Università
(XXXIV, p. 722; App. IV, iii, p. 730; V, v, p. 654)
I sistemi di istruzione superiore hanno ulteriormente risentito, nel corso degli anni Novanta, dei processi di trasformazione verificatisi nel decennio precedente, confermando le linee di tendenza allora manifestatesi, ma evidenziando anche fenomeni nuovi che rendono ancora più complesso e aperto il quadro d'insieme dei problemi dell'istruzione di terzo livello, specie nelle aree socio-economiche più avanzate.
L'istruzione superiore nei paesi europei ed extraeuropei
Particolare attenzione va data ai problemi relativi alla trasformazione della domanda di istruzione superiore, ovvero alle novità concernenti la composizione della popolazione che intende usufruire di tale livello di studi. In passato, l'iscrizione ai corsi universitari riguardava quasi esclusivamente i giovani che avevano appena completato i corsi di scuola secondaria superiore. Tuttora, del resto, in alcuni paesi, circa l'80% di quanti si iscrivono per la prima volta all'u. ha meno di vent'anni di età. Negli ultimi anni, invece, si è verificata una maggiore differenziazione dell'età di accesso a tali studi.
Come documenta il rapporto dell'OECD (Organization for Economic Cooperation and Development) Education at a glance del 1997, in Danimarca, Norvegia e Svezia più della metà degli studenti che si iscrivono per la prima volta all'u. ha superato i ventidue anni; fra costoro, inoltre, più del 20% ha un'età superiore ai ventotto anni. Il fenomeno sembra dovuto, almeno in parte, al fatto che è stato in varia misura prolungato il passaggio da un livello all'altro di istruzione per l'inserimento di forme combinate di studio a tempo parziale con momenti o esperienze di lavoro. A ogni modo, l'iscrizione per la prima volta all'u. da parte di giovani più avanti negli anni è una realtà che comincia ad affacciarsi un po' dovunque, come del resto ha raggiunto una qualche consistenza il fenomeno di persone adulte le quali, pur avendo completato in precedenza studi di livello terziario, decidono di ritornare in seguito a frequentare corsi di istruzione superiore al fine di arricchire le loro competenze, ovvero di procurarsi una 'seconda opportunità'. In taluni casi, l'aumento della popolazione adulta che usufruisce dell'istruzione superiore è stato favorito da specifiche politiche. Così, il piano svedese adottato negli anni Ottanta ed espresso con la formula "25:4" riservava dei posti a chi aveva almeno 25 anni di età e 4 anni di esperienza lavorativa. Piani speciali di ammissione di studenti in età matura sono stati adottati anche in Australia e nel Regno Unito. In Giappone e Nuova Zelanda sono state previste altre forme di 'ammissione aperta' a favore di soggetti adulti.
Altro dato significativo riguarda l'incremento della partecipazione femminile alla formazione di livello superiore. Nella maggior parte dei paesi considerati dall'OECD, infatti, c'è una prevalenza femminile fra coloro che si iscrivono per la prima volta al livello di studi superiore. Questa crescita è in larga misura una conseguenza dei più alti tassi di completamento dell'istruzione secondaria superiore fatti registrare negli ultimi tempi dalle donne. Gli uomini, tuttavia, rappresentano ancora la maggioranza degli iscritti ai corsi universitari di più lunga durata e a quelli di livello avanzato.
Sono altresì in aumento gli studenti che decidono di frequentare istituti di istruzione superiore in paesi diversi da quelli di origine, fenomeno non nuovo e in continua espansione.
Nel 1995 la distribuzione degli studenti stranieri trovava al primo posto gli Stati Uniti (con il 34% del totale degli studenti stranieri nei paesi dell'OECD), seguiti dalla Francia (13%), dalla Germania e dal Regno Unito (12%), dall'Australia (7%), dal Canada e dal Giappone (4%). Risultano favoriti, ovviamente, i paesi con lingua comune (l'inglese). Le aree di maggiore provenienza di questi studenti sono l'Asia (46%) e l'Europa (30%). Grecia, Irlanda e Islanda presentano la maggior quota percentuale di studenti che studiano all'estero; Australia, Federazione Russa e Stati Uniti presentano la quota più bassa.
