Universo
(XXXIV, p. 735; App. I, p. 1096; II, ii, p. 1064; III, iii, p. 1029; IV, iii, p. 735; V, v, p. 658)
Dai modelli di Friedmann all'Universo inflazionario
La teoria della relatività generale, enunciata nel secondo decennio del 20° secolo, ha offerto la possibilità di trattare l'U. nella sua globalità, descrivendo le sue proprietà generali. A partire da quel momento ha avuto inizio lo sviluppo della moderna cosmologia, attraverso un percorso che possiamo dividere in tre distinti periodi. Nel primo, durato fino al 1965, sono state esplorate le proprietà geometriche dell'U., definite soprattutto dai modelli evolutivi di Friedmann e verificate sperimentalmente dalla legge di Hubble. A partire dal 1965, quando è stata scoperta la radiazione cosmica di fondo, si sono intensificati gli studi riguardanti l'evoluzione fisica dell'U., si è iniziato a discutere di Big Bang caldo e ne sono state studiate le proprietà. Nonostante i successi del modello standard del Big Bang, però, sono emersi parecchi problemi che non hanno trovato spiegazione. Ha avuto inizio così nel 1980 la terza fase dello sviluppo della cosmologia relativistica, che contempla l'inflazione dell'U. nelle primissime fasi.
I modelli relativistici dell'U. sono stati derivati da Friedmann nel 1922 e sono di tre tipi. Nel primo l'U. si sviluppa da una singolarità iniziale, espandendosi indefinitamente: è finito nel tempo passato e infinito nel tempo futuro, la curvatura dello spazio è negativa e si ha un U. aperto. Nel secondo tipo, a una prima fase di espansione ne segue una seconda di contrazione che porta l'U. a una situazione analoga a quella di partenza; la curvatura dello spazio è positiva e si ha un U. chiuso, che è finito temporalmente in entrambe le direzioni. Il terzo tipo di U., intermedio tra questi due, è a curvatura nulla e l'espansione si arresta al tendere del tempo all'infinito: si tratta pertanto di un U. piatto. Ciò che determina il comportamento dell'U. è il valore della densità media di materia in esso contenuta: è così possibile definire un valore della densità critica che caratterizza il tipo di U. intermedio. Se la densità è maggiore di quella critica, la gravità è tale da fermare completamente l'espansione e si ha un U. chiuso, mentre se la densità è inferiore si ha un U. aperto. La teoria della relatività ha introdotto una serie di concetti nuovi, che caratterizzano la presente cosmologia e che la differenziano profondamente da tutte le concezioni precedenti. Principale caratteristica è la dinamicità dell'U., contrapposta alla staticità precedente. I modelli di Friedmann ci dicono che l'U. non è mai uguale a se stesso: esso è in continuo divenire, espandendosi ed eventualmente contraendosi. Questo concetto fu talmente rivoluzionario che il primo modello di Einstein conteneva l'artificiosa costante cosmologica per rendere l'U. statico, e tentativi di un ritorno alla stazionarietà furono poi ripresi negli anni Cinquanta con la 'teoria dello stato stazionario', oggi completamente abbandonata. È interessante notare che un U. dinamico avrebbe potuto essere dedotto anche dalla legge di Newton, ma la dinamicità rappresentava una tale rivoluzione che non si volle mai prenderla in considerazione.
Un secondo concetto introdotto dalla teoria della relatività è che l'espansione riguarda lo spazio stesso e non la materia contenuta in esso. Le galassie si allontanano una dall'altra perché trascinate dal moto di espansione dello spazio entro cui sono immerse. Inoltre, la geometria di questo spazio può non essere quella euclidea, che caratterizza solo l'U. piatto. Altra caratteristica completamente nuova è quella per cui la velocità della luce è finita ed è la massima che possa essere raggiunta in natura: ne consegue che non possiamo vedere oltre la distanza in tempo-luce pari al tempo che ci separa dall'istante in cui ha avuto inizio l'U. (Big Bang). Si stabilisce in questo modo il concetto di orizzonte cosmico, entro il quale possiamo assistere a tutta l'evoluzione dell'U., orizzonte che con il trascorrere del tempo si fa sempre più ampio, rivelandoci un contenuto dell'U. sempre più grande.
