UTENSILI
. Si chiama utensile qualsiasi strumento di lavoro. Macchina, invece, è l'insieme dei pezzi destinati a trasformare un lavoro in un altro e si compone, come principio, di tre parti: a) il ricettore della forza motrice, la quale può essere forza umana o animale, cascata di acqua, vapore, elettricità; b) il trasmettitore (correggia, ingranaggio) e il regolatore (volano) organi intermedî; c) l'utensile (nel senso più esteso della parola) che produce il lavoro ultimato. Più specialmente si chiama macchina-utensile quella il cui lavoro finale è ottenuto da un utensile che sostituisce la mano dell'uomo.
L'utensile è dunque azionato a mano o mosso da una macchina. Esso si compone abitualmente di due parti: il manico e la parte destinata al lavoro. Negli utensili azionati a mano, il manico è generalmente di legno, mentre la parte che lavora era, in passato, nella maggior parte dei casi, di pietra; oggi è di metallo. Nelle macchine utensili, l'utensile è tutto di metallo.
Così, nell'industria meccanica vengono chiamati piccoli utensili gli utensili veri e proprî, grossi utensili le macchine. Ma nei riguardi dell'etnologia culturale, non è necessario e non sarebbe nemmeno possibile tracciare il limite fra utensili e macchine, poiché le forme relativamente semplici di queste mostrano ancora la loro derivazione dagli utensili più primitivi attraverso una serie di stadî intermedî.
A seconda del loro scopo, gli utensili si distinguono in 8 famiglie, che possono essere, da una parte, raggruppate in due grandi categorie, dall'altra suddivise a seconda del sistema di funzionamento come è mostrato nella seguente tabella.
Il martello (v.) è l'utensile più antico; perfino alcuni animali riescono a servirsi di una pietra a guisa di martello per rompere frutti; sotto la forma di coup de poing risale al Prechelleano; è il più antico strumento fornito dall'archeologia preistorica e sussiste, nel suo principio originale, fino ad oggi.
L'ascia (v.) è, preistoricamente, già più recente del martello, sebbene sia rappresentata nelle sue forme più primitive fin nel Paleolitico. Modificazioni apportate in epoca relativamente recente, quali la lama a tagliente ricurvo (accetta), non hanno condotto a ulteriori sviluppi.
Lo scalpello è ancor più recente dell'ascia; compare di pietra levigata o di osso, nel Robenhausiano, cioè durante il Neolitico. Esso ha dato origine a una serie di utensili e macchine.
Poiché uno scalpello diritto (vale a dire a tagliente diritto) non può tagliare nettamente un pezzo di legno altro che se i bordi del tagliente oltrepassano il legno, cioè solo attaccando il pezzo da uno dei suoi margini, in modo da tagliarlo "a smentatura", lo scalpello diritto fu da prima trasformato in scalpello a tagliente arrotondato e, non bastando questo, "a doccia". La sgorbia taglia infatti il legno, senza formare schegge, in un punto qualunque e qualunque sia la direzione di sfregamento. L'archeologia preistorica ci rivela già sgorbie di pietra del Neolitico (Neolitico europeo, indonesiano, americano).
Dopo la scoperta dei metalli, lo scalpello a doccia poté accentuare la sua concavità fino al punto di richiudersi: si hanno infatti esemplari galloromani di ferro, nei quali l'estremità è chiusa: è questa una prima forma di fustella. Così la fustella che, sistematicamente, è uno strumento perforante, deriva da uno strumento da taglio.
Il coltello ha la sua origine nelle lame del Paleolitico e particolarmente dell'Aurignaziano. Come il martello e come l'ascia, esso è un utensile le cui forme più recenti non si sono allontanate molto da quelle più antiche. In quanto all'operazione di tagliatura, se essa ha potuto essere praticata con oggetti indipendenti prima della scoperta dei metalli, è però il metallo che ha permesso la forma comune di forbici.
