mineralogia e geologia, astronomia; 4. istituti della facoltà di medicina: anatomico, patologico, medico e chirurgico, anatomo-patologico, batteriologico, fisiologico, di medicina legale; 5. le cliniche: medica, chîrurgica, pediatrica, ostetrico-ginecologica, dermosifilopatica, psichiatrica, oftalmica, otorinolaringoiatrica, ecc.; 6. la facoltà di farmacia; 8. il politecnico; 9. la scuola superiore di commercio; 10. la facoltà di architettura; 11. la scuola superiore di agraria; 12. la facoltà di veterinaria.
A questi possono eventualmente aggiungersi i seguenti: 13. istituti superiori di belle arti; 14. istituti superiori musicali.
Il precedente elenco, naturalmente, ha solo un valore esemplificativo.
In quanto all'area necessaria per questo complesso edilizio si può dire che per una grande università con oltre 10.000 studenti, non è esagerato prevedere un'area di 100 ettari, per tenere conto di tutti i possibili ampliamenti e perché le sistemazioni sportive trovino largamente spazio. Nella scelta del terreno occorre avere riguardo alle comunicazioni con la città e, quando si debba costruire anche l'ospedale clinico e gl'istituti di medicina, la posizione rispetto ai venti dominanti e l'orientamento.
Si cerca di avvicinare fra loro e possibilmente di riunire nello stesso edificio gl'istituti con esigenze affini. L'osservatorio astronomico di regola va collocato fuori della città, in località propizia per le condizioni atmosferiche.
In un complesso universitario, al palazzo dell'aula magna e del rettorato spettano la funzione rappresentativa; esso richiede quindi un decoro architettonico maggiore e comprende in genere il gruppo degli uffici; spesso forma un tutto unico con i palazzi delle facoltà, ovvero è ad essi in qualche modo collegato.
L'aula magna ha esigenze paragonabili, per quanto riguarda la visibilità, l'acustica e gli accessi, a quelle di un auditorium o di una sala da spettacoli, ma richiede un particolare carattere di solennità e grandiosità; il numero dei posti si proporziona in modo che esso possa contenere oltre all'intero corpo accademico, un numero di studenti all'incirca eguale alla metà degli iscritti e un proporzionato numero di invitati.
Il rettorato e gli uffici comprendono lo studio del rettore, alcune sale di rappresentanza, le sale per i professori, e gli ambienti per gli uffici, di segreteria, amministrazione, archivî, ecc. Le segreterie richiedono molto spazio, la massima sicurezza contro gl'incendî e una posizione in cui sia facile la sorveglianza. Il rettorato e gli uffici richiedono, in una grande università, circa 3000 mq.
Per le biblioteche e i musei vi sono due tendenze; secondo l'una queste istituzioni dovrebbero essere centralizzate, secondo l'altra divise fra i varî istituti; sembra però prevalere quest'ultimo sistema. Spesso vengono riunite in una sola le biblioteche delle facoltà di lettere e di giurisprudenza, che hanno molte affinità. Le biblioteche universitarie, che possono avere anche un milione di volumi, non hanno caratteri sostanziali diversi dalle altre.
I locali per le facoltà in cui gl'insegnamenti vengono impartiti oralmente e cioè in primo luogo le facoltà di giurisprudenza, di scienze politiche, di lettere e filosofia e la scuola di matematica hanno come parte più essenziale e caratteristica le aule, che come dimensioni devono essere proporzionate al numero degl'iscritti per i varî anni, tenendo presente gli accrescimenti probabili: è opportuno prevedere per ogni facoltà una aula magna, per conferenze, commemorazioni, congressi, ecc. Ogni facoltà deve avere le sue proprie aule, tranne che nelle piccole università.
Nella facoltà di lettere si deve poter disporre di locali ampî per le collezioni di riproduzioni di opere d'arte, specie calchi di sculture.
Molto numerosi devono essere i locali destinati agl'istituti e ai seminarî, poiché l'insegnamento e il lavoro scientifico tendono sempre più a svolgersi per loro mezzo; assai variabile può essere la grandezza di tali istituti, ma in media può ritenersi si compongano di una o due piccole aule per circa 25 studenti, di una biblioteca e di due o più stanze per i professori. In una grande università possono occorrere per ognuna delle principali facoltà anche venti di tali unità. Ogni facoltà deve poter disporre di una sala per le adunanze dei professori, con gli annessi relativi, il tutto servito da atrî, corridoi e scale proporzionati largamente e disposti in modo che le lezioni non siano turbate da rumori esterni.