I modelli di Friedmann sono definiti da tre parametri che possono essere verificati direttamente mediante osservazioni astronomiche. Il primo parametro misura la velocità con cui attualmente l'U. si sta espandendo: si chiama costante di Hubble e compare nella legge di Hubble, v=Hd, come costante di proporzionalità tra la velocità di recessione v e la distanza d delle galassie; il suo inverso ha le dimensioni di un tempo, detto tempo caratteristico dell'Universo. Il secondo parametro è il parametro di decelerazione, che indica se e con quale velocità l'espansione sta diminuendo, cioè come è variata la costante di Hubble da quando l'U. era più giovane fino all'epoca presente. Il terzo parametro è il rapporto tra la densità media attuale della materia nell'U. e la densità critica: abbiamo visto che se esso è uguale o minore di uno si ha un U. aperto, se è maggiore di uno l'U. è chiuso. Il parametro di decelerazione è legato al parametro di densità, cosicché la loro determinazione indipendente può fornire anche una prova della validità della teoria che sta alla base dei modelli.
Modelli cosmologici e dati osservativi
Converrà a questo punto passare in rassegna le varie verifiche osservative di valore cosmologico. Solo una di esse è il frutto di osservazioni già fatte nei secoli precedenti, un fatto che può sembrare molto ovvio e che consiste nella constatazione che il fondo del cielo, osservato di notte, è scuro. Questo fenomeno costituirebbe un paradosso nel caso di un U. infinito, statico, uniformemente popolato di stelle e con geometria euclidea. Se infatti le cose stessero così, in ogni direzione lungo la quale viene orientata la linea di vista questa verrebbe a intersecare una stella e il cielo dovrebbe apparire tutto luminoso con una luminosità a unità di superficie pari a quella della superficie di una stella media, come il Sole. Questo paradosso fu scoperto già alla fine del diciottesimo secolo da J.-P. de Chèseaux e da H.W.M. Olbers, dai quali prende anche il nome. È chiaro che almeno qualcuna delle ipotesi fatte non è corretta. Alla luce della moderna cosmologia l'U. che vediamo è infatti finito, in quanto possiamo osservare solo all'interno dell'orizzonte cosmologico. Inoltre, la luce che riceviamo dalle galassie lontane è spostata verso il rosso a causa dell'espansione dell'U., in misura tale che la loro radiazione non contribuisce più alla luminosità nella regione visibile dello spettro.
Il grande caposaldo della cosmologia è tuttora rappresentato dalla legge di Hubble, scoperta dopo l'enunciazione dei modelli di Friedmann, che costituisce la testimonianza cruciale del fatto che l'U. è attualmente in espansione. Essa si basa sulla circostanza che le righe nello spettro delle galassie appaiono spostate verso il rosso (red shift) secondo una quantità proporzionale alla distanza, quest'ultima essendo dedotta dall'intensità delle immagini. Il primo problema a essere affrontato fu quello dell'interpretazione dello spostamento delle righe spettrali. Nel caso di un'espansione dell'U. ci si aspetta di osservare questi spostamenti, ma anche altre cause potrebbero provocare lo stesso fenomeno, pur se l'interpretazione dovuta all'effetto dell'espansione è senz'altro di gran lunga la più convincente. La determinazione della costante di Hubble, a cui è legata la stima dell'età dell'U. e del valore della densità critica, viene fatta misurando accuratamente la distanza delle galassie.
