UNIVERSO
(XXXIV, p. 735; App. I, p. 1096; II, II, p. 1064; III, II, p. 1029; IV, III, p. 735)
Con il termine ''Universo'', dall'originaria accezione di sistema comprendente soltanto Terra, Sole, Luna, pianeti vicini, comete e stelle ''fisse'', una regione di spazio assai esigua, si è passati a designare tutta la materia e la radiazione in un volume enormemente più grande con una costituzione notevolmente più articolata e per molti versi più ''violenta''. Questo sviluppo si deve a un concorso di contributi che vanno dall'osservazione dallo spazio, senza quindi l'assorbimento e le distorsioni operate dall'atmosfera terrestre, alla realizzazione di nuovi ricettori (intensificatori di immagini, dispositivi a scorrimento di carica, rivelatori X e gamma, radiointerferometri su base intercontinentale) che hanno aumentato il rendimento dei telescopi, a loro volta accresciuti di potenza, e reso accessibili bande dello spettro elettromagnetico prima precluse (gamma, X, ultravioletto, lontano infrarosso).
L'ultimo importante sviluppo è costituito dal Telescopio Spaziale Hubble (HST), uno strumento con specchio primario di 2,4 m di diametro, in orbita circumterrestre dall'aprile 1990 e nel dicembre 1993 riparato direttamente nello spazio per ovviare a un errore di costruzione dello specchio che ne impediva la messa a fuoco. Il telescopio dovrebbe essere in grado di ''risolvere'' stelle singole a distanze dieci volte maggiori di quelle raggiungibili con i migliori strumenti operanti da terra (v. telescopio: telescopio spaziale, in questa Appendice).
La scala delle distanze. - Cruciale ai fini dello studio dell'U. è la determinazione delle distanze delle sue componenti, un dato essenziale nel calcolo di praticamente tutti i parametri strutturali fondamentali degli oggetti celesti e nelle implicazioni di carattere più generalmente cosmologico. Il primo gradino nella scala delle distanze porta, partendo dalla distanza Terra-Sole, alle stelle vicine (fino a circa 150 anni-luce; 1 a.l.≅9500 miliardi di km); i passi successivi si avvalgono di proprietà dinamiche e statistiche per gruppi di stelle (fino a circa 1500 a.l.) della nostra galassia. L'estensione alle altre galassie fa uso per quelle vicine di metodi che utilizzano oggetti con luminosità (energia emessa nell'unità di tempo) o dimensioni note, e per quelle meno vicine di indicatori di distanza calibrati sulle prime. Distanze crescenti vengono raggiunte ricorrendo a variabili cefeidi (fino a circa 10 milioni di a.l.), nebulose planetarie, ammassi globulari, regioni HII (nubi d'idrogeno ionizzato) e supernove (non oltre 1 miliardo di a.l.).
Nel 1929 E.P. Hubble scoprì che la luce delle galassie lontane è tanto più arrossata (e le righe spettrali sono percentualmente tanto più spostate verso il rosso) quanto più esse sono distanti, fenomeno denominato red shift in inglese. È generalmente accettato, pur con qualche marginale dissenso, che il fenomeno vada interpretato in termini cinematici di effetto Doppler (velocità radiale proporzionale alla variazione percentuale z tra la lunghezza d'onda osservata e quella emessa) e che quindi le galassie lontane, per le quali gli effetti locali diventano trascurabili rispetto a quelli cosmologici, si allontanano con una velocità radiale che, tramite H0 (costante di Hubble), è proporzionale alla loro distanza (legge di Hubble). La linearità tra distanza e red shift sussiste finché le velocità sono piccole rispetto alla velocità c ≅300.000 km/s della luce, altrimenti gli effetti relativistici, alle grandi distanze, impongono un'adeguata riformulazione che limiti la velocità a c, massima velocità possibile.
La diretta proporzionalità tra velocità e distanza è la sola legge a comportare che qualunque osservatore nell'U. veda le galassie allontanarsi con la medesima legge. Essendo inoltre del tutto improbabile che la nostra posizione nello spazio sia privilegiata, si deve ritenere che l'U., a ogni istante di tempo cosmico, sia omogeneo e isotropo su grande scala (principio cosmologico), sia cioè lo stesso da qualunque punto e in qualunque direzione osservato; tutti gli osservatori sono equivalenti e non c'è un ''centro'' dell'U., che sottostà quindi a un generale moto di espansione (flusso di Hubble). Di conseguenza H0, che rappresenta l'attuale tasso percentuale di espansione, dovrebbe avere lo stesso valore in ogni punto dello spazio ma, a tutto rigore, non è una costante essendo andato diminuendo nel tempo a seguito della decelerazione dovuta alla mutua attrazione gravitazionale dei componenti dell'U. stesso (v. oltre).
L'applicazione della legge di Hubble per il calcolo delle distanze richiede la conoscenza di H0, che è determinato facendo ricorso a oggetti con distanze e velocità radiali note. Le successive revisioni della scala delle distanze hanno comportato continui aggiornamenti del valore di H0, che dall'iniziale stima di 530 km/s per Mpc (1 Megaparsec = 3,26 milioni di a.l.) è stato ridotto da alcuni autori a 100 km/s per Mpc, da altri a 50 km/s per Mpc. La differenza è importante poiché può implicare un fattore due nelle dimensioni e nell'età dell'U. (v. oltre). Il più recente riesame del problema indica come più attendibile un valore intermedio (in quanto segue è stato adottato 75 km/s per Mpc) in attesa che l'HST porti a una determinazione meno incerta. La legge di Hubble è stata capitale nell'indicare che l'U. evolve e che deve aver avuto un'origine.
