UROLOGIA (dal gr. οὖρον "urina" e λόγος "studio")
La urologia è quella parte della medicina, ma più specialmente della chirurgia, che è dedicata allo studio delle malattie degli organi urinarî.
I documenti più lontani di tali affezioni risalgono a tempi antichissimi e si riferiscono agli Egizî. Sono stati ritrovati difatti nelle mummie calcoli vescicali (Elliot Smith), uova di Bilharzia nei reni (Sir M. A. Ruffer). Nel papiro di Ebers, tra molteplici ricette contro i morbi più disparati, c'è qualche confuso accenno a rimedî per la ritenzione e l'incontinenza d'urina, e l'anuria, sotto i quali termini si comprendevano quasi tutte le malattie urinarie allora conosciute. Altri esempî di testi antichi di medicina nei quali vengono particolarmente ricordate malattie urinarie, sono quelli dell'antica India. Nello Yajurveda sono raccolte fra l'altro, formule d'incantesimi, regole d'igiene, inni contro la ritenzione d'urina e vi sono catalogate non meno di dieci specie d'urina. La vescica, i reni, le vescicole seminali sono descritte anche in trattati del Tibet che si fanno risalire a copie di originali testi dell'India. Gl'Indiani conoscevano certo alcune sindromi urinarie, quali la calcolosi reno-vescicale, la ritenzione d'urina, probabilmente il diabete; possedevano numerosi rimedî a base di balsamici e diuretici. Probabilmente conobbero anche l'ipertrofia prostatica (come la ritenzione di urina causata da un nodo stabile localizzato al collo della vescica), le sonde evacuatrici, alcuni strumenti sia pure primitivi, per rompere le pietre in vescica. Degli altri popoli dell'antichità ci sono rimaste soltanto scarse, frammentarie notizie.
Si sa tuttavia che gli Assiro-babilonesi distinguevano diverse qualità di urine classificate secondo il loro colore. Lo scritto ippocratico sul quale s'è tanto discusso, nei riguardi del sistema urinario, è quello del famosissimo "giuramento" nel quale il giovane allievo deve promettere di non praticare la litotomia, lasciandola a coloro che di questa si occupano. La proibizione è spiegata, con tutta verosimiglianza, con il fatto che Ippocrate temeva le complicanze mortali o fortemente debilitanti delle lesioni vescicali. Ippocrate descrisse - d'altro canto - con sufficiente chiarezza la litiasi vescicale, cui aggiunse una spiegazione patogenetica sufficientemente logica e quattro malattie chirurgiche dei reni, nelle quali si possono riconoscere: la tubercolosi, la calcolosi, la pionefrosi e forse il tumore. Per ognuna di esse è dettata una prognosi e una cura chirurgica, la quale va dall'incisione dei tegumenti esterni e dello spazio pararenale, fino alla nefrotomia. Dopo Ippocrate la medicina greca decadde e non ebbe se non modesti esponenti tra cui Erasistrato che scoprì la filtrazione dell'urina dai reni, e Ammonio che introdusse nella litotomia, lo spezzettamento del calcolo. Da ricordare sono anche Erofilo Alessandrino (sec. IV a. C.) che diede il nome alla prostata e Euriade di Sicilia, contemporaneo o anteriore a Ippocrate, il quale praticava la nefrotomia come è riportato da Rufo d'Efeso (libro IV delle affezioni interne). La descrizione data da Celso dell'operazione della pietra servì di guida a tutti gli operatori per i 17 secoli seguenti. Dello strumentario chirurgico romano in genere e quello urologico in specie rimangono alcuni esemplari trovati la maggior parte a Pompei. Esiste tra questi una sonda vescicale di bronzo, leggiera, perfettamente conservata, a curvatura razionale, alla quale non si dovrebbe apportare nessuna correzione; forse con la sua doppia curva rappresenta un perfezionamento della sonda metallica rigida, attualmente in uso. Riproduzioni di affezioni urologiche, idroceli, fimosi e via dicendo, si ritrovano in numerosi ex-voto, presso i templi e le fonti termali. Parecchio tempo dopo vissero Eliodoro e Rufo d'Efeso, autore di un trattato dal titolo De vescicae renumque affectibus, nel quale accanto a descrizioni piuttosto esatte sono riportate credenze e superstizioni popolari. Galeno distinse tre diverse cause di ritenzione di urina, tra le quali quella di origine midollare, descrisse la presenza del globo vescicale e dettò le indicazioni al cateterismo vescicale. Oribasio lasciò una notevolissima descrizione dei restringimenti uretrali e della loro cura. Straordinaria fu sempre l'importanza attribuita alle urine: e un primo accenno a uno studio sistematico di esse applicato alla prognosi e cura delle malattie, si trova in Ezio, medico del sec. VI oriundo della Mesopotamia. Paolo di Egina descrisse il cateterismo vescicale: indicò la manovra del catetere rigido per superare la curva dell'uretra. Nel capitolo 60 è una chiara descrizione della tecnica per l'introduzione del litotritore e dei mezzi emostatici.
