UNIVERSO ESTREMO.
– Accelerazione di particelle nel Cosmo. Sorgenti di radiazione di alta energia. Nuclei galattici attivi. Ammassi di galassie. Lampi gamma. Supernovae e venti di pulsar. Raggi cosmici. Bibliografia
L’atmosfera terrestre funge da schermo per molta radiazione energetica che proviene dallo spazio, dandoci così l’impressione di vivere in un Universo quieto. In realtà, basta uscire dall’atmosfera del nostro pianeta per accorgersi che una moltitudine di fenomeni fisici violenti ha luogo continuamente, a cominciare dalle regioni intorno alla nostra stella, il Sole, per finire alle regioni più remote dell’Universo, dove giganteschi buchi neri con massa miliardi di volte quella del Sole producono particelle elementari di energia estrema, difficili, se non impossibili, da produrre sulla Terra. Quando l’energia media delle particelle in un gas diviene più alta di circa 10 elettronvolt (eV; 1 eV è l’energia che un elettrone acquisisce quando viene accelerato da una differenza di potenziale di 1 volt), gli elettroni degli atomi più abbondanti in natura, quelli dell’idrogeno, non riescono a rimanere confinati attorno al nucleo atomico, sicché gli atomi vengono ionizzati, ovvero gli elettroni e i protoni si muovono in modo indipendente, anche se sotto l’azione dei campi elettromagnetici prodotti da entrambi o presenti nell’ambiente. Questa transizione avviene quando un gas viene riscaldato a una temperatura superiore a circa 10.000 gradi, una condizione tutt’altro che inusuale nell’Universo. Così come l’acqua esiste allo stato liquido a temperatura ambiente e diviene solida (ghiaccio) quando la si raffredda, o un gas (vapore) quando la si riscalda, procedendo con il riscaldamento del vapore si arriva prima alla scissione delle molecole di acqua in atomi di idrogeno e ossigeno, e infine, quando la temperatura diviene confrontabile con quella degli elettroni attorno agli atomi, si ha una transizione a un quarto stato della materia, quello di plasma. La maggior parte del volume dell’Universo è riempita di plasma, con una temperatura che varia fra 10.000 gradi nel mezzo interposto fra le stelle nella nostra galassia, la Via Lattea, a centinaia di milioni di gradi negli ammassi di galassie e intorno a buchi neri molto massicci o attorno a stelle di neutroni o nelle esplosioni di supernovae. È ormai chiaro che laddove si trovino dei plasmi, una piccola frazione delle particelle può acquisire un’enorme quantità di energia, ben superiore a quella corrispondente alla temperatura del plasma (ovvero all’energia media delle particelle nel plasma). Queste particelle sono dette non termiche, e la loro esistenza dimostra che i violenti campi elettrici e magnetici che si possono sviluppare in un plasma possono accelerare queste particelle sino a energie molto elevate. Tali processi di accelerazione sono alla base della maggior parte dei fenomeni violenti che osserviamo nell’Universo e il loro studio rappresenta pertanto uno degli argomenti di ricerca più attivi nell’astrofisica moderna. Le particelle soggette a questi processi di accelerazione perdono parte della loro energia sotto forma di produzione di luce (fotoni) di alta energia (e talvolta di neutrini), che possiamo osservare da Terra (o tramite strumenti montati su satelliti rotanti attorno alla Terra). Inoltre, alcune delle particelle elettricamente cariche accelerate in questi plasmi, sia nella nostra galassia sia al di fuori di essa, riescono a raggiungere il nostro pianeta sotto forma di quelli che chiamiamo raggi cosmici, di cui parleremo successivamente. I raggi cosmici rappresentano uno dei fenomeni più misteriosi dell’U. e., con flussi di particelle osservate a Terra che variano a seconda dell’energia delle particelle, che va da qualche milione di eV a circa 1020 eV, dieci milioni di volte superiore rispetto all’energia delle particelle accelerate al CERN nel Large hadron collider (LHC).
