universitas
Il termine occorre in D. nelle sole opere latine a designare la " totalità del genere umano ". Esso è di uso classico e appare per la prima volta nelle opere di Cicerone: nella sua versione del Timeo (II 6, XII 42, XIV 52) come traduzione del greco τὸ πᾶν, nel senso di " universo " (v.), nel De Natura deorum, ov'è accompagnato da un genitivo, che ha il compito d'indicare di quali esseri è formata la totalità presa in esame: infatti in I XV 39, u. designa l'insieme di tutte le cose che compongono la natura, " solem, lunam, sidera universitatemque rerum qua omnia continerentur "; in II LXV 164, indica invece la totalità del genere umano, opposta agl'individui singoli: " licet enim contrahere universitatem generis humani eamque... postremo deducere ad singulos ". È principalmente attraverso questi due sensi - " universo " e " genere umano " - che si evolve nell'antichità e nel Medioevo il significato del termine.
La prima accezione di u. come " universo " risulta preponderante presso i primi autori cristiani, in particolare Ireneo, Tertulliano, Minucio Felice. Degna di nota è l'utilizzazione agostiniana, che accentua l'aspetto dell'ordine che Dio in esso fa regnare, come legge imposta a ciascuno degli elementi.
L'u. è mantenuta in essere e retta dalla giustizia divina (" tanta est tamen anima ut etiam hoc possit adiuvante sane iustitia summi et veri Dei, quae haec universitas sustentatur et regitur ", Quant. an. XXXIII 73); la presenza in essa di gradi diversi ha come scopo quello di realizzare compiutamente tale giustizia e di concorrere, con ciò, all'attuazione della bellezza del tutto; per questa via il creatore tesse insieme il simile e il dissimile in funzione dell'idea di bellezza che conosce e vede in sé (" Deus enim creator est omnium, qui ubi et quando creari qui oporteat vel oportuerit, ipse novit, sciens universitatis pulchritudinem quarum partium vel similitudine vel diversitate contexat ", Civ. XVI 8). E come nel mondo fisico la luce più o meno brillante degli astri, proprio per la sua diversità, è necessaria alla perfezione dell'universo, così nel mondo morale è necessaria sia la beatitudine dei giusti, sia la miseria dei peccatori (Lib. arb. III 89 ss.). Calcidio (che, come Cicerone, traduce τὸ πᾶν con u.) nel suo commentario al Timeo parla di un'u. mundi e di un'u. rerum, designando con queste due espressioni la realtà (Tim. 27, ediz. Waszink, p. 20; 28, p. 21; 48, p. 45; Comm. CCLXVIII, p. 273). Anche Boezio, in Cons. phil. III XII 34, assume la parola nella stessa accezione: " Deum quoque bonitatis gubernaculis universitatem regere disputabas volentiaque cuncta parere nec ullam malique naturam ".
L'altro senso - u. come " insieme del genere umano " - è di uso più tardo: lo si trova ad esempio in Ilario di Poitiers, che parla di un'u. hominum (Tractatus mysteriorum I XII, ediz. A. Feder, Vienna-Lipsia 1916, p. 13; I XV, p. 15), in Macrobio (Saturnalia V XVII 5, ediz. Willis, p. 315) e in Cassiodoro, il quale utilizza il sostantivo sia per indicare semplicemente il genere umano, sia, più frequentemente, l'insieme di una comunità politica (Variae, in Mon. Ger. Hist. Auct. antiquiss. XI II, p. 332).
