Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Sotto il governo di Federico da Montefeltro, e in particolare negli anni Sessanta e Settanta del Quattrocento, Urbino conosce un periodo di straordinario fermento culturale, al quale contribuiscono illustri eruditi e artisti. Luogo d’espressione privilegiato delle ambizioni e degli interessi umanistici del principe è la residenza eretta nel cuore della città; articolata in tre fasi principali, l’impresa conduce alla realizzazione del più aggiornato e ampio edificio signorile dell’epoca.
Un condottiero umanista
Figlio naturale di Guidantonio da Montefeltro, Federico (1422-1482) nasce a Castello di Petraia il 7 giugno 1422; trasferito a Venezia come ostaggio in seguito alla pace fra papato e ducato visconteo di Milano, del quale il padre era alleato, risiede successivamente presso la corte di Mantova, dove riceve gli insegnamenti dell’umanista Vittorino da Feltre. Nel 1437 viene nominato cavaliere e signore del feudo di Massa Trabaria; a seguito della morte del fratellastro, ucciso in una congiura, assume nel 1444 il comando su Urbino reggendo il ducato fino alla morte, avvenuta a Ferrara il 10 settembre del 1482. Dopo aver esteso il suo potere fino alla Romagna combattendo i Malatesta nel 1459, l’anno successivo, grazie al matrimonio con Battista, figlia di Alessandro Sforza, potenzia il controllo sulle Marche. Federico conduce una politica di vicinanza rispetto al re di Napoli e di alleanza con il papato, ricevendo nel 1474 il titolo di duca e gonfaloniere della Chiesa da Sisto IV, l’Ordine della Giarrettiera dal re d’Inghilterra e il Collare dell’Ermellino da quello di Napoli.
Distintosi assai giovane come uomo d’armi e grande condottiero, grazie alle sue doti di capo di stato Federico da Montefeltro conferisce grande prestigio ad Urbino, incentivando fra gli anni Cinquanta e Settanta del secolo la nascita di un clima culturale fra i più fertili e aggiornati del panorama italiano.
Letterati e artisti alla corte di Urbino
Sebbene non si sia mai formato a Urbino un gruppo stabile di umanisti di corte, sono documentati i rapporti di Federico con personalità di rilievo; privilegiati furono quelli con il cardinale Giovanni Bessarione, con Leon Battista Alberti e con Vespasiano da Bisticci.
In più occasioni egli riceve l’omaggio degli eruditi, che molto contribuiscono con le loro opere alla nascita del mito del principe umanista intento a coltivare, insieme all’arte della guerra, le discipline storiche, letterarie e filosofiche nonché quelle scientifiche. Ciò emerge dalle varie biografie dedicate a Federico, da quella “autorizzata” di Pierantonio Paltroni – i Commentari della vita et gesti dell’illustrissimo Federico duca d’Urbino –, da cui dipende la maggior parte dei racconti successivi, a quella scritta in autonomia da Vespasiano da Bisticci. Assai indicativa dell’ampio orizzonte degli interessi del duca è la sua ricca biblioteca, fra le più importanti dell’epoca.
L’apertura intellettuale di Federico e la sua intraprendenza di mecenate contribuiscono alla fioritura della produzione artistica che, grazie all’apporto di artisti formatisi nell’ambito della cultura toscana, sviluppa caratteri peculiari. Il forte interesse per l’architettura, la solida impostazione prospettica e lo studio delle proporzioni, nonché la capacità descrittiva che deriva dall’arte fiamminga, molto amata da Federico, sono caratteri distintivi del mondo urbinate. In questo contesto si formeranno protagonisti di primo piano dei decenni successivi come Donato Bramante e Raffaello Sanzio.