Con la scoperta nel 1977 dell'esistenza di una correlazione tra la velocità di rotazione delle galassie a spirale e la loro luminosità (quanto più rapida è la rotazione tanto maggiore è la luminosità: legge di Tully e Fisher) e l'estensione del metodo alla dispersione delle velocità nelle galassie ellittiche si è reso possibile prescindere dalle velocità di recessione delle galassie per la determinazione delle distanze (fino a circa 300 milioni di a.l.) e sottoporre quindi a verifica il grado di uniformità, prima assunto generale, dell'espansione dell'Universo. Si è così trovato che il flusso di Hubble presenta delle irregolarità ascrivibili all'attrazione gravitazionale di grandi concentrazioni di masse con implicazioni per l'univocità del valore di H0; in particolare la Galassia si muove verso l'ammasso della Vergine alla velocità di circa 260 km/s.
Popolazioni stellari. - Lo studio della struttura dell'U. è basato sull'analisi delle sue componenti, di norma individuate dalla materia ''luminosa'', costitutiva delle stelle e della materia diffusa (gas e polveri raccolti in nebulose e dispersi tra stelle e tra galassie come mezzo interstellare e intergalattico). I pianeti e gli altri corpi minori, come pure il mezzo interplanetario, del sistema planetario e di altri probabili sistemi analoghi sono nel presente contesto trascurabili.
Le stelle sono suddivise schematicamente in due grandi popolazioni stellari (I e II). La popolazione I è localizzata nel disco e nelle braccia delle galassie a spirale (e in parte in associazioni e ammassi aperti) e nelle galassie irregolari; partecipa al moto di rotazione delle galassie a spirale; è caratterizzata da diagrammi colore-magnitudine con sequenze principali più o meno estese e relativamente poche stelle giganti e supergiganti evolute, da un contenuto ''metallico'' relativamente alto e da età basse, al più di 10 miliardi di anni. La popolazione II è localizzata nell'alone e nel nucleo delle galassie a spirale (in particolare negli ammassi globulari) e nelle galassie ellittiche; è in moto lento e non ordinato negli aloni galattici; è contraddistinta da diagrammi colore-magnitudine con una ridotta sequenza principale e un ramo molto sviluppato di stelle giganti evolute, da un contenuto metallico basso e da età elevate, circa 15 miliardi di anni. Le stime delle età ottenute dai diagrammi colore-magnitudine degli ammassi sono assai attendibili; proprio le stelle più antiche della popolazione II fissano un limite inferiore all'età dell'U. e un limite superiore alla nucleosintesi primordiale (v. oltre).
L'esistenza delle popolazioni stellari è collegata all'evoluzione delle stelle, che si formano per frammentazione di nebulose e condensazione dei frammenti a seguito d'instabilità gravitazionale indotta da perturbazioni locali (collisioni, onde d'urto, turbolenze, campi magnetici, ecc.). Dopo un'iniziale contrazione gravitazionale, all'interno delle stelle s'innescano processi di termofusione nucleare che, a partire dall'idrogeno, producono energia per tempi lunghi e possono portare alla formazione degli elementi chimici più pesanti. Se la stella non ha una massa sufficiente a innescare i vari ''combustibili'' nucleari prodotti, si raffredda come nana bianca o, oltre un certo limite di massa, termina la sua esistenza forse come buco nero (v. oltre). Se, invece, è sufficientemente massiccia, la nucleosintesi (quiescente) viene completata fino al ferro e seguita da un collasso gravitazionale con la conseguente esplosione della stella come supernova di tipo II (per le supernove di tipo I, v. oltre).
L'esplosione libera un'energia di 1049-1051 erg, che rende il fenomeno il più rilevante su scala stellare; dà luogo a una nucleosintesi (esplosiva) nella quale vengono prodotti anche gli elementi dal cobalto all'uranio; lascia un residuo nebulare in rapida espansione, che irradia nell'X, nell'ottico e nel radio e che in tempi dell'ordine di 10.000 anni si dissolve nell'ambiente circostante disperdendovi i prodotti di reazione, e, nelle supernove di tipo II, anche un resto stellare che è una stella di neutroni o, forse, un buco nero. Una generazione di stelle che venga a formarsi successivamente è quindi contraddistinta da una minore età e da una maggiore metallicità.
Proprio il residuo di una supernova esplosa verosimilmente nel 1667 è Cassiopeia A, la radiosorgente più intensa del cielo. Stelle di neutroni con forti campi magnetici e rapidamente rotanti si manifestano come pulsar, sorgenti di impulsi radio (ma anche ottici, X e gamma) della durata del millisecondo e periodicità comprese tra 1 millisecondo e 4 secondi circa. Prevalentemente alle supernove si fanno risalire i raggi cosmici. La curva delle abbondanze cosmiche degli elementi ottenuta dall'analisi degli oggetti celesti, e indicativa della composizione media della materia cosmica, mostra un andamento mediamente decrescente dall'idrogeno all'uranio e sostanzialmente in accordo, con l'eccezione dell'elio (v. oltre), con i risultati della nucleosintesi (quiescente ed esplosiva) stellare.
S'ipotizza che i buchi neri siano generati da collassi gravitazionali in grado di contrarre una data massa a dimensioni così piccole che neanche la luce può superare l'intenso campo gravitazionale risultante e fuoruscirne, sicché l'oggetto non sarebbe più ''visibile'', se non indirettamente per gli effetti gravitazionali sull'ambiente circostante. Di fatto buchi neri che aggreghino materia sarebbero in grado di trasformarla in energia con un rendimento che, potendo raggiungere il 40% circa nei buchi neri rotanti (cosiddetti di Kerr), ne farebbe le sorgenti più potenti finora studiate (per contro l'efficienza delle reazioni nucleari nelle stelle non supera l'1%).
