Vaccini intelligenti
I vaccini tradizionali hanno ottenuto numerosi e impensati successi nel campo della salute pubblica. Gli esempi più eclatanti sono rappresentati dalla eradicazione del vaiolo, avvenuta alla fine degli anni Settanta del 20° sec., e dai notevoli progressi che sono stati compiuti nel processo di eradicazione della poliomielite, che l'Organizzazione mondiale della sanità prevede di raggiungere nel giro di pochi anni. L'uso delle vaccinazioni ha contribuito ampiamente all'allungamento della vita media nei Paesi industrializzati, soprattutto a partire dalla seconda metà del 20° secolo. Molti sono gli aspetti dei vaccini tradizionali suscettibili di miglioramento. Un primo aspetto riguarda la sicurezza: i vaccini sono destinati a persone sane ed è quindi di fondamentale importanza che queste non ne ricevano alcun danno. Al vaccino antipolio orale tipo Sabin si deve la quasi totale eradicazione della malattia, anche se in un numero bassissimo di casi (1 su 3 milioni di dosi) esso può indurre la malattia. Nei Paesi nei quali il virus selvatico non circola più, si tende a sostituire il vaccino Sabin con quello Salk, che utilizza il virus inattivato. Molti vaccini tradizionali sono sensibili a talune condizioni ambientali (per es., esposizione alla luce, temperature elevate), ma le costose infrastrutture necessarie a mantenere una corretta catena del freddo sono talvolta difficili da realizzare, soprattutto in Paesi dal clima tropicale o in luoghi dove non esiste elettricità.
Infine, i vaccini esistenti vengono per lo più somministrati per via parenterale, la più semplice per garantire l'arrivo di qualsiasi farmaco direttamente nell'organo bersaglio senza subire modificazioni; questa modalità può però presentare dei problemi di sicurezza, in quanto nei Paesi più poveri si fa talvolta uso di aghi non sterili che finiscono per veicolare patogeni, come il virus dell'epatite B (HBV) e C (HCV), il virus dell'immunodeficienza acquisita (HIV) e così via. Si avverte quindi l'esigenza di sviluppare vaccini che abbiano nuove caratteristiche 'intelligenti', sempre più sicuri e privi di effetti collaterali, capaci di conferire protezione anche utilizzando poche dosi, possibilmente somministrate per via mucosale, e di resistere alle più avverse condizioni ambientali.
I nuovi vaccini 'intelligenti'
L'avvento dell'ingegneria genetica e lo sviluppo delle biotecnologie, che si è verificato a partire dagli anni Ottanta del 20° sec., ha comportato un significativo avanzamento delle conoscenze scientifiche in molti ambiti, in particolare in quello della microbiologia, ma anche in quelli della patogenesi di molte malattie infettive e dell'immunologia. È stato così possibile aumentare in modo esponenziale il numero di approcci per identificare e ottenere antigeni microbici specifici e quindi esprimerli in appropriati sistemi al fine di produrre vaccini capaci di rispondere alle nuove esigenze che emergono dai vari contesti epidemiologici. Il primo frutto di questa nuova era è rappresentato dal vaccino contro l'HBV, ottenuto con la tecnica del DNA ricombinante. Questo vaccino, costituito dall'antigene di superficie del virus (HBsAg) prodotto da un lievito e purificato, è estremamente efficace nel prevenire l'infezione ed è ampiamente utilizzato in tutto il mondo, allo scopo di prevenire non solo milioni di epatiti, ma anche le neoplasie del