Vedi URNA dell'anno: 1966 - 1997
URNA (v. vol. vii, p. 1075)
p. 1075). Etruria. - L'utilizzazione di u., contenitori di diversa forma e materiale destinati a conservare i resti combusti del defunto, è legata in Etruria alla pratica funeraria dell'incinerazione, la cui diffusione, generalizzata nella protostoria, tende poi a divenire eccezionale in area meridionale. L'u. appare, di norma, un monumento eseguito su commissione, anche se non mancano esempi di contenitori (in particolare ceramiche) usati in via secondaria per svolgere tale funzione.
Nella protostoria l'u. si sviluppa in due forme, realizzate in impasto: l'ossuario biconico biansato (il rito della rottura di un'ansa comporta presto la generalizzazione dell'ossuario monoansato), forse derivato morfologicamente dai contenitori per acqua, e quello a capanna, assai più raro, ambedue diffusi a partire dall'Età del Bronzo Finale (il secondo anche nel Lazio e in Sabina). Mentre l'ossuario biconico rivela presto la sua natura di rappresentazione simbolica del corpo umano (la ciotola-coperchio viene sostituita da elmi, talvolta presi dall'armatura reale, e quindi in bronzo o alla fine dell'VIII sec. a.C., in area vulcente, è sormontata da un bulbo sferico), l'u. a capanna appare un contenitore particolare, utilizzato in Etruria indifferentemente per individui di sesso maschile e femminile (Vetulonia), anche di giovane età (Bisenzio), con evidente riferimento al mondo domestico e familiare.
Nel VII sec. a.C., quando il rito inumatorio è largamente diffuso in ambiente meridionale, l'u., concepita come cassetta-scrigno realizzata in metallo (Veio, Falerii, Marsiliana), anche nobile (Vetulonia), e provvista di decorazione sbalzata, rappresenta il segnale di un'eccellenza sociale, anche per le referenze «eroiche» di marca euboico-cumana assunte, in questo contesto, dal rito incineratorio. A Cerveteri, in particolare, intorno all'ultimo quarto del VII sec. a.C. l'u. a forma di cassetta con coperchio displuviato, evocante in alcuni casi un tetto reale, realizzata in impasto decorato in white on red,, opposta alle grandi «pissidi» biansate, eseguite con la stessa tecnica, può essere riferita, in prevalenza, a defunti di sesso femminile. Nell'Etruria settentrionale, a parte i canopi (v.) dell'area chiusina, che sviluppano, fra la metà del VII e la metà circa del VI sec. a.C., il tipo dell'ossuario con coperchio a bulbo di tipo vulcente, in area volterrana le u. a «ziro» vengono eseguite in impasto con decorazioni plastiche a motivi geometrici, con una tecnica simile a quella del cinerario di Montescudaio, che si attiene morfologicamente ai tipi villanoviani sviluppando però sul coperchio una peculiare scena cerimoniale di banchetto. Nella stessa area si distinguono, inoltre, tipi di u. in pietra a cassetta (Casalmarittimo) o a «caldaia» (Casaglia).
Nel corso dell'età arcaica si definiscono i tipi di u. costanti anche in epoca successiva. In Etruria meridionale, oltre all'u. a cassetta in terracotta (esempi a Tarquinia e a Caere) si isola, a Caere, a partire dal 530-20 a.C., il tipo a klìne, con immagine singola o con coppia coniugale rappresentata a banchetto, con le gambe distese, analogo ai contemporanei monumentali sarcofagi «degli sposi» di Villa Giulia e del Louvre, iconograficamente derivato da modelli della statuaria della Grecia orientale, oppure con il defunto disteso su stroma, in esposizione. Il tipo si esaurisce rapidamente con l'esemplare più tardo dalla tomba 92 Bufolareccia, risalente al 490-80 a.C., con un giovane banchettante in nudità eroica, ma con le gambe piegate. In area volterrana e chiusina si generalizza, fra il 530 e il 450 a.C. circa, il tipo a cassetta realizzatoin pietre locali, con coperchio displuviato, spesso evocante un'intelaiatura lignea o, in rari casi chiusini, un tetto reale con tegole e coppi: a Chiusi le specchiature, spesso vuote, presentano, parallelamente alle teche lignee decorate da lastrine d'avorio, scene a bassorilievo connesse in prevalenza con il cerimoniale funebre (giochi, danze, banchetti, pròthesis ed ekphorà), presenti anche sui più numerosi cippi contemporanei.