La Galassia, il sistema di stelle che comprende il Sole, contiene circa 100 miliardi di stelle, gran parte delle quali in sistemi binari, coppie di stelle orbitanti a una mutua distanza (separazione) assai minore di quelle tra le stelle circostanti. Se la separazione è dell'ordine della somma dei raggi delle due componenti, tra esse si dà luogo a un trasferimento di materia che può portare alla produzione di nove e supernove di tipo I (rispettivamente per esplosioni superficiali o globali di nane bianche) e della maggior parte delle sorgenti X galattiche. Le luminosità X possono raggiungere le 100.000 luminosità solari e derivano da accrescimento di materia su oggetti compatti (nane bianche, stelle di neutroni, buchi neri). La ricerca di buchi neri si è concentrata sui sistemi binari proprio in forza degli effetti gravitazionali attesi; in almeno quattro casi le osservazioni ne rivelerebbero la presenza. Indicazioni concordanti sono state ottenute anche da oggetti che mostrano improvvise intensificazioni nell'emissione X.
Galassie. - Stelle e materia diffusa sono gravitazionalmente e stabilmente unite in galassie, che si contano a miliardi. Al diminuire dello splendore il loro numero cresce più rapidamente del numero delle stelle, continuando ad aumentare anche quando quest'ultimo si è stabilizzato e dimostrando così che la nostra galassia è limitata mentre lo spazio cosmico si estende ben oltre. In effetti è proprio l'enorme numero delle galassie che finisce per limitarne l'osservazione per distanze maggiori di circa 1,5 miliardi di a.l. Nella classificazione di Hubble le galassie sono suddivise in ellittiche, lenticolari, spirali (normali, come la nostra, e barrate) e irregolari a seconda della loro immagine. Le spirali e le irregolari contengono materia diffusa, le ellittiche (ma non giganti) al più tracce; quelle lenticolari hanno nuclei come le spirali e un disco equatoriale ma non braccia a spirale, come le ellittiche.
Le spirali appaiono predominanti in numero, ma una volta che si tenga conto degli effetti di selezione che le privilegiano, la frequenza effettiva vede in ordine decrescente le ellittiche, le irregolari e le spirali. Le dimensioni variano da circa 1000 a.l. (galassie nane) a 300.000 a.l. (galassie supergiganti); le masse sono comprese tra circa 106 (per le nane) e 1013 masse solari (per le supergiganti) con valori mediamente maggiori per le ellittiche rispetto alle spirali e alle irregolari nell'ordine. La sequenza morfologica delle galassie non ha implicazioni evolutive: ogni galassia, se non subisce collisioni, rimane del medesimo tipo acquisito al momento della sua formazione (v. oltre). Si ritiene che nella formazione, a parità di massa, giochi un ruolo importante il momento della quantità di moto rotazionale per unità di massa della protogalassia (maggiore nelle spirali che nelle ellittiche). L'evoluzione delle galassie riflette quella delle componenti stellare e gassosa (se presente). Per le galassie lontane (non risolte) ci si avvale delle luci e dei colori integrati e del loro confronto con i risultati della sintesi delle popolazioni stellari, una metodologia che ricostruisce le variazioni temporali delle proprietà galattiche.
Ammassi di galassie. - La maggioranza delle galassie è raccolta in gruppi e ammassi contenenti da poche unità a molte migliaia di membri di tutti i tipi (ma con una predominanza di galassie ellittiche) legati dalla mutua attrazione gravitazionale. La nostra galassia fa parte del Gruppo Locale che comprende una trentina di membri e si estende per alcuni milioni di a.l. È nota una decina di migliaia di ammassi, i più ricchi hanno dimensioni di una ventina di milioni di a.l. Tra galassie vicine c'è evidenza di connessioni (ponti di materia, sproni, code) e di distorsioni mareali; alcune galassie appaiono in collisione o, addirittura, risultato di fusione, fenomeno designato come ''cannibalismo galattico'', e in grado di spiegare peculiarità e configurazioni dinamicamente instabili che, potendo sussistere per un tempo relativamente breve, devono essere di formazione recente (materia diffusa su piani diversi da quello equatoriale, controrotazione del nucleo centrale rispetto al corpo galattico). Indizi che galassie ellittiche derivino dalla fusione di galassie a spirale si traggono dalla presenza nelle prime di ammassi stellari di tipo globulare ma popolati da stelle di formazione recente, un maggior numero di ammassi globulari nelle ellittiche rispetto alle spirali, una maggiore frequenza di ellittiche rispetto alle galassie degli altri tipi negli ammassi più ricchi e compatti, la localizzazione di galassie ellittiche supergiganti al centro di ammassi ricchi. Le interazioni tra galassie tenderebbero infatti a rimuovere il gas ostacolando la formazione delle spirali o impedendone la sopravvivenza come tali; fusioni di galassie porterebbero alla formazione di ellittiche massicce che tenderebbero, per ragioni dinamiche, a portarsi verso i rispettivi centri degli ammassi di appartenenza.
Dimensioni ancora più grandi (fino a qualche centinaio di milioni di a.l.) vengono raggiunte dai superammassi, che possono arrivare a contenere centinaia di gruppi di galassie e che costituiscono le configurazioni più estese osservabili insieme ai vuoti, regioni dello spazio dove mancano, del tutto o quasi, galassie. Il Gruppo Locale è localizzato ai margini dell'ammasso della Vergine e insieme con questo e con un centinaio di altri gruppi costituisce il Superammasso Locale.
