Utero
L'utero (dal latino uterus, greco ὑστέρα, "ventre") è un organo cavo, impari e mediano, di forma paragonabile a quella di una piramide tronca con l'apice rivolto verso il basso e la base in alto, inclinata in avanti. È situato nella parte media della cavità pelvica femminile, tra il retto e la vescica, al di sopra della vagina, con la quale si continua (v. vol. 1°, II, cap. 9: Pelvi, Organi genitali femminili). Le tube uterine, una per ogni lato, si aprono in alto, in corrispondenza degli angoli superiori della base. All'interno dell'utero c'è una cavità virtuale, di forma triangolare, la quale si amplia notevolmente in gravidanza, poiché la sua funzione è quella di accogliere, proteggere e nutrire l'uovo fecondato che vi si annida, trasformandosi prima in embrione e poi in feto. Durante questo periodo, le dimensioni e la struttura dell'utero si modificano notevolmente per adeguarsi alle necessità dell'ospite, fino al momento in cui lo sviluppo prenatale può considerarsi concluso. Durante il travaglio di parto, al termine della gravidanza, contraendosi ritmicamente, l'utero determina l'espulsione del feto e degli annessi ovulari. Dopo l'espletamento del parto, in breve tempo subisce un'involuzione; in genere, tuttavia, le sue dimensioni restano lievemente superiori a quelle pregravidiche. Evoluzione ed embriologia
Nei Mammiferi (v.), nei q uali la capacità di regolare la temperatura corporea si afferma solo dopo la nascita, lo sviluppo della prole non può avvenire dentro un uovo, dove la temperatura diviene quella dell'ambiente. Nell'interno dell'uovo, inoltre, si accumulano i prodotti di rifiuto. I piccoli cominciano così a svilupparsi nella madre, affidandosi ai suoi sistemi di controllo della temperatura e di depurazione del sangue. Si afferma dunque la viviparità, presente sporadicamente anche in altri animali, e con essa la presenza di un utero. L'utero deriva da uno degli ingrossamenti di parti dell'ovidotto, che possono assumere diverse funzioni: deposito delle uova; formazione di gusci; ritenzione delle uova durante lo sviluppo embrionale. Già in altri animali si parla di utero in riferimento all'espansione distale dell'ovidotto, anche se la sua omologia con l'utero dei Mammiferi non è certa. Tra gli Invertebrati, i vermi piatti hanno un organo, lungo, tubulare oppure ramificato, all'interno del quale si sviluppa l'embrione; analogamente i Nematodi presentano un ispessimento dell'ovidotto. Tra i Vertebrati, la viviparità è rara nei Pesci (è riscontrabile negli squali che sviluppano addirittura un cordone placentare attraverso il quale l'embrione viene nutrito) come pure negli Anfibi; nei Rettili la viviparità diventa più frequente, con fasi evolutive successive che vedono farsi sempre più importante il rapporto con le pareti uterine per l'assunzione dei nutrienti direttamente dal circolo sanguigno materno, come avviene in alcuni serpenti velenosi esotici, quali, per es., il cobra o il serpente corallo. Nei Mammiferi marsupiali e placentati l'utero assume la funzione di ricevere l'uovo fecondato e di provvedere al suo sviluppo. Se nei Marsupiali, ordine dei Mammiferi cui appartengono tra gli altri i canguri, lo sviluppo degli embrioni nel corpo materno è molto incompleto, a causa della precarietà dei rapporti tra embrione e parete uterina, nei Placentati si sono perfezionati dispositivi di viviparità basati sulla presenza della placenta (v.) che consente un intimo rapporto tra embrione e utero. Nei Mammiferi più primitivi si trovano due uteri separati; un utero duplice si ha nei Marsupiali, in molte specie di Roditori e nei pipistrelli. Nella maggioranza dei Mammiferi, però, le parti distali dell'utero sono fuse per dar luogo a un utero bipartito o bicorne; nei Primati più evoluti vi è una fusione completa che porta alla formazione di un utero semplice.
