Uruguay
L'invenzione del cinema arrivò in U. il 18 luglio 1896, quando in una sala da ballo di Montevideo si effettuò la prima proiezione pubblica a pagamento di alcuni cortometraggi realizzati con l'apparecchio dei fratelli Lumière. Il primo film uruguaiano, Carrera de bicicletas en el velódromo de Arroyo Seco (1898), fu girato da Felix Oliver, un commerciante spagnolo residente in U. che, procuratosi in Francia una macchina da presa e della pellicola vergine, realizzò alcuni film. Ai primi anni del Novecento risale invece la creazione di un'impresa di produzione cinematografica: i fratelli Lorenzo e Juan Adroher aprirono il Biógrafo Lumière, che funzionò come casa di produzione e distribuzione dal 1910 al 1914, anno in cui, a causa dello scoppio della Prima guerra mondiale, s'interruppe bruscamente la fornitura di pellicola dalla Francia. Negli anni Venti, mentre la cinematografia argentina s'imponeva a livello continentale, in U. il cinema tardava a svilupparsi, tanto che molti tecnici, fotografi o aspiranti cineasti emigrarono nella vicina Buenos Aires. Dopo alcuni mediometraggi artigianali, il primo lungometraggio a soggetto fu Puños y nobleza (1919) di Edmundo Figari, mai distribuito nelle sale; solo nel 1923 uscì Almas de la costa di Juan Antonio Borges, melodramma a tinte forti di grande successo come El pequeño héroe del Arroyo de Oro (1929) di Carlos Alonso, film in cui il contrasto tra la cultura autoctona e quella degli immigrati europei costituisce uno degli elementi più interessanti. Già dai primi anni del Novecento, infatti, la differenza tra città e campagna aveva caratterizzato il volto della società uruguaiana: nel 1908 la metà degli abitanti di Montevideo era di origine europea, mentre nelle zone rurali tale percentuale si riduceva nettamente.
La crescente potenza dell'industria cinematografica argentina e la mancanza di un'industria di base uruguaiana impedirono al Paese di crearne una cinematografica; le poche realizzazioni si limitarono a episodi isolati o a brevi documentari di attualità. Nel 1931 uscì il primo lungometraggio, il documentario Cielo, agua y lobos di Justino Zavala Muniz, che divenne presidente e animatore del primo cineclub del Paese, il Cine-club del Uruguay. Durante la dittatura militare di Gabriel Terra (dittatore dal 1933), si realizzò il primo film sonoro, Dos destinos (1936) di Juan Etchebehere, opera di propaganda governativa il cui mancato successo non impedì al regime di dare impulso alla produzione cinematografica: nel 1938 uscì ¿Vocación? di Juan Erecart, melodramma musicale interpretato dalla cantante lirica Rina Massardi, presentato alla Mostra del cinema di Venezia del 1939. Uscirono poi due commedie, Soltero soy feliz (1938) di Juan Carlos Patrón e Radio Candelario (1938) di Rafael Abella. La concorrenza della cinematografia argentina impedì comunque lo sviluppo di una vera industria nazionale e la realizzazione di numerose coproduzioni. Dato il basso costo del lavoro infatti, molti produttori argentini realizzarono film in U., tra i quali Los tres mosqueteros (1946) di Julio Saraceni e Así te deseo (1947) di Belisario García Villar, tratto da Come tu mi vuoi di L. Pirandello.
Come altri Paesi latinoamericani, anche l'U. conobbe un periodo di sviluppo tra la fine della Seconda guerra mondiale e gli anni Cinquanta: il cinema divenne elemento della formazione culturale delle nuove generazioni, nonché strumento di diffusione di idee sociali e politiche, grazie anche al mutato clima politico che favorì nel Paese un maggiore pluralismo. Dopo la nascita dell'Archivo Nacional de la Imagen (1943), vennero così creati nel 1950 l'Istituto di cinema dell'Università della Repubblica (ICUR) e nel 1952 la Cinemateca Uruguaya. Nel settore documentaristico emerse Enrico Gras, regista di Pupila al viento (1948) e Artigas, protector de los pueblos libres (1950), autore di un cinema elaborato dal punto di vista visuale e debitore delle concezioni sovietiche sul montaggio. Nel 1949 uscì sugli schermi Detective a contramano di Adolfo Fabregat, una commedia di taglio moderno, parodia del cinema noir hollywoodiano. Il fermento intellettuale e creativo proprio degli anni Cinquanta tardò però a concretizzarsi in opere vere e proprie: solo nel 1959 uscì sugli schermi Un vintén pa'l Judas di Ugo Ulive, film nato all'interno del gruppo del Teatro del Galpón di Montevideo, ispirato alle atmosfere e al linguaggio neorealista italiano (l'uso degli esterni, l'ambientazione tra le classi sociali più umili, la narrazione incentrata sul furto di una chitarra sono solo alcuni degli elementi di novità destinati ad avere ripercussioni negli anni a seguire). Nel 1960 Ulive diresse Como el Uruguay no hay, cortometraggio militante sulla situazione politica del Paese, che divenne ben presto modello di riferimento del nuovo cinema uruguaiano. Seguendo l'esempio di Ulive, alcuni giovani registi lavorarono sul cortometraggio documentario come forma di denuncia: Mario Handler realizzò Carlos, cineretrato