UR
Antichissima città della bassa Mesopotamia, situata 15 km a O dell'attuale corso dell'Eufrate, nel luogo ora detto dagli Arabi Tell el-Muqayyar, "il tumulo della pece".
Nel 1854 J. E. Taylor, console inglese a Bassora, eseguì alcuni sondaggi nella località, che venne subito identificata, grazie ad alcune iscrizioni rinvenute, con "Ur dei Caldei", la città considerata dalla Bibbia la patria di Abramo. Nel 1918 R. Campbell Thompson visitò Ur per incarico del British Museum ma una vera e propria spedizione si ebbe solo nel 1919, allorché H. R. Hall condusse degli scavi a Ur e nella finitima località di al-῾Ubayd, portando alla luce notevolissimi resti di età preistorica. Interrotti per mancanza di fondi, i lavori furono ripresi nel 1922 allorché si costituì una spedizione comune del British Museum e dell'Università di Pennsylvania. La direzione fu affidata a Leonard Woolley, il quale, nei dodici anni in cui il gigantesco cantiere rimase aperto (1922-1934), fu coadiuvato da varî altri archeologi ed epigrafisti (M. E. L. Mallowan, C. J. Gadd, L. Legrain, ecc.).
Gli strati più antichi del tell contengono resti di ceramica che si suole designare col nome di al-῾Ubayd, dal tumulo quattro miglia a N di Ur ove fu rinvenuta in gran quantità; sono vasi fatti a mano, decorati con disegni geometrici neri e marrone su fondo chiaro (triangoli, quadrati, rombi, linee ondulate); furono trovati anche utensili in pietra (zappe, macine e mortai) e falci in argilla. La comunità aveva una economia essenzialmente agricola e viveva in capanne di giunchi; nelle tombe, in cui i corpi giacevano sul dorso, con le mani incrociate all'altezza dello stomaco, si rinvennero statuette in terracotta rappresentanti figure femminili nude, nell'atto di allattare un bambino, ovvero con le mani congiunte davanti al corpo; esse hanno il triangolo pubico fortemente segnato e la testa ofidica, apparentandosi ad un tipo diffuso in altre località preistoriche mesopotamiche. Dopo uno strato di fango alluvionale che interrompe lo strato al-῾Ubayd (Woolley riteneva ingenuamente che si trattasse della grande alluvione che avrebbe generato la credenza del diluvio universale), si hanno frammenti di vasellame con decorazione monocroma rossa, ottenuta mediante un bagno d'ematite, ovvero con un'ingubbiatura grigia o nera, risultante dall'impiego del forno "a fumo". Sopra questi vasi fabbricati al tornio, che appartengono alla fase di Uruk, comincia la fase di Gemdet Nasr (v.).
A questo periodo appartengono frammenti di vasi dipinti in rosso e nero su un fondo giallo rossiccio, molti sigilli cilindrici e a stampo, e varî resti architettonici. Una ziqqurat (v.) sorgeva su un'alta piattaforma artificiale, di cui Woolley rinvenne il muro di sostegno, adorno di mosaici composti di chiodi smaltati, simili a quelli dell'É-anna di Warka (v. uruk). Fu trovato inoltre un cimitero, con una serie di tombe sovrapposte fino a un massimo di otto e di cui l'ultimo strato era scavato nel deposito del diluvio. A differenza delle sepolture di al-῾Ubayd, nelle quali i cadaveri giacciono distesi sul dorso, i corpi sono ora disposti su un fianco, con le gambe flesse fino a toccare il mento, nella tipica posizione "embrionale". La suppellettile funebre comprende all'inizio vasi d'argilla con decorazione tricroma poi, in sempre maggior numero, vasi in pietra calcarea, steatite, diorite, alabastro.