La tradizione della statua-cinerario chiusina di età classica, che prevede il defunto semisdraiato a banchetto con le gambe piegate, influenza certamente i primi coperchi di u. con figura del defunto semisdraiata e cassa decorata sulla fronte da un prospetto di klìne, diffusi a Chiusi e a Perugia; il tipo si affianca a quello tradizionale a cassetta con listelli decorati a bassorilievo, o con defunto sdraiato, diffuso soprattutto in area volterrana. Accanto alla produzione di u. in pietra a Volterra si enuclea, fra il 330 e il 280 a.C., una classe di cinerarî in ceramica, crateri a campana o stàmnoi muniti di coperchio, spesso dipinti da ceramografi dei gruppi Clusium-Volaterrae o da più rozzi imitatori attivi nell'area senese, che selezionano come raffigurazioni anche immagini del viaggio iniziato di mystai affiliati ai culti di Dioniso o teste ideali, rappresentanti metonimicamente il defunto.
La produzione più massiccia di u., compresa fra III e I sec. a.C., interessa i territori di Chiusi, Volterra e Perugia, dove i monumenti vengono realizzati in materiali lapidei di diverso pregio (alabastro, tufo, travertino, a volte stuccato) ricavati da giacimenti locali, o in terracotta. Si afferma pressoché univocamente, in parallelo con la definizione tipologica dei sarcofagi di area meridionale, la cassa parallelepipeda, a volte con piedi a zampa ferina che ne denunciano la derivazione da arredi lignei, che accoglie sempre più largamente una decorazione a rilievo o, più raramente, dipinta, su tre lati o solo sul lato frontale. Le variazioni tipologiche, indici di mutamenti generalizzati dell'ideologia, non solo funeraria, interessano le rappresentazioni dei defunti di sesso maschile: intorno agli inizî del II sec. a.C., a Volterra come a Chiusi, il tipo in seminudità eroica, di derivazione greca, cede il posto alla figura con tunica e mantello, cui si sostituisce ancora, a Volterra e a Perugia, alla fine dello stesso secolo, l'immagine del banchettante velato. A tali mutamenti, negli esemplari di migliore qualità, corrispondono teste-ritratto che fanno riferimento ai tipi ideali dell'ellenismo e quindi alle tendenze trasmesse dalla tradizione «realistica» del ritratto privato romano. I rilievi delle casse, con scene inizialmente di carattere funerario, derivati da un repertorio noto precedentemente nei rilievi delle stele felsinee, accolgono anche, a partire dalla metà del III sec. a.C., episodî del mito greco attinti dalla cultura figurativa ellenistica, trasmessa attraverso modelli disegnativi. La selezione dei soggetti, operata anche su alcune saghe «nazionali», riflette un mondo di valori ideali ed etici attivo presso la committenza colta, comune pure alla contemporanea tragedia latina ellenizzante, trasferito nella simbologia funeraria. A partire dalla metà del II sec. a.C. riemergono, a Chiusi e a Perugia, nella produzione fittile e in travertino destinata a un'ampia classe media, alfabetizzata, i tipi a coperchio displuviato con ornati stereotipi, con protomi, animali araldici e trofei vegetáli. In questo ambito si colloca anche la classe di u. a «campana», propria di Chiusi, con decorazione dipinta a festoni di foglie e bende pendenti da chiodi, che recano di norma sul bordo del contenitore un'iscrizione onomastica.
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(M. Cristofani)
Roma . - La cremazione ha un'antica tradizione in Italia, e fu preferita da sempre soprattutto nelle regioni settentrionali, mentre in quelle meridionali e in Sicilia, per influsso greco, prevalse l'inumazione. Nella Roma repubblicana erano praticati entrambi i riti: nei ricchi edifici funerarî della tarda età repubblicana, tuttavia, sono stati rinvenuti quasi esclusivamente contenitori per ceneri e ancora nel I sec. d.C. Tacito qualifica la cremazione come romanus mos.
Dalla fine dell'età traianea l'usanza iniziò progressivamente a modificarsi e, assieme alla crescente diffusione di pregiati sarcofagi marmorei, aumentarono anche le semplici inumazioni, sebbene l'incinerazione, e con essa anche le u. di marmo, godettero di un certo favore ancora fino all'epoca di Costantino.