Rāzī, uno dei più noti medici arabi, combatté l'esagerata importanza attribuita all'esame dell'urina, e negò che con essa si potesse fare la diagnosi di gravidanza senza vedere la donna. Avicenna ha lasciato osservazioni precise sulla calcolosi renale e vescicale, consigli terapeutici di valore, come la delicatezza del cateterismo, l'opportunità di posizioni adatte al malato, ecc. Abū 'l Qāsim, propose le lavande vescicali con sostanze medicamentose. Della scuola salernitana rammentiamo i Carmina de urinarum iudiciis di Gilles de Corbeil; le Regulae urinarum di Isacco Giudeo. Leonardo da Vinci ha lasciato notevoli disegni degli organi urinarî, Berengario da Carpi scrisse De arte mingendi cum instrumentis.
Vesalio non seppe veder chiaro nell'anatomia e nella fisiologia degli organi urinarî a proposito dei quali egli ripeté o espresse concetti errati.
Invece sono da rammentare A. Massaria che descrisse il trigono, G. Falloppia che, perfezionando il sistema delle iniezioni dimostrò i rapporti tra tubuli e bacinetto, e soprattutto Bartolomeo Eustachi, le cui tavole sulla disposizione delle arterie e vene e dei rapporti tra calici e bacinetto non sono stati più modificati dagli studî posteriori; L. Bellini scopritore dei tubuli e soprattutto M. Malpighi, dal quale prendono nome i corpuscoli renali. G. B. Morgagni è stato il primo a mettere in chiaro i rapporti tra ingrossamento della prostata e i disturbi urinarî dei vecchi e a descrivere i calcoli vescicali da corpi estranei. Nel periodo di tempo che va dal sec. XVI al XVIII accanto a questi grandi studiosi ebbero grandissima fama i cosiddetti litotomisti; gli operatori del mal della pietra. Mariano Santo nel Libellus aureus descrisse l'estrazione della pietra dalla vescica a cominciare dalla posizione del paziente per finire alla descrizione e illustrazione dei singoli strumenti. Eccone i nomi: l'itinerarius, la novacula, l'exploratorium, i conductores, l'aperiens, il forceps, i latera, il cochlear; tutto l'insieme, in una parola, del grande apparecchio. L'incisione era fatta a sinistra del rafe, era rettilinea e non più semilunare come voleva Celso. Altri litotomisti celebri, i quali viaggiarono per l'Europa e passarono dai fastigi della gloria alle fughe obbrobriose dopo gl'insuccessi, furono P. Franco, i Collot, che si tramandarono per generazioni e generazioni i segreti della loro arte, frère Jacques, sostenitore del taglio lateralizzato, frate Cosimo inventore del litotomo nascosto, causa di violente discussioni e polemiche. L'asportazione della pietra, affezione dolorosa e in quei tempi diffusa, a giudicare dalla sua popolarità, richiedeva un'abilità non comune e il dominio di una tecnica prodigiosa, sia per il notevole trauma inflitto al malato nel momento dell'intervento, sia per le conseguenze sempre gravi e talora mortali (emorragia e infezioni), sia per le fistole che seguivano poi. Eppure non mancò chi proponesse metodi di gran lunga migliori, come la cistotomia soprapubica in posizione che più tardi si chiamerà di Trendelenburg (S.-F. Morand, 1728), o la cistotomia perineale, ma invano; ciò che era contrario alle tradizioni e probabilmente perché seguito da insuccessi mortali, non era accettato. Anche frate Cosimo sostenne la cistotomia soprapubica e a tale scopo inventò la sua sonda-dardo, ma non trovò che rari imitatori, tra i quali è da annoverare A. Scarpa. A questi è dovuta una modificazione alla litotomia con il taglio di Hawkins, la descrizione di quello spazio che 30 anni più tardi fu chiamato di Retzius, e l'uso dell'alcool acidificato come disinfettante. È facile comprendere come tutte queste difficoltà pratiche inducessero all'osservazione sistematica delle urine, messe in relazione con le varie affezioni. Tale studio si chiamava