Orlev, Uri
L’arte della sopravvivenza
Cresciuto in mezzo agli orrori della persecuzione nazista, Uri Orlev, scrittore polacco di famiglia ebrea, ha tratto da esperienze di vita la materia della sua narrativa. Per i ragazzi, ha raccontato la guerra e l’Olocausto in libri avventurosi, dove i piccoli protagonisti imparano ad aver paura ma anche a distinguere il bene dal male e soprattutto a resistere
Uri Orlev, il cui vero nome è Jerzy Henryk Orlowski, è nato a Varsavia nel 1931. L’esperienza infantile di ebreo perseguitato durante la Seconda guerra mondiale ispira gran parte della sua produzione.
All’inizio del conflitto, il padre, ufficiale medico dell’esercito polacco, viene fatto prigioniero dai Russi. Il piccolo Uri trascorre così il primo anno di guerra nel ghetto di Varsavia, assieme al fratello minore e alla madre Zofia, finché quest’ultima viene assassinata dai nazisti. I bambini si salvano grazie all’ospitalità di famiglie polacche, ma nel 1943 vengono catturati e imprigionati nel lager di Bergen-Belsen (dove morì anche Anna Frank, autrice del famoso Diario). Qui rimangono, scampando alla fame e alle epidemie di tifo, fino all’arrivo dei liberatori americani, il 15 aprile 1945. Trasferitisi in un kibbutz in Israele, ritrovano il padre, sopravvissuto alla prigionia, ma soltanto nel 1954.
Oggi Orlev vive a Gerusalemme, è sposato e ha quattro figli. Ha pubblicato due romanzi, numerosi racconti per ragazzi e una trentina di libri per bambini, tradotti in trentotto lingue. Fra i prestigiosi riconoscimenti ricevuti dallo scrittore si ricordano il premio Andersen nel 1996, lo Ze’ev prize alla carriera nel 2002 e il Premio Cento nel 2003.
Ai giovanissimi, Uri Orlev è capace di narrare la guerra e l’Olocausto (Shoah) con l’appassionante ritmo dell’avventura e persino, talvolta, con il velo dell’umorismo. Così, in I soldatini di piombo, del 1956, i protagonisti Yurek e Kazik sono due fratellini ebrei cui la furia nazista strappa parenti e amici. In un mondo che si disfa sotto i colpi dell’odio e della violenza, l’unico elemento stabile sembra essere il loro gioco preferito, quello dei soldatini di piombo, metafora di un’innocenza che vorrebbe resistere all’avanzata dell’orrore.
In La bestia d’ombra (1976), lo scrittore affronta le paure dei bambini, i quali spesso prima di dormire controllano che sotto il letto non sia nascosto alcun mostro, frutto della loro fantasia. Se c’è la guerra, però, può darsi che celata nell’ombra vi sia davvero una creatura oscura, una specie di bestia spaventosa con cui tuttavia si può comunicare. Con l’aiuto materno, il protagonista finisce per scoprire che ciascuno ha i propri timori: se i bambini israeliani sognano di essere rincorsi da un arabo, di contro i bambini arabi paventano di essere rincorsi da un israeliano.
Del sentirsi più o meno in gamba parla invece Com’è difficile essere un leone (1979) in cui il protagonista, che è stato trasformato in grande felino da un ex mago dalle sembianze di cane, non riesce a sentirsi a proprio agio né in Africa, né esibito in un baraccone, né sotto i riflettori della televisione americana.
L’isola in via degli Uccelli (1981) – forse il maggior successo di Orlev – è ambientato nel ghetto di Varsavia che l’autore conobbe assai bene. Qui il suo alter ego Alex ha undici anni; il padre viene prelevato dalle SS e la madre scompare, lasciandolo solo in un edificio in parte distrutto da una bomba. In alto, fra i tetti, Alex si sente naufrago e il suo rifugio non è poi tanto diverso dall’isola di Robinson Crusoe. Venerdì è un topolino bianco, che partecipa con lui alla lotta contro il freddo e gli stenti, mentre giù per strada i coetanei non ebrei possono uscire e andare a scuola in libertà.
Anche in Corri ragazzo, corri del 2001, ispirato alla vera storia di Yoram Friedman un ragazzo scampato alla persecuzione, lo scenario è quello del nazismo in Polonia. A otto anni il protagonista perde la madre, e le ultime parole del padre ucciso sono: «Ti ordino di sopravvivere». Perciò egli fugge dal ghetto di Varsavia e si unisce a una banda di ragazzi. Quindi trova riparo presso contadini; chi generoso, chi infido. Perde un braccio perché un medico si rifiuta di curarlo in quanto ebreo. In nome della determinazione a salvarsi, Yoram giunge quasi a cancellare il passato, persino la propria identità di ebreo.