Le onde radio, la radiazione X e gamma e i neutrini rivelati a Terra ci consentono di comprendere la dinamica di esplosioni cosmiche, di collisioni fra galassie o ammassi di galassie, e del collasso gravitazionale di stelle supermassicce. Alcuni di questi eventi comportano una sostanziale modifica della struttura dello spazio-tempo nelle vicinanze, il che può portare all’emissione di onde gravitazionali, la cui rivelazione rappresenta uno degli obiettivi più ambiti della ricerca astrofisica, che si prevede avvenga entro qualche anno, grazie all’uso di rivelatori di onde gravitazionali come Virgo e LIGO (Laser Interferometer Gravitational-Wave Observatory). Tale scoperta rappresenterebbe la conferma della teoria generale della relatività di Albert Einstein in regime di gravità forte.
Accelerazione di particelle nel Cosmo. – Una particella carica elettricamente può guadagnare energia solo in presenza di un campo elettrico, mentre i campi magnetici possono solo curvarne la traiettoria. D’altro canto, le proprietà dei plasmi non consentono a campi elettrici di sussistere su grandi scale spaziali, poiché le correnti nel plasma cortocircuitano il campo elettrico. I campi magnetici sono invece trasportati dai plasmi senza alcun problema. Questo solleva il problema di come possa una frazione delle particelle in un plasma acquisire un’energia molto al di sopra di quella media, divenendo così particelle non termiche e producendo la radiazione che osserviamo da Terra. La soluzione del dilemma viene dalla relatività ristretta di Einstein, che ci insegna che i campi elettrici e magnetici dipendono dallo stato di moto relativo, sicché un plasma che possiede solo un campo magnetico, ma che è in moto rispetto a un sistema di riferimento, possiede anche, rispetto a tale sistema di riferimento, un campo elettrico indotto. È il moto di un plasma rispetto a un altro, o il moto relativo di diverse parti di un plasma, che rende possibile l’accelerazione di particelle cariche nel Cosmo, grazie ai campi elettrici indotti dai campi magnetici in movimento. Un esempio particolarmente evidente di questo fenomeno si presenta quando una stella termina la propria esistenza dando luogo a un’esplosione di supernova. Il gas espulso nell’esplosione si muove a velocità centinaia o migliaia di volte superiore a quella del suono, il che fa sì che l’esplosione dia luogo alla formazione di un’onda d’urto. Il moto di una particella carica nel campo magnetico locale è tale che essa può percorrere una traiettoria complessa, di tipo browniano, che la porta ad attraversare l’onda d’urto molte volte. Questo moto aumenta costantemente l’energia della particella, secondo un processo che va sotto il nome di accelerazione diffusiva a onde d’urto, o processo di Fermi al primo ordine (Blandford, Eichler 1987). Si pensa che questo meccanismo sia responsabile della produzione della maggior parte delle particelle di alta energia che si osservano nel Cosmo. Ci sono però alcune eccezioni a questa conclusione, che discuteremo più avanti a proposito dei venti di pulsar.
Sorgenti di radiazione di alta energia. – Nuclei galattici attivi. – Alcune galassie mostrano evidenza di attività molto elevata associata alla zona centrale, che ospita un buco nero supermassivo, di massa compresa fra cento milioni (108) di volte e dieci miliardi (1010) di volte la massa del Sole (Beckmann, Shrader 2012). La luminosità osservata in queste galassie è associata all’attrazione gravitazionale del gas e delle stelle che vengono attratte dall’intenso campo gravitazionale del buco nero. Sino a circa il 10% dell’energia cinetica disponibile nel plasma che viene attratto nel buco nero può essere convertito in energia della radiazione emessa. Si pensa che a causa di un’instabilità, nota come instabilità magneto-rotazionale, una parte del gas nel disco di accrescimento venga espulsa dalla zona esterna all’orizzonte degli eventi del buco nero, sotto forma di getti di plasma che si muovono in direzioni opposte a velocità prossime a quella della luce (moto relativistico). Questi getti sono osservati direttamente tramite la radiazione che essi producono, che si estende dalle onde radio sino ai raggi gamma (la fig. 1 mostra un’immagine della galassia attiva Hercules A con i suoi getti). Il moto relativistico del plasma in questi getti produce una serie di fenomeni che trovano una corretta interpretazione nel contesto della teoria della relatività ristretta. L’emissione di fotoni dai nuclei galattici attivi (AGN, Active Galactic Nuclei) si estende dalle onde radio (circa un milionesimo di eV o, equivalentemente, frequenza di un decimo di GHz) sino a raggi gamma di energia intorno al TeV (mille miliardi di eV). L’emissione dal radio sino alla banda X si spiega come risultato dell’accelerazione di elettroni nel getto.