Nel secolo XII u. è usato prevalentemente per indicare il cosmo, il mondo intero nel quale regna l'ordine e lo splendore realizzati da Dio. Onorio d'Autun, rappresentante tipico di questa tendenza a considerare l'u. nella sua più profonda significazione cosmico-unitaria, paragona l'u. a un'immensa cetra, le cui corde danno origine alla varietà e all'armonia dei suoni: " Summus namque opifex universitatem quasi magnam citharam condidit, in qua veluti chordas ad multiplices sonos reddendos posuit, dum universum suum opus in duo vel duo sibi contraria distinxit. Spiritus enim et corpus quasi virilis et puerilis chorus gravem et acutum sonum reddunt, dum in natura dissentiunt, in essentia boni conveniant... Similiter corporalia vocum discrimina imitantur, dum in varia genera, in varias species, in individua, in formas, in numeros separantur; quae omnia concorditer consonant, dum legem sibi insitam quasi tinnulos modulis servant. Reciprocum sonum reddunt spiritus et corpus, angelus et diabolus, caelum et infernus, ignis et aqua, aer et terra, dulce et amarum, molle et durum, et sic cetera in hunc mundum " (Liber XII quaestionum, II, Patrol. Lat. CLXXII 1179 B). In proposito non va sottaciuta l'influenza delle opere dell'Eriugena, e la conseguente adozione del termine usato assolutamente (universitas e non universitas rerum), secondo un uso a lui caratteristico (Div. nat. II 1, Patrol. Lat. CXXII 524; cfr. Chenu, p. 22).
Il termine in generale ha larga fortuna e trova la massima utilizzazione nella scuola di Chartres, i cui interessi e temi, com'è noto, riguardano appunto l'origine, la concezione e la struttura dell'universo.
Per quanto concerne la seconda accezione, di " insieme ", il termine, accompagnato per lo più da un genitivo, mantiene il senso di totalità di un gruppo. Così Giovanni di Salisbury parla dell'u. del genere umano: " ne a natalis soli dulcedine, qua totius humani generis universitas capitur, perpetuo exularem " (Ep. XXXIII, ediz. Millor-Butler, I, p. 55). In altri contesti, il genitivo che accompagna il sostantivo designa un insieme di uomini meglio definito, formante già una sorta di collettività. S. Bernardo, ad esempio, ricorda l'u. non solo dell'ordine cisterciense, ma di tutti i monasteri (Ep. 7, Patrol. Lat. CLXXXII 98 B) e ancora Giovanni di Salisbury nel suo Polycraticus (VI XXII, ediz. Webb, II, Oxford 1909, p. 63) rappresenta l'u. come l'insieme della nazione: " Verumtamen nullius rei politicae est diuturna felicitas, nisi universitati prospiciat caput incolume ".
Accanto ai due sensi sopra citati, particolare rilevanza assume l'accezione giuridica del termine: se infatti talvolta esso designa, in senso astratto, il tutto opposto alle parti (come nel caso della totalità di una somma sulla quale è già stato effettuato un versamento parziale, o di un terreno diviso fra più eredi), più spesso il sostantivo, applicato a certi insiemi di beni materiali soggetti a disposizioni giuridiche particolari, presenta un valore proprio, cioè di essere un'u. retta da regole diverse da quelle delle parti di cui è composta. Così ad esempio un edificio ha giuridicamente un'esistenza propria diversa da quella dei materiali di cui è costituito (Dig. XLI III 23 § 1). U. può indicare sia tutti i beni posseduti da qualcuno, sia un insieme di persone, cioè una collettività avente una personalità propria distinta da quella dei suoi individui. In questo senso u. può essere la città e la sua municipalità, ogni associazione cui è stato esplicitamente concesso il diritto di riunirsi, di possedere dei beni comuni, di agire attraverso l'intermediario di un rappresentante ufficialmente designato ad instar rei publicae. Il termine assume poi un'importanza capitale nelle formulazioni dei glossatori della fine del sec. XII (cfr. P. Michaud-Quantin, pp. 27 ss.).
