Abstract
Viene esaminata la struttura dei delitti di usura e di mediazione usuraria con particolare riferimento ai criteri di determinazione dei tassi usurari, alla rilevanza penale della loro periodica fluttuazione, nonché alla individuazione del momento consumativo dell’usura «a condotta frazionata», anche in rapporto alla disciplina della prescrizione. Si analizzano le diverse forme di manifestazione del reato ed i possibili titoli di responsabilità del terzo esattore. Infine, viene fatto cenno ai diversi profili sanzionatori e processuali.
A seguito dell’abrogazione ad opera della l. 7.3.1996, n. 108 dell’art. 644 bis (recante le fattispecie di usura impropria introdotte dall’art.11 quinquies, co. 1, lett. b, e 2 del d.l. 8.6.1992, n. 306, conv. con modificazioni nella l. 7.8.1992, n. 356) con trasferimento dei suoi contenuti nell’art. 644 c.p. integralmente riscritto, il codice penale distingue le due figure dell’usura (co. 1) e della mediazione usuraria (co. 2). Per risolvere la questione di diritto intertemporale, relativa all’applicabilità della normativa introdotta con l. n. 108/1996 ai contratti stipulati prima della sua entrata in vigore, occorre rilevare anzitutto che, come la giurisprudenza ha avuto modo di precisare in tema di rapporti tra l’art. 644, co. 3, secondo periodo, c.p. ed il previgente art. 644 bis c.p., tra la previgente e l’attuale fattispecie di usura sussiste un rapporto di “continuità normativa”, in quanto le nuove disposizioni hanno inglobato gli elementi costitutivi delle altre, dando luogo non già ad un fenomeno di abolitio criminis (Magri, P., Usura, ricettazione, appropriazione indebita, riciclaggio, in Trattato di diritto penale, a cura di G. Marinucci-E. Dolcini, I delitti contro il patrimonio mediante frode, t. II, Padova, 2007, 54 ss.), bensì ad una successione meramente modificativa di leggi penali (cfr., per tutte, Cass. pen., sez. II, 7.7.2005, n. 35076, in Dir. e giust., 40/2005, 94; Cass. pen., sez. V, 30.5.2001, n. 31683, in Riv. pen., 10/2001, 1006). Con riferimento alla fattispecie di usura di cui al vecchio art. 644, co. 1, c.p., la l. n. 108/1996 ha determinato un ampliamento dell’incriminazione con una sostanziale omogeneità normativa della condotta tipica (Vitarelli, T., Rilievo penale dell’usura e successione di leggi, in Riv. it. dir. proc. pen., 2001, 814 ss.; contra Bellacosa, M., Usura impropria, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1994, 155): in particolare, si è passati da una fattispecie “speciale” incentrata, tra l’altro, sull’approfittamento dell’altrui stato di bisogno (Grosso, C.F., Usura, in Enc. dir., XLV, Milano, 1992, 1142), ad una fattispecie generale imperniata sul superamento di tassi soglia nell’ambito della quale l’aver commesso il fatto in danno di chi si trova in stato di bisogno costituisce circostanza aggravante (art. 644, co. 5, n. 3, c.p.); privilegiando, così, il profilo oggettivo della condotta, nel chiaro intento del legislatore di colpire tutte le prestazioni di denaro o di altra utilità che producano vantaggi usurari (Ammirati, D., Il delitto di usura: credito e sistema bancario: L. 7 marzo 1996 n. 108, Padova, 1997, 77). Ne deriva che, per determinare gli eventuali profili di illiceità penale relativi ad operazioni concluse prima dell’entrata in vigore della l. n. 108/1996, occorre fare riferimento, anzitutto, alla formulazione dell’art. 644 c.p. vigente al momento della pattuizione o anche all’art. 644 bis c.p. (introdotto con d.l. 8.6.1992, n. 306, conv. con l. 7.8.1992, n. 356 e successivamente abrogato dall’art. 1, co. 2, della medesima l. n. 108/1996), operando altrimenti il generale divieto di retroattività di cui all’art. 2, co. 1, c.p.; anche perché, come rilevato dalla dottrina, la riforma del 1996 non esclude affatto la natura “unitaria” ed “istantanea” del reato di usura in base alla quale la punibilità delle condotte di riscossione rimane comunque subordinata a quella della condotta di stipulazione (Pedrazzi, C., Sui tempi della fattispecie di usura, in Riv. it. dir. proc., pen., 1997, 663 ss.; Severino Di Benedetto, P., Riflessi penali della giurisprudenza civile sulla riscossione di interessi divenuti usurari successivamente all’entrata in vigore della l. n. 108 del 1996, in Corr. giur., 1998, 524 ss.; Vitarelli, T., Rilievo penale dell’usura e successione di leggi, cit., 813); senza considerare che, ove si individuasse nella dazione il momento cui riferirsi per stabilire la tipicità della condotta, oltre a trasformarsi concettualmente l’art. 644 c.p. da norma sanzionatoria a norma di divieto, si incentiverebbe il debitore a ritardare sistematicamente i pagamenti nella speranza di una valutazione di usurarietà sopravvenuta dei tassi degli interessi dovuti (Giusti, G., Note in tema di sequestro liberatorio ed usurarietà sopravvenuta del tasso di interesse, in Banca, borsa e tit. cred., 1/2001, 110). Nell’ipotesi in cui il fatto integri gli estremi del reato di usura secondo i parametri anteriori alla l. n. 108/1996, si tratterebbe invece di accertare la sussistenza anche dei presupposti della nuova fattispecie e, in caso affermativo, dovrebbe applicarsi la disposizione più favorevole al reo secondo quanto disposto dall’art. 2, co. 4, c.p. La questione dell’eventuale usurarietà dei tassi sopravvenuta nella fase di riscossione – rispetto alla quale non si è mancato in dottrina di sottolineare l’autonoma rilevanza della condotta di dazione (Mucciarelli, F., Commento alla L. 7 marzo 1996, n. 108 – Disposizioni in materia di usura, in Legisl. pen., 1997, 537 ss.; Prosdocimi, S., La nuova disciplina del fenomeno usuraio, in Studium iuris, 1996, 771 ss.; Caraccioli, I., Il reato di usura e le sue possibili connessioni con il credito bancario ed interfinanziario, in Il fenomeno dell’usura e dell’intermediazione finanziaria e bancaria, a cura di P. De Felice, Bari, 1997, 47 ss.; Manna, A., Il delitto di usura nella prospettiva comparatistica: diritto penale «interventista» versus diritto penale «neo-liberista»?, in Mercato del credito e usura, a cura di F. Macario-A. Manna, Milano, 2002, 265 ss.) – si risolve, invece, facendo applicazione del criterio introdotto con l’art. 1, co. 1, d.l. 29.12.2000, n. 394 (conv. con l. 28.2.2001, n. 24), secondo cui «ai fini dell’applicazione dell’art. 644 del codice penale e dell’art. 1815, secondo comma, del codice civile, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento»: criterio che vale, evidentemente, anche per i mutui a tasso variabile, i cui criteri siano predeterminati in modo oggettivo senza la necessità di un nuovo incontro delle volontà delle parti. Peraltro, la Corte Costituzionale (sent. 14.12.2002, n. 29) ha dichiarato l’inammissibilità o la manifesta infondatezza delle diverse questioni sollevate con riferimento alla richiamata disposizione