congiuntivo, uso del [prontuario]
Il modo ➔ congiuntivo si trova tanto nelle frasi principali (➔ principali, frasi) quanto, e soprattutto, nelle subordinate (➔ subordinate, frasi). Svolge una doppia funzione: esprimere una certa ➔ modalità e segnalare la subordinazione di frase. Se il suo uso è saldo nelle principali, dove esprime in particolare un ordine o un desiderio o augurio, una certa instabilità si riscontra invece nelle subordinate.
Nelle frasi esprimenti un ordine (dette anche iussive) il congiuntivo presente è usato per la terza persona singolare e la terza plurale del verbo; per la seconda singolare e la seconda plurale si usa l’➔imperativo (1) e, in caso di contesto generico, l’➔infinito (2):
(1) smettila / smettetela di gridare
(2) non superare la linea gialla
La forma al congiuntivo può essere preceduta in apertura di frase da che, facoltativo e indipendente da ragioni di ➔ registro:
(3) (che) la smetta / smettano di gridare!
In luogo del congiuntivo presente, nelle frasi iussive ha una certa diffusione il congiuntivo imperfetto, che tuttavia mantiene una forte connotazione centro-meridionale:
(4) (che) la smettesse / smettessero di gridare!
(5) la piantasse una buona volta
I due tempi verbali, presente e imperfetto, si alternano invece per tutte le persone e senza connotazione diafasica, diastratica o diatopica (➔ variazione diastratica; ➔ variazione diatopica), nelle frasi ottative (per le quali è possibile anche il condizionale, preceduto dagli avverbi quanto e come: quanto / come lo vorrei vedere!). Prima del congiuntivo può figurare il verbo potere (ad es., per la prima persona singolare: possa / potessi vincere alla lotteria!), in assenza del quale si usa solo l’imperfetto (*vinca / vincessi alla lotteria!).
Più complesso è il quadro del congiuntivo nelle subordinate.
È stabile, nell’uso corrente, il congiuntivo di molte frasi non argomentali (➔ subordinate, frasi): è obbligatorio là dove individua il valore finale (6) rispetto al valore causale, che altrimenti imporrebbe l’uso dell’indicativo (7):
(6) [finale] lo chiamo perché sappia tutto
(7) [causale] lo chiamo perché sa tutto
È decisamente saldo nelle finali introdotte da affinché, nelle frasi di adeguatezza (troppo / poco / abbastanza / alquanto... perché: 8) e nelle esclusive (9):
(8) è una figurina troppo astratta [...], troppo lunare perché riusciamo a credergli («Corriere della sera» 6 marzo 2009)
(9) alimentano un dibattito che puntualmente si tramuta in scontro, senza che sullo sfondo appaia nemmeno la sagoma di un progetto unitario («Corriere della sera» 9 febbraio 2010)
Qualche incertezza può sorgere (ma non nei registri sorvegliati) nelle concessive introdotte da benché e sebbene (anche se richiede l’indicativo), condizionali (dopo purché, a condizione che, ecc.) e temporali che abbiano una sfumatura condizionale-ipotetica (perlopiù in contesti al passato):
(10) non mi sarei addormentato fino a che tu non fossi tornata
(11) ti avrei chiamato dopo che tu fossi arrivato
(12) ti ho chiamato prima che tu arrivassi
In questi casi, nel registro colloquiale non sorvegliato, il congiuntivo è tranquillamente sostituito dall’indicativo (➔ semplificazione; ➔ imperfetto):
(13) ti ho chiamato prima che arrivavi
Al futuro si usa soprattutto l’indicativo futuro:
(14) non mi addormenterò fino a quando non sarai tornata
a cui ovviamente corrisponde, nei registri non sorvegliati, una forma come:
(15) non mi addormento fino a quando non torni
Però, con prima che è possibile il congiuntivo:
(16) ti chiamerò prima che tu esca
Il congiuntivo appare anche nelle eccettuative (introdotte da a meno che, fuorché, eccetto che, salvo che, tranne che) e nelle comparative introdotte da secondo (che) e a seconda che (➔ eccettuative, frasi; ➔ comparative, frasi). Il doppio indicativo o il tipo misto caratterizza invece il periodo ipotetico nei registri colloquiali (➔ colloquiale, lingua; ► colloquiali, forme).
Una certa gradualità nel ricorso al congiuntivo (che tuttavia rimane senz’altro sicuro nei registri medio-alti) caratterizza anche le frasi argomentali.
Distinguiamo qui contesti volitivi e dubitativi (in cui l’evento espresso è dominato da incertezza) e contesti fattivi (in cui l’evento espresso è presupposto come vero), a seconda del tipo di verbo (o di altro elemento: aggettivo, nome) posto nella frase principale da cui dipende la frase subordinata al congiuntivo.