Gli ammassi pongono il problema della massa mancante: la somma delle masse delle galassie componenti è molto minore (solo il 10-20%) della massa dell'ammasso dedotta da proprietà dinamiche (teorema del viriale). La materia intergalattica, della cui esistenza si hanno indicazioni dirette (radiazione X diffusa) e indirette (assorbimento della luce di sorgenti retrostanti), non è da sola sufficiente a risolvere il problema pur potendo raggiungere una massa dell'ordine di quella totale delle galassie. Se una parte significativa della massa di un ammasso non è sotto forma di galassie nane (che sono di bassa luminosità e quindi non osservabili) la massa mancante è materia oscura.
Materia oscura. - Una frazione rilevante (fino al 95% secondo le stime più estreme) della massa dell'U. è verosimilmente in forma di materia oscura, cioè non visibile (perché non luminosa come quella di stelle e nebulose), né interagente con questa se non gravitazionalmente; l'alternativa secondo cui la legge di gravitazione newtoniana dovrebbe essere corretta alle grandi scale non ha goduto di pari credito. La natura della materia oscura è sconosciuta, anche se abbondano i candidati che possono essere schematicamente suddivisi in: particelle elementari note (neutrini) o ipotetiche (fotini, gravitini, assioni, ecc.) e oggetti non luminosi (planetoidi, stelle nane, buchi neri). La rotazione delle galassie a spirale (e con minore precisione delle ellittiche) ha dimostrato che solo una significativa quantità di materia oscura (dell'ordine di dieci volte quella visibile) in aloni galattici con raggi dell'ordine di 100.000 a.l. può spiegare l'eccesso delle velocità di rotazione osservate rispetto alle velocità compatibili con le masse visibili e può concorrere a stabilizzare i dischi equatoriali. Anche il moto di piccole galassie satelliti di galassie più massicce ha dimostrato che dovrebbero essere presenti massicci aloni estesi oltre i limiti visibili. Il moto della Grande Nube di Magellano, una galassia satellite della nostra, ha portato ad assegnare alla Galassia la massa di 600 miliardi di masse solari, tre volte circa la massa della materia visibile.
Un nuovo approccio al problema sfrutta l'effetto di lente gravitazionale che la presenza di un oggetto astronomico interposto determina sulla luce di una sorgente più distante. La relatività generale aveva portato a prevedere, e le osservazioni hanno confermato, che raggi luminosi che passino in prossimità di un corpo massiccio vengono deviati dalle loro traiettorie rettilinee e s'incurvano dando luogo a una focalizzazione con la formazione di immagini più o meno complesse a seconda dei parametri strutturali coinvolti e della geometria dell'evento. Oggetti oscuri nell'alone della Galassia dovrebbero determinare per effetto di lente gravitazionale una ben definita variazione della luce di stelle della Grande Nube di Magellano. Le condizioni per il verificarsi del fenomeno sono assai selettive ed è necessario tenere sotto controllo milioni di stelle per poter sperare di conseguire un risultato attendibile. Finora, dopo tre anni di osservazione di circa 3 milioni di stelle, sono stati segnalati tre possibili eventi del tipo cercato, apparentemente in buon accordo con le previsioni e indicativi dell'esistenza di oggetti oscuri con masse comprese tra pochi centesimi e mezza massa solare.
Radiogalassie. - L'estensione delle osservazioni a bande non tradizionali ha permesso di scoprire molti oggetti extragalattici insospettati. Le radiogalassie hanno luminosità radio sensibilmente maggiori di quelle che ci si aspetterebbe dalle loro brillanze ottiche; quelle molto luminose nel radio (anche oltre 2 milioni di luminosità solari) sono in genere associate a galassie ellittiche giganti e consentono di sondare l'U. fino a distanze di una decina di miliardi di a.l. È una radiogalassia, Cygnus A, la seconda radiosorgente del cielo in ordine d'intensità decrescente. La morfologia delle radiogalassie è varia e complessa, tuttavia tipiche sono le strutture doppie con la controparte ottica (se individuata) che è una galassia localizzata tra le due sorgenti radio, approssimativamente simmetriche e a essa connesse da ponti di più debole luminosità radio. Le due radiosorgenti sono in genere allineate con la galassia centrale e in allontanamento con velocità di alcune migliaia di km/s.
Tra le radiogalassie s'incontrano gli oggetti singoli più estesi (fino a una quindicina di milioni di a.l.) osservati. L'emissione radio è radiazione di sincrotrone, dovuta cioè a particelle in moto con velocità relativistiche in campi magnetici; la formazione dei lobi radio sarebbe collegata all'attività esplosiva di nuclei galattici attivi, che espellerebbero in direzioni opposte lungo il loro asse di rotazione nubi di plasma. Le energie in gioco devono essere enormi e avere origine in un volume relativamente esiguo, due condizioni che impongono vincoli stringenti al meccanismo in atto (tra le proposte: collisioni di stelle, esplosioni simultanee di supernove e, di maggior credito, un buco nero centrale molto massiccio in accrescimento; v. oltre). La conformazione dei lobi risente anche dell'interazione delle nubi espulse con il mezzo intergalattico che finisce per frenarle fino al loro dissolvimento nell'ambiente circostante.
Altre importanti classi di oggetti sono costituite dalle galassie di Seyfert, dalle galassie N e dagli oggetti tipo BL Lacertae, che, nell'ordine e schematicamente, hanno red shift, attività dei nuclei compatti, emissioni X, ultravioletta, infrarossa e radio crescenti e variabili, anche rapidamente. Affinché una periodicità P della variazione possa perdurare, la massima distanza tra le parti emittenti non deve superare il prodotto cP; le dimensioni dei volumi interessati devono pertanto essere molto esigue (al più dell'ordine dei giorni-luce).
