università
Un’istituzione per produrre e trasmettere sapere
L’università rappresenta una delle istituzioni più importanti che la società moderna ha ereditato dal Medioevo, e ha conservato nel tempo le sue funzioni primarie di centro di trasmissione del sapere, ma anche di ricerca e di produzione di nuove conoscenze. L’accesso agli studi universitari, una volta riservato a una ristretta élite, si è esteso a strati ampi della popolazione. Adeguare l’offerta formativa e i propri modelli organizzativi alle domande sempre più diversificate e complesse della società costituisce una delle principali sfide dell’università
L’università nasce in Europa nel primo Medioevo. Il termine universitas («universalità») era usato non solo per corporazioni di docenti o di studenti, ma anche per altre categorie professionali. Progressivamente il significato della parola si restrinse al campo degli studi, ma sempre indicando l’insieme dei soggetti e non il luogo di aggregazione, che era chiamato studium.
Studium generale, cioè luogo di studi aperto a tutti, era chiamato, all’inizio del 13° secolo, il luogo ove si riunivano studenti provenienti da diverse parti d’Europa e in cui veniva insegnata a livello superiore almeno una delle tre discipline di base: teologia, legge, medicina.
Il più antico centro di studi superiori, ma non una vera e propria università, fu la celebre scuola di medicina di Salerno, documentata già dalla metà dell’11° secolo e riordinata da Federico II di Svevia nel 1231.
L’università di Bologna ebbe subito un più ampio sviluppo, e alla metà del Duecento si aggiunsero all’originaria facoltà di legge quelle di medicina e di filosofia, e più tardi di teologia. L’università di Parigi nacque dalla scuola della cattedrale di Notre-Dame ed ebbe il suo statuto definitivo nel 1231.
Dalla seconda metà del Duecento la facoltà di costituire gli studi generali divenne prerogativa dei due maggiori poteri dell’epoca in Europa, la Chiesa e l’Impero. Nel 1224, per esempio, l’imperatore Federico II fondava lo studium generale a Napoli; nel 1229 papa Gregorio IX faceva lo stesso a Tolosa, mentre papa Innocenzo IV stabiliva nel 1244 uno studium generale presso la corte pontificia a Roma. Alcune università inoltre sorsero a seguito di spostamenti di studiosi e studenti provenienti da sedi preesistenti: rimangono famosi i casi di Cambridge, quale ‘filiazione’ di Oxford, e quello di Padova, in parte originata da Bologna.
Per essere ammessi alle università, durante il Medioevo, gli studenti dovevano dimostrare di potersi mantenere agli studi, conoscere il latino e naturalmente essere maschi. Non erano previsti esami di ammissione, ma le prove durante l’anno erano piuttosto severe. Una grossa difficoltà derivava dalla scarsissima disponibilità dei testi (ancora non esisteva la stampa) e ai conseguenti costi proibitivi.
Le materie che si insegnavano nelle università medievali furono dapprima le arti liberali del trivium: grammatica – che comprendeva lo studio dei classici –, retorica e dialettica. Successivamente le tipiche facoltà diverranno quelle dedicate alle arti del quadrivium – musica, aritmetica, geometria e astronomia, cioè l’embrione di quelle che sarebbero diventate le scienze esatte –, nonché la giurisprudenza, la teologia e la medicina – unica tra le arti meccaniche – che comprendevano le attività manuali in genere – a essere accolta nell’università.
Nelle università del Medioevo si venne sviluppando una struttura collaterale di notevole importanza rappresentata dai ‘collegi’, sorti a Parigi sul finire del 12° secolo per ospitare gli studenti meno abbienti: il più famoso fu la Sorbona, fondata nel 1257 da Robert de Sorbon. Nei secoli successivi, i collegi si diffusero in Inghilterra e nelle università dell’Europa meridionale, e spesso assunsero il ruolo di vere e proprie istituzioni formative che sperimentavano forme avanzate d’insegnamento, in concorrenza con le stesse facoltà.
Nei secoli successivi l’università si afferma come istituzione autorizzata a conferire titoli e riconoscimenti formali agli studenti. Nell’Età moderna l’università restò largamente ancorata al modello medievale, stentando ad aprirsi ai nuovi campi del sapere scientifico, in particolare alle scienze sperimentali. L’attività più propriamente di ricerca si svolgeva al di fuori delle università, soprattutto nelle nuove accademie scientifiche che sorsero nel corso del 17° e del 18° secolo in Italia, Germania, Inghilterra.
