LAMPREDI, Urbano
Nacque a Firenze il 13 febbr. 1761 da Cosimo e Anna Maria Rozzini; al fonte battesimale gli fu imposto il nome di Iacopo Giuseppe Felice. Il 5 nov. 1780 entrò tra i chierici regolari delle Scuole pie della sua città, e pronunciò la professione solenne il 9 genn. 1783 con il nome di Urbano di S. Giacinto. Nel 1784 fu inviato nel prestigioso collegio Tolomei di Siena, passato agli scolopi dopo lo scioglimento della Compagnia di Gesù, dove per molti anni insegnò filosofia. Risalgono ad allora le sue tesi di filosofia e le Ricerche sopra una nuova specie di conoidi coniche (in Atti dell'Accademia dei fisiocritici, VII [1794], pp. 47-53). Intraprese in questo periodo anche la traduzione dell'Iliade.
Tra la fine del 1796 e l'inizio del 1797 il L. ottenne con breve pontificio la secolarizzazione; nel maggio 1796 fu ancora presente nella congregazione generale della provincia toscana, e nel 1797 altre fonti lo assegnano alla casa di Cortona. È possibile che la secolarizzazione fosse dettata dall'entusiasmo per le idee rivoluzionarie, ma non va esclusa un'insofferenza per la disciplina regolare. Rientrato a Firenze come semplice abate, si inserì nei circoli letterari. All'inizio del 1798 si trasferì a Roma, dove il 15 febbraio fu proclamata la Repubblica sotto l'egida dell'armata francese. Fattosi notare sin dalle prime settimane nei circoli patriottici (sembra fosse il fondatore della Società dei veterani e quindi del Club degli emuli di Bruto, di orientamento radicale), il L. divenne uno dei principali protagonisti della vita politica di Roma democratica. Membro dell'Istituto nazionale (cui lesse la sua versione di Omero), grazie ai rapporti con vari dirigenti repubblicani fu direttore del principale foglio della Repubblica, il Monitore romano, pubblicato dal 21 febbr. 1798.
Del Monitore e del contributo del L. sono stati messi in rilievo la prudenza e il moralismo. Il moderatismo ideologico è stato visto come corollario di un moderatismo politico e sociale, ancorato a un liberismo di matrice fisiocratica e a una concezione elitaria della democrazia. La storiografia più recente ha invece evidenziato la convergenza del foglio romano con la cultura politica della sinistra neogiacobina francese, impegnata in una riflessione intorno alle condizioni concrete di esercizio della democrazia e tesa alla difesa della costituzione dell'anno III come quadro per una progressiva estensione dei diritti politici e freno alle tentazioni autoritarie dell'esecutivo. Proprio su questa linea si svolse la riflessione del L. nella sezione di Istruzione pubblica, mentre la sua satira colpiva corruzione e abuso di potere da parte soprattutto del Consolato, considerato prono esecutore della politica direttoriale.
Foglio di informazione e di educazione politica, più volte sospeso dal governo, il Monitore ebbe parte attiva nella dura lotta politica che attraversò le istituzioni repubblicane. Il L. fu uno degli attori principali della caduta del primo Consolato, nel settembre 1798; fu poi inviato come commissario straordinario nel dipartimento del Tronto, un incarico che, se da un lato corrispondeva alla volontà di rinvigorire le istituzioni democratiche, dall'altro allentava la presa del periodico sull'operato delle autorità. Solo nel febbraio 1799 il L. riprese le redini del Monitore, scrivendo nei mesi seguenti alcuni dei più incisivi articoli di analisi dei mali della Repubblica e di denuncia dell'inettitudine dei dirigenti.
Il 18 maggio 1799 il L. fu nominato tribuno per il Dipartimento del Tevere, ma dopo poche settimane i Consigli legislativi furono sospesi. Lavorò al Monitore fino al 18 sett. 1799; alla caduta della Repubblica, a tenore della convenzione di resa, esulò in Francia. Il comune destino fu occasione di riavvicinamento tra alcuni; tuttavia la dura vita dei romani in Francia mantenne vive rivalità personali e divergenze politiche, che si sarebbero periodicamente riproposte. Privo dell'autorizzazione a rimanere a Parigi, in un clima sempre più denso di sospetti per gli esuli italiani, nell'estate del 1800 accettò un incarico di insegnante di matematica e latino nel collegio di Sorèze, dove rimase fino al 1806, trascorrendo poi un anno a Tours. Mantenne comunque i contatti con i circoli politici e letterari della capitale, tanto da rendersi protagonista della polemica che nel 1807 si svolse in vari periodici francesi contro V. Monti, assurto agli occhi di molti antichi patrioti italiani e francesi a simbolo della disinvolta superficialità che tanto aveva giovato all'evoluzione autoritaria del regime napoleonico.
