Rattazzi, Urbano
Uomo politico (Alessandria 1808 - Frosinone 1873). Avvocato, fu eletto deputato al primo Parlamento subalpino diventando ben presto un esponente di spicco della nuova classe politica. Seduto nei banchi della Sinistra, fu relatore del progetto di legge per l’annessione della Lombardia al Piemonte appoggiando le richieste lombarde di convocazione di un’assemblea costituente. Avvenuta la fusione e formatosi il governo presieduto da Gabrio Casati nel luglio del 1848, ebbe il portafoglio dell’Istruzione e poi quello dell’Agricoltura e del commercio. Con le dimissioni di Casati dopo l’armistizio Salasco (8 agosto), Rattazzi passò all’opposizione, caldeggiando la ripresa della guerra contro l’Austria. Leader della Sinistra, fu nominato ministro guardasigilli nel gabinetto Gioberti e suo primo gesto fu quello di emanare una circolare ai vescovi con la quale veniva minacciato d’arresto chiunque avesse continuato a predicare contro le nuove istituzioni politiche. Contrario alla politica di Gioberti di intervenire in Toscana e a Roma per ristabilire i governi spodestati, quando questi fu costretto a dimettersi venne nominato ministro dell’Interno nel successivo gabinetto Chiodo del febbraio 1849, deciso a ritentare le sorti della guerra. Caduto il ministero dopo la sconfitta di Novara del marzo 1849, passò all’opposizione. Tre anni dopo preparò insieme a Cavour un’intesa politica tra le forze liberali della Destra e il raggruppamento più moderato della Sinistra. Questa operazione politica, indicata con l’espressione «connubio», permise il rilancio della politica antiaustriaca e il consolidamento delle istituzioni liberali e favorì Rattazzi nella sua elezione alla presidenza della Camera nel maggio del 1852. Caduto il governo d’Azeglio nel novembre 1852 e andato al potere Cavour, Rattazzi fu nominato prima ministro di Grazia e giustizia (ottobre 1853) e poi ministro dell’Interno (marzo 1855), segnalandosi come guardasigilli per il provvedimento di legge sulla soppressione delle corporazioni religiose approvato solo dopo una dura battaglia parlamentare. Le elezioni generali del novembre 1857, che videro un parziale successo della destra reazionaria e clericale, misero però in difficoltà Rattazzi, già sotto accusa per non aver saputo prevenire l’insurrezione mazziniana a Genova del giugno 1857, e lo costrinsero a lasciare l’incarico nel gennaio 1858. Nel mese di dicembre, prima di essere richiamato a nuovi incarichi ministeriali, fu nuovamente eletto alla presidenza della Camera. Le dimissioni di Cavour dopo l’armistizio di Villafranca del luglio 1859 portarono, infatti, alla formazione del gabinetto La Marmora nel quale Rattazzi fu chiamato al ministero dell’Interno, assumendo un ruolo di primo piano nelle scelte politiche del governo anche grazie alla fiducia in lui riposta da parte di Vittorio Emanuele II. Durante questo incarico promulgò un’importante legge di riforma dell’ordinamento amministrativo, nota come legge Rattazzi, che estendeva ai territori annessi la struttura centralistica del Regno sabaudo. Formatosi il Regno d’Italia fu tra i più accesi sostenitori della necessità di portare a compimento l’unificazione e, dopo un’ulteriore elezione alla presidenza della Camera nel marzo del 1861, giusto un anno dopo divenne presidente del Consiglio con l’interim all’Interno e agli Esteri, incarico, quest’ultimo, lasciato al generale Durando nel mese di aprile. Il governo si trovava ad agire in difficili condizioni per le questioni aperte relative al completamento dell’Unità – la liberazione di Roma e del Veneto – e per la necessità di tranquillizzare le cancellerie europee allarmate dai proclami insurrezionali dal movimento garibaldino. Qust’ultimo, infatti, sperava di risolvere la questione romana con il tacito consenso o l’appoggio segreto del governo, ma questo invece, dopo ripetuti tentennamenti e ambiguità, inviò le sue truppe prima a Sarnico, sul lago d’Iseo, per stroncare il tentativo insurrezionale del maggio 1862, e poi sull’Aspromonte, nel mese di agosto, per bloccare la marcia di Garibaldi verso Roma. Attaccato da destra e da sinistra, Rattazzi si dimise a novembre per evitare il voto di sfiducia. Tornato al governo nell’aprile 1867, mostrò ancora una volta un atteggiamento ambiguo nei confronti di Garibaldi, il quale si preparava a invadere lo Stato pontificio con un spedizione di volontari, e ne ordinò l’arresto a Sinalunga nel mese di settembre, lasciando però crescere indisturbata la mobilitazione per liberare Roma. Il palese insuccesso della sua politica sulla questione romana lo costrinse alle dimissioni nell’ottobre 1867.