Fondamentali sono le opere realizzate per Urbino da Piero della Francesca, La Flagellazione (Urbino, Galleria Nazionale delle Marche), il dittico con i Trionfi e i Ritratti di Battista e Federico (Firenze, Uffizi), e soprattutto la Sacra Conversazione, oggi a Brera ma proveniente dalla chiesa di San Bernardino. Quest’ultima, realizzata su committenza del duca fra il 1472 e il 1474, a seguito della morte della consorte per parto, è ambientata in un vano ecclesiastico che anticipa le creazioni di Bramante. A contatto con il mondo urbinate Piero scrive un trattato, il De prospectiva pingendi, dedicato a Federico da Montefeltro, e il Libellus de quinque corporibus regularibus, apparso in traduzione sotto il nome del matematico Luca Pacioli (1445 ca.-1517 ca.), anch’egli presente a Urbino nelle stesse date e autore del De divina proportione.
Anche la produzione di Fra’ Carnevale, al secolo Bartolomeo Corradini, è espressione del clima culturale di quegli anni. A lui appartengono infatti le cosiddette Tavole Barberini. Sia la Nascita della Vergine che la Presentazione di Maria al Tempio (oggi conservate al Metropolitan Museum of Art di New York e al Museum of Fine Arts di Boston) si svolgono entro prospettive architettoniche dal lessico anticheggiante che richiamano le riflessioni promosse dal duca Federico. Al medesimo ambito appartengono secondo alcuni le tavole rappresentanti città ideali, la più famosa delle quali è conservata a Urbino, presso la Galleria Nazionale della Marche (le altre sono a Berlino, Staatliche Museen Preussischer Kulturbesitz Gemäldegalerie, e Baltimora, Walters Art Gallery); ancora anonime, esse incarnano l’aspirazione utopica del Rinascimento verso un nuovo modello urbano.
La residenza del Signore: una “città in forma di palazzo”
Riferito dai biografi e rispondente al topos umanistico del principe architetto, l’interesse di Federico per l’architettura si traduce secondo alcuni in una partecipazione diretta alla progettazione del proprio palazzo, che riveste un ruolo centrale nella politica di autolegittimazione e di affermazione della sua immagine e del suo ruolo. La straordinaria impresa, ritenuta da molti frutto di un’azione corale, nella quale si è ipotizzato in passato il coinvolgimento di Piero della Francesca, trasforma il vecchio edificio comitale (corrispondente al quartiere detto di Jole) in una moderna residenza rinascimentale.
Riprendendo il piano di ristrutturazione già iniziato dal padre, Federico guarda ai modelli fiorentini, ben noti per via dei rapporti con Cosimo de’ Medici, e assume al suo servizio un allievo di Michelozzo, Maso di Bartolomeo. A lui affida la direzione della decorazione scultorea degli interni del palazzo e forse l’elaborazione di un nuovo progetto, il cui cantiere si sarebbe attenuto fino al 1464.
A partire da questa data, in concomitanza con l’ascesa politica e la maggiore disponibilità economica di Federico, ha inizio una seconda e più ambiziosa fase dei lavori. Nel 1464 è documentata a Urbino la presenza di Leon Battista Alberti, che contribuisce alla svolta progettuale forse fornendo una consulenza sull’ingrandimento dell’edificio. A sottolineare la dimensione urbana dell’impresa, Baldassarre Castiglione (1478-1529) parla della residenza come di una “città in forma di palazzo”.
Grazie alla reputazione acquistata a Mantova al servizio dei Gonzaga e a Pesaro per gli Sforza, a occuparsi dei lavori viene chiamato Luciano Laurana. Esperto anche di architettura militare, egli interpreta le istanze di rinnovamento del conte: se le quattro ali poste intorno al cortile centrale si conformano alla tipologia dei palazzi Medici a Firenze e Piccolomini a Pienza, altre caratteristiche del palazzo urbinate – la presenza di un giardino pensile e l’organizzazione planimetrica – deriverebbero piuttosto dall’erigendo Palazzo Venezia di Roma, di committenza papale. Laurana interviene nella definizione del fronte occidentale del palazzo, cosiddetto dei torricini, che, affacciato sulla valle, era stato pensato come facciata principale. Modellato nel ricordo dell’entrata di Castel Nuovo a Napoli, raggiunge un interessante equilibrio fra elementi fortificati, tipici della residenza signorile, e apertura verso il paesaggio, da ricondurre piuttosto ai raffinati interessi umanistici del committente.