interpretativa, a favore delle quali pure si era schierata parte della dottrina (Manna, A., Il delitto di usura nella prospettiva comparatistica: diritto penale «interventista» versus diritto penale «neo-liberista»?, cit., 272 ss.; contra Zanchetti M., Cronaca di un reato mai nato: costruzione e decostruzione normativa della fattispecie di «usura sopravvenuta», in Mercato del credito e usura, a cura di F. Macario-A. Manna, cit., 349 ss.). Né potrebbe altrimenti invocarsi l’indirizzo giurisprudenziale ormai consolidato secondo cui «in tema di usura qualora alla promessa segua, mediante la rateizzazione degli interessi convenuti, la dazione effettiva di essi, questa non costituisce un post-factum non punibile, ma fa parte a pieno titolo del fatto lesivo penalmente rilevante e segna, mediante la concreta e reiterata esecuzione dell’originaria pattuizione usuraria, il momento consumativo “sostanziale” del reato, con effetti anche ai fini della prescrizione, essendosi in presenza di un reato a consumazione prolungata o a condotta frazionata» (cfr., per tutte, Cass. pen., sez. II, 2.7.2010, n. 33871; Cass. pen., sez. II, 18.5.2010, n. 27171, in Guida al dir., 45/2010, 84; Cass. pen., sez. II, 19.6.2009, n. 42322, in Riv. pen., 9/2010, 867; Cass. pen., sez. II, 10.7.2008, n. 34910, in Cass. pen., 10/2009, 3873; Cass. pen., sez. II, 12.6.2007, n. 26553, in Cass. pen., 6/2009, 2426; Cass. pen., sez. II, 10.12.2003, n. 11837, in Cass. pen., 6/2005, 1961): tutte le pronunce che si iscrivono in questo indirizzo, infatti, fanno riferimento alla rateizzazione di interessi che siano già usurari al momento della pattuizione e non di quelli che siano divenuti tali solo successivamente, al momento della riscossione (Manna, A., Decreto sui mutui: primo indebolimento della tutela contro l’usura?, in Dir. pen. e proc., 2001, 541 ss.). Ma soprattutto, a prescindere dalle questioni inerenti la natura giuridica del reato di usura, che nulla dicono in ordine alla questione della irrilevanza dell’usurarietà sopravvenuta, la soluzione qui accolta deriva da un’interpretazione coordinata degli articoli 644 c.p. e 1815, co. 2, c.c. (così come contestualmente riformulato dall’art. 4, della medesima l. n. 108/1996), da cui si comprende che è sull’originaria pattuizione che si appunta il disvalore del fatto rispetto al quale la successiva condotta del «farsi dare» può solo produrre un incremento di contenuto o, semmai, integrare la circostanza aggravante di cui all’art. 61, n. 8, c.p. (Brunelli, D., Il reato portato a conseguenze ulteriori. Problemi di qualificazione giuridica, Torino, 2000, 141 ss.). Senza considerare che, nell’emanare in un unico contesto le disposizioni civili e penali, ove il legislatore avesse voluto davvero attribuire lo stesso stigma di usurarietà all’interesse esuberante al momento della pattuizione e a quello dovuto alle periodiche fluttuazione dei tassi, lo avrebbe detto espressamente (Fiorella, A., Appunti sulla struttura del delitto di usura, in Mercato del credito e usura, a cura di F. Macario-A. Manna, cit., 240). Quanto all’ipotesi inversa in cui, per effetto della fluttuazione del tasso soglia, potrebbero risultare legittimi interessi originariamente usurari, non sembra che essa possa dar luogo a fenomeni di abolitio criminis ai sensi dell’art. 2 c.p., vuoi perché tale modifica incide propriamente sul fatto e non sul precetto (Pagliaro, A., Principi di diritto penale. Parte speciale, III, Delitti contro il patrimonio, Milano, 2003, 425; Vitarelli, T., Rilievo penale dell’usura e successione di leggi, cit., 813), vuoi perché la medesima disciplina sui tassi opera come legge temporanea ai sensi del co. 5 del medesimo art. 2 c.p. (Fiorella, A., Appunti sulla struttura del delitto di usura, cit., 242). E lo stesso vale, secondo la giurisprudenza, nel caso in cui – come avvenuto l’art. 8, co. 5, lett. d, del d.l. 13.5.2011, n. 70 (conv. in l. 12.7.2011, n. 106) – si modifichi (anche in senso più favorevole) il criterio di determinazione del tasso soglia di cui all’art. 2 l. n. 108/1996 (Cass. pen., sez. II, 19.12.2011, n. 46669, in Dir. & Giust., 20.1.2012), trattandosi in questo caso di successione di norme “extrapenali” o “secondarie” idonea a determinare una mera «variazione del contenuto del precetto con decorrenza dall’emanazione del successivo provvedimento» non rientrante nella disciplina dell’art. 2 c.p.
Sebbene sia collocato nel codice tra i delitti contro il patrimonio mediante frode (Libro II, Titolo XIII, Capo II), sull’individuazione del bene giuridico tutelato dalla fattispecie di usura si registrano, da sempre, opinioni profondamente diverse: per alcuni si tratterebbe di garantire, quantomeno nell’ipotesi di usura presunta, l’ordinamento del credito o più in generale l’economia pubblica (Borsari, R., Il delitto di usura «bancaria» come figura «grave» esclusa da benefici indulgenziali. Profili critici, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2009, 40; Insolera, G., Usura e criminalità organizzata, in Riv. it. dir. proc. pen., 1997, 126 ss.; Mucciarelli, F., Commento alla L. 7 marzo 1996, n. 108 – Disposizioni in materia di usura, cit., 514 ss.; Pagliaro, A., Principi di diritto penale. Parte speciale, III, Delitti contro il patrimonio, cit., 418 s.; Zanchetti, M., Cronaca di un reato mai nato: costruzione e decostruzione normativa della fattispecie di «usura sopravvenuta», cit., 302); per altri, all’usura dovrebbe riconoscersi natura plurioffensiva rispetto al diritto all’autonoma determinazione del contenuto del contratto e agli interessi attinenti alla sfera personale e patrimoniale della vittima (Violante L., Il delitto di usura, Milano, 1970, 235 ss.); per altri ancora il bene sarebbe comunque quello del patrimonio individuale, sia pure diversamente protetto nelle diverse ipotesi di usura (Fiandaca, G.-Musco, E., Diritto penale. Parte Speciale, vol. II, t. II, I delitti contro il patrimonio, cit., 225; Mantovani F., Diritto penale. Parte speciale, II, Delitti contro il patrimonio, ed. III, Padova, 2009, 232; Bertolino, M., Nuovi orizzonti dei delitti contro il patrimonio nella circonvenzione di incapace e nell’usura, Torino, 2010, 34). Certo è che, a differenza di quanto avviene normalmente per i delitti contro il patrimonio, la fattispecie presenta un disvalore di condotta pressoché evanescente, mentre il disvalore di evento si incentra sul «pericolo di danno finanziario», presuntivamente derivante dal mero superamento dei tassi soglia, senza richiedere alcun accertamento in ordine all’effettivo pregiudizio patrimoniale subito dalla vittima la quale, in determinate circostanze e valutato il complesso dei riflessi economici, dalla pattuizione di interessi usurari potrebbe persino ottenere effetti positivi (Fiorella, A., Appunti sulla struttura del delitto di usura, cit., 233 s.).