Nelle prime fasi di sviluppo, gonadi e gonodotti sono indifferenziati per entrambi i sessi. Il differenziamento sessuale, determinato dal corredo cromosomico portato dallo spermatozoo, si esprime piuttosto tardi e inizia con quello della gonade, verso il 38° giorno. Il fatto che il nascituro sia maschio oppure femmina sembra dipendere da un unico gene localizzato sul cromosoma sessuale Y, il cui prodotto innesca il funzionamento di altri geni, i quali portano al differenziamento dei testicoli. In assenza di questo cromosoma e del relativo gene, si sviluppano le ovaie (v.). Solo successivamente si differenziano gli altri organi sessuali, che sono comunque i più lenti a formarsi durante l'organogenesi. L'utero deriva dal dotto di Müller, un canale pari presente inizialmente in entrambi i sessi, il quale è destinato a regredire nel maschio e, di contro, a svilupparsi nella femmina diventando l'ovidotto. La porzione distale del dotto si fonde con quella opposta dando origine a un organo impari, il canale uterovaginale, dalla cui parte prossimale si sviluppa l'utero e da quella distale la vagina. Aspetti anatomofunzionali e patologici
l. Anatomia e fisiologia Nella donna che non ha avuto figli, l'utero è lungo circa 7-8 cm, spesso circa 3-4 cm e largo circa 4-5 cm. Il peso è di circa 50-60 gr. Vi si distinguono tre parti: il corpo, l'istmo e il collo (o cervice). Il corpo è situato in alto e occupa il volume maggiore; la porzione che si trova al di sopra del punto di entrata delle tube uterine prende il nome di fondo. La faccia anteriore del corpo è in rapporto con la faccia posteriore della vescica, dalla quale è separata da una estroflessione del peritoneo, lo sfondato vescicouterino. La faccia posteriore è divisa dal retto tramite un'altra sacca peritoneale, lo sfondato rettouterino, o di Douglas. I margini laterali destro e sinistro si connettono con le pareti laterali del bacino attraverso i legamenti larghi. A livello degli angoli laterali superoesterni si aprono le tube uterine (o di Falloppio; v. tuba); il fondo contrae rapporti con le anse intestinali. L'estremità inferiore si continua con l'istmo e il collo. La cavità presente nel corpo dell'utero può considerarsi formata da due facce triangolari, anteriore e posteriore, dalla superficie liscia. Le basi di questi triangoli sono a contatto in alto, dove continuano, a livello degli angoli laterali, con gli orifizi tubarici; il vertice è in basso e continua con la cavità presente nel collo uterino. L'istmo ha la forma di un restringimento circolare, più evidente in avanti e lateralmente; è molto pronunciato nella bambina e tende a scomparire nell'età adulta, soprattutto dopo le gravidanze. Il collo rappresenta la parte situata più in basso, cilindroide, che protrude parzialmente nella porzione superiore della vagina. È diviso in una parte sopravaginale e in una intravaginale, indicata come portio intravaginalis o 'muso di tinca'. A questo livello, la cavità uterina si restringe e prende il nome di canale cervicale. Questo comunica con la cavità uterina propriamente detta tramite una zona ristretta, l'orifizio interno; il suo sbocco in vagina, invece, viene indicato come orifizio uterino esterno. Le due facce anteriore e posteriore del canale cervicale sono applicate l'una sull'altra e presentano delle creste rilevate (pliche palmate), che nel loro insieme prendono il nome di albero della vita (arbor vitae). Nella maggior parte dei casi, l'asse del corpo uterino è leggermente inclinato su quello del collo, così da formare un angolo di circa 140°-160° aperto verso la sinfisi pubica (antiflessione); un altro angolo di circa 100°-110°, sempre aperto anteriormente, viene formato dall'asse uterino e da quello della vagina (antiversione). Il corpo dell'utero è tuttavia molto mobile, potendo assumere tutte le posizioni comprese tra quella verticale e quella orizzontale; possono infatti influenzare il suo orientamento la posizione della donna, il grado di replezione della vescica, del retto e delle anse intestinali. Pertanto, non è corretto parlare di una situazione e direzione dell'utero normali e costanti, ma bisogna piuttosto considerare l'eventualità che queste possano modificarsi anche in condizioni di perfetta