de un caminante montevideano (1965) e, con Ulive, Elecciónes (1966). Ma fu soprattutto con Me gustan los estudiantes (1968) di Handler, che il cinema militante uruguaiano trovò un vero manifesto, proprio quando la stretta repressiva del governo si stava facendo più forte e l'opposizione di sinistra ai governi conservatori ‒ rappresentata soprattutto dalla frangia di ispirazione socialista e comunista dei Tupamaros ‒ stava acquistando nel Paese uno spazio sempre maggiore. Uscirono in questi anni alcuni cortometraggi come Liber Arce, liberarse (1969) di Handler, Mario Jacob e Marcos Banchero, Uruguay 69: el problema de la carne (1969) di Handler, Miss Amnesia (1970) di Alain Labrousse, e il lungometraggio Ay! Uruguay! (1971), film collettivo diretto da Ferruccio Musitelli, Manuel Castro, Juan Carlos Rodríguez e Juan Bouzas.La tensione sociale sfociò nel 1973 nell'instaurazione di una dittatura militare che impose in U. la censura e la repressione delle forze di opposizione: molti dei protagonisti del rinnovamento cinematografico del decennio precedente furono arrestati o costretti all'esilio (Ulive, Handler e Jorge Solé emigrarono in Venezuela) e inizialmente la produzione fu quasi annullata, eccezion fatta per Maribel y la extraña familia (1973) di Jorge Fornio e Raúl Quintín, primo film a colori. Nel 1979 uscì El lugar del humo, melodramma diretto dalla regista argentina Eva Landeck, e nel 1980 Gurí di Eduardo Darino, anche apprezzato regista di animazione. Nel 1982 Juan Carlos Rodríguez Castro realizzò Mataron a Venancio Flores, dramma storico sull'assassinio di uno dei presidenti dell'U., e nel 1983 uscì il documentario A los ganadores no le se pone condiciones di Luis Varela, due opere in cui appare chiaro il tentativo di recuperare la memoria politico-sociale del Paese. A partire dal 1984, ritorno della democrazia in U., ha avuto luogo un nuovo cambio generazionale ed estetico. Data la mancanza di una vera e propria industria cinematografica, nuovi cineasti hanno iniziato a sviluppare una poetica del video, supporto maneggevole ed economico che ha permesso di sperimentare forme e linguaggi nel cortometraggio come nel lungometraggio. Negli anni Novanta sono usciti lungometraggi video di finzione come Vida rápida (1992) del Grupo Hacedor, Martin Aquino (1996) di Ricardo Romero Curbelo, El hombre pálido (1998) di Duilio Borch, nei quali la mancanza di professionalità dal punto di vista tecnico è compensata dalla volontà di sperimentazione e di ricerca di un nuovo modo di intendere il cinema. Nel documentario si è recuperata l'esperienza dei registi degli anni Sessanta, come per es. in Elecciónes Generale (1985) di César de Ferrari, in cui vengono inseriti frammenti di Me gustan los estudiantes. Per sviluppare una nuova cinematografia nazionale si è avviata nel Paese la politica delle coproduzioni, come nel caso di El dirigible (1994) di Pablo Dotta, in collaborazione con Cuba, Svizzera, Gran Bretagna, Messico, film presentato al Festival di Cannes e, nella sua intenzione di raccontare la storia dell'U. in chiave metaforica, ispirato a un linguaggio di impronta magico-realista, legato alle forme surreali della letteratura sudamericana. L'uruguaiana Beatriz Flores Silva, formatasi in Belgio, ha realizzato nel 1993 La historia casi verdadera de Pepita la Pistolera e l'argentino Jorge Rocca ha diretto nel 1994 Patrón. Nel 1997 sono stati istituiti due enti tesi alla salvaguardia e alla promozione del cinema: il Fondo Nacional del Audiovisual (FONA), consorzio privato di aziende produttrici, e l'Istituto Nacional de Audiovisuales (INA), ente statale dipendente dal Ministero dell'educazione e cultura. Parallelamente, la Cinemateca Uruguaya (divenuta anche scuola di cinema oltre che distributrice, tradizionalmente, di film esclusi dal mercato commerciale) ha proseguito la sua opera di diffusione della cultura cinematografica del Paese. L'incremento della produzione ha permesso anche di tentare strade tra loro diverse con opere come El Chevrolé (1998) di Leonardo Ricagni, legato alla nuova estetica pubblicitaria e del videoclip; Otario (1997) di Diego Arsuaga, noir ambientato nella Montevideo degli anni Quaranta; fino al minimalismo narrativo di Una forma de bailar (1997) di Álvaro Buela. A partire dal 2000 ha iniziato a farsi strada una nuova tendenza: film come Los días con Ana (2000) di Marcelo Bertalmío, 25 watts (2001) di Juan Pablo Rebella e Pablo Stoll, e La espera (2002) di Aldo Garay appaiono segni di un nuovo cinema libero da schemi prefissati e da modelli da imitare, ma capace di reinventarsi, ulteriore sintomo della rinata vivacità della produzione del continente.
J.C. Alvarez, Breve historia del cine uruguayo, Montevideo 1957.
Historia y filmografía del cine uruguayo, a cura di E. Hintz, G. da Costa, Montevideo 1988.
L. Alvarez, La casa sin espejos: perspectivas de la industria audiovisual uruguaya, Montevideo 1993.
N. Azalbert, Lettre de Montevideo, in "Cahiers du cinéma", 2003, 585, pp. 50-51.