L’usura si configura in presenza di uno scambio di prestazioni alternative o “a ventaglio” (Cristiani, A., Guida alle nuove norme sull’usura, Torino, 1996, 63 ss.) tipicamente realizzato mediante la conclusione di contratti sinallagmatici (mutuo ovvero, nel caso di cd. usura “palliata”, apertura di credito, vendita, locazione, etc.), nell’ambito del quale il soggetto attivo presta «denaro» (cd. usura “pecuniaria”) o «altra utilità» (cd. usura “reale”) facendosi dare o promettere, sotto qualsiasi forma, per sé o per altri, «interessi» o altri «vantaggi usurari». Nel concetto di «altra utilità» si ricomprende generalmente anche la prestazione (cessione, affitto, ecc.) di beni mobili o immobili, di servizi o consulenze professionali o di attività sessuali (Antolisei, F., Manuale di diritto penale. Parte speciale, a cura di C.F. Grosso, XIV, Milano, 2008, 398; Carmona, A., I reati contro il patrimonio, in Questioni fondamentali della parte speciale del diritto penale, a cura di A. Fiorella, Torino, 2012, 156; Fiandaca, G.-Musco, E., Diritto penale. Parte Speciale, vol. II, t. II, I delitti contro il patrimonio, cit., 226) salvo ritenere che, dato l’uso dell’aggettivo “usurario” e del sostantivo “usura”, il principio di legalità imponga di attribuire all’espressione un significato più restrittivo, in cui possono farsi rientrare solo cose fungibili suscettibili di valutazione economica (Pagliaro, A., Principi di diritto penale. Parte speciale, III, Delitti contro il patrimonio, cit., 422 ss.). Gli «interessi» sono il corrispettivo che si paga per il godimento di una somma di denaro ricevuta in prestito, mentre i «vantaggi» indicano ogni ulteriore compenso, anche di natura non patrimoniale, versato al medesimo scopo. Ma è soprattutto con le formule del farsi dare o promettere, in cui si esprime l’esigenza di un’attività induttiva del soggetto, che il legislatore descrive il particolare disvalore di condotta, quantomeno nella cd. usura presunta o in astratto, escludendo dall’incriminazione la semplice riscossione (Fiorella, A., Appunti sulla struttura del delitto di usura, cit., 230 s.). A tale fattispecie viene equiparata la cd. mediazione usuraria (anch’essa alternativamente prevista nella forma presunta ed in concreto) con cui si punisce chi, fuori dai casi di concorso nel delitto di usura o di simulazione, procura a taluno una somma di denaro od altra utilità, facendosi dare o promettere, per sé o per altri, esclusivamente per la mediazione, un compenso usuraio indipendentemente dal fatto che poi si addivenga ad una pattuizione usuraria (Antolisei, F., Manuale di diritto penale. Parte speciale, cit., 406; Fiandaca, G.-Musco, E., Diritto penale. Parte Speciale, vol. II, t. II, I delitti contro il patrimonio, cit., 232; Mantovani, F., Diritto penale. Parte speciale, II, Delitti contro il patrimonio, cit., 235; Pagliaro, A., Principi di diritto penale. Parte speciale, III, Delitti contro il patrimonio, cit., 428).
Dal combinato disposto dei co. 1 e 3 dell’art. 644 c.p. si ricavano due diverse fattispecie di usura (o di mediazione usuraria), a seconda che gli interessi risultino usurari in quanto al di sopra del limite previsto dalla legge (cd. usura o mediazione “presunta” o “in astratto”) ovvero, anche se inferiori a tale limite, avuto riguardo alle concrete modalità del fatto e al tasso medio praticato per operazioni similari, risultano comunque sproporzionati rispetto alla prestazione di denaro o altra utilità o all’opera di mediazione, quando chi li ha dati o promessi si trovi in condizione di difficoltà economica o finanziaria (cd. usura o mediazione “in concreto”). La differenza fondamentale, consiste nel fatto che, mentre la prima esprime un disvalore prevalentemente incentrato sul doppio evento di danno (dazione) ovvero di pericolo (promessa), il cui contenuto patrimoniale svantaggioso si presume nel superamento del limite oltre il quale, per legge, gli interessi sono sempre usurari a prescindere dall’effettiva verificazione di un pregiudizio economico per la vittima (Fiorella, A., Appunti sulla struttura del delitto di usura, cit., 232 s.); nella seconda fattispecie, avente natura sussidiaria, la valutazione della usurarietà va invece effettuata in concreto sulla base di ulteriori elementi che, peraltro, presentano evidenti margini di indeterminatezza ed il cui accertamento è rimesso alla discrezionalità del giudice: si pensi al concetto di «difficoltà economica» (riguardante l’insieme delle attività patrimoniali del soggetto) o «finanziaria» (intesa come carenza di liquidità) che, di per sé, può essere inteso tanto in senso soggettivo, quanto oggettivo (Carmona, A., I reati contro il patrimonio, cit., 157; Fiandaca, G.-Musco, E., Diritto penale. Parte Speciale, vol. II, t. II, I delitti contro il patrimonio, cit., 228; Mantovani, F., Diritto penale. Parte speciale, II, Delitti contro il patrimonio, cit., 232; Mucciarelli, F., Commento alla L. 7 marzo 1996, n. 108 – Disposizioni in materia di usura, cit., 527; Pagliaro, A., Principi di diritto penale. Parte speciale, III, Delitti contro il patrimonio, cit., 427).