Quello di determinare la scala delle distanze cosmiche è uno dei principali problemi della cosmologia osservativa: a tal fine, il metodo degli indicatori di distanza è tra i più usati. Si tratta di individuare in galassie vicine degli oggetti, quali, per es., stelle di splendore variabile oppure nebulose gassose, per i quali siano conosciute la luminosità intrinseca o le dimensioni lineari dall'osservazione di simili oggetti posti nelle nostre vicinanze, assumendo valido il principio di uniformità della natura, che stabilisce che oggetti dello stesso tipo abbiano le stesse caratteristiche fisiche, nella fattispecie le stesse luminosità intrinseche o le stesse dimensioni lineari; si passa quindi a galassie più lontane, usando indicatori secondari, e così via con gli indicatori terziari. Esistono anche dei metodi più diretti di misurazione delle distanze extragalattiche. Per es., osservando alcuni tipi di supernova è possibile risalire, passato qualche tempo dall'esplosione, sia alla dimensione lineare sia a quella angolare dell'involucro gassoso espulso; il confronto delle due dimensioni fornisce immediatamente la distanza in modo diretto.
Il valore della costante di Hubble oggi accettato va da 50 a 100 km s⁻¹ Mpc⁻¹. Si pensi che l'originale valore dato da Hubble era di 530 km s⁻¹ Mpc⁻¹, il che significa che le distanze delle galassie da lui stimate erano un ordine di grandezza più piccole di quanto osserviamo ora. Se H=50 km s⁻¹ Mpc⁻¹ e l'U. è di tipo euclideo, la sua età risulta essere di quindici miliardi di anni, in buon accordo con la determinazione dell'età delle prime stelle formatesi in esso.
Per misurare il parametro di decelerazione dell'U. si studia la relazione tra la magnitudine delle galassie e la velocità di recessione a grandi distanze, quando l'U. era più giovane. Questa relazione è facilmente calcolabile se si ipotizza che le galassie osservate siano delle 'candele-campione', cioè emettano intrinsecamente tutte la stessa quantità di luce, indipendentemente dalla distanza a cui si trovino. Solo così la magnitudine può costituire indicazione della distanza. Recenti osservazioni fatte su supernove lontane indicano che l'espansione dell'U. sta accelerando.
La misurazione del parametro di decelerazione non è semplice, perché una delle scoperte di portata cosmologica più significative è che le galassie non sono dei campioni stabili di intensità luminosa. Ciò è una conseguenza del fatto che l' U. è dinamico e che guardando sempre più lontano noi lo vediamo come era quando era più giovane. Guardando pertanto le galassie indietro nel tempo possiamo studiare la loro evoluzione. Si è trovato così che le radiogalassie situate a circa dodici miliardi di anni-luce sono il doppio più brillanti delle radiogalassie locali, che hanno un'età molto più avanzata; anche il colore delle galassie lontane (confrontate a red shift zero) appare essere più blu di quello delle galassie vicine. La potenza dei moderni telescopi, sia da terra sia dallo spazio, ci permette di studiare abbastanza in dettaglio la distribuzione spettrale della luce delle galassie in funzione della loro distanza e di ricavare le proprietà globali dell'evoluzione delle stelle che le compongono. Anche se siamo ancora agli inizi, si sta provando che le proprietà dei sistemi extragalattici cambiano con l'epoca cosmica, confermando che l'U. è in evoluzione.
La determinazione del parametro di densità, Ω=ϱ/ϱc, cioè del rapporto tra la densità media e quella critica, potrebbe facilmente portarci all'individuazione del modello cosmologico se non intervenisse uno dei grandi problemi dell'astrofisica, quello della materia oscura, che rende tale determinazione ancora molto incerta. Abbiamo visto che attorno alle galassie esistono aloni oscuri massicci e che gli ammassi di galassie sono pervasi da materia non visibile. Se si tiene conto solo della materia visibile, la densità media dell'U. è circa un centesimo di quella critica, ma se aggiungiamo la materia oscura finora rivelata questo valore sale a un decimo. Ci si domanda se la materia oscura possa essere ancora più abbondante, fino a dar luogo a un U. al limite della chiusura, come certe istanze delle più recenti teorie cosmologiche sembrano auspicare. È interessante notare come gli studi sulla nucleosintesi primordiale ci indichino che la materia barionica, cioè quella che sperimentiamo abitualmente, non può essere superiore a quella già rivelata. Se l'U. fosse vicino alla chiusura, risulterebbe che il novanta per cento della sua massa sarebbe sotto forma di materia non ancora sperimentata in laboratorio.