Una popolazione studentesca così composita pone ai sistemi di istruzione problemi organizzativi, didattici e di funzionamento in buona misura nuovi e comunque non risolvibili in base agli schemi tradizionali del mondo accademico. D'altra parte, una politica diretta a incrementare l'accesso agli studi superiori - politica da tutti i governi considerata necessaria per lo sviluppo economico e sociale - impone di tenere conto degli interessi o bisogni differenziati di un'utenza non più omogenea, e meno legata che in passato a un curriculum lineare di progressione negli studi. Di conseguenza il richiamo alla flessibilità costituisce la raccomandazione principale degli organismi internazionali, comunitari e nazionali che si interessano non solo di formazione, ma anche di lavoro e di occupazione. In effetti, le u. e le istituzioni equivalenti si trovano a dover far fronte, oltre al fenomeno dell'accresciuta dimensione della popolazione studentesca, anche ai mutamenti di natura qualitativa che sono intervenuti e continuano a verificarsi nella domanda di istruzione superiore. Fra l'altro, appare ormai del tutto evidente la necessità che, accanto o al di fuori dei piani di studio di alto profilo scientifico o professionale, rientranti nella tradizione accademica, si configurino percorsi di studio aperti a forme diverse di aggregazione dei saperi, a più funzionali correlazioni fra conoscenze teoriche e tecniche applicative, a tipi di professionalità più direttamente legati al mercato e alle sue trasformazioni.
L'ampliamento-diversificazione dell'offerta formativa è diventato pertanto una scelta obbligata delle istituzioni. Anzitutto si è venuta affermando, all'interno del tradizionale settore dell'istruzione universitaria, la distinzione fra corsi di diverso tipo o livello: corsi di primo grado o ciclo breve, di carattere prevalentemente professionale; corsi di secondo grado o ciclo lungo, di più organica preparazione scientifica; corsi avanzati, di dottorato o di specializzazione scientifica. In secondo luogo, si è diffuso e si va diffondendo un filone di corsi di istruzione terziaria (non universitaria), soprattutto nel campo della formazione superiore tecnico-professionale.
Si tratta per lo più di corsi della durata di tre-quattro anni, che curano un tipo di formazione commisurato alle prospettive locali del mondo del lavoro, prevedono curricula con momenti applicativi o stages aziendali, adottano anche forme di programmazione flessibile per corrispondere alla richiesta di nuovi profili professionali. Questo filone di istruzione terziaria, in taluni casi (come le Fachhochschulen tedesche e austriache o le Hogescholen olandesi), assume una configurazione del tutto autonoma e indipendente dalle u. ('sistema binario'); in altri casi, invece, trova il suo riferimento nelle u. stesse ('sistema integrato') in forma ora più organica (come nel caso delle Escuelas spagnole) ora con ampi margini di autonomia (come nel caso delle new universities inglesi o come l'Institut universitaire professionnalisé francese). Un terzo tipo di percorsi, anch'esso professionalizzante ma più settorializzato, si va profilando come prolungamento a livello terziario della scuola secondaria (corsi post-secondari). Finlandia, Italia, Austria, Repubblica Ceca e Messico hanno avviato riforme per istituire corsi di tale tipo, della durata di due, quattro o sei semestri, destinati al conseguimento di una qualifica di medio livello.
La flessibilità invocata dalle nuove politiche della formazione non si limita, peraltro, alla definizione delle strutture e degli ordinamenti. Il richiamo è rivolto anche alla ricerca di nuove modalità di organizzazione dell'insegnamento, al fine di corrispondere alle esigenze di studenti che hanno alle spalle studi ed esperienze eterogenei. Da tempo sono state sperimentate, specie con riferimento a soggetti occupati e che tuttavia aspirano a conseguire un diploma di studio superiore, forme d'insegnamento a distanza e in qualche misura personalizzate. Tali forme trovano oggi maggiori possibilità di sviluppo in conseguenza della più diffusa possibilità di utilizzare le tecnologie informatiche e multimediali offerte dal mercato.