fegato che possono conseguirne. Un altro passo avanti nella scoperta di nuovi vaccini è stato compiuto grazie all'osservazione che gli antigeni protettivi di alcuni virus possono autoassemblarsi a formare particelle simil virali (viral-like particles, VLPs). Come si può evincere dalla denominazione, le VLPs sono strutture tridimensionali che assomigliano ai virus, ma, a differenza di questi ultimi, non sono in grado di dare malattia perché mancanti del materiale genetico. Le VLPs si ottengono tramite tecniche di DNA ricombinante facendo esprimere una o ppure più proteine virali strutturali in cellule eucariote o procariote. In genere le VLPs sono molto immunogene poiché mostrano un gran numero di siti antigenici e conformazionali allo stesso modo dei virus infettivi. Un vaccino basato sulle VLPs è quello contro il papillomavirus (HPV). Le VLPs dell'HPV si formano tramite l'espressione eterologa della proteina maggiore L1 in cellule di lieviti o insetti. Al momento il vaccino contro l'HPV è ancora nelle fasi finali di sviluppo. Questo vaccino comprende VLPs derivate dai due più comuni papillomavirus oncogenici (16 e 18) e dai due più frequenti tipi che causano papillomi genitali (6 e 11). Svariati studi di fase ii e un importante studio di fase iii hanno mostrato una elevata efficacia nel prevenire lesioni precancerose e papillomi genitali. Nel caso delle tossine batteriche, l'ingegneria genetica consente di disporre di una tossina detossificata più immunogena di quella ottenuta tramite trattamento chimico con formaldeide. Un successo in questo campo è rappresentato dal nuovo vaccino acellulare contro la pertosse, dimostratosi efficace nel prevenire la malattia nei neonati, fornendo anche una protezione a lungo termine. La tecnica del DNA ricombinante ha tuttavia alcuni limiti, in quanto di frequente gli antigeni prodotti non mantengono la conformazione della proteina nativa e sono scarsamente immunogenici in vivo. Per incrementare l'immunogenicità e anche per consentire la somministrazione di antigeni protettivi per vie differenti dalla parenterale classica, si è aperto un altro ampio filone di ricerca nel campo della vaccinologia: quello degli adiuvanti (dal latino adiuvare, aiutare). Quando vengono somministrati insieme agli antigeni, gli adiuvanti sono in grado di aumentarne l'immunogenicità e/o di consentirne la somministrazione anche per vie non parenterali. Fino alla fine del 20° sec., i sali di alluminio sono stati l'unico adiuvante consentito per uso umano; tuttavia, l'aumento delle conoscenze in immunologia e sui vari meccanismi di risposta alle infezioni ha stimolato la ricerca di nuovi adiuvanti che potessero stimolare degli specifici sistemi effettori della risposta immunitaria (il sistema anticorpale, quello cellulare, l'immunità mucosale e così via), molti dei quali presentano interessanti caratteristiche che presumibilmente potranno contribuire a migliorare l'efficacia dei vaccini.
I vaccini 'intelligenti': applicazioni pratiche
L'adiuvante MF59. - Nel 1997 un vaccino antinfluenzale adiuvato con l'MF59 è stato registrato in Italia e, subito dopo, in molti altri Paesi europei. L'MF59, primo nuovo adiuvante di cui è stato consentito l'impiego nell'uomo settant'anni dopo l'introduzione dei sali di alluminio, è un'emulsione di olio in acqua, costituita da goccioline di squalene (‹150 nm di diametro) uniformi e stabili.