La maggior parte di questi AGN è a distanze cosmologiche da noi, quindi la radiazione emessa dalla sorgente, soprattutto a energie attorno al TeV, è parzialmente assorbita durante la propagazione sino alla Terra, un effetto che è di enorme interesse per vari motivi, che è opportuno qui discutere. L’Universo è permeato da fotoni di diversa natura: ogni cm3 dell’Universo contiene circa 400 fotoni di energia di un millesimo di eV (fondo a microonde) – che sono quel che rimane del Big Bang caldo da cui l’Universo si è originato –, circa 0,2 fotoni di energia di un centesimo di eV (fotoni infrarossi) e circa 0,002 fotoni di energia di 1 eV (fotoni ottici), queste ultime due radiazioni essendo prodotte dalle stelle e riprocessate dai grani di polvere cosmica. Quando un fotone di un TeV da una galassia attiva si propaga verso di noi deve attraversare questo mare di fotoni di bassa energia, e può essere assorbito tramite un processo che porta alla produzione di un elettrone e di un positrone. Questo processo di assorbimento è osservato in molti AGN, i cui spettri nella banda gamma risentono di tale assorbimento. Osservando il processo qui descritto in un gran numero di AGN si può misurare indirettamente il fondo cosmico nella banda ottica/infrarossa. In alcune galassie attive particolarmente lontane, ci sono dubbi sulla quantità di assorbimento osservato, che appare essere inferiore alle attese teoriche. Queste evidenze sono tuttora poco solide, ma hanno suscitato molto interesse perché potrebbero suggerire la violazione dell’invarianza di Lorentz, uno dei pilastri della fisica moderna.
Ammassi di galassie. – La collisione fra galassie può formare agglomerati, che vengono chiamati ammassi di galassie e possono contenere decine o centinaia di galassie, nonché un plasma caldo con temperatura di centinaia di milioni di gradi e una massa di materia oscura (v. universo oscuro) circa dieci volte maggiore della massa del plasma caldo. In tale plasma tutti gli atomi sono ionizzati ed emettono raggi X a causa di un processo noto come bremsstrah lung termica. Questa radiazione viene osservata da satelliti orbitanti attorno alla Terra, come XMM (X-ray Multi-Mirror Mission) e Chandra.
Quando due ammassi di galassie entrano in collisione fra loro, l’evento che ne scaturisce è fra i più energetici e più estesi nell’Universo. La collisione avviene a una velocità di migliaia di km/s e dura per qualche miliardo di anni. Durante questo processo si sviluppano onde d’urto che si estendono per milioni di parsec di distanza (1 pc=3,1×1018 cm è circa la distanza fra le stelle della nostra galassia) e che riscaldano ulteriormente il plasma.
Inoltre, come discusso prima, una frazione delle particelle che attraversano queste onde d’urto può essere accelerata a energie molto alte. L’accelerazione di elettroni nelle collisioni fra ammassi viene osservata sotto forma di emissione di onde radio, dovute al processo di irraggiamento di sincrotrone nel campo magnetico degli ammassi. Le stesse onde d’urto dovrebbero anche accelerare protoni, che rimangono confinati all’interno degli ammassi per periodi che eccedono l’età dell’Universo. Queste particelle possono collidere con il plasma e produrre una nuova particella instabile, il pione, che decade rapidamente in due fotoni gamma. Al momento esistono solo limiti superiori alla quantità di energia di questi protoni, derivanti dalle misure nella banda gamma effettuate con il telescopio Fermi-LAT (Large Area Telescope).