Se la legge di Hubble costituisce il primo pilastro su cui si basa la moderna cosmologia, il secondo pilastro è costituito dalla rivelazione della radiazione cosmica di fondo, che ha una distribuzione dell'energia pari a quella di un corpo nero alla temperatura di circa 2,7 K. Questa radiazione caratterizza l'U. a un'epoca corrispondente a circa centomila anni dopo il Big Bang, quando si ha la fase di disaccoppiamento tra materia e radiazione a causa delle condizioni fisiche, in particolare per l'abbassamento della temperatura fino a 4000 K, condizione che permette la ricombinazione dell'atomo di idrogeno. Oltre questa fase non ci è dato di vedere perché prima l'U. era opaco: un fenomeno analogo a quello che avviene per una stella, di cui vediamo la fotosfera, ma non ciò che vi è all'interno di questa. Il fatto che oggi noi osserviamo questa radiazione di fondo a una temperatura così bassa è dovuto allo spostamento verso il rosso del suo spettro a causa dell'espansione dell'Universo. La radiazione di fondo è stata studiata in dettaglio dal satellite COBE (Cosmic Background Explorer), lanciato nel 1989, che ha fornito dati di grande interesse, primo fra tutti l'elevata isotropia della radiazione di fondo, caratterizzata quindi da uguale intensità in tutte le direzioni al livello di una parte su centomila. Questa radiazione presenta inoltre delle lievissime fluttuazioni, che si ritiene abbiano dato origine alle fluttuazioni di densità che osserviamo nell'Universo. Recentemente lo studio della distribuzione e delle caratteristiche di queste fluttuazioni, fatto nell'ambito del progetto BOOMERANG (Baloon Observations of Millimetric Extragalactic Radiation and Geophysics), ha portato a formulare l'ipotesi che l'U. sia piatto. Il processo che ha portato all'attuale alto contrasto di densità tra le galassie è dovuto al fenomeno dell'instabilità gravitazionale, che comporta l'amplificazione delle piccolissime fluttuazioni iniziali. La caratteristica dello spettro della radiazione cosmica è di corrispondere perfettamente a quella tipica di un corpo nero, indicando che a quell'epoca l'U. era in uno stato di equilibrio termodinamico, proprio come previsto dalla teoria del Big Bang.
Un ultimo fatto osservativo a cui dobbiamo accennare è quello dell'abbondanza cosmica degli elementi leggeri. Ci sono delle galassie in cui i processi di formazione stellare sono appena cominciati e che, ciononostante, sono abbastanza ricche di elio. Questo elemento pertanto non è stato sintetizzato all'interno delle stelle e di conseguenza deve essere di origine primordiale. La teoria del Big Bang caldo fornisce una spiegazione naturale di questa abbondanza dell'elio e di quella di altri elementi leggeri, come il litio, formatisi nelle prime fasi di vita dell'Universo.
Il successo della teoria del Big Bang caldo è dovuto al fatto che essa rappresenta un tentativo in parte riuscito di descrivere l'evoluzione dell'U. dagli istanti iniziali fino a oggi. La stessa teoria predice anche scenari terminali sia per un U. aperto sia per un U. chiuso. Nella storia dell'U. esiste una barriera, situata a 10⁻⁴³ secondi dal Big Bang (tempo di Planck), quando la temperatura era di 10³² K, oltre la quale non siamo in grado di dare una descrizione di ciò che è avvenuto, in quanto non conosciamo la fisica che governa l'U. in queste condizioni estreme. È l'epoca in cui le quattro interazioni fondamentali (forte, debole, elettromagnetica e gravitazionale) devono essere unificate e gli sforzi più avanzati della teoria, che si chiama gravità quantistica, sono oggi indirizzati proprio a questo problema.