Lo squalene è un olio naturale perfettamente metabolizzabile che si ottiene dal fegato di squalo (da cui il nome), ma che si trova anche nell'organismo umano come precursore del colesterolo e componente delle membrane cellulari. La particolare composizione dell'MF59 ne garantisce la stabilità per almeno tre anni a 4 °C. L'esatto meccanismo del suo potere adiuvante non è noto; di fatto esso è in grado di stimolare soprattutto una risposta immunitaria di tipo anticorpale, con induzione di interleuchina 5 (IL-5), interleuchina 6 (IL-6) e, in misura senz'altro minore, interferone gamma. L'idea di aggiungere l'MF59 al vaccino antinfluenzale è nata dall'evidenza clinica della ridotta efficacia dei vaccini convenzionali nei soggetti anziani, che rappresentano una particolare classe di rischio per quanto riguarda la malattia influenzale. Studi clinici effettuati su oltre 20.000 soggetti anziani hanno mostrato che il vaccino è sicuro e anche ben tollerato, e che presenta una maggiore immunogenicità rispetto ai vaccini convenzionali, anche dopo ripetute immunizzazioni. In particolare, l'effetto adiuvante dell'MF59 si è dimostrato maggiore nei soggetti più a rischio di sviluppare l'influenza e le sue complicazioni, come quelli affetti da diabete oppure da malattie croniche respiratorie o cardiovascolari. Un altro importante vantaggio dell'aggiunta dell'MF59 al vaccino convenzionale è rappresentato dall'aumentata immunogenicità anche nei confronti di ceppi influenzali diversi da quelli contenuti nel vaccino. Questo fenomeno, che può essere importante in casi di epidemie influenzali causate da ceppi virali che non sono omologhi a quelli contenuti nel vaccino stesso, ha aperto la strada a una serie di studi sul possibile uso del vaccino adiuvato in caso di nuova pandemia influenzale. È noto infatti che la disponibilità di vaccini efficaci in caso di pandemia è uno degli strumenti chiave per fronteggiare tale emergenza, mentre i vaccini convenzionali sono assai poco immunogeni nei confronti di ceppi virali differenti. Numerosi studi hanno dimostrato che l'aggiunta di MF59 a un vaccino contro un ipotetico virus influenzale pandemico è in grado di sviluppare elevati livelli di anticorpi protettivi in volontari sani anche con ridotte concentrazioni di antigene, livelli che persistono nel tempo e inoltre determinano una migliore risposta booster fino a 16 mesi dopo la prima immunizzazione. Ancora, tre dosi di vaccino adiuvato sono in grado di conferire elevata protezione crociata anche nei confronti di ceppi eterovarianti. Questi dati sottolineano l'importanza del ruolo che un nuovo adiuvante come l'MF59 potrebbe svolgere in caso di pandemia in termini tanto di aumentata protezione clinica, quanto di maggiore disponibilità di dosi di vaccino. Anche nei confronti dell'epatite B esistono vaccini sicuri ed efficaci i quali tuttavia potrebbero essere migliorati per alcuni aspetti, quali l'elevato numero di dosi necessarie e la non soddisfacente immunogenicità in certe categorie ad alto rischio, che avrebbero bisogno di una protezione più completa e precoce. Sulla base di promettenti dati sperimentali ottenuti in babbuini, sono stati effettuati studi clinici su volontari sani con un vaccino costituito dall'antigene di superficie del virus (HBsAg) e dalla frazione PreS2, prodotto in cellule CHO (Chinese Hamster Ovarian cells), vale a dire su cellule ingegnerizzate le quali esprimono un recettore per il TSH normalmente assente, e adiuvato con MF59. Nel complesso, questi studi clinici hanno sottolineato l'effetto adiuvante dell'MF59, il quale, presentando un profilo di sicurezza del tutto accettabile, aumenta l'immunogenicità del vaccino, consente di somministrare soltanto due dosi in un breve intervallo di tempo e può essere considerato una migliore profilassi per tutti quei soggetti scarsamente rispondenti o non rispondenti al vaccino convenzionale.