Come noto, l’incriminazione dell’usura presunta si avvale – non senza destare critiche in termini di legalità e tassatività (Boido, A., Usura e diritto penale. La «meritevolezza» della pena nell’attuale momento storico, Padova, 2010, 400 ss.; Bertolino, M., Nuovi orizzonti dei delitti contro il patrimonio nella circonvenzione di incapace e nell’usura, cit., 120; Pica, G., Usura (diritto penale), in Enc. dir., VI, Milano, 2002, 1144; Spina, R., L’Usura, Padova, 2008, 67; Gargani, A., Usura semplice e usura qualificata: osservazioni critiche sulla riforma del delitto di usura alla luce del paradigma carrariano, in Riv. it. dir. proc. pen., 2000, 80) – della tecnica delle cd. leggi penali in bianco (Pagliaro, A., Principi di diritto penale. Parte speciale, III, Delitti contro il patrimonio, cit., 424 s.), in quanto si fa coincidere «il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari», di cui all’art. 644, co. 3, c.p., con il tasso medio globale effettivo (TEGM), comprensivo delle commissioni, delle remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla regolazione del credito, rilevato trimestralmente dal Ministero del Tesoro e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale: in particolare, il tasso soglia corrisponde attualmente al predetto tasso medio, aumentato «di un quarto, cui si aggiunge un margine di ulteriori quattro punti percentuali», sempre che la differenza tra i due non superi «otto punti percentuali» (Bonora, C., L’usura, Padova, 2007, 80 ss.). Quale ulteriore criterio di calcolo va infine segnalato che, per l’individuazione degli interessi usurari, ove tra il soggetto agente e la vittima sussista una complessità di rapporti economici, occorre avere riguardo «ai singoli episodi di finanziamento e quindi alle specifiche dazioni o promesse, non potendosi procedere al conteggio globale degli interessi dovuti in virtù della pluralità dei prestiti» (Cass. pen., sez. II, 4.11.2005, n. 745).
In ordine alla valenza che può assumere il calcolo degli interessi di mora per il superamento del tasso soglia come sopra determinato, il quadro normativo, ai vari livelli, appare confuso e non univoco. Nel senso della non incidenza degli interessi moratori sul tasso soglia per la configurabilità del delitto di usura depongono diversi decreti ministeriali trimestrali, in cui si sono espressamente esclusi dalla base di calcolo «gli interessi di mora e gli oneri assimilabili contrattualmente previsti per il caso di inadempimento di un obbligo» (d.m. 24.9.1998). Senza considerare che nel Resoconto della consultazione sulla disciplina in materia di usura del 12.8.2009 (p. 15), Banca d’Italia ha chiarito che gli interessi di mora sono esclusi dalla rilevazione del TEGM, in quanto «riferiti a situazioni di deterioramento del rapporto ed a casi di inadempimento, che normalmente determinano un inasprimento delle condizioni economiche inizialmente applicate», sicché la loro eventuale inclusione nel TEG «andrebbe ad innalzare le soglie applicabili ai rapporti “normali” lasciando margini per ingiustificati arricchimenti nell’onerosità del finanziamento»; aggiungendo che è allo studio «una rilevazione degli interessi di mora, separata dal TEG, che potrà fornire utili informazioni per le valutazioni sulla usurarietà dei tassi, anche nei casi di morosità del debitore». Peraltro, l’esclusione degli interessi moratori dalla base di calcolo dei tassi soglia non vieterebbe comunque di ravvisare in essi «vantaggi usurari», eventualmente rilevanti ai fini della fattispecie di usura in concreto, ove risultino la concreta sproporzione e le difficoltà economiche o finanziarie della vittima (Zanchetti, M., Cronaca di un reato mai nato: costruzione e decostruzione normativa della fattispecie di «usura sopravvenuta», cit., 333 ss.). In senso opposto depongono, però, altri elementi. Anzitutto, si noti che lo stesso art. 644, co. 4, c.p. espressamente richiede di tener conto, ai fini della determinazione del tasso d’interesse usurario, «delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate all’erogazione del credito»: tanto che, nella giurisprudenza più recente in tema di commissione di massimo scoperto, si afferma che la legge impone, a tal fine, di considerare rilevanti «tutti gli oneri che un utente sopporti in connessione con il suo uso del credito» (Cass. pen., sez. II, 19.2.2010, n. 12028, in Cass. pen., 12/2010, 4133 ss.; Cass. pen., sez. II, 14.5.2010, n. 28743; Trib. Palmi, 8.11.2007, n. 1732, in Riv. it. dir. proc. pen., 3/2009, 1551 ss.). Con una sorta di interpretazione autentica da parte del medesimo legislatore, il d.l. 29.11.2008, n. 185 (conv. con l. 28.1.2009, n. 2), all’art. 2 bis, co. 2, ha inoltre precisato che «gli interessi, le commissioni, le provvigioni derivanti dalle clausole, comunque denominate, che prevedono una remunerazione a favore della banca, dipendente dall’effettiva durata dell’utilizzazione dei fondi da parte del cliente … sono comunque rilevanti ai fini dell’applicazione dell’art. 1815 c.c., dell’art. 644 c.p. e della l. 7 marzo 1996, n. 108, artt. 2 e 3». Peraltro, nelle Istruzioni emanate per la rilevazione dei tassi effettivi globali medi ai sensi della legge sull’usura nei mesi di maggio e agosto 2009, al punto C4 (p. 14) la stessa Banca d’Italia ha stabilito che, ai fini del calcolo del tasso effettivo globale medio, deve includersi anche «ogni altra spesa, contrattualmente prevista, connessa con l’operazione di finanziamento». Per di più si osservi gli interessi moratori non sono stati inclusi nella sezione B2 (p. 8), riguardante le operazioni escluse dal calcolo dei tassi effettivi medi globali. Ora, pur in assenza di chiare indicazioni normative, proprio la richiamata vicenda inerente alla rilevanza della commissione di massimo scoperto appare alquanto emblematica: se infatti – come affermato in Cass. pen., sez. II, 19.2.2010, n. 12028, cit. – già prima dell’emanazione del predetto d.l. 29.11.2008, n. 185, la giurisprudenza (soprattutto civile) ha paventato una possibile violazione dell’art. 644, co. 4, c.p. nel metodo di calcolo utilizzato dalla Banca d’Italia che escludeva, come si è visto, il computo della commissione di massimo scoperto per la determinazione dei tassi effettivi medi globali e che è sempre stato seguito nei decreti ministeriali periodicamente emessi ai sensi dell’art. 2 l. n. 108/1996, similmente, anche gli interessi moratori potrebbero includersi nel calcolo dei tassi effettivi medi globali, concorrendo a determinare il limite dei tassi usurari. Tanto