L'indeterminazione della nostra conoscenza in questa primissima fase ci impedisce una precisa definizione dell'origine fisica dell'Universo. Per il momento dire che l'U. è iniziato a un tempo t=0 ha solo significato matematico. Dopo il tempo di Planck, fino a 10⁻³⁰ secondi, quando la temperatura è scesa a 10²⁷ K, la situazione fisica comincia a essere spiegata dalle moderne 'teorie di grande unificazione' (GUT, Grand Unified Theory) delle forze forte, debole ed elettromagnetica. Così procedendo si arriva al tempo di circa 10⁻⁷ secondi dal Big Bang, quando la temperatura è dell'ordine di 10¹⁵ K, in cui le quattro forze sono tutte separate. La storia dell'U. viene descritta dividendola in varie ere o epoche, ognuna caratterizzata da condizioni fisiche diverse causate dal fatto che la temperatura e la densità sono in continua diminuzione a causa dell'espansione dell'Universo. Una fase di grande rilevanza cosmologica inizia circa dieci secondi dopo il Big Bang, quando la temperatura si è abbassata a circa un miliardo di gradi. In tali condizioni nel plasma primordiale, formato principalmente da protoni e neutroni, inizia la nucleosintesi primordiale che porta alla formazione di elementi leggeri come il deuterio, il litio e l'elio. La prima fase dell'U., che possiamo osservare direttamente (radiazione cosmica di fondo), è quella in cui cessa la dominazione della radiazione sulla materia (nel senso che l'energia della radiazione prevale su quella della materia a riposo) per dare origine all'epoca della prevalenza della materia sulla radiazione. È in questa epoca, che dura fino al presente, che si sono formate le grandi strutture dell'U. e in seno a esse le galassie.
Nonostante alcuni grandi successi, la teoria del Big Bang classico presenta alcune difficoltà o problemi che non riescono a essere spiegati al suo interno, tra i quali quello che viene definito problema dell'orizzonte. Abbiamo visto che il nostro orizzonte ha un raggio che, espresso in anni-luce, è pari all'età in anni dell'Universo. Ne consegue che, quando noi guardiamo, per es., la radiazione cosmica di fondo in due parti opposte del cielo, queste regioni non possono aver mai comunicato tra loro a causa della velocità finita della luce, ma ciononostante si presentano a noi in modo perfettamente identico, come indicato dall'altissimo grado di isotropia che è stato osservato. Come possono regioni diverse dell'U., che non sono mai state in contatto tra loro, presentarsi con le stesse caratteristiche?
Un secondo problema posto dalla teoria del Big Bang classico è quello della piattezza dell'Universo. Come abbiamo visto, la densità media della materia nell'U., tenendo conto della materia oscura associata alle galassie e agli ammassi, è un decimo di quella critica, che caratterizza un U. piatto. Se andiamo a vedere quale era il rapporto Ω nell'U. primordiale si trova che esso differiva dall'unità di una quantità infinitesima. Viene pertanto da pensare che il vero valore del rapporto tra densità media e densità critica sia proprio l'unità e che ci resti da scoprire la rimanente materia oscura per arrivare a questa situazione. La teoria classica, tuttavia, non è in grado di dirci perché il nostro U. deve proprio essere caratterizzato dalla densità critica.
Un terzo problema che non viene spiegato dal Big Bang classico è il problema dell'asimmetria, che a un certo momento deve essersi creata per dar luogo all'attuale U., dominato dalla materia, mentre nell'U. primordiale doveva esserci una perfetta simmetria tra la materia e l'antimateria.
Un altro problema riguarda l'origine delle fluttuazioni di densità che, amplificandosi con lo scorrere del tempo, hanno dato origine all'U. attuale caratterizzato da un forte contrasto nella densità di materia. Andando a ritroso nel tempo si dovrebbe trovare la causa che ha prodotto i germi delle fluttuazioni, causa che non è indicata dal Big Bang classico.
Ancora verso il 1980 molti problemi non avevano trovato risposta quando iniziò la terza fase dello sviluppo della cosmologia relativistica, in cui venne proposto il modello inflazionario dell'U. per spiegare gli interrogativi suaccennati. La qualifica di inflazionario deriva dalla caratteristica più saliente di questo modello, che consiste nell'ammettere che attorno all'epoca corrispondente a 10⁻³⁴ secondi dal Big Bang l'U. abbia subito un processo di accelerazione che ha fatto aumentare il suo volume di un fattore 10⁵⁰. Questo processo trova la sua giustificazione nella presenza di forze che si sarebbero esercitate tra la materia nelle condizioni fisiche estreme presenti a quell'epoca.