Negli Stati Uniti sono numerosi i college che offrono corsi attraverso Internet o collegamenti in video: l'u. di Phoenix, per esempio, conterebbe già oltre 40.000 iscritti e alcune migliaia di laureati tramite corsi on-line. L'esempio si sta diffondendo in Europa, nel Sudafrica e altrove. In Italia, pioniere della teledidattica è il sistema RaiSat Nettuno, promosso nel 1993 dal Ministero dell'Università e della Ricerca scientifica e tecnologica, strutturato in una rete di corsi trasmessi via satellite e realizzati da una trentina di atenei con la collaborazione di RAI, Confindustria, IRI e Telecom. Tale tipo di iniziative comporta, ovviamente, una progettazione dell'attività didattica molto diversa da quella adottata per i corsi istituzionali. Comporta, in primo luogo, la definizione di pacchetti formativi variamente strutturati, di unità didattiche capitalizzabili, che possano cioè essere utilizzate in percorsi di studio assimilabili a quelli previsti dagli ordinamenti. Comporta, in secondo luogo, la necessità di individuare corrette procedure di verifica degli apprendimenti, di valutazione e di certificazione delle competenze acquisite, anche in vista del rilascio di titoli di studio riconosciuti.
Nel quadro complesso di diversificazione della domanda e di flessibilità nell'offerta di istruzione superiore si può facilmente osservare come stia ampliandosi lo spazio di autonomia dei soggetti che fruiscono di tale livello di studi. Lo stesso ventaglio dei percorsi formativi, la varietà delle forme organizzative e didattiche, soprattutto quelle messe in atto dai nuovi canali dell'insegnamento-apprendimento, finiscono per offrire ai soggetti interessati la possibilità di concorrere con le istituzioni, come mai per il passato, alla determinazione di tempi e modalità di istruzione in ragione dei bisogni o interessi specifici che si intendono soddisfare. Del resto, effetti del genere si verificano oggi, in una certa misura, anche all'interno dei più consolidati ordinamenti accademici. In ogni caso, la possibilità di organizzare itinerari 'spontanei', non predeterminati cioè dai responsabili delle politiche dell'istruzione, rappresenta uno dei più significativi aspetti della recente evoluzione della scolarizzazione di livello terziario, evoluzione del resto non ostacolata e talora anzi incoraggiata dai governi nazionali e dagli organi internazionali. Semmai si può rilevare che alla maggiore autonomia degli studenti sembra fare riscontro un aumento dell'impegno programmatorio e in parte anche burocratico delle istituzioni e degli stessi docenti. Tutto ciò potrà avere effetti positivi sul fronte della didattica, ma è possibile che finisca per indebolire ulteriormente l'antico legame dell'istruzione universitaria con la ricerca scientifica, la quale sembra ormai confinarsi in pochi centri accademici di eccellenza e per il resto rifluire fuori dell'ambito universitario.
Le politiche si rivelano invece ancora inadeguate relativamente ai fenomeni dell'insuccesso, dell'abbandono e del mancato compimento degli studi. Le dimensioni e la natura stessa del problema non appaiono chiaramente definite. Le informazioni sono scarse e i valori percentuali segnalati dai documenti internazionali risultano di difficile comparazione per la disomogeneità delle situazioni di fatto. In alcune realtà il fenomeno dell'abbandono appare contenuto in ragione della più ampia gamma di percorsi di studio offerti e della messa in atto di misure di sostegno. In tali casi diventa concreta la possibilità che gli studenti prescelgano tipi di corsi più aderenti alle loro reali possibilità, ovvero decidano in seguito di cambiare indirizzo e tipo di diploma piuttosto che abbandonare gli studi. Dove tali possibilità sono ancora limitate, la percentuale degli insuccessi risulta ovviamente più elevata. Altro fattore, di difficile valutazione, ma certamente incisivo, è quello connesso alla qualità dei corsi di istruzione secondaria precedentemente seguiti. Studi condotti negli Stati Uniti indicano tuttavia che quanti dispongono di una preparazione modesta di scuola secondaria hanno probabilità di abbandonare gli studi superiori cinque volte maggiore degli studenti più preparati che accedono all'università.