normalità fisiologica. L'ampia mobilità descritta è dovuta alla lassità ed estensibilità dei legamenti uterini (legamenti larghi e rotondi); il collo, invece, è mantenuto in situ da veri e propri mezzi di fissità, quali i legamenti uterosacrali e uterovescicopubici, nonché dalle connessioni con la vagina, con la vescica e con il pavimento pelvico. I legamenti larghi vanno dai margini laterali dell'utero alle pareti laterali della pelvi, dividendola in due parti (anteriore o vescicale e posteriore o rettale). Sono costituiti da due foglietti peritoneali, che superiormente si continuano l'uno con l'altro, mentre in basso divergono, flettendosi uno in avanti, l'altro indietro. La base dei legamenti larghi poggia sul pavimento pelvico; nel margine libero superiore è contenuta la tuba uterina. La faccia anteriore è sollevata dal legamento rotondo, mentre l'ovaio è connesso al foglietto posteriore tramite il mesovario. Il tessuto connettivo sottoperitoneale che si spinge dalla base dei legamenti larghi fino alla parete laterale della pelvi prende il nome di parametrio. Vengono indicate con il nome di legamenti cardinali o di Mackenrodt quelle zone di addensamento connettivale che collegano il margine laterale della vagina e della cervice con la parete laterale della pelvi, formando due robusti sepimenti trasversali. Sono divisi in due porzioni dal punto in cui l'uretere incrocia l'arteria uterina. I legamenti rotondi sono cordoni di connettivo fibroso e di fibrocellule muscolari lisce che originano dagli angoli laterali superiori del corpo uterino, poco anteriormente e al di sotto delle tube; sollevando il foglietto anteriore del legamento largo, si portano lateralmente e in avanti verso le pareti della pelvi, fino a raggiungere i vasi iliaci esterni. A questo punto percorrono il canale inguinale, e, dopo esserne fuoriusciti, si dissociano nelle fibre terminali, che si inseriscono sul periostio del tubercolo pubico e alla base delle grandi labbra. I legamenti uterosacrali sono fasci fibroelastici che prendono origine dalla parete posteroinferiore del corpo uterino, dalla cervice e, in parte, dalla vagina. Si portano posteriormente verso le pareti laterali del retto, per superarle dirigendosi verso il sacro, dove si inseriscono sul periostio della seconda e terza vertebra sacrali. Prendono il nome di legamenti uterovescicopubici i fascetti muscoloconnettivali che, partendo dalla faccia anteriore dell'istmo, raggiungono il collo vescicale e lo superano per inserirsi a livello della faccia posteriore della sinfisi pubica. I legamenti uterovarici originano in prossimità dell'angolo tubarico e si inseriscono sull'estremità mediale dell'ovaio. L'utero è irrorato dall'arteria uterina, che è uno dei rami viscerali principali dell'arteria ipogastrica. Dopo la sua origine, si porta verticalmente verso il basso e raggiunge la parete laterale della pelvi, per poi entrare nel legamento largo e dirigersi trasversalmente verso la cervice. Dopo aver fornito un ramo cervicovaginale, l'arteria uterina risale verso l'alto, lungo il margine laterale dell'utero; giunta in prossimità degli orifizi tubarici, si divide in un ramo ovarico, in uno tubarico e nelle arterie del fondo dell'utero. I rami che irrorano il corpo dell'utero si anastomizzano a livello dello strato medio, vascolare, del miometrio (v. oltre), da cui originano sia i vasi destinati agli strati superficiali e al perimetrio, sia quelli per l'endometrio, che si dividono in arterie rette e arterie spirali. I rapporti tra l'uretere e l'arteria uterina possono essere variabili, ma il loro incrocio avviene in genere 1,5 cm lateralmente al margine dell'istmo e 1 cm al di sopra del fornice laterale della vagina. Le vene, che originano dallo strato vascolare del miometrio, prendono il nome di seni uterini. Dopo essersi raccolte lungo il margine laterale dell'utero, si uniscono a quelle provenienti dalla vagina formando il plesso uterovaginale, che si scarica nelle vene uterine. Queste, insieme con le vene del plesso vescicovaginale, confluiscono nella vena ipogastrica. Altre vene provenienti dal plesso uterovaginale, invece, formano un tronco unico con le vene ovariche e si scaricano a destra nella vena cava inferiore, a sinistra