Lampi gamma. – I lampi gamma sono un fenomeno cosmico scoperto per caso negli anni Sessanta del Novecento, durante osservazioni satellitari di tipo militare, mirate all’individuazione di test nucleari in territorio sovietico. Le osservazioni mostrarono evidenza di esplosioni, ma in cielo invece che in Unione Sovietica. La natura di queste esplosioni rimase abbastanza misteriosa sino alla metà degli anni Novanta, quando EGRET (Energetic Gamma Ray Experiment Telescope) dimostrò inequivocabilmente che la distribuzione spaziale dei lampi gamma è isotropa e, dunque, incompatibile con un’origine galattica: queste esplosioni avvengono in galassie lontane e hanno una luminosità apparente enorme, circa 100 volte superiore a quella delle supernova. associate al collasso gravitazionale di stelle massicce. In realtà questa luminosità è così alta che i fotoni osservati dovrebbero essere intrappolati all’interno della sorgente dalle collisioni con altri fotoni, a meno che la regione di emissione non si muova a velocità prossime a quella della luce. La fenomenologia dei lampi gamma è molto varia (Gehrels, Més záros 2012): a prima vista i lampi si classificano in eventi brevi (con durata dell’ordine di un decimo di secondo) ed eventi lunghi (di durata dell’ordine della decina di secondi). I modelli attuali per queste due classi di eventi si basano su coalescenza di stelle di neutroni (per i lampi brevi) ed esplosioni di ipernovae (o collapsar) per i lampi lunghi. Una prova certa di quale sia il progenitore dei lampi gamma continua però a non essere disponibile. I lampi lunghi, che sono osservati al ritmo di circa uno al giorno, sono generalmente molto più luminosi dei lampi brevi, e sono originati a distanze molto più grandi dalla Via Lattea. Le osservazioni condotte con il telescopio Fermi-LAT hanno confermato l’evidenza di emissione di alta energia dai lampi gamma lunghi anche parecchio tempo dopo l’esplosione, un fenomeno precedentemente osservato dal satellite EGRET. In tutti i casi, l’emissione di fotoni osservata da terra ha una distribuzione in energia di natura chiaramente non termica, il che ancora una volta dimostra come questi fenomeni estremi siano associati all’accelerazione di particelle a energie molto elevate. È plausibile che l’accelerazione nei lampi gamma sia connessa alla formazione di onde d’urto nel materiale in espansione relativistica discusso sopra, anche se una connessione diretta non è ancora stata stabilita.
Supernovae e venti di pulsar. – Le supernova. sono lo stato finale esplosivo dell’evoluzione di alcune stelle, che causa l’espansione di un plasma a velocità tipiche di una decina di migliaia di km/s, circa 100-1000 volte superiore alla velocità del suono. Come conseguenza, forti onde d’urto sono generate, ove particelle cariche elettricamente possono essere accelerate sino a energie di almeno qualche centinaio di TeV, e probabilmente sino a 3000 TeV (fig. 2).
Un’energia di qualche centinaio di TeV viene dedotta dalle osservazioni condotte con telescopi gamma, come HESS (High Energy Stereoscopic System), Magic e VERITAS (Very Energetic Radiation Imaging Telescope Array System). Questi strumenti misurano l’emissione gamma dalle sorgenti grazie al fatto che quando un fotone gamma penetra l’atmosfera della Terra, esso genera uno sciame di particelle cariche che emettono radiazione Cherenkov, ed è appunto questa radiazione che viene osservata. Emissione gamma di energia più bassa (<0,1 TeV) viene anche osservata dal telescopio Fermi-LAT. Osservazioni condotte con telescopi a raggi X, come Chandra, Suzaku e XMM, forniscono indicazioni indirette dell’esistenza di campi magnetici in corrispondenza delle stesse onde d’urto. Tali campi potrebbero in realtà essere stati prodotti dalle stesse particelle accelerate all’onda d’urto, tramite instabilità di plasma. Elettroni accelerati in tali campi producono radiazione di sincrotrone che va dalle onde radio sino ai raggi X. D’altro canto, in molti casi non è ancora appurato oltre ogni dubbio se l’emissione di raggi gamma sia dovuta agli elettroni oppure a protoni che interagiscono con il gas circostante e producono pioni neutri, che a loro volta decadono producendo raggi gamma. Il modo di dirimere la questione sarebbe di osservare neutrini, che provengono dal decadimento di pioni carichi, i quali proverebbero la natura protonica dell’emissione gamma. Al momento tale segnale non è ancora stato rivelato da Icecube, che allo stato attuale è il più potente telescopio per l’osservazione di neutrini. È tuttavia importante ricordare che solo molto recentemente questo esperimento ha rivelato il primo segnale di neutrini prodotti da sorgenti astrofisiche al di fuori del Sistema solare (Aartsen, Abbasi, Abdou et al. 2013).