più che, in tal senso, si sono pronunciate sia la Corte costituzionale (sent. 25.2.2002, n. 29) sia la Cassazione civile (cfr., ad esempio, sez. I, 22.4.2000, n. 5286, in Giust. civ., 2000, I, 1634; sez. I, 17.11.2000, n. 14899, in Giust. civ., 2000, I, 3099; nonchè, da ultimo, sez. I, 9.1.2013, n. 350), secondo cui «in tema di contratto di mutuo, la pattuizione di interessi moratori, a tasso divenuto usurario a seguito della legge n. 108 del 1996, è illegittima anche se convenuta in epoca antecedente all'entrata in vigore di detta legge e comporta la sostituzione di un tasso diverso a quello divenuto ormai usurario, limitatamente alla parte di rapporto a quella data non ancora esaurito a quella data». Sennonché, a prescindere dal contrasto giurisprudenziale in ordine alla sussistenza o meno di un uso normativo che giustifichi la liceità della pratica dell’anatocismo nei mutui con ammortamento, deve rilevarsi che, in materia di mutuo fondiario, da sempre sussistono disposizioni derogatorie in ordine all’applicazione del divieto di cui all’art. 1283 c.c.: già l’art. 38, r.d. 16.7.1905, n. 646 contenente il Testo Unico delle leggi sul credito fondiario (abrogato solo dall’art. 161 d.lgs. 1.9.1993, n. 385) stabiliva, infatti, che il pagamento degli interessi dovuti all’istituto non può essere ritardato da alcuna opposizione e che «le somme dovute per tali titoli producono di pieno diritto interessi dal giorno della scadenza»; la stessa identica disposizione riprodotta successivamente nell’art. 14 d.P.R. 21.1.1976, n. 7, recante norme relative alle emissioni obbligazionarie da parte degli enti di credito fondiario ed edilizio e delle sezioni autonome per il finanziamento di opere pubbliche e di impianti di pubblica utilità e all'adeguamento del regime giuridico dell'organizzazione e dell'attività dei predetti enti e sezioni; analogamente, l’art. 2 l. 17.8.1974, n. 397 prevedeva che sulle somme dovute e non pagate fossero dovuti gli interessi di mora in misura corrispondente al tasso ufficiale di sconto maggiorato di 4 punti. Ma, soprattutto, era l’art. 16 della l. 6.6.1991, n. 175 (abrogato dall’art. 161 d.lgs. n. 385/1993 con riguardo ai soli contratti conclusi a decorrere dal 1.1.1994) a prevedere che «il pagamento di interessi, rate di ammortamento, compensi e rimborsi di capitale non può essere ritardato da alcuna opposizione» e che «le somme dovute a tale titolo producono, di pieno diritto, interesse dal giorno della scadenza», nella misura fissata con decreto del Ministro del Tesoro, sentito il Comitato interministeriale per il credito ed il risparmio. Un’ulteriore possibile modalità di realizzazione del delitto di usura è connessa ai fenomeni di risoluzione o rinegoziazione dei mutui ove si ritenga che, con la notifica di un atto di precetto in sede esecutiva (cfr., per tutte, Cass. pen., sez. V, 21.10.2005, n. 20449, in Dir. e giust., 4/2006, 32), la conclusione di un accordo per la rateizzazione delle rate già scadute e non pagate ovvero con l’esercizio della condizione risolutiva da parte dell’istituto mutuante, il rapporto contrattuale originario si risolva con il conseguente «obbligo del mutuatario di provvedere alla immediata restituzione dell’intera somma ricevuta, essendo venuto meno il meccanismo di rateizzazione previsto nel contratto ormai risolto»; nonché il diritto della banca di ricevere «oltre all’importo delle rate scadute, la sola quota di capitale residua, ma non anche gli interessi conglobati nelle semestralità a scadere e che sul credito così determinato si dovranno calcolare gli interessi di mora» (Cass. pen., S.U., 19.5.2008, n. 12639, in Giust. civ., 6/2008, I, 1391): in tali casi, infatti, il superamento del tasso soglia potrebbe derivare dal fatto che gli interessi moratori continuino ad applicarsi sia sul capitale residuo che sui rispettivi interessi. A questo riguardo deve però segnalarsi che, pur volendo prescindere dalla loro efficacia vincolante per il giudice penale, nelle Risposte ai quesiti pervenuti in materia di rilevazione dei tassi effettivi medi globali ai sensi della legge sull’usura del novembre 2010 la Banca d’Italia, con riferimento agli obblighi di segnalazione, ha avuto modo di precisare che soltanto nel caso di rinegoziazione di condizioni contrattuali del mutuo diverse dalla semplice dilazione di pagamento il TEG dovrà essere rideterminato sulla base del nuovo piano di ammortamento, comprensivo delle sole rate e spese future; aggiungendo infine che, seppure la dilazione di pagamento vada segnalata come nuova operazione, «ai fini della verifica del rispetto dei tassi soglia resta fermo quanto stabilito dalla legge 24/2001 di interpretazione autentica della legge 108/96, per cui l’usurarietà dei tassi va verificata con riferimento ai tassi soglia, vigenti nel momento in cui gli interessi sono promessi o comunque convenuti, indipendentemente dal momento del loro pagamento».
Prima della riforma del 1996, l’usura veniva qualificata in giurisprudenza come “reato istantaneo” che si consuma al momento della pattuizione, ma con “effetti permanenti” ove il compenso fosse corrisposto in tempi successivi (Cass. pen., sez. II, 24.4.1990, in Crit. pen., 3/1995, 57; Cass. pen., sez. II, 26.9.1983, in Crit. pen., 3/1995, 60), ritenendosi che l’effettiva dazione di interessi o altri vantaggi usurari, costituisse un post factum non punibile, in quanto tale irrilevante ai fini della decorrenza del termine di prescrizione, della sussistenza della flagranza di reato e della contestazione di un eventuale concorso di persone. A seguito della riforma del 1996, nonostante qualche pronuncia volta a ribadire il precedente orientamento (Cass. pen., sez. II, 7.3.1997, in Cass. pen., 1998, 2622; Trib. Milano, 20.9.2001, in Foro ambr., 2001, 478), in sintonia con alcune opinioni dottrinarie (Mantovani, F., Diritto penale. Parte speciale, II, Delitti contro il patrimonio, cit., 234; Masullo, M.N., Usura e permanenza: a proposito del termine di prescrizione, in Cass. pen., 2000, 549 ss.; Vitarelli, T., Rilievo penale dell’usura e successione di leggi, cit., 808), si è formato un nuovo indirizzo che – avuto riguardo alla modifica dell’art. 644 ter c.p. in base al quale la prescrizione «decorre dal giorno dell'ultima riscossione sia degli interessi che del capitale» – inquadra l’usura nell’ambito dei delitti “a condotta frazionata” o “a consumazione prolungata” (cfr., Cass. pen., sez. II, 2.7.2010, n. 33871, cit.; Cass. pen., sez. II, 18.5.2010, n. 27171, cit.; Cass. pen., sez. II, 19.6.2009, n. 