Quasar. - Successivamente alla scoperta delle radiosorgenti quasi stellari sono stati osservati oggetti aventi le stesse proprietà delle quasar, ma radioquieti; anzi proprio questi ultimi hanno finito per costituire la stragrande maggioranza (circa il 90%) degli oggetti quasi stellari (QSO, Quasi Stellar Objects), come viene ora denominata l'intera classe, anche se si continua a chiamarli tutti, estensivamente, quasar.
Sono note varie migliaia di QSO ma si propende a ritenere che essi siano stati in passato i principali costituenti dell'Universo. I grandi red shifts osservati (fino al massimo z = 4,9 contro z≲30,5 per le radiogalassie, salvo alcune marcate eccezioni) implicano moti di allontanamento con grandissime velocità (fino a 0,94 c) e distanze così grandi (fino a 12 miliardi di a.l.) da configurare i QSO come gli oggetti più lontani e antichi. Tuttora dibattuta è la questione se la distribuzione delle quasar ai diversi red shifts comporti a z≅2 una loro maggiore densità spaziale o una loro maggiore luminosità. Nel primo caso il fenomeno quasar sarebbe stato relativamente frequente e di breve durata, nel secondo caso raro e di lunga durata.
Con luminosità dell'ordine di quella di un migliaio di galassie ordinarie e per durate stimate di alcuni milioni di anni, e quindi con un'emissione energetica assai grande, anche superiore a quella dissipata da un miliardo di supernove, l'iniziale ipotesi che i QSO fossero stelle dovette essere abbandonata a vantaggio dell'interpretazione che essi siano nuclei di galassie. Inoltre la loro variabilità è a così corto periodo da implicare dimensioni assai esigue (dell'ordine del mese-luce) delle regioni emittenti e rafforzare l'idea che un buco nero rotante di grande massa aggreghi materia (diffusa e stelle disgregate) dall'ambiente circostante attraverso un disco di accrescimento, del quale si avrebbero conferme osservative per la presenza di un'emissione termica (dovuta cioè alla temperatura del gas) nello spettro di alcune quasar. Negli oggetti più potenti la massa del buco nero potrebbe superare il miliardo di masse solari con un tasso di accrescimento dell'ordine di decine di masse solari all'anno. Anche la Galassia potrebbe avere un buco nero centrale di un milione di masse solari in accrescimento al tasso di 10−5 masse solari all'anno.
Alcuni QSO distanti, oltre al sistema di righe di emissione che portano a un solo valore di z, mostrano un certo numero di sistemi di righe di assorbimento corrispondenti a valori di z diversi e dovuti, forse, a inviluppi in espansione attorno all'oggetto e/o a nubi d'idrogeno interposte con dimensioni galattiche secondo alcuni autori, assai minori secondo altri. La presenza di nebulosità circostanti in alcuni QSO vicini e la coincidenza dei rispettivi red shifts tendono a confermare che questi oggetti siano i nuclei straordinariamente attivi delle prime galassie formatesi nell'Universo. La suddivisione in QSO e nelle diverse classi delle galassie con nuclei attivi non è sempre netta e definita per la gradualità delle proprietà distintive e per alcune significative sovrapposizioni. Ciò ha suggerito che vi sia una sequenza evolutiva che dai QSO porti, attraverso fasi intermedie di oggetto tipo BL Lacertae, galassia N e galassia di Seyfert, alle galassie normali. Staremmo cioè osservando una sequenza di oggetti che, per essere a distanze crescenti, sono progressivamente più giovani e in fasi evolutive più primitive.
Struttura a grande scala. - Recentemente si è manifestato un accresciuto interesse per la struttura a grande scala dell'Universo. Prima del 1965 i conteggi delle radiosorgenti a determinati limiti di flusso avevano fornito l'indicazione di una sostanziale isotropia dell'U. fino a z≅1,5, pur non potendo arrivare a discriminare tra i vari modelli di U. a causa della non nota evoluzione temporale (di densità e/o di luminosità) delle radiosorgenti stesse. Anche successivamente, e fino al 1980, la conoscenza dei red shifts di qualche migliaio di galassie aveva fatto ritenere che la distribuzione spaziale delle galassie fosse relativamente uniforme su scale più grandi di una sessantina di milioni di a.l. I recenti sviluppi tecnologici, con la riduzione dei tempi di osservazione, hanno consentito di aumentare sensibilmente il numero dei red shifts misurati. Nelle ultime ricerche sistematiche, che hanno preso in considerazione una quindicina di migliaia di galassie in zone di cielo selezionate, l'U. è risultato strutturato in modo irregolare su scale di dimensioni più grandi di quelle dei superammassi e fino alle maggiori distanze raggiunte.
In particolare i dati fino a z≅0,05, corrispondente alla distanza di circa 650 milioni di a.l., mostrano che le galassie (e gli ammassi) sono distribuite spazialmente secondo strutture filamentose lunghe anche alcune centinaia di milioni di a.l., verosimilmente intersezioni di distribuzioni stratiformi con interposti vasti volumi di spazio privi del tutto, o quasi, di galassie. La struttura dell'U. sarebbe quindi di tipo cellulare con le galassie disposte nelle pareti di celle contigue aventi dimensioni di più di una decina di volte lo spessore delle pareti stesse e con i superammassi alla confluenza di più pareti.