L’esplosione di supernova. di tipo II (associate alla morte di stelle massicce che esauriscono il combustibile nucleare) può portare alla formazione di stelle di neutroni, corpi celesti fra i più estremi che esistano in natura che ruotano molto rapidamente attorno al proprio asse e che posseggono campi magnetici mille miliardi di volte superiori al campo magnetico terrestre. Il campo elettrico indotto dalla rotazione alla superficie della stella è molto più intenso del campo gravitazionale e gli elettroni possono essere estratti dalla superficie e accelerati. Non appena questo avviene, gli elettroni si muovono lungo le linee di campo magnetico ed emettono fotoni a causa di un processo noto come emissione di curvatura. A loro volta, questi fotoni danno luogo alla formazione di coppie elettrone-positrone (e+e−), e il processo si ripete. In conclusione, per ciascun elettrone emesso dalla superficie della stella di neutroni, da diecimila a un milione di coppie e+e− vengono generate nella magnetosfera della stella. Questo gas fatto di materia (elettroni) e antimateria (positroni) forma un vento che si allontana dalla superficie della stella a velocità relativistiche (ossia prossime alla velocità della luce). L’interazione di questo vento con il materiale espulso nell’esplosione della supernova madre della stella di neutroni forza il vento a rallentare e le coppie e+e− a irradiare parte della loro energia, a formare quella che si chiama una nebulosa da vento di pulsar (Arons 2012). L’esempio più famoso di questa classe di sorgenti astrofisiche è la nebulosa del Granchio, che si è formata in seguito all’esplosione di una supernova nel 1054. Recenti osservazioni condotte dai satelliti AGILE (Astrorivelatore Gamma ad Immagini ultra LEggero) e Fermi-LAT hanno mostrato una misteriosa variabilità gamma, che si spinge a energie molto elevate, dove non ci si aspettava di osservare variabilità (Tavani, Bulgarelli, Vittorini et al. 2011; Abdo, Ackermann, Ajello et al. 2011).
Raggi cosmici. – I raggi cosmici sono principalmente nuclei atomici, che osserviamo a terra con energia che va da frazioni di GeV (1 GeV=1 miliardo di eV) sino a circa 1021 eV (100 miliardi di GeV). Lo spettro dei raggi cosmici, mostrato nella fig. 2, decresce con l’energia proporzionalmente all’energia alla potenza di −2,7 sino a un’energia di 3 milioni di GeV (il ginocchio dello spettro), e come l’energia alla potenza di −3,1 a energie più alte, almeno sino a circa dieci miliardi di GeV (la caviglia dello spettro). La maggior parte dei raggi cosmici è prodotta all’interno della nostra Galassia e c’è un consenso abbastanza ampio sul fatto che le principali sorgenti siano i resti di supernova (Blasi 2013). Telescopi come Fermi-LAT (Thompson, Baldini, Uchiyama 2012), dallo spazio, e HESS, Magic e VERITAS da terra (Holder 2012) hanno contribuito enormemente alla comprensione dell’accelerazione di raggi cosmici nelle supernova., tramite la rivelazione di raggi gamma che in alcuni casi possono essere associati senza ambiguità alla produzione di pioni neutri che decadono, il che conferma l’accelerazione di raggi cosmici di alta energia in queste sorgenti. Tale accelerazione richiede condizioni estreme, che solo ora si stanno cominciando a comprendere, grazie a osservazioni e a complessi modelli matematici e simulazioni numeriche. Dal punto di vista sperimentale, nel prossimo decennio si avrà a disposizione un enorme telescopio per la rivelazione dei raggi gamma, il CTA (Cherenkov Telescope Array), che dovrebbe ulteriormente chiarire i problemi ancora aperti relativi all’origine dei raggi cosmici (Acharya, Aramo, Babic et al. 2015).