La sega esiste già, in pietra, nel Paleolitico e deriva, ben inteso, da strumenti naturalmente e irregolarmente dentati. Essa, d'altra parte, è in rapporto genetico con gli utensili a raschiamento; e cioè col raschiatoio che esiste fin dal Paleolitico antico e dal quale deriva il grattatoio; con la raspa, la cui origine risale insensibilmente alle pietre utensili meno artefatte; e con la lima, raspa metallica.
Fra le raspe va segnalato, nell'etnologia attuale, il raspatoio per noci di cocco, col quale si usa raschiare le noci in tutta la cultura austronesiana dalla Polinesia all'Africa orientale; può essere tuttavia, che sebbene diffuso dalla cultura austronesiana esso sia stato trovato nel quadro della cultura indiana poiché non manca nell'India; è una specie di treppiede coricato su un fianco la cui gamba rivolta in aria porta una lamina di ferro con la quale si raschia la noce.
Il piccone è un utensile da perforazione assai grossolano, la cui azione perforante, del resto, non è in generale che secondaria, poiché il suo scopo è piuttosto quello di dislocare un oggetto o il suolo stesso.
Gli altri utensili da perforazione hanno subito importanti sviluppi e alcuni di essi costituiscono gli strumenti più complicati delle popolazioni inferiori. Una perforazione regolata, e non brusca come quella del piccone, si può eseguire in tre maniere: 1. col punteruolo, che allarga o taglia il materiale ma senza asportare nulla; 2. con la saetta, che asporta il materiale in parti minutissime; 3. con la fustella che stacca il materiale da asportare in un sol pezzo. Sebbene possa essere esistito anche prima, il punteruolo è da attribuirsi al Paleolitico medio, al Mousteriano, epoca questa ricca di numerosi oggetti a punta. Il suo primo impiego dovette essere quello di praticare buchi nel cuoio per passarvi delle corregge. In seguito fu usato per eseguire dei lavori di intrecciatura, specialmente per quella a spirale, la quale è da riferirsi alla fine del Paleolitico recente, avendo preceduto la ceramica, fiorita durante il Neolitico.
Il punteruolo diede origine all'ago, il quale da prima teneva il filo con piccole tacche. in seguito con la cruna. Aghi (di osso) a tacche e a crune sono numerosi nel Magdaleniano.
Il passaggio dall'ago alla filiera si spiega con la necessità di regolare la grossezza del filo per ottenere un lavoro regolare e facile, l'origine prima si riconosce ancora nelle moderne trafile.
Numerose pietre, munite di un foro, della fine del Paleolitico (Magdaleniano) e del Neolitico, che furono in passato scambiate per ornamenti da sospensione, sono delle filiere, come lo dimostra il fatto che esse presentano un foro biconico a cono molto aperto (e non cilindrico), la posizione del foro inadeguata per la sospensione, tracce di usura dalla parte opposta a quella che andrebbe attaccata da un filo di sospensione, e talvolta una traccia di uso corrispondente al posto delle dita.
Il passaggio dalla filiera al laminatoio è meno chiaro; esso si spiega tuttavia se si pensa che quest'ultimo deriva da una filiera di due pezzi, uno dei quali fisso e sostituito in seguito da un pezzo mobile, sagomato o liscio; più tardi tutti e due i pezzi sarebbero divenuti mobili. Così che i laminatoi della moderna industria risalgono, attraverso numerose tappe, fino al punteruolo.
Il secondo procedimento di perforazione regolare si basa sull'impiego della saetta, ma per spiegarne l'origine bisogna risalire al trapano (v. fuoco). Per questa categoria di strumenti si possono distinguere le tappe seguenti:
1. Frullio di una bacchetta fra le palme delle mani, per ottenere il fuoco.
2. Frullio più violento, e più efficace, ottenuto sostituendo alle palme una cordicella tirata orizzontalmente con le mani, mentre la bacchetta è tenuta verticale da una ralla sostenuta o dalla mano di un assistente o dalla bocca dell'operatore stesso. Tale sistema di rotazione permette già di ottenere non solo fuoco ma anche la perforazione di un pezzo di legno o di pietra.