I dati per red shift compresi tra 0,05 e 1 sono largamente incompleti e non permettono valutazioni altrettanto attendibili; mentre alcuni autori propendono per un'uniformità della distribuzione delle galassie su scale corrispondenti ai red shifts più alti, secondo altri anche per essi l'U. sarebbe strutturato come una spugna, con grandi spazi vuoti più o meno interconnessi e separati da addensamenti di materia disposti su porzioni di superfici. Gli attuali dati sui QSO non contrastano con la congettura che anche per i red shifts maggiori, e fino a 4-5, la struttura dell'U. sia ''spugnosa'' e che tale differenziazione dovesse essere già marcata a un'età dell'U. di meno di un miliardo di anni. Anche la disposizione di 2 milioni di galassie su una vasta regione della sfera celeste confermerebbe l'esistenza di addensamenti e di vuoti cospicui.
La Grande Esplosione. - Diverse indicazioni osservative e teoriche hanno portato al convincimento che l'U. abbia avuto origine con una Grande Esplosione (Big Bang in inglese). Questa teoria fu avanzata, indipendentemente, da A. Friedmann e A.G. Lemaître negli anni Venti, elaborata da G. Gamow e collaboratori negli anni Quaranta e ulteriormente sviluppata da A.H. Guth nel 1981 con la considerazione della cosiddetta inflazione. Nel corso degli anni essa ha ricevuto conferme che ne hanno rafforzato la validità e che l'hanno portata a soppiantare la precedente teoria, proposta da H. Bondi, T. Gold e F. Hoyle nel 1948, dello stato stazionario che, conformando l'U. al principio cosmologico perfetto di un'uniformità spaziale inalterata nel tempo, per mantenere costante la densità a fronte dell'espansione osservata, ipotizzava una creazione continua di materia: un nuovo atomo (d'idrogeno) per decimetro cubo ogni miliardo di anni. I moderni modelli di U. sono basati sulla teoria della relatività generale di Einstein per la gravitazione e sul principio cosmologico; in tutti quelli che prendono origine da una singolarità iniziale (raggio nullo e densità di energia infinita) anche la temperatura del primo istante dev'essere stata infinitamente grande. Con l'espansione conseguente all'esplosione densità e temperatura hanno iniziato a decrescere.
I primi 10−43 s di esistenza dell'U. sono insondabili per le nostre attuali conoscenze in mancanza di una trattazione quantistica della gravitazione (necessaria per la descrizione delle condizioni fisiche allora esistenti); dopo, con una rapidità estrema, si susseguirono eventi che trasformarono radicalmente l'U. fino a portarlo, da una struttura costituita da particelle e antiparticelle fondamentali (quark e leptoni) e da fotoni in equilibrio termico, alla configurazione differenziata che noi oggi osserviamo. L'espansione determinò infatti un rapido raffreddamento di materia e radiazione. All'età di circa 4 × 10−36 s, quando la temperatura era di circa 1027 K, si determinò un eccesso della materia sull'antimateria, mentre i quark andavano formando i barioni. Poi, in circa 4 × 10−6 s, con la temperatura ormai in via di ridursi a circa 1012 K, i barioni instabili scomparvero e rimasero solo protoni e neutroni, finché nei successivi tre minuti circa, con la temperatura in diminuzione verso 108 K, la termofusione di protoni diede luogo alla formazione di nuclei degli elementi leggeri (v. oltre) e l'annichilazione delle coppie particella-antiparticella completò la scomparsa dell'antimateria (che in effetti non si osserva) lasciando presente solo materia ordinaria. All'età di 1000 anni circa la materia finì per prevalere sulla radiazione. Successivamente, all'età di circa 300.000 anni (con un raggio dell'U. corrispondente a un red shift dell'ordine di 1000), quando la temperatura scese al di sotto di 4000 K circa, avvenne la ricombinazione del plasma (che è gas ionizzato) con la formazione di atomi, e l'U. da opaco divenne trasparente alla radiazione con il conseguente disaccoppiamento tra materia e radiazione, che hanno pertanto continuato a evolvere indipendentemente l'una dall'altra. Con l'avvio della condensazione della materia nelle strutture galattiche e con il proseguimento del raffreddamento della radiazione l'U. è infine emerso nella sua attuale configurazione.
Nel modello inflazionario, invece, l'U. si espanse esponenzialmente (da circa 10−28 a 100 cm di raggio) senza una significativa diminuzione della temperatura in un intervallo di tempo brevissimo (tra circa 10−35 e 10−32 s); la successiva espansione, che noi ora osserviamo, è stata assai più lenta ed è avvenuta con una decrescita moderata della temperatura. La considerazione dell'inflazione, conseguenza di cambiamenti di fase, ha portato al superamento di talune serie discrepanze tra teoria standard e osservazione (v. oltre).
Nucleosintesi primordiale. - Le riprove più stringenti della Grande Esplosione sono il flusso di Hubble, la nucleosintesi primordiale e la radiazione cosmica a microonde del fondo. I più recenti modelli di nucleosintesi primordiale dimostrano che la termofusione nucleare trasformò parte dell'idrogeno in elio (per il 24% in massa) e in misura assai minore in deuterio e litio. L'accordo dell'abbondanza dell'elio primordiale con quella ottenuta dalle regioni HII e dagli ammassi globulari galattici indica che l'elio nell'U. ha sostanzialmente avuto un'origine cosmologica; solo una piccola frazione (il 10% circa di tutto quello presente) è di origine stellare. Recentissime osservazioni spettroscopiche hanno confermato che deuterio è presente anche in una nube extragalattica d'idrogeno a distanza cosmologica.
