uopo (uo')
Ricorre solo nella Commedia e in un esempio del Fiore, con il significato di " bisogno ", " necessità ": Pg XVII 59 quale aspetta prego e l'uopo vede, / malignamente già si mette al nego; e così in XVIII 93 e 130 (dove quei che m'era ad ogne uopo soccorso è Virgilio), XXV 21. Quando Amore ricorda a Falsembiante come egli vada predicando e lodando la povertà, l'interlocutore risponde: Ver'è, ad uopo altrui, / ch'i' non son già su' amico, né ma' fui (Fiore CVI 2), dove la locuzione significa " perché gli altri ne traggano vantaggio " (e si sottintende, " ma non per me ").
In qualche caso ricorre la locuzione ‛ essere u. ' con il significato di " essere necessario ": Pd I 118 Infino a qui l'un giogo di Parnaso / assai mi fu; ma or con amendue / m'è uopo intrar ne l'aringo rimaso; e così in VIII 114, XI 27 (qui è uopo regge una proposizione soggettiva); Pg XXVI 19 Né solo a me la tua risposta è uopo.
Come la maggior parte dei commentatori più recenti, in If II 81 il Petrocchi adotta la lezione ristabilita dalla '21 e che gode della migliore attestazione nei codici antichi, più non t'è uo' ch'aprirmi il tuo talento, che comporta d'interpretare " a te non occorre altro che dichiararmi il tuo desiderio ". La vulgata dell'Ottocento conosceva però anche la lezione più non t'è uopo aprirmi il tuo talento, già preferita dal Foscolo, dal Moore, dal Torraca e da altri e poi ripresa dal Porena, dal Momigliano e dal Sapegno; in questo caso il verso verrebbe a dire " Non hai bisogno di meglio spiegarmi il tuo desiderio " (Torraca). Per tutta la questione, e per la relativa bibliografia, cfr. F. Mazzoni, Saggio di un commento alla D.C., Firenze 1967, 280-281.