3. La necessità di tenere le due mani che operano il frullio sullo stesso piano verticale della bacchetta e quindi scostate dal corpo e in posizione incomoda e la necessità di mantenere le mani lontane in maniera costante, fecero adottare una bacchetta rigida orizzontale per sostenere la cordicella da un capo all'altro: ogni mano tiene così ferme, insieme, bacchetta e cordicella.
4. Fin qui le due mani sono occupate a tirare da una parte all'altra la cordicella, così che, come si è visto, la bacchetta deve essere tenuta verticale o da un assistente o dalla bocca dell'operatore. Una delle estremità della cordicella venne allora attaccata all'estremità corrispondente della bacchetta orizzontale. Così una delle mani, che veniva ad essere libera, poteva tenere la bacchetta verticale. L'elasticità necessaria, allorché la bacchetta arriva, da una parte e dall'altra, al termine della sua corsa, era garantita da un movimento delle dita alle estremità libere della bacchetta orizzontale e della cordicella.
5. Una bacchetta pieghevole, cioè un archetto sostituì la bacchetta rigida assicurando così automaticamente l'elasticità necessaria.
Contemporaneamente allo sviluppo dell'apparecchio di rotazione, allorché si trattò non più di produrre del fuoco ma di ottenere una perforazione, si perfezionò l'utensile per trapanare, la saetta. Lo strumento che precedette la vera saetta fu una pietra appuntita funzionante come punteruolo, come quelle fornite in gran quantità dal Paleolitico e ancor oggi usate dalle popolazioni più primitive. Poi la punta stessa, vale a dire una pietra appuntita di piccole dimensioni, fu attaccata al trapano; la Groenlandia fornisce ancora punteruoli ad archetto muniti di una saetta appuntita di pietra attaccata alla bacchetta. Più tardi con la comparsa del bronzo, le saette, sebbene talvolta appuntite come quelle dei giorni nostri, assumono la forma a cucchiaio, forma che persiste ancora per certi mestieri e per determinati scopi. Infine, con la comparsa del ferro, venne la forma elicoidale, la più efficace di tutte. Saette elicoidali come quelle a tre punte dei bottai, sono state trovate in Egitto e datano dal sec. VIII a. C.
Ma la saetta non si doveva adattare solo al punteruolo ad archetto. L'archetto di rotazione, che fu una produzione non superata presso alcune popolazioni dell'Oceania e dell'America e che è tuttora in uso per altri strumenti nell'Asia e nell'Africa (v. tornio), fu totalmente abbandonata dopo il sec. XIX dalla cultura occidentale. Non è dunque più un punteruolo ad archetto che, in Occidente, viene munito di una saetta, ma uno strumento derivante da un apparecchio per fare il fuoco diverso dal trapano da fuoco a rotazione, e cioè dalla menarola.
Se il trapano da fuoco ad archetto ha una bacchetta verticale troppo flessibile, avviene che l'archetto non imprime più alla bacchetta una rotazione in posto, ma la fa girare facendole descrivere con la sua curvatura un cerchio: è da notarsi che il movimento di rotazione che era alternato, diventa adesso continuo. Una volta osservato questo movimento, esso fu adottato e non già con un archetto, che non serve più a nulla, ma con la mano. A priori potrebbe sembrare che questo procedimento dovesse essere più primitivo di altri sistemi di produzione del fuoco; ciò è poco probabile poiché non si è riscontrato presso alcuna popolazione primitiva; è invece adottato per ottenere il fuoco, dai gauchos delle Pampas. La sola cosa che qui ci interessa è la sua derivazione, poiché dal trapano primitivo deriva direttamente il trapano attuale a quattro gomiti e munito di saetta.
Parallelamente alla menarola, il tornio da meccanico deriva dal succhiello ad arco (v. tornio).