Le abbondanze cosmiche di deuterio, di litio e dell'isotopo leggero dell'elio variano significativamente in funzione della densità della materia ordinaria all'epoca della nucleosintesi (con condizionamento della densità attuale). Separando i contributi dovuti ai processi nucleari successivi l'accordo tra l'abbondanza osservata e quella calcolata porta a una densità attuale tra 2 × 10−31 e 5 × 10−31 g/cm3. Altri metodi basati sulla dinamica generale dell'U. nel contesto dei modelli cosmologici consentono di stimare che la densità attuale di materia (ordinaria e non) è dell'ordine di 2 × 10−30 g/cm3. Tutto considerato, si è portati a concludere che solo una frazione compresa tra il 5% e il 30% circa (a seconda del modello) di tutta la materia cosmica è costituita da materia ordinaria e che, di questa, solo una parte compresa tra il 10% e il 50% è condensata in stelle.
Radiazione cosmica di fondo. - Già nel 1948 G. Gamow e collaboratori avevano previsto sulla base della recessione delle galassie e di una sintesi primordiale di elio per il 10% che l'U. avrebbe dovuto essere attualmente pervaso da una radiazione cosmica di fondo, o fossile, coincidente con quella di un corpo nero a circa 5 K di temperatura. Nel 1965 A.A. Penzias e R.W. Wilson scoprirono alla lunghezza d'onda radio di 7,35 cm questa radiazione che risultò isotropa e, con successive misure estese a più lunghezze d'onda, approssimabile assai bene con quella di un corpo nero a circa 3 K di temperatura. Recenti misure fatte con il satellite COBE (Cosmic Background Explorer), lanciato nel 1989 e in grado di coprire lo spettro elettromagnetico da 10−4 a 1 cm circa, hanno permesso di precisare le distribuzioni energetica e angolare della radiazione a microonde (un fondo cosmico infrarosso, ancorché previsto sulla base dell'emissione da parte di strutture primordiali, non è stato finora rivelato). La radiazione è esattamente (entro la precisione delle misure) di corpo nero alla temperatura di 2,735 K e l'anisotropia corrisponde a differenze di temperatura di solo 30 milionesimi di grado (cioè una parte su 100.000), valore prossimo al limite della sensibilità strumentale, su distanze angolari di circa 10° (la risoluzione angolare strumentale era di 7°). L'anisotropia osservata corrisponde a differenze di non più di 0,1 K all'istante della ricombinazione; allora, quindi, l'U. doveva essere praticamente uniforme. D'altra parte non esistono al momento dati tra z = 4÷5 e z = 1000, che sono invece cruciali per seguire la radicale trasformazione che in un miliardo di anni circa ha portato l'U. dalla perfetta omogeneità alla strutturazione che noi ora osserviamo.
La sostanziale isotropia della radiazione cosmica di fondo induce ad assumere come ''assoluto'' il sistema di riferimento ancorato alla materia che quella radiazione emise. Una piccola anisotropia (di ±3 × 10−3 K tra due punti antipodali) è interpretabile in termini di aumento della temperatura nel verso del moto del Gruppo Locale rispetto a tale riferimento e di diminuzione nel verso opposto. La velocità (560 km/s) e la direzione del moto così desunte risultano però alquanto diverse (scarti di circa 300 km/s e 30° rispettivamente) dagli omologhi valori ottenuti per il moto del Gruppo Locale rispetto al flusso di Hubble. Ciò ha indotto a ipotizzare che il Superammasso si muova verso un'enorme condensazione con massa dell'ordine di 5 × 1016 masse solari, denominata Grande Attrattore e tentativamente localizzata alla distanza corrispondente alla velocità di recessione di 4400 km/s. La presenza di una massa così imponente sarebbe indicata anche da dati ottenuti con il satellite IRAS per l'infrarosso che ha mostrato un addensamento di galassie proprio nella regione celeste del Grande Attrattore e una rarefazione nella regione opposta. Altre ricerche in corso confermerebbero l'esistenza del Grande Attrattore e indicherebbero la presenza di almeno un'altra grande condensazione identificata con il superammasso dei Pesci-Perseo, anch'esso attratto, secondo alcuni autori, dal Grande Attrattore che estenderebbe pertanto i suoi effetti fino a distanze di circa 600 milioni di a.l.
La formazione delle strutture galattiche. - Poiché l'instabilità gravitazionale non è da sola in grado di dare l'avvio alla condensazione di strutture sufficientemente massicce (al più potrebbe portare alla formazione di superstelle di qualche migliaio di masse solari), è stata ipotizzata la presenza nel fluido primordiale di ''semi'' adeguati a svilupparsi per effetto della gravità in galassie e ammassi anche in considerazione della turbolenza connessa all'espansione inflazionaria. Sono stati proposti vari tipi di semi, quali variazioni casuali della densità, difetti nella topologia dello spazio-tempo causati da transizioni di fase negli istanti iniziali (stringhe cosmiche o tessiture cosmiche, massicce condensazioni di materia a filamenti o a nodi rispettivamente) o dopo i primi 300.000 anni.