42322, cit.; Cass. pen., sez. II, 10.7.2008, n. 34910, cit.; Cass. pen., sez. II, 12.6.2007, cit.; Cass. pen., sez. II, 13.10.2005, n. 41405, in Giur. it., 10/2006, 1929; Cass. pen., sez. II, 10.12.2003, n. 11837, cit.; Trib. Piacenza, 24.4.2003, in Riv. pen., 2003, 887), rafforzandone l’efficacia generalpreventiva (Acquaroli, R., Reati contro la persona e contro il patrimonio, a cura di F. Viganò-C. Piergallini, in Trattato teorico-pratico di diritto penale, diretto da F. Palazzo-C.E. Paliero, Torino, 2011, 717; Magri, P., Usura, ricettazione, appropriazione indebita, riciclaggio, cit., 88) ed afferma che la dazione rientra a pieno titolo nel fatto lesivo penalmente rilevante segnando il «momento consumativo sostanziale del reato» (Cass. pen., sez. I, 19.10.1998, n. 11055, in Riv. pen., 1998, 1117). Si distingue, cioè, tra «perfezione» del reato (corrispondente al momento in cui risultano integrati tutti i suoi elementi costitutivi) e «consumazione» del medesimo (corrispondente al momento in cui è raggiunto il massimo livello di disvalore) ravvisandosi, ad esempio, «flagranza» nei confronti di chi venga sorpreso a farsi corrispondere interessi usurari pur senza aver partecipato alla loro pattuizione: ciò che induce parte della dottrina a qualificare l’usura come reato eventualmente permanente (Di Peppe, V.B., Riflessioni sul momento consumativo dell’usura: dalla categoria del “reato a consumazione prolungata” ai caratteri del delitto di criminalità organizzata, in Cass. pen., 6/2009, 2433 ss.; Fiandaca, G.-Musco, E., Diritto penale. Parte Speciale, vol. II, t. II, I delitti contro il patrimonio, cit., 230; Manna, A., La nuova legge sull’usura: un modello di tecniche incrociate di tutela, Torino, 1997, 85), sebbene non manchino posizioni decisamente contrarie (Antolisei, F., Manuale di diritto penale. Parte speciale, cit., 404), secondo cui non si vede come poter considerare ancora esistente l’offesa del reato nel caso della restituzione del capitale che, pur costituendo un atto dovuto (Mantovani, F., Diritto penale. Parte speciale, II, Delitti contro il patrimonio, cit., 234; Pardini, F., Usura: momento consumativo e concorso di persone, in Dir. pen. e proc., 2006, 1099; Pisa, P., Mutata la strategia di contrasto al fenomeno dell’usura, in Dir. pen. e proc., 2/1996, 419; contra Di Peppe, V.B., Riflessioni sul momento consumativo dell’usura: dalla categoria del “reato a consumazione prolungata” ai caratteri del delitto di criminalità organizzata, cit., 2439) è stato impropriamente inserito nella formulazione dell’art. 644 ter c.p. protraendo «irragionevolmente l’inizio della prescrizione del reato con conseguenze preoccupanti sul piano della certezza dell’esercizio della potestà punitiva» (Santacroce, G., La nuova disciplina penale dell’usura: analisi della fattispecie base e difficoltà applicative, in Cass. pen., 1997, 1543). Conseguenza della qualificazione in termini di reato eventualmente permanente sarebbe poi che, in applicazione dell’art. 8 c.p.p., dovrebbe ritenersi territorialmente competente il giudice del luogo in cui ha avuto inizio la consumazione (Pagliaro, A., Principi di diritto penale. Parte speciale, III, Delitti contro il patrimonio, cit., 432).
Strettamente connesso all’individuazione del momento consumativo del reato è il tema delle possibili responsabilità penali di colui che, pur non avendo partecipato alla pattuizione di interessi usurari, esegua successivamente l’incarico di recuperare crediti usurari. Muovendo dal presupposto in base al quale «nell’attuale disciplina del reato di usura, avuto riguardo in particolare al disposto di cui all'art. 644-ter c.p. (in base al quale la prescrizione “decorre dal giorno dell'ultima riscossione sia degli interessi che del capitale”), deve ritenersi che il momento consumativo di detto reato, qualora alla promessa degli interessi usurari segua – come di regola avviene – la loro effettiva corresponsione, rateizzata nel tempo, coincida con tale corresponsione» (Cass. pen., sez. I, 19.10.1998, n. 11055, cit.), si afferma infatti in giurisprudenza che «effettivamente colui il quale riceve l’incarico di recuperare il credito usurario e riesce ad ottenere il pagamento» risponde del reato di usura «in quanto, con la sua azione volontaria, fornisce un contributo causale alla verificazione dell’elemento oggettivo di quel delitto» (Cass. pen., sez. II, 13.10.2005, n. 41405, cit.; Cass. pen., sez. II, 16.12.2008, n. 3776): in altri termini, la consapevole e successiva riscossione di un credito usurario da parte di un soggetto, il quale non abbia partecipato alla pattuizione, integra il concorso nel medesimo reato, commesso da colui che si fece promettere gli interessi usurari (Pagliaro, A., Principi di diritto penale. Parte speciale, III, Delitti contro il patrimonio, cit., 433). Diversa è la posizione di chi si attivi per il recupero del credito usurario, senza riuscire ad ottenere il pagamento del credito. In questo caso, infatti, il momento consumativo del reato di usura resta quello originario della pattuizione anteriore alla data dell’incarico. Né può applicarsi all’esattore la figura del tentativo «considerata la natura unitaria del delitto di usura …, la quale preclude … che al suo autore possano essere contestati, a titolo di episodi autonomi di usura, i singoli pagamenti del credito»; ovvero ritenersi che, con la riscossione, l’esattore realizzi autonomamente, a danno del medesimo soggetto, un delitto di usura diverso da quello commesso dallo stipulatore, dato il nesso materiale e psicologico evidentemente sussistente tra promessa e dazione (Pagliaro, A., Principi di diritto penale. Parte speciale, III, Delitti contro il patrimonio, cit., 434; Pardini, F., Usura: momento consumativo e concorso di persone, cit., 1102). Piuttosto, l’aiuto fornito a taluno per recuperare un credito usurario può integrare gli estremi del reato di favoreggiamento reale (art. 379 c.p.) ovvero, nel caso in cui venga posta in essere violenza o minaccia, di tentata estorsione (artt. 56 e 629 c.p.) (Cass. pen., sez. II, 13.10.2005, n. 41045, cit.). Volendo quindi riassumere, secondo i più diffusi orientamenti giurisprudenziali il terzo che, senza aver partecipato alla pattuizione di crediti usurari, venga successivamente incaricato della loro riscossione risponde di concorso nel medesimo reato di usura, sempre che si rappresenti la usurarietà dei tassi applicati oppure di favoreggiamento reale o tentata estorsione, a seconda che riesca o meno ad ottenere il pagamento del credito.