nella renale. La maggior parte dei vasi linfatici raggiunge i linfonodi para-aortici, preaortici e ipogastrici; altri vasi linfatici, invece, fanno capo ai linfonodi inguinali superficiali, ai sacrali e a quelli del promontorio. I nervi provengono dal plesso renale, da quello intermesenterico (riuniti nel plesso uterovarico) e dal plesso pelvico (o ipogastrico inferiore). Il plesso pelvico deriva dall'ortosimpatico toracolombare; a livello del parametrio, costituisce il plesso uterovaginale. Alcune fibre parasimpatiche giungono tramite i nervi sacrali, che, insieme ad alcuni nervi toracici (X-XII) e al I lombare, portano anche fibre sensitive dirette dall'utero verso il midollo spinale. Filamenti nervosi raggiungono anche l'endometrio. Procedendo dall'interno verso l'esterno, nella parete dell'utero, si possono distinguere quattro tuniche: la mucosa, che costituisce l'endometrio; la muscolare che costituisce il miometrio; la sottosierosa e la sierosa che costituiscono il perimetrio. L'endometrio aderisce intimamente al sottostante tessuto muscolare, senza l'interposizione di una sottomucosa; è composto da un epitelio di rivestimento e da una lamina propria; nel suo contesto si trovano numerose ghiandole. L'epitelio di rivestimento è formato da cellule cilindriche ciliate e da cellule secernenti un materiale di natura glicoproteica. La lamina propria ha invece una struttura di tipo connettivale, caratterizzata dalla presenza di ghiandole tubulari semplici. Tali ghiandole occupano l'intero spessore della mucosa e possono raggiungere con il loro fondo gli strati più superficiali del miometrio. Le ghiandole della mucosa uterina non sono importanti per la secrezione, ma hanno la funzione di favorire la rigenerazione dell'epitelio dopo il ciclo mestruale e dopo la gravidanza. A livello del collo, tuttavia, le ghiandole sono ramificate, voluminose e secernono un muco chiaro e vischioso. L'occlusione del dotto escretore di ghiandole situate presso l'orifizio uterino esterno può dar luogo alla formazione di piccole cisti, le quali sono chiamate uova di Naboth. I due terzi superficiali dell'endometrio prendono il nome di strato funzionale o zona compatta, mentre lo strato sottostante viene indicato come strato basale o zona spongiosa. La mucosa del fondo e del corpo uterino è molto sensibile agli ormoni sessuali secreti a livello ovarico e, nell'età fertile, va incontro alle modificazioni periodiche relative al ciclo mestruale. Per tale ragione questo strato ha le caratteristiche di un tessuto giovane, rinnovandosi in media ogni 28 giorni (v. mestruazione). La particolare sensibilità dell'endometrio agli stimoli ovarici è data dalla presenza di recettori specifici per gli estrogeni e il progesterone. I recettori sono costituiti da proteine leganti l'ormone, distribuite nel citoplasma e nel nucleo delle cellule, che hanno la funzione di captare l'ormone e di trasportarlo nel nucleo, dove esercita la sua azione biologica. Va sottolineato che la concentrazione dell'ormone libero condiziona il numero dei recettori, e, quindi, la sua concentrazione intracellulare. Gli estrogeni determinano la comparsa non solo dei propri recettori, ma anche di quelli per il progesterone. Quest'ultimo, invece, inibisce la sintesi di entrambi i tipi di recettore. Solo le arterie spirali (e non le rette), che irrorano l'endometrio, rispondono agli stimoli ormonali. Nel ciclo mestruale si riconoscono quattro fasi: mestruale, rigenerativa, proliferativa e secretiva. Per comprendere esattamente le modificazioni che si verificano nell'endometrio bisogna tenere presente la fisiologia del ciclo ovarico (v. ovaio). a) Fase mestruale (1°-5° giorno del ciclo). La progressiva regressione del corpo luteo a livello dell'ovaio e la mancata fecondazione dell'ovocita determinano una serie di modificazioni involutive dello strato funzionale, che portano allo sfaldamento e all'espulsione della mucosa. Le arterie spirali si addossano le une alle altre, per riduzione dello stroma; al loro interno, il flusso ematico viene rallentato e, pertanto, si formano microtrombi. Il rallentamento del circolo arterioso e venoso, inoltre, determina la formazione di lacune di stasi vascolare da cui gli elementi corpuscolati