L'inflazione spiega i vari problemi a cui abbiamo accennato. Il problema dell'orizzonte viene spiegato dal fatto che prima dell'inflazione c'è stato tutto il tempo per le varie parti dell'U. per comunicare tra loro: solo successivamente l'inflazione le ha portate a così grandi distanze da non poter comunicare tra loro data la finitezza della velocità della luce. Per ciò che concerne il problema della piattezza dell'U., è possibile dimostrare che, se l'U. è sottoposto alla rapida accelerazione tipica del modello inflazionario, la sua geometria tende a diventare euclidea e la densità media della materia tende a quella critica: c'è pertanto una buona ragione per ritenere che il nostro U. sia al limite della chiusura. Mentre per questi due problemi è bastato ammettere l'inflazione, senza fare uso della fisica sottostante, per i successivi due bisogna invece considerare le condizioni fisiche: per es., il problema dell'asimmetria tra materia e antimateria trova la sua origine nelle particolari condizioni che si vengono a creare nel momento di transizione tra la fase GUT e quella successiva. Ma è la risoluzione del problema delle fluttuazioni che rappresenta uno dei successi più brillanti del modello inflazionario: l'idea è che le fluttuazioni siano di origine quantistica e che si sviluppino con l'inflazione. Lo spettro delle perturbazioni che si ottiene in questo modo è proprio quello necessario per spiegare l'origine delle strutture cosmiche attualmente osservate.
Il Multiverso e il fine tuning
La teoria dell'inflazione, che all'inizio era stata proposta come mezzo per superare alcune difficoltà della teoria del Big Bang classico, tende ora a proporsi come una visione del mondo di ben più larghe proporzioni, dove il Big Bang del nostro U. è da considerarsi un fenomeno molto limitato. Secondo il fisico A. Linde, l'U. inflazionario è un U. che si riproduce, dando luogo a infiniti miniuniversi, a infiniti mini-Big Bang di cui quello che ha dato origine al nostro U. è uno dei tanti (fig. 3). Si ritorna in questo modo a un modello di tipo stazionario di durata eterna, entro il quale nascono, si sviluppano e muoiono infiniti Universi. Questa teoria non è priva di fascino; deve tuttavia anche indicarci quali sono le basi osservative, che, come abbiamo visto, costituiscono il fondamento di ogni modello cosmologico. L'idea che possano esistere molti o addirittura infiniti U. allarga enormemente la nostra prospettiva cosmica, e se un giorno quella che è attualmente solo una pura speculazione teorica troverà qualche riscontro nella realtà saremo di fronte a un ampliamento di orizzonti paragonabile, sul piano filosofico, al passaggio dalla concezione aristotelica dell'U. finito racchiuso entro la sfera delle stelle fisse, a quella di un U. infinito propugnata da Giordano Bruno. L'insieme di questi U. viene indicato con il termine di Multiverso usato in contrapposizione a Universo, il quale ultimo indicherebbe una particolare sottocomponente, come è, per es., quella in cui viviamo.
L'interesse per gli infiniti U. è molto stimolato dall'applicazione di una sorta di 'principio copernicano' per cui nulla deve avere una posizione speciale o essere in una situazione privilegiata. Orbene, proprio studiando l'evoluzione del nostro U., come è delineata dalla teoria del Big Bang, ci si accorge che l'apparizione del fenomeno vita, della coscienza e pertanto dell'uomo è dovuta a tutta una serie di combinazioni, che sono le uniche a produrre questo risultato. Esiste cioè una regolazione fine (fine tuning) dei valori delle costanti fondamentali della fisica, della forma delle leggi fisiche e delle condizioni iniziali per cui si è arrivati a un U. come il nostro, che contempla il fenomeno dell'esistenza dell'uomo. Anche infinitesime variazioni nei valori delle costanti, per es., avrebbero portato a un U. completamente diverso dal nostro, dove non si sarebbero verificate le condizioni che hanno portato alla nostra esistenza. Queste considerazioni vanno sotto il nome di principio antropico, un termine introdotto negli anni Settanta, quando si cominciava a trattare questo problema nel contesto della cosmologia del Big Bang. Si riconosce oggi che l'uso del termine principio non è appropriato, in quanto da un principio ci si aspetta la deduzione di particolari proprietà, mentre il principio antropico è più che altro l'espressione suggestiva di un punto di vista.