Al periodo di Gemdet Nasr succede quello protodinastico o della Necropoli Reale. La zona del cimitero, addossata all'area sacra di Ur, comprende in realtà due fasi, risalenti ad epoche diverse; le tombe superiori sono dell'epoca di Sargon di Akkad; quelle inferiori, in numero di circa duemila, appartengono al periodo protodinastico. Sono per la maggior parte tombe di comuni cittadini, costituite da fosse rettangolari, in cui il cadavere giaceva su un fianco, avvolto in una stuoia o chiuso in un sarcofago, circondato da offerte e da varî oggetti personali; solo in pochi casi le suppellettili erano di grande magnificenza, come il vasellame e le armi d'oro provenienti dalla tomba di Meskalamdug. Sedici di queste tombe si differenziano notevolmente dalle altre, dal momento che sono costituite da sepolcri in pietra e mattoni, veri e proprî ipogei di una o più camere. Dai ricchissimi corredi funebri rinvenuti, possiamo ricostruire le complesse cerimonie che accompagnavano l'inumazione dei re della città e che comprendevano anche i sacrifici cruenti; accanto ai sovrani erano infatti uccisi i personaggi del seguito, cortigiani e guerrieri, scudieri con i loro carri trainati da buoi e schiavi di ambo i sessi. Particolarmente celebri sono le tombe di Abargi e della moglie Shubad che hanno restituito bellissime arpe adorne di pannelli intarsiati, vasellame d'oro e gioielli in gran numero, di fattura assai raffinata. Quando le cripte sotterranee venivano chiuse, si sacrificavano sul fondo del pozzo i personaggi del seguito. Indi anche questo vano era riempito e fuori della terra venivano erette con tutta probabilità delle cappelle funerarie. Si dubitò a lungo della natura regale delle tombe di Ur, giacché la letteratura sumerica non contiene allusioni ai sacrifici cruenti come parte integrante del funerale dei sovrani. Ma anche nell'Egitto della prima dinastia sembrano attestati sacrifici analoghi, onde può dirsi che si tratti di ipogei regali, testimonianti una fede nell'aldilà su cui peraltro i testi gettano scarsissima luce. Al periodo protodinastico risale pure la ziqqurat, che fu poi incorporata in quella della III dinastia; essa sorgeva su una grande terrazza circondata da un muro spesso dodici metri ed è forse da attribuirsi a quel Mesannipadda (circa 2700 a. C.) che divenne sovrano di tutto il paese di Sumer. Due altri edifici occupavano gli angoli N ed E della terrazza; per analogia con le costruzioni più tarde, dobbiam9 considerarli, rispettivamente, la "cucina" di Nannar, il dio lunare patrono di Ur, cioè il luogo in cui venivano preparate le offerte, e il tempio di Ningal, sua paredra.
Quindici tombe del Cimitero Reale segnano il trapasso dal periodo protodinastico a quello sargonide. Dopo la fine della I dinastia di Ur, quella del grande Mesannipadda, i governatori di Lagash mantennero per molte generazioni la loro supremazia sulla città; di Entemena si ritrovò una statua acefala nell'area dietro la ziqqurat. Caduta Lagash, Sargon distrusse Ur: ma rispettò i culti locali, dal momento che sua figlia divenne gran sacerdotessa di Ningal. Le tombe di età sargonide non differiscono nel tipo e nel rituale della sepoltura da quelle più antiche, ma le offerte e gli arredi sono assai più modesti.