del sangue (v.) diffondono nello stroma, infiltrandolo. Segue un'emorragia che lacera lo strato mucoso funzionale e provoca la sua desquamazione. Le strutture vascolari e le lacune sanguigne, messe allo scoperto, riversano nella cavità uterina sangue che non coagula, in quanto privo di fibrinogeno e di alcuni fattori della coagulazione; questa caratteristica, tuttavia, è dovuta in parte anche all'azione di enzimi fibrinolitici presenti nel muco cervicale. Il sangue mestruale, frammisto a lembi di mucosa sfaldata, fuoriesce attraverso il canale cervicale e la vagina. La quantità media di sangue perso mensilmente durante questo periodo è di circa 50 cm3. b) Fase rigenerativa (4°-6° giorno del ciclo). Prima ancora che la mestruazione finisca, lo strato basale dell'endometrio, non interessato dal processo appena descritto, inizia la riparazione dello strato funzionale. La riepitelizzazione delle aree desquamate origina dalle cellule che sono presenti sul fondo delle ghiandole endometriali. c) Fase proliferativa (7°-14° giorno del ciclo). Viene indicata con questo nome poiché è caratterizzata dalla proliferazione dell'epitelio. Questa fase è sotto il controllo degli estrogeni prodotti dal follicolo che si trova a livello ovarico. Tali ormoni penetrano nella cellula endometriale, stimolando la sintesi di DNA (acido desossiribonucleico) ed RNA (acido ribonucleico). Ciò incrementa notevolmente la sintesi proteica e porta a un rapido aumento della proliferazione cellulare epiteliale. Verso il 5° giorno del ciclo il processo di riepitelizzazione è completato e le ghiandole sono corte, tubulari e rette; le arterie spirali sono appena percettibili. Successivamente, invece, tali arterie aumentano di numero e di dimensioni, arrivando in prossimità dell'epitelio superficiale. Anche le ghiandole uterine diventano progressivamente più numerose, assumendo un andamento lungo e tortuoso. Le cellule connettivali si moltiplicano, mentre lo stroma, edematoso all'inizio di questa fase, verso il 13°-14° giorno diventa più compatto. d) Fase secretiva (15°-28° giorno del ciclo). La fase secretiva è caratterizzata dalla secrezione ghiandolare. Dopo l'ovulazione, nell'ovaio si forma il corpo luteo, che secerne progesterone; sotto questo stimolo l'endometrio si ispessisce. Le ghiandole diventano sempre più lunghe e tortuose, assumendo il caratteristico aspetto 'a cavaturacciolo'; infatti le cellule dello stroma circostante sono a riposo, mentre la crescita continua nei tubuli, costringendoli ad assumere un andamento spiraliforme. Il lume ghiandolare appare dilatato e pieno di secreto mucoso; all'interno delle cellule si accumula glicogeno e questo viene considerato un segno dell'attività progesteronica. Anche i vasi risultano fortemente spiralizzati, con uno sviluppo massimo intorno al 22° giorno. Lo sviluppo dei vasi eccede le necessità nutritive dell'endometrio, a testimonianza del fatto che l'utero è pronto a ricevere un embrione. Se ciò si verifica e l'impianto ha luogo, l'endometrio continua il suo sviluppo, sotto lo stimolo ormonale del corpo luteo. In caso di mancata fecondazione, invece, il corpo luteo degenera e il tasso di estrogeni e di progesterone diminuisce; questo è il segnale che innesca il processo involutivo, caratterizzato da fenomeni necrotici a carico dell'epitelio, da lesioni degenerative dei vasi e da un aspetto 'a dente di sega' delle ghiandole, che collabiscono: ciò precede di circa 24-48 ore la fase mestruale. La mucosa endocervicale è meno sensibile agli ormoni sessuali, che a questo livello agiscono principalmente sulle cellule di ghiandole secernenti muco: questo viene prodotto in quantità maggiori e reso più fluido nella fase periovulatoria. Il miometrio, a livello del corpo e del fondo, rappresenta la maggior parte (75% circa) dello spessore delle pareti uterine, mentre nella cervice e nell'istmo è predominante la componente fibrosoelastica. Dalla parte più superficiale di questo strato si distaccano fascetti di fibrocellule muscolari che si prolungano nei legamenti dell'utero. Secondo le descrizioni classiche, è possibile riconoscere nel miometrio tre strati: uno esterno (o sottosieroso), prevalentemente longitudinale, uno medio, circolare, e uno interno (o