Esistono contenitori per ceneri in forme e materiali diversi. I più comuni erano semplici vasi in terracotta (ollae), appartenenti all'arredo di base dei colombari, e anfore di terracotta interrate si trovano in tutto l'Occidente romano. U. di vetro a forma di vaso erano diffuse a Roma e in Occidente nei primi tre secoli dell'impero e sono state ritrovate nei colombari e in piccole camere sepolcrali (Pompei), ma anche come singole sepolture, fornite di un contenitore di protezione in pietra o in piombo. Secondo le fonti letterarie, vasi in metallo prezioso contenevano le ceneri degli imperatori (Traiano, Settimio Severo?); quelle di personaggi di alto rango e abbienti della società romana erano deposte in contenitori di pietra, alabastro e porfido e in qualche caso si riutilizzavano pure antichi vasi egiziani. Già in età repubblicana a Roma e nel Lazio erano impiegate per le sepolture modeste casse di tufo, peperino e pietra calcarea, ma all'inizio del principato di Augusto giunse a Roma un tipo di contenitore per ceneri che rappresentava una novità nel materiale, nel genere e nella decorazione: l'u. marmorea con decorazioni a rilievo. Nella prima età imperiale in alcune regioni italiane si produssero u. in pietra più o meno decorate prive, dal punto di vista formale e iconografico, di qualunque legame diretto con la produzione urbana ufficiale, ma che tuttavia comparvero sicuramente non a caso nel medesimo periodo. Dalla metà del II alla metà del III sec. d.C. u. di marmo vennero prodotte anche nell'area norico-pannonica; a Colonia e lungo la Mosella sono state ritrovati alcuni esemplari in pietra decorati, di fattura locale.
Già prima dell'età imperiale talune u. di pietra con rilievi risultano attestate anche in Asia Minore, mentre numerose erano in Etruria. Tipologicamente le u. romane sono affini a quelle microasiatiche, per la forma della cassa e della base, ma la decorazione a rilievo degli esemplari ellenistico-microasiatici non ha avuto alcun influsso sull'origine del genere a Roma. Le decorazioni a ghirlande sono infatti attestate su osteoteche microasiatiche solo nel I sec. d.C., accanto alla tipica e caratteristica raffigurazione di porte.
La relazione fra la produzione di u. etrusche (v. sopra) e quella urbana va invece in un'altra direzione: su quelle tardo-etrusche compaiono dettagli tipologici, ma anche elementi ornamentali e figurativi, che ritorneranno poco dopo nella produzione romana; si può dunque supporre che esistesse un contatto fra le rispettive produzioni, anche se fino a ora non è stato possibile delinearlo con precisione. In ogni modo in Etruria l'uso e probabilmente anche la fabbricazione di u. non si interruppe mai: una serie di u. marmoree di età giulio-claudia, rinvenute nell'area etrusca, mostra un evidente adeguamento al gusto classicistico romano, pur mantenendo certi tratti tipici della regione. Esse sono in parte di dimensioni maggiori, e nell'aspetto esteriore va notata una certa predilezione per la riproduzione della casa (presenza delle porte e tetto a due spioventi).
La maggior parte delle oltre 1.500 u. di marmo a noi note sono state ritrovate a Roma, nelle sue immediate vicinanze, a Ostia e nella zona di Porto, mentre relativamente poche sono quelle venute alla luce nel resto d'Italia. In un primo periodo non è possibile distinguere le u. ostiensi da quelle di Rpma, mentre esemplari del II sec. d.C. provenienti da Ostia e dall'Isola Sacra, si differenziano per precise caratteristiche artigianali e per l'affollarsi di fregi mitologici, da quelle di produzione urbana, così da indurre a pensare che da quel periodo iniziarono a svilupparsi officine specializzate nell'esecuzione di tali esemplari. Fuori d'Italia sono state trovate poche u. marmoree del tipo prodotto a Roma, e solo in zone fortemente romanizzate, p.es. nell'Africa settentrionale, nella Francia meridionale e nella colonia romana di Patrasso.
Va inquadrato nella prima età augustea, o addirittura ancora prima, un piccolo numero di u. di marmo che risente di diversi ambienti artistici, e che tuttavia non trova riscontri tipologici né iconografici nella produzione successiva. Il fregio a eroti di un'u. ottagonale ai Musei Capitolini risale a modelli ellenistici; altri esemplari elaborano più antichi prototipi iconografici dell'Italia meridionale ed etruschi. Dalla metà circa del periodo augusteo vennero create u. piuttosto simili fra loro, di forma quadrangolare o cilindrica, talora con peducci. La loro decorazione, a ghirlande, rami e tralci riprende motivi vegetali già presenti nell'arte ellenistica, ma che ricevettero la loro impronta classicistica nell'età augustea: e si può mettere a confronto con i rispettivi esemplari dell'arte ufficiale. Un secondo ambito tematico è costituito dagli elementi architettonici, che sottolineano la tipologia della casa; in essi talvolta vengono inseriti simboli, derivati dalla sfera politica ufficiale, come l'aquila di Giove o la lupa romana. La decorazione di tipo vegetale assolveva a un duplice scopo: il bisogno fondamentale di continuare a rendere partecipe il morto del mondo naturale, considerando anche il significato di continuità della vita assolto da tali figurazioni, e l'esigenza di proteggere (tenendo presente la diversa simbologia degli ornamenti vegetali, in questo senso) e onorare il luogo di sepoltura. Piccole cornici architettoniche, porte e coronamento del tetto con acroterì rinviano alla concezione della casa dei morti, profondamente radicata nel mondo latino.