L’usura viene comunemente definita come delitto a dolo generico, sorretto dalla rappresentazione e volontà di concludere un contratto sinallagmatico con interessi o vantaggi usurari ovvero, nell’ipotesi di usura in concreto, sproporzionati, avuto riguardo alle condizioni di difficoltà economica o finanziaria della vittima (Antolisei, F., Manuale di diritto penale. Parte speciale, cit., 404; Fiandaca, G.-Musco, E., Diritto penale. Parte Speciale, vol. II, t. II, I delitti contro il patrimonio, cit., 229; Mantovani, F., Diritto penale. Parte speciale, II, Delitti contro il patrimonio, cit., 233; in giurisprudenza Cass. pen., sez. fer., 19.8.2010, n. 32362, in Guida al dir., 49-50/2010, 74; Grosso, C.F., Usura, cit., 1145). Va da sé che, con riferimento alla fattispecie di usura presunta, la rilevata mancanza di indicazioni normative univoche circa i criteri di calcolo dei tassi usurari potrebbe astrattamente rilevare nel senso di una possibile esclusione del dolo ai sensi dell’art. 47, co. 3, c.p. (Pagliaro, A., Principi di diritto penale. Parte speciale, III, Delitti contro il patrimonio, cit., 428 s.) tenuto conto che l’eventuale episodicità del superamento del tasso soglia, a fronte di un rapporto di mutuo durato per lungo tempo, sarebbe idonea ad escludere la piena consapevolezza e volontà di porre in essere una condotta usuraria (cfr. Cass. pen., sez. II, 19.2.2010, n. 12028, cit.): in ciò contravvenendo al giudizio precedentemente formulato in base al quale, trattandosi di «interpretazione nota all’ambiente del commercio» che «non presenta in sé particolari difficoltà», l’errore eventualmente riferibile al calcolo degli interessi usurari non potrebbe mai dirsi scusabile ai sensi dell’art. 5 c.p. (Fiadino, A., Usura, a cura di S. Fiore, in I reati contro il patrimonio, Torino, 2010, 734 ss.), in quanto derivante da un’oggettiva ed insuperabile oscurità del complesso di norme aventi incidenza sul precetto penale (Cass. pen., sez. VI, 5.2.2003, n. 36346, in Cass. pen., 2004, 4082). Quanto, invece, all’usura in concreto è l’indeterminatezza del fatto materiale ad alimentare il rischio di una ricostruzione automatica ed incerta dei contenuti del dolo (Fiorella, A., Appunti sulla struttura del delitto di usura, cit., 245; Boido, A., Usura e diritto penale. La «meritevolezza» della pena nell’attuale momento storico, cit., 297).
L’art. 644, co. 5, c.p. prevede cinque circostanze ad effetto speciale che, invero, si collegano a fenomeni talmente frequenti da rendere piuttosto rara, se non inverosimile, una contestazione dell’usura nella forma semplice (Borsari, R., Il delitto di usura «bancaria» come figura «grave» esclusa da benefici indulgenziali. Profili critici, cit., 41; Pagliaro, A., Principi di diritto penale. Parte speciale, III, Delitti contro il patrimonio, cit., 429; Melchionda, A., Le nuove fattispecie di usura. Il sistema delle circostanze, in Riv. trim. dir. pen. econ., 1997, 683 ss.; Mucciarelli, F., Commento alla L. 7 marzo 1996, n. 108 – Disposizioni in materia di usura, cit., 530). La prima circostanza si verifica se il colpevole «ha agito nell’esercizio di un’attività professionale, bancaria o di intermediazione finanziaria mobiliare» che, nell’interpretazione restrittiva proposta da autorevole dottrina, dovrebbe comunque riguardare la gestione di denaro (Mantovani, F., Diritto penale. Parte speciale, II, Delitti contro il patrimonio, cit., 235; Mucciarelli, F., Commento alla L. 7 marzo 1996, n. 108 – Disposizioni in materia di usura, cit., 531; Pagliaro, A., Principi di diritto penale. Parte speciale, III, Delitti contro il patrimonio, cit., 429 s.; Prosdocimi, S., La nuova disciplina del fenomeno usuraio, cit., 776). La seconda si realizza quando il colpevole «ha richiesto in garanzia partecipazioni o quote societarie o aziendali o proprietà immobiliari» e tende soprattutto ad evitare che, in tal modo, le organizzazioni criminali ottengano il controllo su attività imprenditoriali originariamente lecite (Pagliaro, A., Principi di diritto penale. Parte speciale, III, Delitti contro il patrimonio, cit., 430). La terza circostanza, che è forse quella di maggiore applicazione pratica, si ha quando il reato è commesso «in danno di chi si trova in stato di bisogno», in ciò riproponendo elementi presenti nella fattispecie base prima della riforma del 1996: secondo quanto affermato dalla giurisprudenza, lo stato di bisogno può avere «qualsiasi natura, specie e grado», potendo derivare anche da fatti imputabili alla vittima, come ad esempio il gioco d’azzardo (Cass. pen., sez. II, 12.10.2005, n. 40526, in Riv. pen., 6/2006, 694; Cass. pen., sez. III, 24.9.2009, n. 43840, in Guida al dir., 5/2010, 92), sempreché si sia determinata una situazione tale da incidere sulle necessità fondamentali di vita e quindi sulla sua volontà inducendola «a contrarre in condizioni di inferiorità psichica» (Cass. pen., sez. II, 11.11.2010, n. 43713; Cass. pen., sez. II, 13.11.2008, n. 45152; in dottrina Mantovani, F., Diritto penale. Parte speciale, II, Delitti contro il patrimonio, cit., 236); circostanza, questa, che si ritiene possa essere provata anche in base alla sola misura degli interessi concordati «qualora siano di entità tale da far ragionevolmente presumere che soltanto un soggetto in stato di bisogno possa contrarre il prestito a condizioni talmente inique e onerose» (Cass. pen., sez. II, 30.4.2009, n. 20868, in Cass. pen., 2/2011, 591; analogamente Cass. pen., sez. II, 30.10.2008, n. 44899; Cass. pen., sez. VI, 14.1.2008, n. 6897). Le ultime due circostanze si determinano, infine, ogniqualvolta il reato sia commesso «a danno di chi svolge attività imprenditoriale, professionale o artigianale», indipendentemente dal fatto che il prestito sia richiesto per necessità personali o aziendali (Cass. pen., sez. II, 13.4.2010, n. 18592, in Cass. pen., 2/2011, 591; contra, in dottrina, Magri, P., Usura, ricettazione, appropriazione indebita, riciclaggio, cit., 80; Zanchetti, M., Cronaca di un reato mai nato: costruzione e decostruzione normativa della fattispecie di «usura sopravvenuta», cit., 279 ss.) ovvero «di persona sottoposta a sorveglianza speciale durante il periodo previsto di applicazione e fino a tre anni dal momento in cui è cessata l’esecuzione».
A tali circostanze va infine aggiunta quella prevista all’art. 7 d.l. 13.5.1991, n. 152 (conv. in l. 12.7.1991, n. 203), consistente nell’aver commesso l’usura «avvalendosi delle condizioni previste dall'art. 416-bis del codice penale ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo» ed anch’essa fonte di un aumento della pena da un terzo alla metà ma – stando a quanto previsto dal co. 2 del medesimo articolo, così come modificato dall’art. 5, co. 1, della l. 14.2.2003, n. 34 – non suscettibile di essere considerata equivalente o subvalente rispetto alle circostanze attenuanti diverse da quelle di cui agli articoli 98 e 114 c.p. Peraltro, la giurisprudenza ha avuto modo di precisare che, in tema di usura, non occorre che il soggetto appartenga ad un’associazione mafiosa, purché risultino «espliciti, definiti i concreti tratti esteriori del comportamento criminoso che ne connotano l’ascrizione alla metodologia mafiosa» (Cass. pen., sez. VI, 16.5.2007, n. 23153, in Cass. pen., 9/2008, 3308), applicando pertanto il corrispondente aumento di pena anche nel caso in cui si riceva «ausilio», per il tramite del proprio coniuge, «da un temibile clan camorristico imperversante nella zona» (Cass. pen., sez. I, 4.3.2010, n. 21051) ovvero si «utilizzi come tecnica di intimidazione il riferimento alla provenienza illecita dei capitali da persone legate alla criminalità organizzata» (Cass. pen., sez. I, 30.3.2010, n. 14193, in Cass. pen., 2/2011, 584).