sottomucoso), longitudinale. Gli strati esterno e interno, tuttavia, sono molto poco sviluppati e difficilmente distinguibili dai fasci muscolari dello strato intermedio. Le fibre muscolari di quest'ultimo hanno un orientamento estremamente complesso, con due sistemi di fasci a tragitto spirale, destro e sinistro; le spirali sono ripide nella parte alta dell'utero, diventano quasi orizzontali scendendo verso il collo. Lo strato miometriale medio è stato definito anche strato vascolare, per la sua ricchezza di vasi, o emostatico, poiché contraendosi determina l'occlusione dei vasi che lo attraversano. Tale caratteristica assume un'importanza fondamentale per arrestare l'emorragia dopo il secondamento, cioè il distacco della placenta, che fa seguito all'espulsione del feto. Il miometrio è costituito da fibrocellule muscolari lisce, di forma fusoidale, la cui lunghezza abituale è di circa 50 μm; nel corso della gravidanza, tuttavia, esse aumentano di volume fino a dieci volte, raggiungendo le dimensioni di circa 0,5 mm. Tra le fibre muscolari è presente tessuto connettivo fibroso ed elastico. All'interno delle fibrocellule è possibile riconoscere le proteine contrattili, actina e miosina, con prevalenza dei filamenti di actina. Questi ultimi (più sottili) e quelli di miosina (più spessi) non sono disposti in modo ordinato, come nei muscoli striati; nonostante ciò, la contrazione uterina dipende dalla loro interazione e dall'attivazione a opera degli ioni calcio presenti nel citoplasma. Il particolare arrangiamento dei filamenti, orientati secondo un asse obliquo rispetto all'asse corto della fibrocellula, consente al muscolo uterino di esercitare una forza relativamente intensa rispetto al breve accorciamento delle fibre e alla bassa velocità della contrazione. Grazie alla particolare disposizione strutturale, inoltre, la contrazione può essere mantenuta per periodi piuttosto lunghi con il minimo dispendio energetico. Come l'endometrio, anche il miometrio è soggetto all'influenza ciclica degli ormoni sessuali. Durante la fase proliferativa del ciclo mestruale, gli estrogeni si legano ai recettori specifici presenti a questo livello, determinando modificazioni biochimiche e strutturali: vengono stimolati la sintesi e l'accumulo della miosina, i miofilamenti si ispessiscono, aumentano i granuli di glicogeno e viene favorita la formazione di recettori per le prostaglandine (v.) e per l'ossitocina. Insieme con le prostaglandine, inoltre, gli estrogeni stimolano la produzione di connessioni tra le cellule, favorendo la diffusione della contrazione. Tutto ciò porta a un incremento dell'attività miometriale, e quindi a una maggiore eccitabilità, con comparsa di contrazioni spontanee, brevi e frequenti, soprattutto in periodo ovulatorio. Il progesterone, invece, determina una diminuzione del numero dei recettori ormonali, con conseguente riduzione dei filamenti contrattili e delle connessioni intercellulari; pertanto, in fase secretiva, la risposta del miometrio si attenua e la frequenza e la durata delle contrazioni risultano nettamente ridotte. Durante la fase mestruale e quella rigenerativa, la capacità di risposta del miometrio ai vari stimoli aumenta nuovamente, soprattutto per l'azione della prostaglandina F₂α, che determina un incremento della frequenza e dell'ampiezza delle contrazioni muscolari. Differente è la risposta agli stimoli ormonali da parte della muscolatura cervicale: durante la fase estrogenica, essa tende a diminuire di tono e, in prossimità dell'ovulazione, consente l'apertura dell'orifizio uterino esterno, per favorire l'eventuale penetrazione degli spermatozoi. In fase progesteronica, invece, il miometrio della cervice uterina aumenta di tono e restringe l'orifizio uterino esterno. I due strati costituenti il perimetrio, la tunica sottosierosa e la tunica sierosa, presentano una struttura differenziata: la prima, ricca di fibrocellule, fibre elastiche, vasi sanguigni, vasi linfatici e nervi, è abbastanza spessa, anche se in alcune zone si assottiglia fino a identificarsi con lo strato muscolare; la seconda, invece, è costituita da un sottile strato di tessuto connettivo, il quale strutturalmente non si distingue da quello del restante peritoneo.
