usura
s. f. – L’u. costituisce un grave delitto doloso previsto nel vigente codice penale all’art. 644, punito con la reclusione da due a dieci anni e con la multa da 5000 a 30.000 euro. Analoga pena si applica, fuori dal concorso nel reato, anche al mediatore che procura denaro o altra utilità, per sé o per altri, facendosi dare o promettere un compenso usurario. Il testo normativo attuale è il risultato di diverse modifiche intervenute nel tempo, l’ultima delle quali nel 2011; dal loro susseguirsi, unitamente alle relative interpretazioni giurisprudenziali, si evince la chiara tendenza ad estendere i margini di punibilità per tale delitto. L’u. si riscontra con maggior frequenza specialmente in periodi di crisi economica, quando il ricorso al credito ufficiale per esigenze personali o imprenditoriali diviene estremamente difficile, mentre aumenta di conseguenza il giro d’affari nel mercato illecito, caratterizzato da una sproporzionata remunerazione del credito. Il delitto si consuma nel momento in cui – sotto qualsiasi forma – si ottenga la dazione, o anche la mera promessa, per sé o per altri, di interessi o altri vantaggi usurari quale corrispettivo di un'erogazione non soltanto di denaro, ma anche di altra utilità, come, per es., una prestazione professionale, oppure un più generico servizio. La misura dell’usurarietà dei tassi può basarsi innanzitutto su un calcolo aritmetico – indicato nell’art. 2 della l. 108/96 – con cui si quantificano delle soglie limite; ciò non toglie che, anche se inferiori, si considerino comunque illeciti gli interessi e altri vantaggi o compensi, laddove chi li corrisponda versi in una situazione di difficoltà economica o finanziaria. In tal caso è, altresì, necessario che sussista una sproporzione rispetto alle prestazioni di denaro – o altre utilità ricevute in corrispettivo – ovvero alla mediazione praticata per ottenerle: detto squilibrio si può evincere sia dalle concrete modalità della pattuizione, sia facendo un raffronto con il tasso medio praticato per contrattazioni analoghe. È dunque importante tenere presenti le indicazioni governative delle varie possibili tipologie di operazioni economico-finanziarie e dei relativi tassi medi di riferimento, che costituiscono i parametri da cui partire per operare le successive valutazioni di eventuale illiceità delle pattuizioni. A tale scopo, con decreti trimestrali, il Ministero dell’Economia e delle Finanze pubblicizza i tassi medi di cui alle ultime rilevazioni sul mercato del credito, mentre con decreti annuali cataloga le corrispondenti operazioni cui vanno rapportati quei tassi, che inglobano ogni tipo di costi – esclusi quelli per imposte e tasse – necessari per l’ottenimento del finanziamento. In ogni caso la liceità, o meno, degli interessi convenuti va vagliata al momento della pattuizione, allorquando, cioè, si completi l’accordo sui termini delle reciproche corresponsioni. Non sempre è semplice operare, in concreto, siffatti conteggi, per cui detto meccanismo di computo si espone a critiche almeno pari a quelle che avevano innescato il superamento del pregresso regime ante 1996, quando si rimetteva esclusivamente alla (eccessiva) discrezionalità giurisprudenziale l’individuazione dell’usurarietà dell’operazione. Si richiedeva, altresì, l’approfittamento di un acclarato 'stato di bisogno' in capo alla vittima, peraltro difficile da provare, ora degradato a mera circostanza aggravante, da non confondere con la più blanda (anche transeunte) condizione di 'difficoltà economica o finanziaria': questa purché esista – non richiedendosi che di essa l’usuraio debba necessariamente farne 'approfittamento' – è elemento costitutivo della vigente fattispecie base di usura 'residuale'. In essa trova spazio anche la punizione per la dazione o promessa di 'altri vantaggi usurari', quali trasferimenti di beni mobili e immobili, oppure prestazioni di lavoro o di servizi, pur sempre economicamente stimabili nella loro sproporzione. L’art. 644 del codice penale, inoltre, contempla anche ulteriori circostanze aggravanti che determinano un aumento – da un terzo alla metà – delle già rilevanti pene-base: laddove l’usuraio abbia agito nell'esercizio di un’attività professionale, bancaria o di intermediazione finanziaria mobiliare; o abbia richiesto in garanzia partecipazioni o quote societarie o aziendali o proprietà immobiliari; oppure abbia commesso il reato in danno di imprenditori, professionisti o artigiani; oppure durante il vigore della sorveglianza speciale o nei tre anni dalla sua cessazione. Volendo, conclusivamente, individuare la ragione che ha portato il legislatore penale a punire così gravemente il reato in analisi si dovrebbero operare considerazioni diversificate, distinguendo le ipotesi in cui l’u. emerga a seguito della fissazione di un tasso matematicamente superiore alle varie soglie di legge, da quelle in cui l’illecito si traduca in una sproporzione del sinallagma, accompagnata da una condizione di difficoltà economica o finanziaria del soggetto debole del rapporto. In quest’ultima situazione sembrerebbe immediatamente protetto il patrimonio del singolo contraente, costretto a rivolgersi all’usuraio per tamponare le proprie necessità, spesso dopo infruttuose richieste di accesso ai canali ufficiali di approvvigionamento del credito, operate in assenza delle idonee garanzie pretese dagli istituti per erogarlo; nel primo caso, invece, la minaccia penale svolgerebbe un effetto calmieratore proprio nel mercato ufficiale del credito, contribuendo a evitare eccessivi innalzamenti dei saggi di interesse. È ben possibile, dunque, che la sanzione colpisca anche quei soggetti istituzionalmente preposti alla concessione dei finanziamenti di vario genere. Alla condanna, o al patteggiamento, segue sempre la confisca sia dei beni – che costituiscono il prezzo o il profitto dell’u. – sia delle utilità, per un valore equivalente, di cui il reo abbia disponibilità, pure per interposta persona.