La produttività dei sistemi di istruzione superiore continua a essere misurata principalmente sulla base dei tassi di conseguimento dei diplomi. Secondo il rapporto dell'OECD in materia di istruzione Education at a glance. Indicators 1998, la percentuale dei diplomati dell'istruzione terziaria sulle classi di età corrispondenti ha fatto registrare nel 1996 i seguenti valori medi fra i paesi aderenti all'organizzazione: il 15% nel caso dei diplomi di livello terziario non universitario (in questo caso le percentuali maggiori sono state registrate in Canada e Norvegia, rispettivamente il 57% e il 50%); il 13% nel caso dei diplomi universitari di ciclo breve (a riguardo, le punte massime si sono avute in Australia, Stati Uniti, Regno Unito e Canada con oltre il 30%); il 9% per i diplomi universitari lunghi di primo grado, quali, per esempio, il diploma tedesco o la laurea italiana (in questo caso soltanto l'Ungheria e i Paesi Bassi superano il 20%, che però include il dato relativo ad altri percorsi di studio); il 4,4% per i diplomi universitari lunghi di secondo grado, come il master negli Stati Uniti (a riguardo Stati Uniti, Regno Unito, Australia e Nuova Zelanda fanno registrare valori superiori al 12%); infine, lo 0,9% per quanto riguarda il dottorato di ricerca o titolo equipollente. Naturalmente va tenuto conto del fatto che i tassi di conseguimento dei diversi tipi di diploma sono influenzati da circostanze non uniformi nei singoli paesi: va tenuto conto, anzitutto, della presenza o meno di tutte le tipologie elencate, e poi anche della diversa durata dei percorsi, della qualità dei requisiti richiesti, del numero di esami da superare, delle credenziali offerte dal sistema.
L'istruzione universitaria in Italia
I parametri quantitativi del sistema universitario italiano, nel periodo 1991-99, confermano la tendenza alla crescita moderata fatta registrare nel decennio precedente (v. tabella). Il numero degli studenti universitari iscritti, in corso e fuori corso, è aumentato progressivamente fino al 1995-96, quando gli iscritti sono stati 1.617.140; da quell'anno si è verificato un lieve calo, verosimilmente per effetto dell'onda lunga di diminuzione della scolarità che ha interessato in passato i precedenti gradi di istruzione, diminuzione a sua volta dovuta al decremento delle corrispondenti leve demografiche. Purtroppo non ha subito flessioni la massa degli studenti fuori corso, la cui percentuale sul totale degli iscritti è passata dal 30,8 del 1991-92 al 38,6 del 1998-99. Più positivi e rassicuranti sono gli altri dati relativi alla popolazione studentesca: il tasso di scolarità (studenti in corso per cento coetanei) è venuto crescendo in detto periodo (1991-99) dal 18,9 al 22,8; il tasso di immatricolazione (immatricolati ai corsi di laurea e di diploma ogni cento coetanei di 19 anni) è cresciuto dal 38,4 al 46,5; il numero dei laureati, dopo aver superato per la prima volta nel 1995-96 la soglia di centomila unità, ha raggiunto nel 1998 le 129.169 unità; in sensibile aumento anche i diplomati dei corsi brevi (di recente istituzione), che sono passati da 3457 nel 1991 a 10.959 nel 1998. In sostanza, si può dire che la produttività del sistema universitario italiano è alquanto migliorata, allontanandosi dalla stagnazione dei decenni precedenti.
A precisare le caratteristiche del sistema possono servire alcuni altri indicatori. Gli studenti stranieri che seguono i corsi universitari sono circa 14 ogni mille iscritti. In leggera flessione è il numero di studenti per docente (25,6 nel 1997-98); in lieve rialzo, invece, il numero di laureati e diplomati per docente (2,1 nello stesso anno). Le facoltà universitarie erano 347 nel 1991-92; negli anni successivi sono progressivamente aumentate fino a 478 nel 1998-99. Anche le sedi di istituzioni accademiche sono aumentate, mentre ha avuto concreto avvio da alcuni anni la politica di contenimento e riduzione del cosiddetto gigantismo di alcuni grandi centri accademici. Infatti, in attuazione di quanto previsto dall'art. 1, 90° co., l. 23 dic. 1996 nr. 662, il ministro dell'Università e della Ricerca scientifica e tecnologica, con decreto 30 marzo 1998, ha definito i criteri per gli interventi di graduale separazione organica dei seguenti atenei sovraffollati: Roma "La Sapienza", Bologna, Milano, Napoli "Federico ii", Bari e Torino.