Tuttavia l’ampliarsi del mondo delle professioni, i progressi tecnologici e la rivoluzione industriale nel corso dell’Ottocento e soprattutto nel Novecento influenzarono anche l’istituzione universitaria. A essa venne riconosciuta in misura crescente anche la funzione di fare ricerca e produrre nuovo sapere, oltre quelle tradizionali di istruire e di trasmettere conoscenze. L’esigenza di riconoscere la diversità dei fenomeni naturali e delle attività umane portò all’istituzione di dipartimenti, cattedre, istituti e a un’accentuazione delle divisioni disciplinari. Tuttavia il modello dominante restò quello tradizionale di una comunità dedita al perseguimento della conoscenza nonché alla formazione della classe dirigente e dei membri delle maggiori professioni, vecchie e nuove: giuristi, medici, ma anche ingegneri, architetti, scienziati. Per lungo tempo, inoltre, gli studi universitari restarono riservati a una minoranza di studenti, provenienti perlopiù da classi sociali medio-alte, e furono preclusi alle donne.
I mutamenti più profondi si sono verificati nell’università a partire dal secondo dopoguerra. Rispetto al mercato del lavoro, le richieste di competenze specialistiche si sono moltiplicate e diversificate, molte figure professionali si sono modificate, nuove ne sono sorte in relazione ai processi di trasformazione dei sistemi produttivi. Inoltre, i rapporti dell’università con il mondo esterno si sono trasformati in seguito alla rilevanza che ha assunto il sapere nella competizione economica tra i diversi paesi e all’aumento della domanda di istruzione superiore.
Il fenomeno indubbiamente più vistoso è stato tuttavia la crescita progressiva della popolazione studentesca, dovuta ai miglioramenti delle condizioni di vita di ampi strati sociali, all’elevamento dell’obbligo scolastico (scuola), all’accelerazione dei processi di urbanizzazione, e soprattutto alle nuove esigenze di un’economia e di un’organizzazione produttiva sempre più complesse. Per far fronte alla crescente espansione del numero degli studenti, in molti paesi si è fatto ricorso a forme di regolamentazione degli accessi agli studi superiori. Per rispondere a una domanda sempre più diversificata, inoltre, si è generalizzato un modello binario di istruzione superiore, che accanto ai corsi tradizionali di tipo accademico prevede istituti di istruzione superiori non universitari. I corsi non accademici sono più brevi, hanno un più spiccato orientamento pratico-applicativo e i titoli di studio che rilasciano sono meglio correlati alle esigenze del mondo del lavoro. In questa direzione si è mossa in Italia la riforma del 1999, in base alla quale le università possono rilasciare i seguenti tipi di titoli di studio: la laurea di primo livello, dopo tre anni di studi; una laurea specialistica di secondo livello, che comporta altri due anni di studi; il diploma di specializzazione, di durata variabile, in genere uno o due anni; il dottorato di ricerca in genere non inferiore a tre anni.
In quella che è stata definita società della conoscenza l’istruzione superiore ha acquistato un rilievo crescente e ha conosciuto negli ultimi decenni un processo di ‘internazionalizzazione’ o di globalizzazione; in altre parole si assiste cioè a un progressivo aumento di attività e iniziative di interscambio scientifico, culturale e formativo che scavalca le frontiere tra gli Stati. Le conoscenze vengono trasferite da un sistema nazionale all’altro attraverso la mobilità di ricercatori, studiosi e studenti, e grazie al proliferare di programmi di ricerca internazionale e di accordi di formazione comune tra diversi atenei. Questi processi sono dovuti non solo alla necessità di impostare in termini comparativi l’approfondimento dei vari ambiti disciplinari nel campo scientifico, ma anche all’ampliamento dei mercati del lavoro e al continuo mescolamento di persone appartenenti a diverse culture. La mobilità dei ricercatori, e soprattutto degli studenti, è stata promossa dall’Unione europea con diversi programmi di scambio, come Erasmus e Socrates, che hanno inaugurato forme di istruzione transnazionali.