La produzione di u. fino alla metà del secolo rimane quantitativamente modesta, ma sempre di buona qualità. Solo in via eccezionale gli esemplari più antichi recano un'iscrizione, il che confermerebbe l'ipotesi secondo cui esse erano poste in tombe individuali di benestanti, dove non era necessario garantire l'identificazione sul contenitore delle ceneri. In età tiberiano-claudia è possibile attestare con certezza la sepoltura in u. di marmo di membri di famiglie altolocate, fra cui va indicato il sepolcro di C. Sulpicius Platorinus nel Museo Nazionale Romano. Contemporanei sono pure i contenitori cinerari rinvenuti in tombe di servi di famiglie in vista e alquanto influenti; sulle iscrizioni delle u. talvolta sono menzionati anche schiavi e liberti della casa imperiale.
Il numero maggiore di u. in marmo fu prodotto tra la fine del I e l'inizio del II sec. d.C.: in questo periodo non sono quasi più fornite di peducci e i kymàtia decorativi diventano rari. Compaiono ora u. dal retro arrotondato; i fianchi sono ornati con notevole parsimonia da semplici motivi decorativi. La produzione di massa in età flavio-traianea rimase in generale a un livello qualitativamente inferiore, ma il repertorio decorativo fu enormemente ampliato rispetto alla tarda età claudio-neroniana. Talvolta alla decorazione tradizionale vennero aggiunti motivi figurati: ritratti in miniatura, raffigurazioni di lectus e scene con dextrarum iunctio, evidentemente rispondenti al desiderio di autorappresentazione della cerchia degli acquirenti. Ma poiché si tratta esclusivamente di prodotti prefabbricati, siamo di fronte soltanto a pseudoritratti, e talvolta nemmeno il sesso corrisponde a quello del morto indicato dall'iscrizione; sono inoltre caratteristici della stessa epoca alcuni piccoli elementi figurati di carattere apollineo o dionisiaco. Le molteplici disposizioni della decorazione delle u. solitamente non permettono alcuna interpretazione, interamente legata all'aldilà. Le figurazioni, sia simboliche, sia narrative, sono riprodotte sulle u. secondo punti di vista decorativi, e possono, a seconda dei casi, venire intese come scene di consolazione per i vivi, come pio ricordo del defunto, e anche come desiderio di benedizione per i morti. Dai ritrovamenti e dalle iscrizioni si ricava che i personaggi sepolti in età flavio- traianea appartenevano soprattutto alle classi medie della società romana; mancano invece membri di famiglie nobili, che si pensava fossero i destinatari della maggior parte delle u. della prima età imperiale.
Durante il primo quarto del II sec. d.C. l'impiego di u. marmoree registra un certo calo; nell'età adriano-antonina se ne è accertata una fabbricazione ristretta ma costante, la cui qualità in genere si mantiene buona. Al contempo si riduce anche la quantità di decorazioni: quella di tipo vegetale riesce a sopravvivere, ma si limita principalmente alle ghirlande, sorrette perlopiù da teste di ariete e da eroti. Sugli angoli dell'u. sono preferite strutture a più componenti: tra i sostegni angolari di varie forme appaiono piccoli motivi figurati, e dalla fine del secolo anche temi mitologici (Dedalo e Pasiphae, ratto di Proserpina), che di lì a poco avranno un ruolo dominante sui sarcofagi. Fra i temi più frequenti dell'età adriano-antonina si trovano scene di deposizione nella bara, cortei di eroti, amazzonomachie, i miti di Medea, Meleagro, di Fedra e Ippolito, il ciclo delle saghe tebane. A tale evoluzione si accompagna una forma di u. cilindrica nuova dal punto di vista tipologico, con profilo dai bordi nettamente sporgenti.
Nel III sec. d.C. il numero delle u. di marmo diminuisce ulteriormente; in età post-severiana vengono a mancare le tradizionali decorazioni di tipo vegetale; per il periodo della tetrarchia sono noti ancora esemplari con decorazioni particolari. I motivi figurati coincidono nel tema e spesso anche nell'iconografia con i rilievi sui sarcofagi. È da osservare il fatto che quasi la metà degli individui che utilizzarono u. a partire dalla tarda età antonina sono militari (fra cui si contano particolarmente i pretoriani di stanza a Roma), ai quali invece è riconducibile soltanto un 3% delle u. nei primi secoli.
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(F. Sinn)