Gl'istituti delle facoltà di scienze e di medicina si compongono in generale di una grande aula, di due o tre aule minori, dei laboratorî per gli studenti, dei laboratorî di ricerca, di una biblioteca e di stanze per professori e per ospiti che desiderino svolgere determinate ricerche in quell'università, oltre agli annessi e alle abitazioni dei custodi.
È specialmente in tali istituti, più ancora che nelle cliniche e nei policlinici, che il problema tecnico degl'impianti assume importanza grandissima. Oltre alle solite istallazioni termiche, idrauliche, elettriche e telefoniche, si devono prevedere numerosi e complessi impianti per i laboratorî degli studenti e per quelli di ricerca.
La costruzione deve adattarsi al passaggio di innumerevoli canalizzazioni e permettere la loro ispezione, e a tale scopo si prestano assai bene gli edifici con ossatura di cemento armato, avendo particolare riguardo agli ambienti che devono contenere strumenti sensibili alle vibrazioni, nel quale caso può essere necessario ricorrere alle vòlte. Si usano anche a questo scopo strutture che attraversano verticalmente l'edificio, completamente separate da esso e munite di fondazioni antivibranti.
Per i percorsi delle canalizzazioni vi sono due tendenze: quella di lasciarle allo scoperto, sviluppando i tratti orizzontali nei corridoi, in modo che l'accessibilità e il controllo sono assoluti, e quella di allogarle in tracce dei muri e dei pavimenti e dei solai, ricoperte da telai smontabili; il primo sistema è generalmente seguito per le condutture elettriche.
Negl'istituti menzionati i laboratorî per studenti debbono disporre di un numero di posti pari alla metà del numero dei frequentatori che si deve prevedere supponendo di svolgere le esercitazioni in due turni. La superficie di laboratorio occorrente è in media di mq. 3-4 per ogni studente.
Più complesse che per gli altri sono le esigenze dei laboratorî di chimica, i quali devono essere in ogni posto forniti in abbondanza di acqua, gas, vapore, aria compressa, aspirazione, prese di corrente elettrica per forza motrice ed esperimenti, sia continua sia alternata, delle più svariate intensità.
Nei laboratorî occorrono anche numerose docce con forti getti, per il caso frequente di scoppio o rottura di recipienti con acidi che vengono proiettati sullo sperimentatore.
Ogni quattro posti in media vi deve essere una cappa chimica; queste oggi funzionano prevalentemente con aspirazione meccanica, per mezzo di motorini elettrici, e possono essere riunite in gruppi.
Negl'istituti fisici l'impianto di maggiore importanza è quello elettrico. Occorre fornire ai posti di laboratorio e alle aule, oltre alle comuni correnti d'illuminazione e forza motrice, correnti alternate e continue per uso esclusivamente sperimentale.
Tutti i posti nei laboratorî di fisica debbono anche avere delle prese di terra, e disporre, benché con assai minore larghezza che nella chimica, di gas, di acqua, di aria compressa e di vuoto: è utile anche qualche cappa chimica. È importante predisporre, in gran numero nei laboratorî, impianti di oscuramento applicati alle porte e alle finestre.
In tutti gli ambienti dove si esperimenta, specie per ricerche, si adottano dispositivi per fissare gli apparecchi. È importantissimo per un istituto fisico poter disporre di una buona officina meccanica.
Per gl'istituti di mineralogia e geologia non occorrono molti posti di laboratorio, ma invece grande spazio per le collezioni. Negl'istituti botanici hanno grande importanza le serre e in quelli zoologici le collezioni, ma tali discipline tendono sempre più verso un indirizzo biologico sperimentale. Si richiedono allora vasti laboratorî, stabularî, sale di operazione per animali, grandi vasche di acque marine mantenute in circolazione, serre in cui si possano ottenere diverse temperature, disponibilità di correnti elettriche e in genere tutti i mezzi per riprodurre artificialmente le più diverse condizioni di vita dei vari organismi.
Gl'istituti delle facoltà di medicina hanno bisogno anch'essi di molti laboratorî: di microscopia, di fisica, di chimica, di radiologia; particolari esigenze hanno gl'istituti di anatomia, di medicina legale e gli altri affini. Nelle sale di esercitazione di questi istituti vanno disposti tavoli in ceramica porcellanata, largamente muniti di acqua e con ottimi scarichi di grande diametro. Accuratamente studiata deve essere la ventilazione. La conservazione dei cadaveri viene fatta per mezzo di frigoriferi a molte celle.