uroscopia e gli addetti a tali ricerche uromanti. L'osservazione dell'urina doveva essere fatta in un recipiente speciale, a forma di vescica, detto matula. L'importanza attribuita alle urine era tale che il pubblico spesso cercava di celarne i dati fondamentali all'uromante e ciò spiega il titolo di alcune opere destinate, a quanto pare, a difendere il medico da simili tranelli. Il De cautelis urinarum appartiene a questi. Si comprende facilmente a quante e quali deformazioni si giungesse, e come sia spontaneamente sia soprattutto per la violenta reazione di Paracelso l'uromanzia cadesse sempre più in dispregio fino a rimanere nelle mani dei ciarlatani. Tuttavia non mancò chi ne tentasse una riabilitazione. V. Helmont è tra questi: benché combattuto dai tradizionalisti, seppe prevedere l'importanza dello studio esatto delle urine, del loro peso specifico, delle alterazioni nella formazione dei calcoli e via dicendo. Così evolveva anche questa branca urologica nella quale gl'Italiani ebbero rappresentanti illustri, precursori insigni, come L. Bellini con la sua opera: De Urinis, quantum ad artem medicam pertinens, F. Redi, D. Marchetti, e gli stranieri H. Boerhaave, Ch. L. Cadet che scoprì l'urea. Dagli elementi normali lo studio s'estese a quelli dei componenti patologici: a D. Cotugno spetta la grande scoperta dell'albumina nel 1770; P.-F. Nicolas e Guendeville scoprirono lo zucchero nel 1803, e poi a man mano vennero tutti gli altri. In seguito furono identificati i singoli componenti urinarî organici e inorganici, normali e patologici e furono studiati di ognuno i metodi più semplici e nel tempo stesso più precisi. Oggi l'esame delle urine costituisce un elemento di prim'ordine nella diagnosi e nella prognosi di qualsiasi malattia in genere e di quelle del sistema urinario in specie. La ricerca non si limita più a un paio di elementi, ma è anche quantitativa. In questi ultimissimi tempi, studî sperimentali hanno permesso di scoprire l'esistenza nell'urina di ormoni, con la presenza dei quali è possibile con quasi assoluta sicurezza, dimostrare una gravidanza in un'epoca nella quale difettano gli altri segni di certezza (reazione di Aschheim-Zondek). Dal punto di vista medico le affezioni renali si cominciarono a studiare piuttosto tardi: primeggiano fra tutte le classiche ricerche di R. Bright. Nello strumentario urologico si ebbero le sonde dovute a M. Troja, il divulsore, l'uretrotomo, i litontritori (v. litotripsia).
Gli sviluppi dell'urologia moderna si riannodano alle grandi scoperte del secolo XIX: antisepsi e asepsi, narcosi, emostasi senza le quali i progressi sarebbero stati pressoché impossibili, e agli studî di coloro che ad essa dedicarono la loro vita. Va ricordato a questo riguardo J.-C.-F. Guyon (1831-1920) da considerarsi il fondatore dell'urologia moderna. Dopo tali conquiste, l'urologia ha compiuto passi giganteschi grazie al contributo di centinaia di scienziati tra i quali ricordiamo: J. Israel, L. Casper, A. v. Lichtenberg, in Germania; V. Blum e H. Rubritius, in Austria; E. Beer, E. L. Keyes, H. Young, negli Stati Uniti; L. Ambard, G. Marion, R. Proust, in Francia; H. Fenwick, J. Thomson Walker, W. K. Irwin, in Inghilterra; J. Hellstrom, in Svezia; H. Wildbolz e F. Suter, in Svizzera; G. v. Jllyes, in Ungheria.
Degl'italiani citiamo G. Nicolich e M. Pavone (senior) per non parlare dei viventi tra i quali non mancano figure di statura eguale a quelli scomparsi.
Oggi è facile aggredire e asportare con metodo preciso il rene per intero nella tubercolosi, nei tumori, nelle pionefrosi; è possibile limitarsi all'operazione di alcune sue parti come il bacinetto (estrazione di calcoli), i vasi e la capsula (enervazione e scapsulamento), o addirittura a parti di esso rene (resezione).