Nel periodo 1993-99 vi sono stati interventi normativi di un certo rilievo per l'organizzazione, il funzionamento e l'ammodernamento delle istituzioni universitarie. In forza di quanto disposto dalla l. 24 dic. 1993 nr. 537 (art. 5), le u. esercitano ora le funzioni in precedenza esercitate dal Ministero in materia di stato giuridico ed economico dei professori e dei ricercatori; fissano le tasse di iscrizione degli studenti e stabiliscono i criteri per l'esonero parziale o totale da tasse e contributi; istituiscono nuclei di valutazione interna con il compito di verificare la corretta gestione delle risorse, la produttività della ricerca e della didattica, il buon andamento dell'azione amministrativa. L'art.17, 95° co. e segg., l. 15 maggio 1997 nr. 127, dando esplicazione al principio dell'autonomia previsto dalla l. 19 nov. 1990 nr. 341, ha attribuito agli atenei la disciplina degli ordinamenti didattici dei corsi di studio, la quale deve tener conto dei criteri generali definiti dal regolamento emanato dal ministro competente con decreto 3 nov. 1999 nr. 509. In base a tale regolamento, le u. rilasciano i seguenti titoli di studio: a) laurea (L), di primo livello, che lo studente consegue dopo avere acquisito 180 crediti (corrispondenti convenzionalmente a tre anni di corso); b) laurea specialistica (LS), di secondo livello, che lo studente può conseguire dopo avere acquisito altri 120 crediti (corrispondenti a due successivi anni di corso); c) diploma di specializzazione (DS), per chi è già in possesso almeno della laurea e abbia conseguito un numero di crediti complessivo compreso fra 300 e 360; d) dottorato di ricerca (DR), per chi è in possesso della laurea specialistica o di un titolo di studio conseguito all'estero e riconosciuto idoneo (fig. 2). Le u. possono anche attivare corsi di perfezionamento scientifico o di alta formazione permanente e ricorrente, al termine dei quali sono rilasciati i master di primo e di secondo livello; per conseguire il master lo studente deve avere acquisito almeno 60 crediti oltre a quelli acquisiti per il conseguimento della laurea o della laurea specialistica. La procedura per l'istituzione dei corsi di studio è disciplinata dal d.p.r. 27 genn. 1998 nr. 25.
Con la citata legge nr. 127 del 1997 (art. 17, 102° co. e segg.) è stato riordinato il Consiglio universitario nazionale (CUN) quale "organo elettivo di rappresentanza delle istituzioni autonome universitarie". Con d.p.r. 2 dic. 1997 nr. 491 è stato istituito il Consiglio nazionale degli studenti universitari (CNSU), previsto dall'art. 20, 8° co., lett. b, l. 15 marzo 1997 nr. 59. Si tratta di un nuovo organo consultivo di rappresentanza degli studenti iscritti ai diversi tipi di corsi, composto di 30 componenti eletti, che può formulare pareri e proposte al Ministero. Con il citato d.p.r. nr. 25 del 1998 è stato emanato il regolamento sullo sviluppo e la programmazione del sistema universitario, il quale prevede che siano fissati per ogni triennio gli obiettivi del sistema e la finalizzazione delle relative risorse finanziarie. Tali obiettivi, per il triennio 1998-2000, sono stati individuati nel decreto 6 marzo 1998 del ministro dell'Università e della Ricerca scientifica e tecnologica. Interventi finanziari per l'u. e la ricerca sono stati autorizzati dalla l. 3 ag. 1998 nr. 315. Con questi ultimi provvedimenti si è introdotto uno strumento apprezzabile di programmazione e di razionalizzazione delle misure a sostegno delle istituzioni universitarie. Tuttavia l'entità delle risorse finanziarie messe a disposizione sembra ancora inadeguata, soprattutto per quanto riguarda la necessità di recuperare il gap degli investimenti del nostro paese nel campo della ricerca scientifica e tecnologica.