Una particolarità degl'istituti di medicina e di biochimica sono gli stabulari che in alcuni istituti, per es. nella batteriologia, assumono dimensioni grandissime; essi vengono collocati o in piccoli edifici separati, ovvero all'ultimo piano. Le stalline, diverse a seconda degli animali, si dividono in due sezioni: una dove si allevano gli animali sani, l'altra dove vengono tenuti in osservazione gli animali in esperimento.
Le cliniche presentano grande affinità con gli ospedali, ma in esse occorre prevedere in più i laboratorî, le aule e le sale operatorie in cui possano entrare gli studenti, e tutti gli altri accessorî di carattere didattico e scientifico.
Una tendenza moderna (ospedale clinico della nuova città universitaria di Madrid; clinica chirurgica dell'università di Tubinga) è quella di riunire le cliniche in un unico grande ospedale (esclusa la sezione psichiatrica), ogni clinica occupante un piano e nettamente divisa in due parti, l'una per i malati, l'altra per i laboratorî e accessorî. Il piano terreno può essere destinato all'ambulatorio e alle aule. Ogni clinica dispone di sei stanze per giovani laureati che possono vivere nell'ospedale. Fra le recentissime cliniche italiane si può citare il padiglione Granelli a Milano.
Le aule vanno previste in modo da poter svolgere le lezioni mostrando il malato, le sale operatorie devono poter contenere un certo numero di studenti; spesso oggi si costruiscono con una cupola superiore dalla quale, per mezzo di finestrini di vetro infrangibile, gli studenti possono seguire l'operazione. Si usa installare anche in queste sale operatorie un apparecchio radio per modo che il professore possa commentare a bassa voce il proprio operato e che il discorso venga chiaramente udito da tutti gli studenti al piano di sopra. Le sale operatorie sono spesso munite di un impianto cinematografico di ripresa per riprodurre le operazioni in aula.
Le cliniche devono essere largamente provviste di laboratorî.
Nella clinica ostetrica occorrono due ampî reparti di abitazione; l'una per gli studenti che, a turno, debbono abitarvi per un certo numero di giorni, l'altro per le allieve levatrici che anch'esse debbono trascorrere un periodo più o meno lungo nell'interno della clinica.
Il numero dei malati ricoverati in ogni clinica principale può ritenersi in una grande università variabile fra 100 e 150. Cliniche con un numero maggiore di malati non hanno ben corrisposto, dal punto di vista pratico, alle necessità dell'insegnamento.
I politecnici hanno bisogno di spazio assai più che tutti gli altri edifici: poiché molti degli insegnamenti che vi si impartiscono necessitano di un vasto materiale sperimentale.
Per la parte teorica, oltre agli ambienti comuni, si debbono prevedere sale da disegno di una capacità tale da contenere contemporaneamente una metà del numero degli studenti che si vuol prevedere, adottando doppî turni e munendo i tavoli di due cassetti. In una sala da disegno occorrono mq. 3 circa per ogni studente, la luce deve avere anche nei tavoli disposti più lontani un'intensità sufficiente, deve possibilmente venire dall'alto ed evitare i raggi solari diretti; e in caso che ciò non sia possibile si adottano vetri diffusori.
Lo schema distributivo di un politecnico si può concepire in due modi: o isolando ogni insegnamento in una zona, assegnandogli cioè aula, gabinetti, laboratorî e sala macchine tutti raggruppati fra loro, ovvero disponendo le sale delle macchine separatamente dagli edifici d'insegnamento. Quest'ultima disposizione sembra più opportuna per grandi politecnici. In un grande politecnico si deve poter disporre di circa mq. 60 per ogni studente. Spesso nei politecnici anche gl'impianti normali di riscaldamento e di elettricità sono costruiti in modo da poter servire anche per fini didattici.
Il nuovo edificio per la facoltà d'ingegneria, recentemente costruito a Bologna, ha una disposizione planimetrica a pettine. Ogni braccio del pettine in ogni piano è destinato a una sola materia; nel corpo di collegamento si trovano le aule da disegno, mentre la biblioteca è sistemata in una torre. L'edificio è costruito per 300 allievi e dispone di notevoli impianti.
La facoltà di architettura ha bisogno di aule per l'insegnamento e di grandi e ben disposte sale da disegno. Importante è pure la collezione di modelli e la sala in cui gli allievi debbono addestrarsi a costruire essi stessi modelli di plastilina o di cartone; un certo spazio richiede anche l'insegnamento dell'urbanistica che deve disporre di plastici. Una tendenza moderna è quella di costruire camerette separate anziché grandi sale per il lavoro comune.