Gli esempi di fine tuning sono molteplici e possono essere portati a vari livelli, dalla microfisica alla struttura dell'intero Universo. L'evoluzione dell'U. dipende dal valore del parametro di densità Ω; un valore maggiore di uno corrisponde a un U. destinato a collassare, mentre se Ω è minore di uno l'espansione continuerà indefinitamente. Ci si domanda a questo punto quale è l'intervallo di valori di Ω per cui si realizza il nostro U.: una densità iniziale troppo elevata porterebbe l'U. ad arrestare la sua espansione troppo presto, per cui non ci sarebbe tempo per la formazione delle galassie e delle stelle entro le galassie. Queste ultime hanno bisogno per formarsi e per evolvere di qualche miliardo di anni, come è successo per il nostro Sole. Se la densità iniziale fosse stata ancora più grande l'U. non sarebbe neppure vissuto così a lungo per permettere la formazione degli atomi, che richiedono un tempo dell'ordine del milione di anni. Se, viceversa, le condizioni iniziali fossero state tali da far espandere l'U. a una velocità troppo elevata, quegli oggetti, come le stelle e le galassie, la cui formazione è dovuta a un processo di condensazione gravitazionale, non avrebbero potuto formarsi. Il calcolo mostra che, andando a esaminare la situazione dell'U. un secondo dopo il Big Bang, solo se il valore di Ω fosse stato compreso nello strettissimo intervallo 1±10⁻¹⁸, si sarebbe avuto un U. compatibile con il nostro.
Un classico esempio di fine tuning che riguarda la microfisica ci è offerto dallo studio di come si è venuto a formare il carbonio, un elemento molto diffuso e caratterizzante le forme vitali. Il carbonio non è un elemento primordiale, ma si è formato all'interno delle stelle, che lo hanno restituito all'ambiente interstellare nelle fasi finali della loro evoluzione. Successivamente altre stelle, come per es. il nostro Sole, si sono formate dal materiale interstellare arricchito in elementi pesanti a causa delle reazioni termonucleari avvenute nelle stelle delle generazioni precedenti. Il carbonio C¹² si forma mediante la fusione di tre atomi di elio secondo la reazione 3He⁴→C¹², che però avviene in due stadi: prima due atomi di He⁴ formano un atomo di berillio Be⁸ e successivamente il berillio si combina con un atomo di elio per dare il carbonio. Questo processo avviene a una temperatura molto alta, di circa 10⁸ K, caratterizzante le parti centrali delle stelle. La sintesi dell'elio per dare il carbonio è molto efficace a causa di una particolare coincidenza tra l'energia di un livello del nucleo di carbonio a 7,6549 MeV, che è uguale alla somma delle energie intrinseche dei nuclei del berillio e dell'elio e dell'energia cinetica di collisione a quella temperatura. Se non ci fosse questa particolare risonanza nel nucleo di carbonio, questo elemento non sarebbe prodotto all'interno delle stelle.
Il fine tuning ci fa apparire il nostro U. come molto particolare, esattamente commisurato affinché si verifichino tutti quegli eventi che hanno portato alla nostra esistenza. L'uomo viene così ad acquistare nel nostro U. una centralità perduta dal tempo della rivoluzione copernicana, una centralità non più geometrica, ma dovuta al particolare modo con cui si è svolta l'evoluzione cosmica. L'idea del Multiverso nasce dal fatto che si vuole mantenere il principio copernicano della non centralità, che viene pertanto realizzato dalla esistenza di infiniti universi.
bibliografia
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