L'utero può essere sede di malformazioni, processi infiammatori e tumorali, con localizzazione a livello sia endometriale sia miometriale. Inoltre, un cenno a parte merita la patologia cervicale. Possono essere inclusi tra le malformazioni uterine tutti quei casi di assenza (agenesia) o di arresto dell'evoluzione fisiologica (ipoplasia) dell'utero, l'obliterazione congenita del canale cervicale o della cavità uterina, nonché i casi di alterazioni di posizione e direzione del corpo uterino. Altre anomalie dipendono dalla mancata o imperfetta fusione dei due canali di Müller destro e sinistro che, nell'embrione femmina, si uniscono formando l'utero. Nell'ambito di questo tipo di malformazioni, quelle più appariscenti sono: utero bicorne, diviso in due corni uterini destro e sinistro, che possono avere un collo unico o due colli separati (ci può essere l'associazione con malformazioni vaginali); utero setto, con la cavità divisa da un setto mediano fibroso, più o meno esteso; utero unicorne, formato da un solo corno uterino, mentre quello controlaterale può essere del tutto assente o presente in forma rudimentale. Fra le patologie a carico dell'endometrio devono essere considerati: il polipo, l'iperplasia e il carcinoma. Il polipo endometriale è più frequente al di sopra dei 50 anni, può presentarsi sessile o peduncolato e le dimensioni variano da pochi millimetri ad alcuni centimetri. Può essere del tutto asintomatico o determinare perdite anomale di sangue dai genitali esterni. Per iperplasia endometriale si intende una situazione nella quale, per una stimolazione ormonale prolungata da parte degli estrogeni, l'endometrio può aumentare notevolmente di spessore, con proliferazione di tutti i suoi elementi. Viene definita iperplasia ghiandolare quella in cui le ghiandole sono presenti in numero maggiore del normale; si parla invece di iperplasia ghiandolare cistica se le ghiandole risultano dilatate. Se sono presenti segni di pluristratificazione dell'epitelio o atipie cellulari la lesione è considerata precancerosa. Il carcinoma dell'endometrio è un tumore epiteliale maligno che colpisce prevalentemente le donne tra i 55 e i 65 anni. Fattori di rischio per questo tipo di neoplasia sono: un aumento assoluto o relativo degli estrogeni, l'obesità, la familiarità. La lesione può presentarsi in forma circoscritta (con aspetto polipoide) o diffusa; il tipo istologico più frequente è l'adenocarcinoma.