Per le scuole di belle arti, oltre alle aule e alle sale di esercitazione, si deve provvedere gran numero di studî, generalmente all'ultimo piano con finestre esposte a nord, ampie circa ¼ del pavimento e col parapetto a 1,50 da terra. Le finestre vanno munite di tende per regolare la luce.
La facoltà di agraria dovrà comprendere un certo numero di laboratorî e un vasto spazio per le macchine agricole.
Esigenze specialissime ha la facoltà di veterinaria, comprendente gli istituti anatomici, con mattatoio e le cliniclie mediche e chirurgiche per piccoli e grandi animali, con ampî spazî, prati e letamai. L'istituto superiore di medicina veterinaia di Milano occupa 25.000 mq. con sette grandi padiglioni.
Gli altri edifici dei quali abbiamo parlato non hanno esigenze strettamente particolari e sono riportabili ai casi di cui si è fatto cenno.
Alcuni istituti universitarî poi hanno perduto gran parte della loro importanza, così l'orto botanico.
Impianti generali. - Conviene, per quanto possibile, che siano centralizzati per un migliore controllo e un esercizio economico. Il riscaldamento è generalmente a termosifone tranne che nelle aule per più di 250 studenti, nelle quali si fa ad aria; occorre prevedere un certo numero di circuiti diversi per tener conto delle grandi differenze che si verificano nell'esercizio a seconda delle destinazioni.
Le cliniche e molti istituti di medicina debbono poter disporre abbondantemente di acqua calda e di vapore per sterilizzazione in ogni periodo dell'anno. La lavanderia e la cucina sono in genere centralizzate. Gl'impianti igienico-sanitarî devono essere abbondanti e divisi per sessi in ogni edificio. Gl'impianti elettrici di illuminazione, forza motrice e segnalazioni non presentano caratteristiche speciali; i telefoni fanno in genere capo ad un unico centralino. Importante è prevedere con abbondanza i mezzi per segnalare ed estinguere gl'incendî.
Le aule. - Costituiscono la parte più importante e vitale delle università e sono di dimensioni variabilissime, dall'aula magna, che può assumere le proporzioni di un auditorium e contenere varie migliaia di ascoltatori, alle aule minori che, in generale, conviene non abbiano meno di 80-100 posti. Nelle facoltà molto frequentate in una grande università vi debbono anche essere aule per 500 posti. La superficie delle aule si dovrebbe calcolare in base a mq. 0,90 ÷ 1,20 per posto e il volume a mc. 5 ÷ 8. La superficie necessaria diminuisce, col crescere delle dimensioni dell'ambiente, fino a divenire, per l'aula magna, mq. 0,60 ÷ 1.
L'ingresso degli studenti deve essere separato da quello dei professori; per insegnamenti a carattere sperimentale occorre una grande sala attigua all'aula e con essa direttamente comunicante, detta "sacrestia", per la preparazione delle esperienze. Nelle cliniche invece occorre una stanza per la permanenza del malato.
La visibilità ha un'importanza relativa per le aule destinate a insegnamenti teorici e in questo caso è sufficiente rialzare il piano della cattedra di circa 50 cm. rispetto al piano.
Riguardo alla forma può dirsi che le piccole e medie aule siano quasi sempre rettangolari e spesso con disposizione semicircolare o curvilinea dei sedili. Per le grandi aule viene adottata, oltre alla forma rettangolare, anche quella circolare o semicircolare, quantunque tali forme possano essere causa di cattive condizioni acustiche. È stata anche usata la forma quadrata, disponendo la cattedra in uno degli angoli e gli studenti a semicerchio intorno ad essa. Modernamente si usa spesso la forma a settore, derivata dalla considerazione che la zona migliore per l'uditorio è quella compresa in un angolo col vertice dov'è l'oratore e dell'ampiezza di circa 110 gradi.
L'importanza della visibilità cresce per gl'insegnamenti a carattere sperimentale (fisica, chimica, politecnici) e diviene massima negli istituti anatomici e fisiologici. Occorre allora disporre i sedili su una gradinata; a seconda dell'angolo visivo libero che si vuole lasciare ad ogni studente, varia la distribuzione dei gradoni: questi sono in genere larghi cm. 75 ÷ 80.
Nel caso della chirurgia, anatomia, ecc., la distanza massima fra il tavolo di dimostrazione e lo studente non dovrebbe essere maggiore di 10 m. In questi casi i gradoni hanno pianta semicircolare, spesso prolungata con due segmenti rettilinei alle estremità, e qualche volta circolare; per tali aule è difficile superare utilmente una capacità di 120 posti.