I contesti volitivi sono contrassegnati da:
(a) verbi come bisognare, bastare, importare, occorrere, volerci, ecc., che introducono frasi soggettive:
(17) bisogna che vi sbrighiate
(b) verbi come volere, chiedere, ordinare, ecc., che introducono frasi oggettive:
(18) voglio che tu te ne vada
(c) predicati contenenti aggettivi e nomi corrispondenti: importante, indispensabile, necessario, ecc., nelle frasi soggettive (19) e bisogno, consiglio, desiderio, intenzione, ecc. nelle frasi oggettive (20):
(19) è importante che tu venga
(20) ho bisogno che qualcuno mi aiuti
Nel caso in cui, in questi tipi di frase, la principale contenga un predicato al passato o al condizionale, il congiuntivo della subordinata dovrebbe essere sempre all’imperfetto, anche quando non designa un passato (➔ concordanza dei tempi):
(21) mi sarebbe piaciuto che ci si incontrasse
(22) volle che arrivassi l’indomani
Questo uso vale anche quando il condizionale della principale sia di cortesia (➔ cortesia, linguaggio della):
(23) vorrei che ne parlassimo
(24) mi piacerebbe tanto che ci si trovasse tutti insieme
Nondimeno, nel parlato corrente e, sempre più frequentemente, anche nello scritto, pure di carattere pubblico (articoli giornalistici, ecc.), al posto del congiuntivo imperfetto nella subordinata si trovano altre forme verbali:
(25) vorrei che ci vediamo presto
(26) sarebbe bello se ci incontriamo a casa tua
Il congiuntivo è frequente in contesti dubitativi-valutativi, dopo verbi come parere, sembrare, succedere, capitare (frasi soggettive: pare che se ne sia andato) e dubitare, credere, pensare, sperare, supporre, presumere, immaginar(si) (frasi oggettive: dubito che arrivi in tempo), specie in assenza della congiunzione subordinativa che (pare / credo siano i cittadini a decidere); e dopo nomi e aggettivi come preferibile, (im)possibile, (im)probabile, ecc. (frasi soggettive: è preferibile che tu chiuda la porta) e impressione, opinione, dubbio, idea, ipotesi, eventualità, ecc. (frasi oggettive: ho l’impressione che non ce la faccia).
In contesti epistemici (cioè esprimenti la supposizione del parlante; ➔ modalità) l’uso del congiuntivo è correlato in parte all’espressione lessicale dalla quale dipende sintatticamente: con aggettivi indicanti certezza (certo, convinto, chiaro, evidente, ovvio, sicuro, ecc.) domina l’indicativo (a meno che non si abbia a che fare con frasi principali negative, che richiedono abitualmente il congiuntivo):
(27) non sono sicuro che le cose siano andate come le racconti
Con gli aggettivi indicanti possibilità o probabilità (facile, possibile, presumibile, probabile, ecc.) domina invece il congiuntivo.
Su un livello diafasicamente più basso, l’indicativo trova spesso spazio accanto al congiuntivo:
(a) con nomi e aggettivi fortemente fattuali (fatto, notizia, certezza, ecc. e convinto, sicuro, certo, vero, ecc.);
(b) con verbi, nomi e aggettivi che esprimono uno stato d’animo (cioè un fatto): dispiacer(si), sorprender(si), spaventar(si), esasperar(si), ecc.:
(28) mi dispiace che non sia / sei venuto
(c) con nomi come peccato, piacere, fortuna, rabbia, vergogna, ecc.:
(29) (è un) peccato che abbia / ha piovuto
(d) con aggettivi come contento, felice, orgoglioso, soddisfatto, sorpreso, ecc.:
(30) sono contento che sia / sei venuto
L’indicativo tende ad alternarsi al congiuntivo anche dopo verbi dichiarativi come raccontare, notare, osservare, spiegare, dire, ecc. + che / come / quanto con i quali il parlante si limita a esporre fatti e a riportare parole altrui. L’uso dell’indicativo è favorito quando si nega un dubbio (non dubito che è bravo, che si avrà forse anche per effetto della frase affermativa che avrà pronunciato l’interlocutore) e quando il verbo valutativo introduce un verbo volitivo (specie se questo è bisognare: credo che bisogna essere aperti a nuovi ingressi).
In generale, nelle frasi argomentali, il congiuntivo è più resistente nelle completive rette da verbi di desiderio che nelle completive rette da verbi di dire (➔ completive, frasi), mentre ancora più debole appare l’uso del congiuntivo con le ➔ interrogative indirette.
Il congiuntivo, oltre che nei registri più sorvegliati, rimane stabile in alcune circostanze anche nell’italiano parlato (Lombardi Vallauri 2003) e in quello burocratico, amministrativo e giuridico. Se la stampa rispetta più di radio e televisione l’uso del congiuntivo al posto dell’indicativo, anche nelle interrogative indirette (Bonomi 2002: 208-211), il congiuntivo gode complessivamente di buona salute nella fiction e nella divulgazione scientifica televisiva (cfr. rispettivamente Alfieri, Motta & Rapisarda 2008 e Guidotti & Mauroni 2008), oltre che nelle canzoni (Telve 2008b).