Dopo un breve interludio sotto il dominio di Uruk, la città si risolleva sotto la sua gloriosa III dinastia. Ur-Nammu, il capostipite (2112-2085 a. C.), inaugura una politica di grande sviluppo edilizio. Innalza le mura della città, che costituiscono un bastione ovale di quattrocento metri di perimetro; inizia, sulla pianta della ziqqurat dei periodi Gemdet Nasr e protodinastico, una nuova torre templare, che si eleva imponente nell'angolo occidentale del tèmenos, detto É-gish-shir-gal e racchiudente i principali edifici sacri della città. La ziqqurat di Ur-Nammu comprendeva tre piani; quello inferiore era alto venti metri ed era accessibile mediante tre scale, intersecantisi alla sommità; le terrazze erano presumibilmente rivestite di alberi, mentre al vertice della torre sorgeva il sacrario di Nannar. Il grande cortile del dio della luna, in cui venivano raccolte le offerte e i tributi destinati alla sua persona e al suo clero, occupava la restante parte di N-O dell'area sacra. Ai saccheggi degli Elamiti prima, dei re babilonesi poi, scamparono soltanto due edifici della III dinastia: l'É-khursag, una grande costruzione quadrata sul lato S-E del témenos, che abbiamo buone ragioni per considerare il palazzo reale di Ur, e il mausoleo degli stessi sovrani, che sorge nella zona dell'antico Cimitero Reale. Qui Woolley riconobbe, nei tre edifici che costituiscono tuttavia parte di un unico complesso, le tombe di Ur-Nammu, del figlio di costui Shulgi e di Shu-Sin, figlio e successore di Shulgi. Le costruzioni comprendono due parti, le camere tombali vere e proprie, composte da due bassi ambienti sotterranei in cui riposava il re col suo seguito (i sacrifici collettivi del Cimitero Reale non erano evidentemente caduti in disuso), e gli edifici soprastanti, in cui si svolgevano ininterrottamente altre cerimonie funebri in onore del re defunto. Della pietà religiosa di Ur-Nammu è testimonianza significativa la grande stele frammentaria che mostra il sovrano adorante Nannar e la sua paredra e nell'atto di costruire la ziqqurat per il dio della luna; tuttavia la rappresentazione palesa un incipiente convenzionalismo se viene paragonata alle placche intarsiate e ai sigilli del Cimitero Reale.
I re di Isin e di Larsa si adoperarono a restaurare gli edifici di Ur. Enannatum, figlia del re di Isin Ishme-Dagan, sacerdotessa di Nannar, edificò a Ningal un tempio, che ricalca fedelmente quello della III dinastia. I resti più significativi di questo periodo provengono dalle case private, abbandonate all'improvviso allorché, nel 1729 a. C., Samsu-iluna di Babilonia distrusse Ur. Esse ci danno perciò un quadro assai fedele della vita di una città sumerica alla fine del III millennio. Vi è assoluta assenza di un piano regolatore; le vie sono strette e tortuose, non lastricate, e dividono case a due piani in mattoni, prive di finestre, e aventi all'interno una pianta canonica, costituita da un cortile centrale su cui si aprono le stanze. Quelle del pianterreno comprendono la camera di ricevimento per gli ospiti, la cucina e il dormitorio per gli schiavi; la famiglia vive al piano superiore, cui si accede mediante una scalinata che si prolunga in un ballatoio ligneo, circondante i quattro lati del cortile. Un'altra caratteristica delle abitazioni del periodo di Larsa è la presenza delle sepolture domestiche; sotto l'ammattonato di un cortile della casa, in genere adiacente alla stanza degli ospiti, si trova una cripta contenente i corpi dei defunti, cui varie offerte venivano consacrate in una sorta di cappellina coperta, che sorge ad una delle estremità del cortile.
La penultima fase di grande attività edilizia in Ur si svolse sotto i sovrani cassiti. Intorno al 1400 a. C. Kurigalzu II ricostrul il grande cortile di Nannar; un altro edificio sovrastato da una cupola centrale con archi a botte, che anticipa talune costruzioni parthiche, fu innovazione del sovrano cassita: si tratta del tempio di Ningal, che occupa l'area a S-E della ziqqurat e che si diversifica dal Gig-par-ku costruito da Enannatum, dal momento che non ne ritiene più l'aspetto massiccio e sostituisce i due santuarî antichi con un solo ambiente templare. Il re cassita riedificò inoltre il Dub-lal-makh o "Casa delle Tavolette", su un nuovo terrapieno: quella che sotto Ur-Nammu era una semplice porta di accesso alla terrazza della ziqqurat diviene ora un santuario e un tribunale.