Restano misteriose le ragioni che spinsero il L. a intraprendere nel 1807 un lungo e avventuroso viaggio attraverso l'Europa, concluso malamente in Spagna, quando fu rapinato e costretto a rientrare. Alla fine del 1808 tornò in Italia e si fermò a Milano, capitale culturale dell'epoca. Ottenne un impiego come professore di matematica per la reale casa dei paggi, grazie soprattutto all'appoggio di Luigi Lamberti, un altro esule della Repubblica Romana divenuto influente intellettuale e funzionario nel processo di istituzionalizzazione burocratica della cultura nell'Italia napoleonica. A questo si deve il riavvicinamento del L. a Monti, allora impegnato nella versione dell'Iliade. Oltre a diventare insegnante della figlia di Monti, Costanza, il L. fu prodigo di consigli e di aiuti per la versione; inoltre intervenne più volte a difenderla, partecipando dalle colonne di vari periodici al dibattito sulle traduzioni omeriche sollevato da U. Foscolo e dibattendo argomenti dell'attualità letteraria.
A Luigi Lamberti è legata la partecipazione del L. al settimanale Il Poligrafo. Ispirato a un eclettico quanto vivace classicismo, il periodico fu anche concepito in opposizione agli Annali di scienze e lettere di Foscolo e dei suoi giovani collaboratori, non solo per la loro proposta letteraria, ma anche per il progetto etico-politico che la sosteneva e che aveva trovato nella Orazione pavese di Foscolo una veemente espressione.
Sul Poligrafo il L., in particolare, criticò severamente l'Ajace, andato in scena nel dicembre 1811, contribuendo al deflagrare dell'affare politico intorno al dramma, accolto come una critica all'imperatore. La sua stroncatura si aggravò con la circolazione nei circoli culturali della città di epigrammi sarcastici contro la non facile personalità di Foscolo, che rispose con velenosi versi. La polemica, uno degli episodi del rafforzamento dell'establishment politico e culturale della Milano imperiale contro ogni dissenso, fu poi portata avanti da Foscolo nel suo visionario Hypercalpseos liber singularis (1816), dove raffigurò il L. nel personaggio di Ieronomo, seminatore di liti e discordie.
Nel 1812, comunque, il L. fu incaricato di curare insieme con L. Valeriani un'edizione dei codici della Biblioteca Riccardiana, divenuta di proprietà pubblica. Si recò a Firenze, ma il progetto si arenò presto ed egli accettò l'incarico di precettore, a Napoli, dei figli di F. Pignatelli principe di Strongoli, conosciuto a Roma durante la Repubblica.
Il soggiorno a Napoli fu per il L. l'occasione di condurre una vivace attività giornalistica. Tra l'altro, ebbe una lunga polemica col Monti sulle cosiddette giunte veronesi al Vocabolario della Crusca (Lettere filologiche e critiche intorno all'opera del cav. V. Monti. Proposta d'alcune correzioni ed aggiunte al Vocabolario della Crusca, Napoli-Milano 1820), esprimendosi su una posizione decisamente purista e toscana. Tuttavia impostò la questione del rapporto tra tradizione letteraria e uso secondo una concezione dinamica, che risentiva del modo in cui la pedagogia rivoluzionaria aveva teorizzato il rapporto tra élites e popolo.
Nella rivoluzione del 1820-21 il L. partecipò al dibattito costituzionale, intervenendo dalle colonne della Minerva napolitana (I [1820], pp. 310-318, 348-354) contro l'esclusione del baronaggio dalle cariche; una proposta che risentiva delle preoccupazioni e delle strategie del triennio 1796-99, ma che apparve cauta e compromissoria alle più giovani generazioni liberali. Alla sconfitta del governo costituzionale il L. fu esiliato. La sua versione, che si trattasse della vendetta di G. Mollo, le cui doti poetiche aveva criticato su Il Poligrafo, appare poco convincente; piuttosto fu esiliato per il suo passato rivoluzionario e i legami con esponenti di punta del fronte costituzionale.