In virtù della clausola di sussidiarietà dell’art. 644 c.p. l’usura (o anche la mediazione usuraria) non può concorrere con il reato di circonvenzione di persone incapaci (Pagliaro, A., Principi di diritto penale. Parte speciale, III, Delitti contro il patrimonio, cit., 433). Né, per evidenti ragioni, è configurabile un concorso tra le fattispecie di usura presunta e usura in concreto o tra quelle di usura e di mediazione usuraria; viceversa, se è vero che il reato rimane unico quando alla pattuizione seguano una o più dazioni, nel caso in cui si addivenga ad una rinegoziazione del credito usurario (ad esempio mediante accordo di rateizzazione o transazione) che apporti un aggravamento delle condizioni della vittima, non potrebbe escludersi la configurabilità di un nuovo ed autonomo delitto di usura eventualmente in continuazione con il precedente (Pagliaro, A., Principi di diritto penale. Parte speciale, III, Delitti contro il patrimonio, cit., 434; contra Prosdocimi, S., La nuova disciplina del fenomeno usuraio, cit., 779). In giurisprudenza si ammette invece un concorso materiale dell’usura con il reato di estorsione ove, successivamente alla pattuizione, il creditore eserciti violenza o minaccia al fine di ottenere i concordati interessi o vantaggi che il debitore non possa o non voglia più corrispondere (Cass. pen., sez. II, 25.1.2011, n. 6918; Cass. pen., sez. II, 14.1.2009, n. 5231, in Riv. pen., 5/2009, 557; Cass. pen., sez. VI, 16.10.1995). In particolare si è affermato che la minaccia posta in essere per ottenere il pagamento di un credito di natura usuraria integra il delitto di cui all’art. 629 c.p., anche se «consistente nel prospettato ricorso a mezzi astrattamente consentiti dalla legge», come l’attivazione di garanzie costituite da assegni o iscrizioni ipotecarie (Cass. pen., sez. II, 29.9.2009, n. 41481). Nel caso in cui ci si faccia dare o promettere interessi o vantaggi usurari prospettando falsamente la prestazione di denaro o di altra utilità non si realizza, invece, il reato di usura bensì quello di truffa (Cass. pen., sez. II, 15.6.2000, in Foro it., 2001, II, 264). Infine, va segnalato come la persona offesa del delitto di usura non possa eventualmente rispondere, in concorso con il creditore, di ricettazione del denaro ricevuto, per evidente impossibilità di individuare nella sua condotta il perseguimento di un ingiusto profitto, che costituisce elemento finalistico del dolo di ricettazione (Cass. pen., sez. II, 13.3.2007, n. 25828, in Riv. pen., 5/2008, 506).
Non sembrano sussistere valide ragioni per negare la configurabilità del tentativo di usura (o di mediazione usuraria), ai sensi del combinato disposto degli articoli 56 e 644 c.p., ove siano posti in essere atti idonei e diretti in modo non equivoco a farsi dare o promettere interessi o altri vantaggi usurari, in cambio di prestazione di denaro o di altra utilità ovvero della propria attività di mediazione (Antolisei, F., Manuale di diritto penale. Parte speciale, cit., 404; Di Peppe, V.B., Riflessioni sul momento consumativo dell’usura: dalla categoria del “reato a consumazione prolungata” ai caratteri del delitto di criminalità organizzata, cit., 2445; Di Peppe, V.B., Riflessioni sul momento consumativo dell’usura: dalla categoria del “reato a consumazione prolungata” ai caratteri del delitto di criminalità organizzata, cit., 2444 s.; Fiandaca, G.-Musco, E., Diritto penale. Parte Speciale, vol. II, t. II, I delitti contro il patrimonio, cit., 230; Pagliaro, A., Principi di diritto penale. Parte speciale, III, Delitti contro il patrimonio, cit., 433).
L’usura e la mediazione usuraria sono punite con la pena della reclusione da due a dieci anni e della multa da euro 5.000 a euro 30.000, entrambe aumentate da un terzo alla metà in presenza delle circostanze aggravanti speciali previste al quinto comma dell’art. 644 c.p., cui si aggiunge la confisca obbligatoria, anche per equivalente, del prezzo o del profitto del reato: il sesto comma dell’art. 644 c.p. dispone, infatti, che nel caso di condanna o di patteggiamento «è sempre ordinata la confisca dei beni che costituiscono prezzo o profitto del reato ovvero di somme di denaro, beni o utilità di cui il reo ha la disponibilità anche per interposta persona per un importo pari al valore degli interessi o degli altri vantaggi o compensi usurari, salvi i diritti della persona offesa alle restituzioni e al risarcimento dei danni». Al riguardo, si è affermato in giurisprudenza che l’eventuale sequestro preventivo funzionale alla confisca non richiede alcun «nesso di pertinenzialità» del bene rispetto all’usura contestata (Cass. pen., sez. I, 1.4.2010, n. 28999). Da notare, infine, a dimostrazione della forte politica di contrasto al fenomeno dell’usura, come l’ultima legge di concessione di indulto (l. 31.7.2006, n. 241), abbia espressamente escluso tale reato dall’ambito di applicazione del provvedimento di clemenza (art.1, co. 2, lett. a, n. 25), sia pur sollevando critiche sulla ragionevolezza di tale scelta da parte della dottrina (Borsari, R., Il delitto di usura «bancaria» come figura «grave» esclusa da benefici indulgenziali. Profili critici, cit., 33 ss.). Dal punto di vista processuale, competente ad accertare il reato di usura è il Tribunale in composizione collegiale e si procede d’ufficio. È inoltre previsto l’arresto facoltativo in flagranza (art. 381 c.p.p.) e sono consentiti il fermo di indiziato di delitto (art. 384 c.p.p.), l’applicazione di misure cautelari personali coercitive (artt. 280 ss. c.p.p.) o interdittive (artt. 287 c.p.p.), nonché la possibilità del ricorso alle intercettazioni telefoniche o ambientali (art. 266, co. 1, lett. f, c.p.). L’art. 10 della l. n. 108/1996 ha stabilito, infine, che le associazioni e le fondazioni per la prevenzione del fenomeno dell’usura disciplinate dall’art. 15 della medesima legge possano costituirsi parte civile nel giudizio penale sin dall’udienza preliminare.
Artt. 644 e 644 ter c.p.
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