Il sec. XIII non apporta in generale arricchimenti e precisazioni notevoli al termine. Soltanto Guglielmo di Alvernia, nel suo De Universo, gli accorda un'importanza particolare: " Universitas sicut apparet etiam ex ipsa nominatione, non est nisi in unum versa multitudo, versa autem non intelligitur nisi collectione, vel adunatione in aliquod, vel sub aliquo, quod tota illa multitudo communicat... quidquid autem est universitas est ex necessitate et universum et totum et omne " (I I, 11, Parigi 1674, I. p. 605 C). Egli utilizza il termine in senso lato, applicandolo anche alla nozione temporale: " necesse igitur est regnum eius totum, quod est universitas, hoc est universa series saeculorum sic se habere, videlicet ut sit in ultimitate pulchritudinis secundum omnes partes suas " (De Un. II I, 21, pp. 723 D-724). Inoltre, parlando dei rapporti di Dio padre con il mondo, egli curiosamente paragona la significazione cosmologica dell'universo a quella giuridica: " Quod si dixerit patrem illa principaliter referri ad universalitatem omnium, non autem ad singula universitatis, quemadmodum et alibi contingit, quod servus aliquis est universitatis, vel collegii alicuius, nullius tamen de universalitate servus est, ad totum enim pars dicitur, non autem ad partium aliquam, et pars universalitatis ad universalitatem dicitur, non autem ad partem " (De Triti. XLI, ediz. cit., t. II, p. 53). Dio, cioè, è in relazione con l'universalità degli esseri, ma non con gli elementi individuali di questa u., come in un altro campo (alibi) capita che uno schiavo appartenga a un'u. o a un altro collegio, senza essere tuttavia schiavo di alcun membro di essa. Infatti, come la parte si definisce in rapporto al tutto, ma non in rapporto a un'altra parte, così la parte di u. si definisce in rapporto all'u., ma non in rapporto a un'altra parte. Sebbene non sia molto chiaro il valore esatto del passo su citato, esso è significativo per quanto concerne l'affermazione della specificità del tutto in rapporto alle sue parti.
Data la scarsa influenza esercitata dall'opera di Guglielmo di Alvernia, la presenza del termine in autori del sec. XIII tendenti soprattutto a sottolineare il carattere di unità dell'universo, è probabilmente espressione della convergenza tra la tradizionale teoria di origine agostiniana (su cui s'inserisce l'influenza dionisiana), affermante l'ordine e l'armonia tramite le quali si unifica il mondo, e la ‛ nuova ' speculazione sull'unità del tutto introdotta dalla metafisica aristotelica (cfr. Arist. Metaph. V 25-26). Così nella Summa Halensis (Pars I, tract. III I 3 resp., ediz. Quaracchi, I, p. 119): " Aut ergo consideratur unitas in creatura secundum unitatem causae et secundum hoc creaturae quae habent diversos progressus essendi dicuntur unum principio, et ab hac unitate dicitur universitas una ". E Roberto Grossatesta: " unius enim universitatis quaevis multitudo unica videtur necessario reducenda ad unum radicale principium " (De Operationibus solis, in Medievalia et humanistica XI [1957] 39).