La produzione del fuoco ha ancora la sua importanza per un altro strumento della stessa famiglia di utensili a perforazione; questa volta tuttavia l'accensione non è un punto di partenza, ma di arrivo, e solo allorché l'apparecchio fu notevolmente progredito si poté ottenere con esso tanto il fuoco quanto la perforazione di un oggetto. Si tratta del trapano a volante (o a trottola). Esso deriva dal succhiello semplice, e lo sviluppo della saetta va di pari passo con lo sviluppo dell'apparecchio, come avviene per gli strumenti già esaminati.
1. La pressione della mano sulla sommità della bacchetta verticale è costituita da un peso sospeso al fusto della bacchetta (al disotto del punto ove è avvolta la cordicella); a tale peso si può d'altronde aggiungere la pressione primitiva alla sommità della bacchetta verticale.
2. In tale apparecchio si ha però una notevole perdita di energia al momento d'inversione del senso di rotazione, e questa perdita è tanto più forte quanto maggiore è il peso. Invece di rallentare e di elidere la forza raggiunta prima di tirare la cordicella nell'altro senso, si lascia dunque compiere la rotazione fino al termine, ciò che fa avvolgere la corda in senso inverso; ottenuto l'annullamento della spinta si tira di nuovo sulla corda che imprime allora alla bacchetta verticale una rotazione in senso inverso. Il peso non ha più agito solamente come pressione, ma ha fatto da volante per aumentare la rotazione dell'apparecchio.
3. Osservato questo movimento alterno che sfruttava completamente l'energia e rendeva facile la nuova spinta, si pensò di fissare la cordicella all'estremità superiore della bacchetta verticale e di attaccare le due estremità della cordicella a una bacchetta rigida orizzontale, detta bacchetta di pressione, di modo che, pesando su di essa, si ottiene tanto la pressione sulla bacchetta verticale quanto la sua rotazione. L'apparecchio è detto allora trapano a volante e a bacchetta di pressione.
Questo trapano è certamente superiore al trapano ad arco; tuttavia, lo si trova nell'America Settentrionale e Meridionale, nell'Indonesia e nel continente asiatico, nell'Africa ed è ancora oggi usato in Europa, nell'orologeria.
Gli utensili che non modificano l'oggetto sono in parte molto semplici, ma hanno portato con un complesso impiego di leve, alle macchine più moderne. In questo gruppo di utensili e loro derivati rientra la macchina più progredita, in uso presso diverse popolazioni che, per il resto, sono tecnologicamente primitive: il telaio da tessitore. Un altro utensile di questa categoria merita speciale menzione: la vite. Infatti il principio del passo della vite, che può sembrare semplice, è stato completamente ignorato dall'Oceania e da tutta l'America ad eccezione dei soli Eschimesi. Per questi ultimi, tuttavia, si è pensato di dover attribuire tale conoscenza non tanto al loro genio inventivo quanto al loro talento d'imitazione: lavorando l'avorio e interessandosi di conseguenza alla sua provenienza, gli Eschimesi sarebbero giunti, per imitazione del dente a spirale del narvalo, alla vite.
Bibl.: (v. anche industria): F. Reuleaux, Cinématique. Principes fondamentaux d'une théorie générale des machines, Parigi 1877; E. O. Lami, Dictionnaire encyclopédique et biographique de l'industrie et des arts industriels, Parigi 1881-1888; Ch. Laboulaye, Dictionnaire des arts et manufactures, Parigi 1891; J. D. MacGuire, A study of the primitive methods of drilling, in Rep. of the U. S. Nat. Museum for 1894 (1896); R. Lasch, Die Anfänge des Gewerbestandes, in Zeits. für Sozialwissenschaft, IV, 1901; id., Die Arbeitsweise der Naturvölker, ibidem, 1908; Ch. Frémont, Origine et évolution des outils (Société d'encouragement pour l'industrie nationale, Mém. XLIV), Parigi 1913; M. P. Porsild, The principle of the screw in the technique of the Eskimo, in American Anthropologist, XVII, 1915; F. M. Feldhaus, Die Technik der Vorzeit und der geschichtlichen Zeit und der Naturvölker, Lipsia e Berlino 1914; id., Kulturgeschichte der Iechnik, voll. 2, Berlino 1928.