Quando il ricombinante non è sufficiente: l'approccio genomico
I progressi della biologia molecolare e dell'informatica hanno permesso di ottenere la sequenza completa del genoma di molti patogeni che causano importanti malattie infettive. A partire dal 1995 sono stati sequenziati e pubblicati, fra gli altri, i genomi di patogeni, quali, per es., Haemophilus influenzae, Neisseria meningitidis, Mycoplasma pneumoniae, Helicobacter pylori, Borrelia burgdorferi, Mycobacterium tuberculosis. La disponibilità delle sequenze genomiche ha cambiato le modalità dello sviluppo di nuovi vaccini. Tramite opportuni software è infatti possibile analizzare l'intero genoma e predire quali proteine possono diventare i migliori candidati per un vaccino. Con questo approccio non soltanto non è più necessario coltivare il microrganismo patogeno in laboratorio, ma inoltre il processo può essere applicato anche a patogeni non coltivabili. L'analisi dei possibili candidati per un vaccino comprende, almeno teoricamente, tutte le proteine codificate dal genoma, indipendentemente dal fatto che siano espresse in vivo o in vitro o dalla quantità della proteina prodotta. Un fattore che rallenta la velocità di scoperta di nuovi antigeni utili allo sviluppo di vaccini è rappresentato dalla limitata conoscenza della risposta immunitaria e, in particolare, dei parametri che la correlano con la protezione in vivo. Un altro limite di questo approccio è l'incapacità di identificare antigeni non proteici, come i polisaccaridi oppure i glicolipidi, che rappresentano promettenti candidati per futuri vaccini. I vantaggi dell'approccio genomico consistono sicuramente nella rapidità con la quale è possibile identificare nuovi promettenti antigeni e pure nella capacità di superare ostacoli insormontabili con le tradizionali tecniche biochimiche e immunologiche. Come esempio è possibile citare il caso della N. meningitidis gruppo B. Il polisaccaride capsulare del meningococco B è scarsamente immunogenico di per sé, poiché è identico all'acido polisialico presente sulle cellule eucariote. Quindi, dopo coniugazione con un vettore proteico, esso può indurre autoanticorpi, cioè anticorpi che presentano una reazione crociata con un epitopo endogeno presente in questo caso sulle cellule neuronali, con il conseguente rischio di indurre fenomeni autoimmunitari.
Inoltre, le proteine di superficie del meningococco B identificate come potenziali vaccini mostrano una forte variabilità antigenica da ceppo a ceppo, e questo esclude la possibilità di sviluppare un vaccino attivo su tutti i ceppi del batterio. L'approccio genomico è riuscito a identificare nuovi antigeni, prima sconosciuti, che risultano capaci di indurre anticorpi protettivi e ben conservati in tutti i ceppi studiati. Un tale risultato non si era mai verificato in più di trent'anni di studi biochimici e immunologici. Alcuni di questi antigeni sono stati prodotti per essere sottoposti a test clinici sull'uomo. La disponibilità del genoma completo di virus, batteri quali Streptococcus pneumoniae, Streptococcus agalactiae e Chlamydia pneumoniae, parassiti quali Plasmodium falciparum, sta permettendo l'identificazione di nuovi antigeni che potranno contribuire allo sviluppo di vaccini sicuri ed efficaci.
Individuazione intelligente del bersaglio: i vaccini a DNA
I vaccini a DNA sono costituiti dall'acido desossiribonucleico ricombinante della proteina verso la quale si deve indirizzare la risposta immunitaria. Il DNA può essere somministrato mediante una semplice iniezione intramuscolare o intradermica. Una volta penetrato nella cellula e integrato nel genoma, il DNA induce la produzione dell'antigene. La proteina eterologa viene quindi espressa sulla superficie della cellula insieme alle molecole del complesso maggiore di istocompatibilità (MHC) di classe i. L'espressione di una proteina estranea insieme alle molecole MHC di classe i induce una risposta da parte dei linfociti T citotossici CD8+, la quale si traduce nell'uccisione della cellula che esprime tale antigene. Questo tipo di risposta immunitaria viene solitamente evocato in presenza di batteri patogeni intracellulari o virus ed è responsabile anche del rigetto dei trapianti. La presentazione dell'antigene insieme alle molecole MHC di classe ii porta all'attivazione prevalentemente dell'immunità umorale. Come è facile comprendere, la vaccinazione a DNA risulta utilissima per tutti quei patogeni per i quali è richiesta un'immunità di tipo cellulomediato, come nel caso delle infezioni virali per le quali non è stato ancora sviluppato un vaccino (per es., virus dell'epatite C, famiglia dei virus erpetici, virus dell'immunodeficienza acquisita) e di quelle infezioni batteriche causate da patogeni intracellulari (per es., Mycobacterium tuberculosis).