Tra i vari sensi del termine su menzionati interessano, ai fini del discorso dantesco, quello di u. come insieme del genere umano, considerato nella sua totalità, e quello giuridico. Quest'ultimo è evidente nel titolo di Ep I: Consilium et Universitas partis Alborum de Florentia. La formula adottata da D. è corrente nel linguaggio notarile e cancelleresco dei secoli XIII e XIV: u. vale qui " gruppo ", " associazione ", e traduce l'esistenza di una vita collettiva, quale risultato della coscienza - acquisita da coloro che ne partecipano - di formare un'unità. In Mn I III 4 Est ergo aliqua propria operatio humanae universitatis, ad quam ipsa universitas hominum in tanta multitudine ordinatur, il termine designa nel primo caso il genere umano considerato come entità generale, nel secondo l'insieme concreto di tutti gli uomini, insieme strutturato in modo tale da attuare, nella totalità dei suoi membri (regni particolari, popoli, ecc.), la potenza totale dell'intelletto possibile. Il passo in questione s'inserisce nel più vasto discorso riguardante il fine dell'humana civilitas: fine naturale dell'uomo è la beatitudine di questa vita quae in operatione propriae virtutis consistit (Mn III XV 7), cioè consiste nella piena attuazione dell'intelletto. Poiché l'uomo singolo non può giungere da solo alla totale attuazione di esso, vi giunge tramite la comunione con gli altri uomini. Il singolo è naturalmente parte di un tutto da cui non può essere avulso, l'humana civilitas, che è di per sé stessa un'unità naturale, inscindibile, determinata dall'unico fine di tutti gli uomini, e superiore a tutte le unità minori, quali la famiglia, il villaggio, la città, il regno che la compongono. Fine proprio dell'humana civilitas è quello di attuare tutta e sempre la potenza dell'intelletto possibile, considerato nella sua natura specifica e non in quanto individuato nei singoli. In questo contesto appunto si chiarisce maggiormente il senso di universitas hominum in tanta multitudine: essa infatti, come insieme concreto di tutti gli uomini, s'identifica con l'human civilitas. In Mn I VII 1, viene esplicitato il carattere proprio dell'humana u.: essa è un tutto costituito di parti e insieme una parte rispetto a un tutto, cioè è un tutto rispetto ai regni particolari e ai popoli e una parte rispetto a tutto l'universo (v.): Amplius, humana universitas est quoddam totum ad quasdam partes, et est quaedam pars ad quoddam totum. Est enim quoddam totum ad regna particularia et ad gentes... et est quaedam pars ad totum universum.
Com'è già stato rilevato, questo aspetto della totalità, riferito però all'u.-universo, è posto in evidenza soprattutto da alcuni autori del sec. XIII. In D. esso è inserito in un discorso politico e civile, riferito oltre che all'universo, anche al genere umano in quanto humana civilitas. Il fine cui tendono il singolo, i regni particolari, i popoli, ecc. e l'umanità (humana u.) è per tutti il medesimo, ed è l'attuazione, come si è visto, dell'intelletto possibile tramite la scienza; ma mentre l'humana u. lo attua totalmente, il singolo e le ‛ parti ' lo attuano nella misura della loro capacità. Inoltre il rapporto tutto-parti non ha un significato meramente aritmetico, poiché il tutto non è la sommatoria delle parti, bensì anche il principio organizzatore e unificatore delle parti stesse: Sicut ergo inferiora humanae universitatis, bene respondent ad ipsam, sic ipsa ‛ bene ' dicitur respondere ad suum totum; partes enim bene respondent ad ipsam per unum principium tantum (Mn I VII 2). I regni particolari, i popoli ecc. sono detti inferiora rispetto alla totalità del genere umano, poiché esso, considerato teleologicamente, è il fine, l'ottimo: infatti, sicut se habet pars ad totum, sic ordo partialis ad totalem. Pars ad totum se habet sicut ad finem et optimum. Ex quo habetur quod bonitas ordinis partialis non excedit bonitatem totalis ordinis, sed magis e converso (VI 1).
Bibl. - É. Gilson, La philosophie dans la " Monarchie ", in D. et la philosophie, Parigi 1953, 163-224; T. Gregory, Anima mundi, Firenze 1955; ID., Platonismo medievale, Roma 1958; ID., L'idea di natura nella filosofia medievale prima dell'ingresso della fisica di Aristotele. Il secolo XII, in AA.VV., La filosofia della natura nel Medioevo, Milano 1966, 27-65; E. Garin, Platonismo medievale, Firenze 1958; M.D. Chenu, La théologie au XIIe siècle, Parigi 1966; B. Nardi, Il concetto dell'Impero nello svolgimento del pensiero dantesco, in Saggi di filosofia dantesca, Firenze 1967², 215-276; P. Michaud Quantin, U., expressions du mouvement communautaire dans le Moyen-Age latin, Parigi 1970.