La questione assai controversa e delicata della regolamentazione degli accessi all'u. è stata per la prima volta affrontata con d.m. 21 luglio 1997 nr. 245 (in applicazione dell'art. 9, 4° co., della l. 19 nov. 1990 nr. 341, come modificata dalla l. 15 maggio 1997 nr. 127). Il decreto ribadisce in via di principio che "l'accesso ai corsi è libero", ma nel quadro di una "programmazione dell'offerta formativa e delle attività di orientamento" svolte dalle università. Entro gennaio di ogni anno, l'Osservatorio per la valutazione del sistema universitario redige un rapporto sullo stato delle u. in relazione alle dotazioni di strutture, attrezzature, personale e servizi resi agli studenti. Allo scopo di programmare l'offerta delle u., gli iscritti all'ultimo anno delle scuole secondarie superiori presentano, entro il 30 novembre di ogni anno, domanda di preiscrizione all'università. Questa, prima dell'inizio dei corsi ufficiali, organizza attività di orientamento e insegnamenti propedeutici, che si concludono con una valutazione non condizionante l'iscrizione. Le u. possono determinare limitazioni degli accessi tenendo conto della disponibilità di strutture, attrezzature e docenti, dell'obbligo di tirocinio previsto da specifici ordinamenti, del carattere specialistico e professionalizzante di determinati corsi, dell'esigenza di avvio di nuovi corsi e della sperimentazione di corsi innovativi. Per l'ammissione ai corsi di diploma ad accesso limitato le u. organizzano apposite prove selettive.
La Corte costituzionale, nel novembre 1998, ha confermato la legittimità della introduzione del 'numero chiuso', ma nel contempo ha invitato il Parlamento a dare una sistemazione chiara alla materia onde evitare incertezze. Intanto, anche alla luce dei principi indicati dalla Corte costituzionale, con d.m. 8 giugno 1999 nr. 235 sono state apportate modifiche e integrazioni al regolamento del 21 luglio 1997 nr. 245. Infine, con l. 2 ag. 1999 nr. 264 sono state fissate nuove norme in materia di accessi ai corsi universitari.
Infine, è stata adottata una nuova disciplina delle modalità di reclutamento di professori e ricercatori universitari (l. 3 luglio 1998 nr. 210, e d.p.r. 19 ott. 1998 nr. 390). Anche tale disciplina va incontro alle esigenze di decentramento e di autonomia delle u., nella linea già avvalorata dai provvedimenti precedentemente elencati.
Secondo le nuove modalità, il reclutamento dei docenti avverrà attraverso concorsi banditi dai singoli atenei; le commissioni giudicatrici saranno composte da un docente della facoltà che ha emesso il bando e da docenti esterni eletti, appartenenti al raggruppamento disciplinare interessato; le commissioni concludono, nel caso dei ricercatori, con l'indicazione del vincitore; nel caso dei professori associati e degli ordinari, con la proposta di non più di due idonei, uno dei quali può essere nominato dall'u. che ha emesso il bando, mentre l'altro può essere nominato da altra u. entro tre anni. La legge prevede anche che le u. possano fare ricorso, con più libertà che in passato, alla figura di professori a contratto in base a valutazioni espresse dai Consigli di facoltà. Da segnalare pure che, con d.p.r. 3 ott. 1997 nr. 387, è stato emanato il regolamento che disciplina le procedure per il conseguimento del titolo di dottore di ricerca. Inoltre, il d.m. 6 ag. 1998 definisce l'attività istruttoria per i provvedimenti di equipollenza con il titolo di dottore di ricerca dei diplomi di perfezionamento scientifico rilasciati da scuole italiane di livello postuniversitario.
L'istruzione superiore non universitaria. Verso un sistema formativo integrato
Sebbene l'istruzione universitaria costituisca ormai anche in Italia una realtà articolata al suo interno, con distinti livelli formativi (corsi di diploma, di laurea, di dottorato, di specializzazione, di perfezionamento), la diversificazione degli studi superiori si sta ampliando anche al di fuori del canale accademico. Si tratta di differenti possibilità formative che corrispondono a obiettivi diversi e cercano di soddisfare esigenze legate a situazioni specifiche.
In questo quadro si può collocare la formazione professionale di secondo livello, di competenza regionale, che è venuta crescendo nell'ultimo decennio anche se con esiti alquanto differenziati. I corsi di questo tipo, rivolti per lo più a giovani diplomati, sono stati nel 1995-96 circa 4200 con oltre 72.000 allievi. La maggior parte delle iniziative ha riguardato il settore delle attività terziarie (70,7% del totale), seguito da quello dell'industria e dell'artigianato (23,7%). La durata dei corsi è correlata ai differenti obiettivi formativi e difatti varia da un minimo di 400 a un massimo di 1200 ore. Nella progettazione di tali attività si è cercato di tenere presenti quei contesti produttivi che richiedono tipi di professionalità aggiornate sotto il profilo delle innovazioni tecnologiche, tenuto conto anche delle caratteristiche di un mercato del lavoro molto competitivo e poco ricettivo.
