urgere
Due attestazioni nel Paradiso, solo nella III singol. pres. indic., in rima entrambe le volte con turge; il contesto è chiaramente colto, ricco di reminiscenze latine, soprattutto nei termini con cui rima il verbo, appunto turge e sorge (X 142), gurge (XXX 70).
Dal punto di vista grammaticale, l'uso è assoluto nella prima delle due occorrenze (l'una parte e l'altra tira e urge, / tin tin sonando), in cui D. descrive l' " alterno gioco di tiraggio e pressione sulla leva del martelletto " (Mattalia), che è causa del movimento e del suono degli orologi (cfr. Petrocchi, ad locum).
Il luogo non è di chiarissima interpretazione, ma certo il verbo, in coppia con tira, non può valere altro che il contrario di questo: " impellit " (Benvenuto), " spinge " (Buti). Dall'uso concreto, materiale, si passa al traslato con valore morale In Pd XXX 70, in cui soggetto è " il bisogno di sapere " di D., di " scoprire il significato di quanto vede " (Mattalia), desiderio che prima infiamma il suo animo, e poi lo " stimola a ricercar notizia " (Venturi), " eccita " (Casini-Barbi) D. finché Beatrice soddisfa il suo giusto ardore, che tanto... piace più quanto più turge (v. 72; il Buti legge t'urge, vedendo un altro uso del verbo ‛ urgere '). Fra i passi citati dal Tommaseo, quello di s. Paolo sembra più vicino al luogo dantesco, e può esserne una fonte: " Caritas... urget nos " (II Corinth. 5, 14).