Importantissima per le aule è una buona acustica. Le pareti che dovessero dare luogo ad eco vanno rivestite con materiale fortemente assorbente le vibrazioni sonore. L'illuminazione naturale delle aule deve venire dalla sinistra degli studenti nel caso di aule piccole, cioè non più larghe di 8 m. Varie regole sono state proposte circa la proporzione fra la superficie delle finestre e quella dell'aula; si ritiene che il rapporto debba essere di ¼, ma il dato è assai impreciso, avendovi notevole influenza il clima, l'orientamento e la distanza da altri fabbricati. Le grandi aule sono illuminate o dai due lati, o dal fondo o, finalmente, dall'alto; la prima soluzione è la più semplice e soddisfacente.
Per l'illuminazione artificiale occorre evitare l'abbagliamento sia degli studenti sia del professore. Per mantenere il consumo in limiti accettabili viene, in genere, scartata l'illuminazione indiretta. Per le piccole aule si adottano diffusori; anche per grandi aule si può usare questo sistema, ma più spesso s'impiegano riflettori per illuminare la cattedra e la lavagna; nel caso di soffitti bassi questo sistema procura un forte abbagliamento al professore.
Il riscaldamento delle aule grandi deve avvenire modernamente col sistema dell'aria condizionata, fornendo cioè nella dovuta proporzione aria pura e filtrata alle migliori condizioni di temperatura e di umidità; il ricambio deve essere di circa 25 mc. all'ora per persona; è tuttora incerto se sia preferibile che l'immissione avvenga dal basso e l'aspirazione dall'alto o viceversa. Le aule delle cliniche ove i malati debbono rimanere nudi vanno scaldate a una temperatura di 240.
Impianto importantissimo nelle aule è quello per le proiezioni fisse ed eventualmente anche cinematografiche. È perciò indispensabile munire le aule di un impianto di oscuramento. Il professore deve poter comandare dalla cattedra l'illuminazione per mezzo di un reostato in modo che durante le proiezioni rimanga, volendo, un poco di luce sufficiente per prendere appunti.
Come esempio caratteristico di aula magna si può citare quella della nuova città universitaria di Roma, che copre una superficie di mq. 900 e può contenere 3000 persone; essa comprende una grande loggia a sbalzo e due file di palchi, è pavimentata in linoleum, le pareti sono rivestite in travertino nella zona inferiore, e in alto con intonaco a granulato di pomice, che è stato impiegato anche sul soffitto per il suo coefficiente di assorbimento acustico.
Interessante è anche la torre delle aule nell'edificio di matematica della nuova città universitaria di Roma: essa comprende due aule da 450 posti ciascuna e due da 250 posti, situate in modo che la superficie del soffitto dell'aula inferiore determinata dallo studio acustico, trova riscontro nel profilo delle gradinate dell'aula soprastante, con economia di spazio e riduzione dell'altezza del fabbricato.
Case per studenti. - Problema collegato strettamente con l'insegnamento universitario, oltre a quello delle sistemazioni sportive, è quello delle abitazioni degli studenti, cui si cerca di offrire a prezzi assai ridotti un massimo di benessere.
Nelle università americane gli studenti vivono di solito presso la propria università e nelle loro abitazioni è frequente l'aggruppamento di due o tre giovani in una specie di appartamentino che favorisce il sistema di lavoro in gruppi. In Germania sono stati proposti varî tipi di ambienti unitarî per abitazione di studenti; queste cellule tipo rappresentano veramente un massimo di utilizzazione dello spazio, offrendo anche molte comodità e un'istallazione sanitaria assai completa.
Nella città universitaria di Madrid vi sono numerose case per studenti. A Parigi le case di abitazione per studenti hanno preso una tale importanza da costituire, nel loro insieme, la cosiddetta "Cité Universitaire" che ha una superficie di 45 ettari e ospita 2500 giovani. Essa ha assunto un carattere internazionale, costruendo ogni nazione la casa per i proprî studenti su terreno che viene ceduto a questo scopo. Particolarmente interessanti sono la casa degli studenti svizzeri e quella degli olandesi. Fra le più modeme è notevole la casa per gli studenti di Stoccolma. A Mosca il governo russo ha fatto recentemente costruire degli enormi fabbricati nei quali 4000 studenti universitarî, con le loro famiglie, vengono alloggiati e mantenuti a spese dello stato. Nella nuova città universitaria di Roma si è costruita una casa dello studente, capace oggi di 200 posti, ma suscettibile di ampliamento. Altre istituzioni del genere si ritrovano presso molte università italiane; notevoli quelle dell'università cattolica di Milano e dell'università di Padova.
V. tavv. CIII-CVI.