Tecnologie per la somministrazione dei vaccini a DNA: Alfavirus, Adenovirus, Poxvirus, vettori batterici. - In via sperimentale questo tipo di vaccinazione ha fornito brillanti risultati in modelli che utilizzano piccoli animali (per es., topi, ratti), ma quando gli esperimenti sono stati ripetuti su animali di taglia più grande (scimmie) o sull'uomo i risultati non sono stati altrettanto brillanti, probabilmente perché per avere una risposta immune protettiva sarebbe necessario iniettare quantità eccessive di DNA. Si stanno quindi sviluppando tecniche alternative alla semplice iniezione intramuscolare o intradermica di DNA 'nudo', al fine di ridurre la dose di DNA da iniettare potenziando la risposta ottenibile. Un primo passo è costituito da apparecchi 'spara-geni' (gene-guns) che consentono di immettere nell'organismo attraverso la cute il DNA adeso a particolari microsfere d'oro: con questo sistema si può ridurre fino a 100 volte la quantità di DNA da somministrare, anche se in questo modo si riesce a stimolare soprattutto una risposta di tipo TH2. Una strategia alternativa per migliorare l'immunogenicità dei vaccini a DNA consiste nell'utilizzo di virus appartenenti al genere Alfavirus (virus dell'encefalite equina venezuelana, virus Sindbis, virus Semliki Forest), opportunamente modificati allo scopo. Gli Alfavirus sono virus con acido ribonucleico (RNA) monocatenario a polarità positiva, i quali producono un numero abbondante di copie di RNA messaggeri per le proprie proteine strutturali.
La manipolazione genetica consente di poter sostituire i geni che codificano per queste proteine strutturali con le sequenze genomiche che codificano per le proteine eterologhe. Dopo l'infezione delle cellule ospiti, vengono prodotte grandi quantità di antigeni eterologhi che, esposti alla superficie della cellula insieme alle molecole MHC di classe i e ii, stimolano i sistemi effettori della risposta immunitaria. La sicurezza del sistema è garantita dal fatto che l'Alfavirus vettore non può replicarsi (si parla di infezione abortiva), mancando delle proprie proteine strutturali. L'ingegneria genetica consente di utilizzare vettori batterici opportunamente adattati al posto di vettori virali. È infatti possibile attenuare geneticamente un batterio (per es., Salmonella typhi, Shigella spp., Vibrio cholerae) e fargli esprimere geni eterologhi. Il vantaggio di questa tecnica consiste nel poter utilizzare come via di somministrazione del vaccino la via di infezione naturale del batterio, che in genere è di tipo mucosale, con tutti i vantaggi che ne derivano.
DNA in microparticelle di PLG. - Per migliorare l'immunogenicità dei vaccini a DNA è possibile adsorbire il DNA su particolari microparticelle costituite da polilattato-poliglicolato (PLG), un polimero biodegradabile e biocompatibile usato da molti anni in campo medico come materiale da sutura e per il rilascio controllato di farmaci. Le particelle di PLG sono rivestite da una sostanza con carica elettrica positiva che consente l'adsorbimento del DNA, carico negativamente, alla superficie delle microparticelle stesse.
La presenza delle microparticelle di PLG è importante anche allo scopo di prevenire la degradazione del DNA vaccinale. Studi sugli animali hanno dimostrato che, utilizzando il DNA che codifica per la proteina gag dell'HIV-1, le microparticelle di PLG determinano un significativo aumento nell'immunogenicità rispetto al DNA 'nudo', per quanto riguarda sia l'immunità umorale sia quella cellulomediata: infatti, il DNA adsorbito al PLG fa aumentare di 100 volte la potenza vaccinale per l'immunità cellulare e di 1000 quella per la produzione anticorpale. Questa aumentata risposta è stata riscontrata per tutto il periodo di osservazione e si ottiene anche con piccole dosi di DNA.