Il carcinoma dell'endometrio diffonde mediante diverse vie: 1) per contiguità, infiltrando lentamente il miometrio (che può essere eroso fino alla sierosa, con conseguente sfaldamento di cellule neoplastiche nella cavità peritoneale), la cervice o il tratto interstiziale della tuba uterina; 2) per via linfatica, dando metastasi ai linfonodi pelvici, para-aortici, otturatori, ipogastrici, inguinali superficiali, iliaci interni e comuni: attraverso questa via si verificano anche metastasi alle ovaie (7% dei casi), alla vagina, alla zona sottouretrale; 3) per via ematogena, dando metastasi al polmone (2-3%), alle ossa, al fegato, alla vagina (per via venosa retrograda) ecc. La sintomatologia di solito consiste in perdite ematiche anomale, molto sospette se compaiono in postmenopausa; possono essere presenti anche perdite biancastre o può aversi dolore, che compare solo tardivamente quando la neoplasia ha interessato organi pelvici o addominali. In caso di sospetto, si deve eseguire un prelievo di mucosa uterina; un'ottima possibilità diagnostica è fornita dalla isteroscopia, che permette una visione diretta della lesione, con eventuale biopsia mirata. La classificazione clinica non è in grado di fornire elementi utili per un'esatta valutazione della diffusione tumorale; la suddivisione in stadi si basa perciò sul reperto macroscopico intraoperatorio e sulla valutazione istopatologica eseguita sul pezzo operatorio. La Federazione internazionale di ginecologia e ostetricia (FIGO) ha elaborato una stadiazione per il carcinoma endometriale che è riportata in tab. 1. La terapia è chirurgica, associata a chemio- e/o radioterapia, a seconda della diffusione della malattia. La sopravvivenza globale per il carcinoma dell'endometrio è del 70% circa, mentre la sopravvivenza a cinque anni, tenendo conto della stadiazione, è la seguente: 100% allo stadio 0; 72-98% allo stadio I; 30-75% allo stadio II; 15-60% allo stadio III; 3-10% allo stadio IV. La prognosi è influenzata da vari fattori di rischio: positività dei linfonodi, grado di differenziazione tumorale, invasione miometriale, positività della citologia peritoneale, ampiezza della cavità uterina. Il fibromioma uterino è il più frequente tumore benigno dell'apparato genitale femminile. Colpisce il 15-20% delle donne di età compresa tra i 35 e i 50 anni; spesso viene indicato semplicemente come fibroma o mioma uterino. Si distinguono fibromi sottosierosi, intramurali, sottomucosi, istmici o cervicali, a seconda della localizzazione. Nella maggior parte dei casi, i fibromi sono del tutto asintomatici; in caso di mioma sottomucoso, anche di grandi dimensioni, il sintomo più frequente è costituito da abbondanti perdite ematiche dai genitali esterni. La diagnosi può essere fatta con la semplice visita ginecologica associata a ecografia pelvica. Il leiomiosarcoma è un tumore maligno piuttosto raro, che può originare dal miometrio normale o da un mioma. Di frequente determina un aumento rapido e improvviso del volume dell'utero, associato o meno alla diminuzione della sua consistenza e alla comparsa di dolenzia o emorragie genitali. La terapia è essenzialmente chirurgica. Il collo dell'utero può essere interessato da varie lesioni di origine congenita, traumatica, infiammatoria, o virale. Piuttosto frequente è il polipo cervicale, che può essere unico o multiplo e rappresenta una proliferazione peduncolata della mucosa cervicale. La neoplasia cervicale colpisce prevalentemente le donne di età compresa tra i 35 e i 45 anni. Sono stati identificati vari fattori di rischio, tra cui: frequenza di rapporti sessuali, fattori razziali, multiparità, infezioni virali. Macroscopicamente si possono identificare vari tipi di neoplasia: proliferativa, nodulare o ulcerata; microscopicamente si distinguono essenzialmente il carcinoma squamoso e l'adenocarcinoma.
La sintomatologia è in genere scarsa e tardiva; la diffusione si realizza con varie modalità: 1) per contiguità, alla vagina, alla fascia otturatoria, alla parete pelvica, agli ureteri, ai legamenti uterosacrali, all'endometrio, alla vescica, al retto; 2) per via linfatica, attraverso i vasi linfatici che decorrono nei legamenti uterini, dando metastasi ai linfonodi parametriali, pelvici (iliaci esterni, otturatori, ipogastrici, iliaci interni e iliaci comuni), para-aortici, paracavali e più raramente al linfonodo scaleno, ai presacrali e inguinali; 3) per via ematogena, dando metastasi al polmone (25%), al fegato (20%), all'intestino (15%), alle ossa (5%). Data la particolare localizzazione, la diagnosi del cancro del collo dell'utero viene in genere fatta precocemente, mediante citologia oncologica (o test di Papanicolau), colposcopia, microcolpoisteroscopia, biopsia mirata. La classificazione clinica in stadi è abitualmente fatta dal ginecologo oncologo secondo le norme della FIGO (tab. 2). Il trattamento può essere chirurgico, radiante o chemioterapico, variando a seconda sia del tipo di lesione sia del grado di diffusione della malattia. Se la neoplasia invasiva non viene trattata, in genere porta all'exitus la paziente in tre o quattro anni. Fattori che comportano una prognosi non benigna sono riportati in tab. 3.
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