Nello stesso quadro rientra l'esperienza dei corsi d'istruzione post-secondaria, realizzati dalle istituzioni scolastiche, grazie anche ad appositi finanziamenti del Fondo sociale europeo. Tale tipo di offerta, profilatosi nel corso degli anni Novanta, si è sviluppato secondo una linea progettuale che coinvolge un po' tutti gli indirizzi di scuola secondaria (tecnica, professionale, liceale) e diversi soggetti istituzionali (Ministero della Pubblica Istruzione, Ministero del Lavoro, organizzazioni di categoria, Regioni ed enti locali, istituti scolastici, singoli atenei). Nel triennio 1994-97 sono stati realizzati numerosi corsi, per lo più di durata compresa fra 600 e 1200 ore. Fra i settori maggiormente impegnati figurano l'istruzione tecnica, con circa 700 corsi, relativi a diverse aree (edilizia, imprenditoria-gestione imprese, agricoltura-ambiente, commercio-marketing ecc.), e l'istruzione professionale, con 290 corsi (fra i più seguiti: gestione, meccanica-metallurgia, credito-assicurazioni, industria alimentare, servizi socio-sanitari). Più limitato contributo è stato dato dall'istruzione liceale e magistrale, con 24 corsi in tre aree di interesse: valorizzazione del patrimonio storico, servizi alla persona, servizi amministrativi e della comunicazione. Le iniziative promosse tengono conto di quei profili professionali che richiedono competenze duttili e buona adattabilità ai mutamenti del mondo del lavoro. Il processo di autonomia che interessa oggi le scuole torna a vantaggio anche di tali iniziative, attraverso le quali si viene definendo un nuovo collegamento tra la formazione generale fornita dalla scuola secondaria e il 'saper fare' o l'abilità operativa indispensabili alle competenze professionali caratterizzate da spiccata flessibilità. I riflessi di questa impostazione si colgono anche sul terreno metodologico e della strumentazione didattica, soprattutto con riguardo alle prospettive aperte dall'organizzazione modulare dei contenuti dell'insegnamento e dalla definizione di crediti formativi utilizzabili o spendibili in differenti contesti. Ma l'indicazione più rilevante concerne la finalizzazione delle iniziative formative alle possibilità di inserimento nel mercato locale del lavoro e alle esigenze di autoimprenditorialità dei giovani. Non a caso, in questo campo, assumono particolare rilievo il preventivo monitoraggio dei bisogni e delle prospettive occupazionali e l'opera di concertazione tra i vari enti e organismi interessati alla politica del lavoro e della formazione.
Persino nel settore dei diplomi universitari si sta tentando di stabilire un più stretto collegamento tra formazione e mondo delle imprese e del lavoro. È da registrare a riguardo l'iniziativa del progetto CAMPUS (Corsi Avanzati Mirati alla Preparazione Universitaria per Sbocchi Professionali), promosso dalla Conferenza dei rettori insieme ad altri organismi (Confindustria, Unioncamere, ENEA, Coordinamento delle Regioni) e già realizzato negli anni accademici 1995-96 e 1996-97. Il progetto prende in considerazione i corsi di diploma universitario nei settori dell'ingegneria, delle scienze tecnologiche e del terziario avanzato; mira a incentivare una formazione che risponda alle necessità del mondo economico e che assicuri ai diplomati buone probabilità di occupazione; prevede stages in azienda obbligatori, almeno 400 ore di laboratorio e il 20% di docenza extra-accademica; promuove procedure di autovalutazione e di valutazione esterna, che rappresentano una novità per le u. italiane.
I tre canali formativi sopra richiamati, pur avendo in comune l'obiettivo di promuovere competenze professionali flessibili in relazione alle concrete esigenze del mercato del lavoro, restano tuttavia percorsi isolati, rispondenti a logiche organizzative disomogenee, con esiti tra loro non raccordabili. Tale situazione ha fatto maturare la convinzione della necessità di definire un sistema integrato di formazione tecnico-professionale superiore, tale da introdurre sinergie fra i differenti percorsi, soprattutto in vista della utilizzabilità o trasferibilità dei crediti acquisiti nelle diverse esperienze di studio e di lavoro.