Sulla pianta del tempio cassita di Ningal, nel VII sec. a. C. Sin-balatsu-qbi, governatore di Ur al tempo di Assurbanipal d'Assiria, eresse un nuovo edificio che fu poi restaurato da Nabonedo. Con la dinastia neo-babilonese, la città, ormai avviatasi verso la decadenza, conosce un ultimo breve periodo di splendore. Ma si tratta di una reviviscenza dettata dall'interesse antiquario dei sovrani, anziché da condizioni economiche e storiche propizie. L'opera principale di Nabucodonosor, oltre la riedificazione dell'É-nun-makh, il tempio congiunto di Nannar e Ningal, fu la costruzione del muro del tèmenos, possente rettangolo di m 400 × 200, che comprendeva tutti gli edifici connessi col culto di Nannar; il muro era spesso undici metri, alto dieci, interrotto da sei porte fortificate, ed oltre che segno tangibile della pietà religiosa del sovrano era quindi un validissimo strumento di difesa. Il nome di Nabonedo è legato invece alla ricostruzione della ziqqurat di Ur-Nammu; il re babilonese lasciò intatto il primo piano che era ancora ben conservato, ma per il resto innovò profondamente la struttura della torre templare portando il numero delle terrazze da tre a sette, sul modello della ziqqurat di Babilonia, ed edificando sulla sommità il nuovo tempio di Nannar, un piccolo edificio quadrato di mattoni smaltati azzurri, sormontato da una cupola dorata. Il re edificò pure un palazzo, l'É-gig-par, caratterizzato da contrafforti a denti di sega sui muri, secondo una moda tipica del tardo periodo babilonese; il palazzo era la residenza della figlia del re, Belshalti-Nannar, che portava l'antico titolo di gran sacerdotessa di Nannar. Dopo la caduta dell'impero neo-babilonese Ciro il Grande restaurò per l'ultima volta l'É-nun-makh; poi fu l'irrimediabile decadenza, accresciuta dall'inaridirsi del vecchio alveo dell'Eufrate, che segnò la fine di quel traffico fluviale da cui la città aveva tratto una delle fonti della sua prosperità.
Bibl.: J. E. Taylor, Notes on the Ruins of Muqeyer, in Journal of Royal Asiatic Society, XV, 1885, pp. 260-76; C. L. Woolley, rapporti annuali in The Antiquaries Journal, III, 1923; XIV, 1934; H. R. Hall-C. L. Woolley, Ur Excavations, I. Al-'Ubaid, Oxford 1927; C. J. Gadd, L. Legrain, e altri, Ur Excavations Texts, I-V, Londra 1928-1953; C. J. Gadd, The History and Monuments of Ur, Londra 1929; C. L. Woolley, Ur Excavations, II. The Royal Cemetery, Testo e tavole, Londra 1934; L. Legrain, Ur Excavations, III. Archaic Seal-Impressions, Londra-Filadelfia 1936; C. L. Woolley, Ur Excavations, V. The Ziggurat and its Surroundings, Londra-Filadelfia 1939; L. Legrain, Ur Excavations, X. Seal Cylinders, Londra-Filadelfia 1951; C. L. Woolley, Ur Excavations, IV. The Early Periods, Londra-Filadelfia 1956; id., Excavations at Ur. A Record of Twelve Years' Work, Londra 19552 (traduz. italiana: Ur dei Caldei, Torino 1958); C. L. Woolley-M. E. L. Mallowan, Ur Excavations, IX. The Neo-Babylonian and Persian Period, Londra-Filadelfia 1961.
Fra gli studî parziali su Ur i più importanti sono: G. Offner, Les grandes écoles de glyptique à l'époque archaïque (d'Uruk IV à la Ire dynastie d'Ur), in Revue d'Assyriologie, XL, 1945-46, pp. 172-74; ibid., XLI, 1947, pp. 119-26; M. Lambert, Nouveaux documents concernant la ville d'Our, ibid., XLIV, 1950, pp. 73-87; id., La Cité Sainte d'Our à l'époque d'Our, III, in Sumer, VI, 1950, pp. 149-64; B. Buchanan, The Date of the So-Called Second Dynasty Graves of the Royal Cemetery at Ur, in Journal of American Oriental Society, LXXIV, 1954, pp. 147-53; E. Sollberger, Sur la chronologie des rois d'Our et quelques problèmes connexes, in Archiv für Orient-forschung, XVII, 1954-55, pp. 10-48; M. E. L. Mallowan-D. J. Wiseman (ed.), Ur in Retrospect, in Iraq, XXII, 1960, pp. 1-248.