CpG DNA. Il sistema immunitario dei vertebrati individua la presenza di infezioni riconoscendo gruppi di oligonucleotidi non metilati contenenti una citosina legata a una guanina tramite legame fosforico (CpG DNA). Il genoma dei batteri e di molti virus a DNA è particolarmente ricco di queste sequenze, che si trovano anche nel DNA dei vertebrati, dove, tuttavia, si presentano in forma non attiva perché metilate. Questi oligonucleotidi CpG agirebbero, in sostanza, come un generico segnale di pericolo, stimolando, di conseguenza, risposte immunitarie protettive di tipo innato e acquisito attraverso l'attivazione del TLR9. L'interazione CpG-TLR9, infatti, induce l'attivazione dei macrofagi e la maturazione delle cellule dendridiche, nelle quali aumenta l'esposizione delle proteine MHC di classe ii e la produzione di citochine (interleuchina-12, interleuchina-18, interferone-α, -β, e -γ) e di chemochine; induce anche la proliferazione policlonale delle cellule B e l'attivazione delle cellule natural killer. Tutto ciò determina una risposta immunitaria prevalentemente di tipo TH1. La somministrazione di CpG DNA contemporanea a infezione con Leishmania major in topi BALB/c determina la protezione nei confronti di una malattia altrimenti letale e mediata dall'attivazione della via TH2. Gli oligonucleotidi stimolano le cellule APCs a presentare più efficientemente l'antigene e quindi devono essere iniettati nello stesso luogo, ma non necessariamente nello stesso momento, dell'antigene, che può essere somministrato anche più di una settimana dopo. Gli oligonucleotidi CpG possono essere usati come adiuvante non solo per via parenterale, ma anche nel caso di vaccinazioni orali o mucosali. L'unica classe di antigeni per cui i CpG DNA non hanno azione adiuvante sono i polisaccaridi. La scoperta degli oligonucleotidi CpG e dei loro effetti TH1 immunostimolanti trova applicazione pratica nel campo dei vaccini e nell'immunoterapia delle allergie e delle neoplasie.
Vaccini mucosali e transcutanei
La stragrande maggioranza dei vaccini in commercio viene somministrata per via iniettiva, che, pur essendo la tecnica più semplice ai fini di una corretta assunzione del vaccino, è considerata primitiva, anche perché non priva di svantaggi quali, primo fra tutti, la possibilità che siano trasmesse malattie infettive gravi attraverso l'uso di aghi non sterili. La via mucosale consente un uso più facile e una più ampia diffusione dei vaccini, migliorandone l'accettabilità da parte del paziente. Inoltre, la somministrazione mucosale permette di stimolare delle risposte immunitarie specifiche (immunoglobuline A e linfociti T) a livello di tutte le mucose, anche quelle lontane dalla sede di somministrazione del vaccino: ciò consente di sviluppare un'immunità specifica proprio nel punto naturale di ingresso dell'infezione, che non sempre si ottiene con la somministrazione per via parenterale. Lo sviluppo di vaccini mucosali richiede l'impiego di adiuvanti specifici. Quello più utilizzato nei vaccini iniettivi è costituito dai sali di alluminio, che, tuttavia, non possono essere utilizzati per le somministrazioni mucosali. Due molecole estremamente tossiche per l'uomo, come la tossina colerica CT (causa del colera) e la tossina termolabile LT dell'Escherichia coli enterotossigeno (causa della diarrea del viaggiatore), somministrate a livello della mucosa (nasale e orale), inducono una potentissima risposta immunitaria contro