Come molti altri intellettuali e liberali napoletani si ritrovò a Firenze, dove, nonostante la precarietà della sua situazione (una lettura dantesca da lui ottenuta fu rapidamente soppressa), collaborò assiduamente alla Antologia di G.P. Vieusseux. Ma le sue peregrinazioni non erano ancora terminate: nel 1823 partì alla volta di Parigi, dove fu al servizio del conte G. Orlov, poi per Londra, che stava diventando l'asilo del fuoruscitismo liberale italiano (vi erano, tra gli altri, l'amico L. Angeloni e Foscolo, con il quale il L. tentò senza successo un chiarimento). Quindi, tornato sul continente, accettò un impiego come precettore presso l'industriale del carbone N. Waroqué, che lasciò dopo soli cinque mesi; dopo avere ancora sostato a Parigi, rientrò in Italia nell'estate 1825 toccando varie città. Fu poi a Ragusa (Dubrovnik), dove si ammalò e rimase due anni ospite di un antico allievo del Tolomei, N. Pozza di Sorgo. Solo nel 1827 tornò a Napoli, ospite di un altro ex allievo, F. Ricciardi conte di Camaldoli, fino al 1832, quando, con una pensione concessagli da questo, si trasferì in un appartamento.
Vecchio e malato, costretto a vivere assai modestamente, il L. fu tuttavia molto attivo. Si dedicò soprattutto alla traduzione di autori greci, portando a compimento la sua decennale riflessione sui testi omerici e riscoprendo autori minori che rivelano uno spiccato gusto per la poesia didascalica, nel quadro di quell'ellenismo alessandrino che tanto aveva contraddistinto la cultura napoleonica.
Dopo Il canto 23. dell'Odissea d'Omero volto in endecasillabi italiani e Alcuni saggi di una nuova traduzione inedita poetica italiana dell'Odissea (entrambi Napoli 1830) dedicò a F. Ricciardi il Nuovo volgarizzamento metrico della Iliade… (ibid. 1833); ma intanto aveva dato alle stampe un Saggio di traduzioni in versi sciolti del poema d'Oppiano Cilice sulla caccia e la pescagione (Palermo 1830, che ebbe molte edizioni), I fenomeni, o Le apparenze celesti d'Arato Solitano (Napoli 1831) e una versione da Trifiodoro (La presa di Troya, ibid. 1834). Negli stessi anni coltivò la poesia sacra, dando alla stampa una fortunata serie di perifrasi poetiche di salmi.
Impossibile fornire una bibliografia dell'attività giornalistica del Lampredi. Altre sue opere sono: La corsa nella piazza di Siena, Siena 1793; Alli cittadini tribuni per la comune di Bevagna, Roma 1798; Il sogno di Partenope, Napoli 1817; Il sogno di Scipione, ibid. 1818; Lettera intorno varie cose spettanti alle opere di Tommaso Chersa (s.n.t.); Alla memoria della contessa Anna Orloff, ode, Paris 1824; All'onoranda memoria di Luisa Ricciardi… lettera encomiastica…, Napoli 1832; Egloga di messer Lodovico Ariosto con altre poesie similmente inedite, ibid. 1835; Lettera… sul merito della versione della morte di Abele di Salomone Gesner eseguita da Felice Bisazza, Messina 1835.
Inoltre, mosso dal desiderio di riabilitare la propria opera, dopo aver pubblicato nel 1831 una Lettera al sig. Raffaele Liberatore intorno ad alcune proposizioni contenute nella lettera di V. Monti all'ab. Bettinelli, il L. curò una fortunata raccolta di Opere inedite e rare di Vincenzo Monti (6 volumi, Napoli 1833-36), che conobbe numerose edizioni nel XIX secolo.
Morì a Napoli il 23 febbr. 1838.
Note autobiografiche del L. sono in Giorn. arcadico, LXXXII (1840), pp. 338-345, e in Biografie autografe ed inedite di illustri italiani di questo secolo, Torino 1853, pp. 197-207.
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