Alcuni interventi normativi e finanziari degli ultimi anni, a partire dall'accordo sul lavoro fra governo e parti sociali del 24 settembre 1996, si muovono in quella direzione: la l. 15 marzo 1997 nr. 59, all'art. 21, finalizza l'autonomia accordata alle scuole anche "all'ampliamento dell'offerta formativa"; la l. 24 giugno 1997 nr. 196 detta disposizioni in materia di promozione dell'occupazione; la l. 18 dic. 1997 nr. 440 istituisce il "Fondo per l'arricchimento e l'ampliamento dell'offerta formativa e per gli interventi perequativi"; la l. 27 dic. 1997 nr. 449 dice espressamente che lo Stato e le Regioni, "nel quadro del sistema formativo integrato", concordano intese per la realizzazione di "corsi di formazione superiore non universitaria". Lo stesso Documento di programmazione economico-finanziaria per il periodo 1999-2001 individua fra le priorità la "estensione e sviluppo della formazione superiore universitaria e della formazione tecnica superiore", nonché "l'integrazione fra sistema di istruzione e sistema della formazione professionale". Le linee generali del progetto sono contenute nel documento di sintesi La formazione tecnico-professionale superiore integrata (Ministero della Pubblica Istruzione, 9 luglio 1998). Esso si ispira al criterio che le iniziative di formazione superiore devono rinunciare a un assetto istituzionale rigido onde favorire la massima flessibilità, sia nel collegamento con le dinamiche occupazionali e le problematiche aziendali, sia nel coinvolgimento dei soggetti della produzione, delle professioni e della ricerca, sia ancora nella scelta delle didattiche più adeguate. Del sistema di formazione superiore tecnico-professionale dovrebbero far parte non solo i percorsi formativi già operanti (corsi di diploma universitario, di istruzione post-secondaria, di formazione professionale regionale di secondo livello), ma anche un nuovo canale formativo, non in continuità con la scuola secondaria superiore, denominato Istruzione e formazione tecnica superiore (IFTS), da realizzare attraverso varie collaborazioni istituzionali, in primo luogo con le Regioni. Il nuovo canale attiverà corsi della durata da due a quattro semestri, che prevedono forme di alternanza fra studio ed esperienze pratiche. A conclusione dei corsi IFTS saranno rilasciati attestati validi per il sistema di istruzione e accreditabili in sede internazionale, ovvero qualifiche professionali di secondo livello riconosciute dalle Regioni. Un piano di sperimentazione di progetti pilota IFTS è stato avviato dal 1999.
Al di fuori del quadro ora delineato si pone, in Italia come all'estero, quel particolare tipo di offerta formativa, di iniziativa prevalentemente privata, che va sotto il nome di master ed è diretto alla formazione manageriale. Il fenomeno è difficile da inquadrare, anche per l'assenza di riferimenti giuridico-istituzionali in materia. Alla fine degli anni Ottanta i master attivati erano soltanto alcune decine, per lo più riferite all'area della gestione aziendale. In seguito si è avuta una proliferazione di tali iniziative nei campi più disparati e con risultati molto differenziati. Si è anche parlato di un abbassamento generale del loro livello e della necessità di ripensare il modello del master specialistico. Tuttavia è indubbio che i master siano risultati in molti casi efficaci. Secondo un'indagine recente, condotta sui master accreditati dall'ASFOR (Associazione per la Formazione Aziendale), il 40% dei diplomati riesce a trovare una collocazione subito dopo la fine del corso, e comunque nell'insieme il 90% entro l'anno. Ciò si spiega, fra l'altro, con la maggiore conoscenza delle aziende e con i contatti ravvicinati attraverso la pratica degli stages. Gli orientamenti didattici più aggiornati insistono non già nella trasmissione di saperi codificati, propria della tradizione accademica, quanto piuttosto nel promuovere un orientamento autonomo alla soluzione di problemi, alla formazione di una mentalità progettuale e allo sviluppo di capacità relazionali, di comunicazione, di negoziazione.
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