Sperimentalmente, si è riusciti perfino a trapiantare un rene in una sede abnorme e a farlo funzionare; sull'uomo questo non è stato ancora mai tentato. Anche la chirurgia dell'uretere, benché limitata, ha fatto progressi straordinarî. Per merito di R. Coffey, il loro trapianto nel grosso intestino in caso di estrofia e di epitelioma vescicale è divenuta un'operazione ben regolata e seguita da successo. La terapia della vescica ha beneficiato, oltre che delle conquiste comuni alla chirurgia, delle applicazioni del cistoscopio e della corrente ad alta frequenza. Il cistoscopio nacque per il desiderio di esaminare dall'esterno la vescica in vivo. Ma i primi strumenti (P. Bozzini di Francoforte, A. Desormaux), che risalgono alla prima metà del sec. XIX, rimasero confinati tra il bagaglio inutile dello strumentario fino a che M. Nitze non applicò la visione indiretta è l'illuminazione elettrica interna. I successivi miglioramenti non hanno modificato, ma solo migliorato e mirabilmente questo preziosissimo strumento, rendendolo alla portata di tutti, associandogli il cateterismo uretrale sia diagnostico sia curativo (L. Casper, J. Albarran), l'uso di elettrocauterî (H. Young), di coltellini e forbicine e infine, come s'è detto, il litontritore. Oggi della vescica si curano chirurgicamente le malformazioni congenite con il trapianto degli ureteri nel grosso intestino, i traumi con la sutura e tamponamento, le infezioni acute con i varî medicamenti o con la derivazione dell'urina, i calcoli sia operativamente sia con il litontritore semplice o cistoscopico, i diverticoli, i tumori maligni con la loro asportazione, e quelli benigni con l'elettro-coagulazione (E. Beer), le fistole con la plastica. La prostata ha offerto un largo campo d'azione ai chirurghi e agli specialisti. Prescindendo dalla discussione se l'ipertrofia della prostata sia veramente tale oppure rappresenti un fibroadenoma delle ghiandole periuretrali del tratto prostatico (ambedue le interpretazioni appaiono giuste a seconda dei casi), rimane il fatto che la sindrome clinica notissima dell'ipertrofia prostatica è guaribile con l'asportazione delle masse carnose ostruenti il collo vescicale. Quest'asportazione può essere fatta attraverso una cistotomia soprapubica o del basso per via perineale (via meno seguita). Oggi è stato tentato di sostituire a queste operazioni un intervento per via endoscopica. L'idea di creare una nuova via al deflusso dell'urina per mezzo di un coltello elettrico risale a E. Bottini. La sua operazione cieca fu abbandonata, ma è stata ripresa recentemente grazie ai progressi degli apparecchi endoscopici. Tuttavia questo metodo, benché esaltato da alcuni, dev'esser ricondotto nei giusti confini di un'esatta indicazione e difficilmente potrà nonché sostituire, neanche rivaleggiare con i metodi cruenti.
Schematicamente rappresentato, il resettore endoscopico è costituito da una camicia isolante nella quale scorre longitudinalmente un'ansa verticale di platino, che, sotto il controllo cistoscopico, viene manovrata dall'esterno. Le correnti che si possono far passare attraverso quest'ansa durante il suo cammino sono di due specie: tagliente prima, coagulante poi. Ogni corsa asporta un tratto di prostata e immediatamente provvede all'emostasi della parte resecata. La manovra si fa sotto l'irrigazione continua; il campo d'azione è assai piccolo, l'anestesia indispensabile, il pericolo di emorragia immediato e tardivo non escluso, la possibilità d'infezione sempre presente. Ciò nonostante la sua efficacia è indiscutibile, anche dopo interventi che a prima vista potrebbero sembrare insufficienti.
La chirurgia dell'uretra ha fatto anch'essa progressi sensibili. Dall'uretrotomia interna ed esterna s'è passato alle plastiche in caso sia di anomalie congenite (ipo- ed epispadie) sia di traumi (resezione del tratto leso). Tutto l'immenso materiale al quale s'è appena accennato, aumenta ogni giorno di più, ciò che giustifica pienamente il desiderio di alcuni studiosi di dedicarsi esclusivamente all'urologia. Questo bisogno è inteso in tutti i paesi e si può dire che non esiste più stato o nazione che non abbia cattedre o reparti ospedalieri urologici.
Naturalmente occorre procedere dal generale al particolare, perché senza basi e senza fondamento non può sorgere nel complesso edificio della scienza una specializzazione razionale. Agendo diversamente si tornerebbe all'antico. In urologia lo studio del malato richiede un'osservazione prolungata, sistematica, non limitata alla semplice diagnosi di sede e di natura, ma estesa soprattutto alla prognosi immediata e lontana. Questo risultato si raggiunge con lo studio della funzione renale, con quello dei rapporti tra indici sanguigni e urinarî, la cromocistoscopia, il cateterismo uretrale, la pielografia ascendente e discendente, tutti elementi che richiedono per la loro esatta interpretazione, uno studio accurato, una competenza sicura. In Italia esistono centri urologici a Roma, Milano, Trieste, Palermo, Livorno, per non parlare che dei più importanti.
Bibl.: Aegidius Corbolensis, Carmina de urinarum judiciis, Padova 1484; M. Santo, Libellus aureus de lapide vesicae per incisionem extrahendo, Venezia 1543; D. Giordano, Chirurgia renale, Torino 1898; C. Veillard, L'urologie et les médicins urologues dans la médecine ancienne, Parigi 1903; J. Regnault, Médicine et pharmacie chez les Chinois et les Annamites, ivi 1906; E. Desnos, Storia dell'urologia, nell'Encycl. franç. de urologie, ivi 1914; A. Castiglioni, Storia della medicina, Milano 1927; G. Germani, Il cateterismo nella storia dell'urologia, in Boll. Ist. stor. ital. dell'arte sanit., VII (1927), p. 158.