sé stesse e contro le molecole somministrate insieme. Le tecniche dell'ingegneria genetica hanno consentito di detossificare queste molecole: mediante mutagenesi mirata è stato possibile generare mutanti (per es., l'LTK63, con mutazione serina-lisina in posizione 63 della subunità A, oppure l'LTR72, con mutazione alanina-arginina in posizione 72 della subunità A) privi del potere tossico ma ancora provvisti dell'azione immunogena e adiuvante in molte specie animali, tanto che stanno entrando nella fase di sperimentazione clinica sull'essere umano. L'immunizzazione transcutanea utilizza l'applicazione topica sulla cute sana di un adiuvante e di un antigene per indurre una risposta immunitaria. Questa modalità di somministrazione può essere particolarmente vantaggiosa, dal momento che l'epidermide è ricca di particolari cellule immunitarie (cellule di Langerhans, LCs), situate a ridosso dello strato corneo. La barriera cornea può essere facilmente superata per idratazione con la semplice copertura della cute con un cerotto. Penetrato, l'antigene viene trasportato dalle LCs ai linfonodi, dove induce una risposta immunitaria sistemica. I risultati di studi preclinici su animali mostrano che entrambe le tossine (la LT e la CT) inducono risposte immunitarie sistemiche e mucosali nei confronti di sé stesse e anche degli antigeni somministrati contemporaneamente, come i tossoidi difterico e tetanico, e inoltre che gli adiuvanti sono essenziali per l'induzione di una valida risposta immunitaria transcutanea. Basandosi su questi incoraggianti risultati, sono stati effettuati studi clinici sull'uomo, che hanno provato la sicurezza e l'immunogenicità di un vaccino ricombinante subunitario contro E. coli enterotossigeno somministrato per via transcutanea.
Vaccini commestibili
Qualora una sostanza benefica debba essere somministrata per bocca, perché non farla assumere sotto forma di un alimento, possibilmente gradevole? Da questa semplice domanda nasce quella che potrebbe diventare una rivoluzione nel mondo dei vaccini. Le piante che sono commestibili sono Eucarioti in grado di esprimere in modo corretto antigeni eterologhi e possono di conseguenza costituire un semplice sistema per somministrare un vaccino tramite il pasto. Vari antigeni virali (HBsAg, proteina capsidica del virus Norwalk, glicoproteina del virus della rabbia, emoagglutinina del virus del morbillo, solo per citarne alcuni) e batterici (subunità B della LT e della CT) sono stati espressi correttamente in piante commestibili (banane, carote, patate) e non commestibili (tabacco). Studi su animali hanno mostrato che l'ingestione della pianta transgenica induce una risposta immunitaria, sia sierica sia mucosale, specifica per l'antigene codificato e anche le prime sperimentazioni sull'uomo stanno dando risultati interessanti. In questo ambito molto si deve ancora approfondire e codificare come, per es., la scelta dei più appropriati tessuti vegetali in cui esprimere gli antigeni eterologhi, l'ottimizzazione della dose di antigene da somministrare insieme con il cibo, nonché la stabilità del vaccino espresso dal vegetale. L'uso di piante commestibili potrebbe essere particolarmente utile per la somministrazione di vaccini nei Paesi in via di sviluppo.
Vaccini contro malattie non infettive
Numerose aree di ricerca si occupano di trovare vaccini attivi anche contro malattie non infettive, quali le allergie, le tossicodipendenze e le neoplasie.