Disomogeneità del fluido primordiale implicano irregolarità nella radiazione evidenziabili come fluttuazioni di temperatura (nelle regioni più dense il campo gravitazionale è più intenso e quindi la lunghezza d'onda della radiazione è maggiore e la temperatura minore). L'anisotropia richiesta varia, a seconda del modello, tra 1 e 6 parti per milione, meno, quindi, di quanto è possibile ora osservare. La scala angolare delle irregolarità pone un vincolo all'istante di formazione dei semi galattici. Poiché nessuna informazione può trasmettersi più velocemente della luce, all'istante del disaccoppiamento tra materia e radiazione la massima dimensione di regioni tra loro connesse da un legame di causa ed effetto non può aver ecceduto 300.000 a.l., corrispondenti sulla sfera celeste di oggi a una distanza angolare tra 0,5° e 1,5° a seconda del modello di U. (v. oltre). Le fluttuazioni misurate da COBE potrebbero essere ricondotte alla formazione di strutture galattiche solo nello schema del modello inflazionario, la cui rapidissima e notevolissima espansione, rendendo omogenei volumi enormemente più grandi di quelli ottenibili nel modello standard, può giustificare la straordinaria isotropia e la curvatura praticamente nulla dell'U. osservabile, pur non arrivando a spiegare l'aggregazione delle galassie alle scale più grandi e l'esistenza dei QSO più antichi.
Se però la materia dell'U. è in gran parte materia oscura, la sua mancata interazione (eccetto quella gravitazionale) con la materia visibile e la radiazione potrebbe legittimare l'assenza di fluttuazioni e, ciò nonostante, la materia ordinaria potrebbe essersi condensata attorno ad addensamenti di materia oscura. Si possono ipotizzare i due casi estremi di materia oscura ''calda'' o ''fredda'', le cui componenti abbiano cioè avuto, al tempo della formazione delle galassie, rispettivamente velocità vicine, o assai inferiori, alla velocità della luce. Materia fredda (per es. qualcuno dei tipi di particelle ipotizzate) sembra meglio adattarsi al caso di semi derivanti da variazioni di densità; materia calda (per es. neutrini) al caso di difetti cosmologici. La distribuzione spaziale delle galassie osservate risulta intermedia tra quelle ottenute con modelli con materia fredda o con materia calda (materia fredda tende a condensarsi più facilmente di materia calda: nel primo caso si formerebbero troppe strutture di piccola scala e nel secondo troppo poche); il miglior accordo sarebbe conseguito da modelli misti con materia oscura fredda e calda.
Recentemente è stato osservato un ammasso di galassie con z = 3,4; se questo dato fosse confermato e se venissero scoperti altri ammassi così distanti, dei due modelli contrapposti sulla formazione delle strutture galattiche riceverebbe supporto quello che prospetta la formazione di protoammassi e la loro successiva suddivisione in galassie a fronte dell'altro che congettura prima la formazione delle galassie e poi la loro aggregazione in ammassi.
L'evoluzione dell'Universo. - I modelli di U. sono caratterizzati dalla metrica dello spazio attraverso la costante di curvatura k che condiziona le variazioni temporali delle quantità d'interesse, quali età, redshift, tasso di espansione H, parametro di decelerazione q, densità di materia e radiazione ϱ.
Per quelli più semplici (e contrassegnando con l'indice zero i valori attuali), se lo spazio è iperbolico aperto (k = -1) allora 0〈q0〈0,5, ϱ0〈ϱc e l'U. si espanderà per sempre; se lo spazio è piatto euclideo (k = 0) allora q0 = 0,5, ϱ0 = ϱc e l'espansione proseguirà senza fine pur tendendo H ad annullarsi; se lo spazio è ellittico chiuso (k = + 1) allora q0>0,5, ϱ0>ϱc e l'espansione avrà termine e l'U. (''oscillante'') collasserà di nuovo verso la singolarità. La densità critica ϱc≅10−29 g/cm3 corrisponde alla separazione tra le due situazioni di energia cinetica di espansione maggiore o minore (rispettivamente per ϱ0 più piccola o più grande di ϱc) dell'energia potenziale gravitazionale.
Il valore di q0 sarebbe ottenibile con osservazioni di galassie lontane ma in pratica sfugge alla determinazione a causa della mal conosciuta evoluzione in luminosità delle galassie. Sulla base di varie indicazioni osservative e teoriche (in particolare dai modelli inflazionari) si può congetturare che ϱ0 = ϱc se la massa della materia ordinaria è solo il 5-10% (di cui solo un 10% nella forma luminosa di stelle e nebulose e il resto nella forma non luminosa di oggetti difficilmente o niente affatto visibili) e il restante 90-95%, cioè la stragrande parte, è materia oscura.
La legge di Hubble porta a una stima dell'età dell'U., che, se è andato espandendosi uniformemente, avrebbe avuto origine τ0 = 1012/H0 anni orsono (tempo di Hubble). Stime più precise dell'età τ (tempo di Friedmann) dipendono dal modello di U. adottato; nel modello standard di U. piatto euclideo si ha per es. τ = 2τ0/3≅9 miliardi di anni. Come si è detto, l'età delle stelle più antiche è di 15 miliardi di anni. La discrepanza è seria e accentuata dall'intervallo di tempo (fino a un miliardo di anni) che dovrebbe essere intercorso tra la nascita dell'U. e la formazione degli ammassi globulari. Solo ulteriori osservazioni potranno dirimere la questione.
Bibl.: M. Krauss Lawrence, The fifth essence: the search for dark matter in the universe, New York 1990; M.S. Longair, The origin of our universe, Cambridge 1990; A.P. Lightman, Ancient light: our changing view of the universe, Cambridge (Mass.) 1991; M. Riordan, D.N. Schramm, The shadows of creation: dark matter and the structure of the universe, Oxford 1991; G. Börner, The early universe, Berlino-New York 1993; J.M. Pasachoff, H. Spinrad, P.S. Osmer, E. Cheng, The farthest things in the universe, Cambridge 1994; D.N. Schramm, The big bang and other explosions in nuclear and particle astrophysics, Singapore 1995.