La terza fase dei lavori
Pur insignito nel giugno del 1468 della patente di soprintendente ai lavori – uno straordinario riconoscimento del ruolo sociale dell’architetto, che rivela inoltre le competenze di Federico sull’argomento –, Laurana viene licenziato nel 1472, forse a causa dell’interruzione dei lavori dovuta alla morte prematura di Battista Sforza.
Protagonista della nuova fase del cantiere, inaugurata nel 1474 a seguito delle rinnovate fortune di Federico, è il senese Francesco di Giorgio Martini. Pittore e scultore, oltre che architetto e ingegnere militare e idraulico, al suo intervento è ricondotta la sistemazione della facciata sulla piazza e, da alcuni, quella del cortile quadrangolare con arcate su colonne, forse già impostato dal suo predecessore ma perfezionato nella soluzione d’angolo che lo rende il più coerente e armonico esempio dell’epoca. Francesco di Giorgio Martini è incaricato anche della progettazione del mausoleo a pianta circolare che Federico voleva erigere per sé all’interno del palazzo (mai realizzato), del rifacimento del duomo, della costruzione della chiesa di San Bernardino (nella quale il duca fu tumulato), nonché di alcune architetture fortificate, poste a controllo e difesa dello Stato feltresco (si ricordano quelle di Sassocorvaro, San Leo, Cagli).
Lo studiolo di Federico
A Martini potrebbe spettare anche la direzione dei lavori di decorazione degli interni del palazzo, di cui fu importante protagonista lo scultore e architetto milanese Ambrogio Barocci. Insieme agli spazi dedicati alla cappella del Perdono e al tempietto delle Muse, rappresentativi della coesistenza, tipicamente rinascimentale, della dimensione profana connessa al recupero della cultura classica accanto a quella cristiana, l’ambiente che meglio illustra le aspirazioni culturali di Federico è lo studio nel quale era solito ritirarsi. Ubicato nel quartiere dei torricini, era impreziosito da decorazioni pittoriche e a intarsio legate fra loro da un gioco di rimandi semantici in chiave encomiastica.
Il progetto iconografico rispecchia il desiderio del conte di conciliare, secondo la lezione tramandata dalle fonti antiche, la vita attiva, propria della dimensione guerresca e dell’amministrazione della giustizia, con quella contemplativa tipica invece della speculazione intellettuale. Indicativi in questo senso i ritratti nei quali il duca è rappresentato adorno di simboli relativi alle due sfere: quello a intarsio ancora conservato nello Studiolo e quello dipinto su tavola della Galleria Nazionale delle Marche (Urbino), opera secondo alcuni di Pedro Berruguete, secondo altri di un maestro italiano anonimo.
Nello Studiolo erano collocati 28 ritratti di uomini illustri, concepiti, secondo una tradizione letteraria antica, quali exempla da seguire. Attribuiti al pittore fiammingo Giusto di Gand, che si avvale della collaborazione di Pedro Berruguete, i dipinti furono staccati e smembrati nel corso del Seicento per essere infine acquisiti dal Museo del Louvre di Parigi. Ancora in loco è invece il paramento ligneo intarsiato. Realizzato forse su disegno di Francesco di Giorgio Martini nella bottega fiorentina di Baccio Pontelli, anch’egli a Urbino nel 1479, raffigura illusionisticamente una serie di oggetti (libri, strumenti scientifici e musicali, armi da battaglia) connessi con gli interessi coltivati da Federico. Per i significati che racchiude, il virtuosismo prospettico e la meticolosità fiamminga delle raffigurazioni, lo Studiolo è una sintesi emblematica della cultura urbinate di quegli anni.