Vaccini antiallergie. - Le malattie allergiche, come, per es., l'asma bronchiale, sono il risultato di una risposta immunitaria di tipo TH2 particolarmente forte, in soggetti geneticamente predisposti, nei confronti di antigeni ambientali altrimenti innocui. Quasi tutte le terapie contro le allergie hanno lo scopo di controllare i sintomi derivanti dalla degranulazione dei basofili e dei mastociti. Tuttavia, un approccio terapeutico più radicale sarebbe quello di prevenire l'iniziale generazione della risposta di tipo TH2 o indurre una risposta di tipo TH1 nei confronti dell'allergene stesso. Esperimenti compiuti su animali hanno dimostrato che è possibile vaccinarli per evitare che sviluppino risposte allergiche di tipo TH2, suggerendo che una analoga protezione potrebbe essere indotta anche nell'uomo. L'approccio più promettente sembrerebbe essere quello di vaccinare i bambini atopici, cioè con predisposizione allergica, con allergeni associati ad adiuvanti in grado di stimolare la produzione selettiva di cellule della memoria immunitaria di tipo TH1: si spera che, entrando di nuovo in contatto con l'allergene, il bambino, grazie alla secrezione di IFN-γ, sopprima lo sviluppo delle cellule TH2 allergene-specifiche. I candidati più promettenti sono i CpG DNA, sia come oligonucleotidi sintetici, sia sotto forma di DNA batterico, che hanno dimostrato di inibire le reazioni allergiche negli animali. Sono in corso studi clinici nei quali gli oligonucleotidi CpG vengono utilizzati per trattare varie condizioni, incluse asma e allergie, si dovrà tuttavia verificare che i risultati ottenuti nei modelli animali siano confermati nei pazienti con malattie atopiche. Considerata la complessa natura dell, la vaccinazione potrebbe non inibire completamente lo sviluppo di una reazione allergica, ma comportare almeno una significativa riduzione della sua gravità.
Vaccini contro le dipendenze. - Il trattamento delle tossicodipendenze è sempre stato problematico. Un vaccino terapeutico rappresenta un approccio nuovo e, per alcuni versi, migliore rispetto ad altri trattamenti. I vaccini terapeutici contro le dipendenze si basano tutti sullo stesso principio: se un tossicodipendente assume la sostanza d'abuso dopo essere stato vaccinato, tale sostanza si legherà agli anticorpi circolanti e non arriverà al proprio recettore. Poiché si ritiene che questo tipo di antagonismo sia debole e parziale, il vaccino è considerato un aiuto per coloro che sono già motivati a liberarsi dalla dipendenza, e non una terapia per tutti. Sono in corso studi preclinici nell'animale per un vaccino contro la nicotina che aiuti a smettere di fumare, e un vaccino contro la cocaina è già stato sperimentato sull'uomo, con incoraggianti risultati.
Vaccini contro il cancro. - I vaccini contro il cancro sarebbero i vaccini terapeutici per eccellenza. In teoria essi dovrebbero essere in grado di indurre risposte immunitarie efficaci e specifiche, mediate da linfociti T CD8+ ristretti per l'MHC di classe i, capaci di limitare la crescita e la diffusione (metastasi) del tumore. L'induzione di una potente risposta immunitaria dovrebbe portare anche allo stabilirsi di una memoria che impedisca la recidiva della neoplasia. Benché tale obiettivo non sia stato ancora raggiunto, sono stati compiuti molti progressi: per individuare i fattori immunitari correlati a una protezione nei confronti delle neoplasie è stato molto intensificato lo studio delle risposte immunitarie naturali. Inoltre, una maggiore conoscenza dei meccanismi con cui i tumori sfuggono al sistema immunitario potrebbe essere la chiave per migliorare efficientemente i futuri approcci immunoterapeutici e per scegliere quei pazienti che potrebbero beneficiare del vaccino. Lo sviluppo di questi vaccini è rallentato anche dalle difficoltà inerenti l'induzione di risposte cellulari mediate da linfociti citotossici CD8+. Vari sistemi vaccinali sono allo studio sia nell'animale sia nell'uomo come, per es., DNA 'nudo', sistemi vettoriali virali, oligonucleotidi CpG, cellule dendridiche. È possibile che si renda necessario utilizzare più approcci contemporaneamente per ottenere un vaccino terapeutico sicuro, efficace e di largo uso.
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