A energie superiori a circa 1017 eV (cento milioni di GeV), i raggi cosmici non possono essere confinati dal campo magnetico della nostra galassia, quindi tali raggi cosmici (detti di altissima energia) devono essere prodotti da sorgen ti all’esterno della Via Lattea, anche se non sappiamo ancora quali. Lo spettro di tali raggi cosmici è misurato da giganteschi telescopi, come HiRES (High Resolution Echelle Spectrometer), Telescope array e, infine, l’osservatorio Pierre Auger, che copre una superficie di 3000 km2 e osserva con due tecniche diverse gli sciami di particelle che vengono generati quando i raggi cosmici di altissima energia entrano nell’atmosfera della Terra.
Un fenomeno completamente nuovo si presenta per raggi cosmici di energia superiore a circa 5×1019 eV (50 miliardi di GeV): quando queste particelle si propagano nello spazio intergalattico dalle sorgenti sino a noi collidono con i fotoni della radiazione a microonde residuo del Big Bang e le collisioni danno luogo alla produzione di pioni e a un conseguente assorbimento dei raggi cosmici. Ne deriva che solo sorgenti relativamente vicine alla Via Lattea possono contribuire al flusso di raggi cosmici di energia così alta, con una conseguente riduzione del flusso osservato a terra. Questo fenomeno è detto soppressione GZK, dal nome dei tre scienziati (Kenneth Greisen, Georgij Zatsepin e Vadim Kuzmin) che l’hanno previsto nel 1966, ed è stato osservato sperimentalmente solo negli ultimi anni (Sommers 2012). Soltanto sorgenti cosmiche estreme hanno le potenzialità per accelerare i raggi cosmici di altissima energia: i candidati allo studio sono galassie attive molto luminose, lampi gamma e pulsar con periodi di rotazioni di millisecondi, ma nessuna di queste possibilità è esente da problemi.
Bibliografia: R. Blandford, D. Eichler, Particle acceleration at astrophysical shocks: a theory of cosmic ray origin, «Physicsreports», 1987, 154, pp. 1-75; A.A. Abdo, M. Ackermann, M. Ajello et al., Gamma-ray flares from the Crab nebula, «Science», 2011, 331, pp. 739-42; M. Tavani, A. Bulgarelli, V. Vittorini et al., Discovery of powerful gamma-ray flares from the Crab nebula, «Science», 2011, 331, pp. 736-39; J. Arons, Pulsar wind nebulae as cosmic pevatrons: a current sheet’s tale, «Space science reviews»,2012, 173, pp. 341-67; V. Beckmann, C. Shrader, Active galactic nuclei, Weinheim 2012; N. Gehrels, P. Mészáros, Gamma ray bursts, «Science», 2012, 337, pp. 932-36; J. Holder, TeV gamma ray astronomy: a summary, «Astroparticle physics», 2012,39-40, pp. 61-75; P. Sommers, Ultra high energy cosmic rays: observational results, «Astroparticle physics», 2012, 39-40, pp. 88-94; D.J. Thompson, L. Baldini, Y. Uchiyama, Cosmic ray studies with the Fermi gamma ray space large area telescope, «Astroparticle physics», 2012, 39-40, pp. 22-32; M.G. Aartsen, R. Abbasi, Y. Abdou et al., Evidence for high-energy extraterrestrial neutrinos at the IceCube detector, «Science», 2013, 342, http://arxiv.org/pdf/1311.5238.pdf; P. Blasi, The origin of galactic cosmic rays, «The astronomy and astrophysics review», 2013, 21, 1, http://arxiv.org/pdf/1311. 7346v2.pdf; B.S. Acharya, C. Aramo, A. Babic et al., The Cherenkov telescope array potential for the study of young supernova remnants, «Astroparticle physics», 2015, 62, pp.152-64.