Vaccino
Il termine vaccino (dall'aggettivo latino vaccinus, derivato di vacca, "vacca") in origine fu utilizzato per indicare sia il vaiolo dei bovini (vaiolo vaccino) sia il pus ricavato dalle pustole del vaiolo bovino, impiegato per praticare l'immunizzazione attiva contro il vaiolo umano. Oggi il vocabolo designa varie preparazioni per uso parenterale o anche orale, volte a indurre, da parte dell'organismo, la produzione di anticorpi protettivi e a consolidare a livello cellulare la risposta immunitaria, conferendo una resistenza specifica nei confronti di una determinata malattia infettiva (virale, batterica, protozoaria). L'inoculazione a scopo profilattico di un qualsiasi tipo di vaccino è detta vaccinazione.
l. Cenni storici
Il primo tentativo di vaccinazione sistematica contro il vaiolo risale al 1796 a opera di E. Jenner. Tuttavia il problema delle vaccinazioni fu compreso appieno solo un secolo dopo, quando L. Pasteur riuscì a dimostrare l'origine delle malattie infettive e la possibilità di protezione da esse mediante l'introduzione di germi attenuati. Nel 1885, il biologo francese applicò a un ragazzo il primo trattamento antirabbico postesposizione impiegando un vaccino coltivato su midollo di coniglio. Di poco precedente (1884) era stata la scoperta, da parte di R. Koch, del vibrione colerico. Nel 1896 A.E. Wright sperimentò sull'uomo il primo vaccino antitifoide. Risultati della vaccinazione contro la pertosse si ebbero per la prima volta nel 1923 e, nello stesso anno, fu dimostrato il potere immunogeno delle anatossine difterica e tetanica. Dopo circa quindici anni furono scoperti il vaccino contro l'influenza e quello contro la febbre gialla (antiamarillico), ma solo nel 1949 hanno preso forma le speranze di una profilassi antivirale mediante colture di virus su cellule umane o di scimmia. J.E. Salk pubblicò nel 1955 i risultati ottenuti con il suo primo vaccino inattivato contro la poliomielite e, due anni dopo, A.B. Sabin somministrò per la prima volta il vaccino attenuato antipoliomielitico orale. I vaccini contro la rosolia e la parotite sono utilizzati dal 1969 e un vaccino contro l'epatite B dal 1976.
Le vaccinazioni sono riconosciute da tempo strumento d'elezione per la prevenzione e il controllo delle malattie infettive e la loro efficacia si misura come capacità, a livello di singolo vaccinato, di indurre immunizzazione e, a livello di popolazione, di ridurre il tasso di incidenza della malattia e la circolazione dell'agente infettante. In Italia sono state introdotte di routine verso la fine del 19° secolo, sulla spinta dell'esperienza acquisita in Europa e nel nostro paese con il vaccino contro il vaiolo e grazie agli studi sui batteri di Pasteur e di Koch. Nel 1888 veniva introdotto l'obbligo della vaccinazione contro il vaiolo e nel 1939 contro la difterite. I criteri che da allora indirizzano gli interventi dell'autorità sanitaria sono la disponibilità di un vaccino efficace e sicuro, la situazione epidemiologica e la rilevanza sociosanitaria della malattia.
L'immunità acquisita dopo le vaccinazioni ha meccanismi analoghi a quelli che l'organismo utilizza contro le affezioni virali o microbiche (v. immunità). Si definisce immunità acquisita l'insieme di meccanismi di difesa, strettamente specifici, indotti o stimolati dall'antigene, che aumentano in intensità ed efficacia a ogni esposizione a uno stesso antigene (memoria immunologica); quindi, a differenza dell'immunità naturale, quella acquisita è specifica e presenta diversità, memoria e riconoscimento tra i costituenti propri e gli estranei. L'introduzione di un antigene nell'organismo provoca una risposta immunitaria che può essere di tipo umorale o cellulare oppure di entrambi i tipi. L'immunità umorale è mediata da proteine del sangue specifiche, gli anticorpi, che sono secreti dalle plasmacellule, fase matura dei linfociti B; essi sono in grado di interagire con gli antigeni circolanti, ma non riescono a penetrare nelle cellule. L'immunità cellulomediata è mediata, appunto, dai linfociti T, helper e citotossici; essa protegge dai microrganismi intracellulari e interviene nei trapianti d'organo. I tipi di cellule coinvolti nella risposta immunitaria sono i macrofagi e i linfociti. I macrofagi, indipendentemente dalla specificità antigenica, intervengono a vari livelli; sono infatti in grado di trasformare alcuni antigeni rendendoli riconoscibili dai linfociti B, dei quali modulano anche la cooperazione con i linfociti T. Inoltre, le cellule progenitrici dei linfociti, che si trovano nel midollo osseo, captano il messaggio antigenico liberato dai macrofagi.
I linfociti rappresentano la componente cellulare specifica del sistema immunitario, grazie all'elevato numero di recettori di membrana specifici per i diversi antigeni. I linfociti B e T riconoscono e rispondono a un solo antigene e acquisiscono questa capacità prima dell'incontro con l'antigene stesso, durante la loro maturazione. Una volta penetrato nell'organismo, un antigene seleziona, legandosi ai recettori cellulari specifici, le cellule immunitarie, che vengono clonate e differenziate in cellule effettrici e cellule della memoria. Il sistema immunitario possiede quindi milioni di cellule differenti, ciascuna con un'unica specificità antigenica. Durante la differenziazione clonale si sviluppa la memoria: la somministrazione di un vaccino per la prima volta stimola, dopo un periodo di latenza, la produzione di anticorpi; dopo un ulteriore contatto con lo stesso antigene, la risposta risulta particolarmente rapida e intensa; si tratta, appunto, di una risposta anamnestica, dovuta alla presenza di cellule sensibilizzate che hanno conservato la memoria antigenica. Molti sono i fattori che intervengono nella risposta immunitaria vaccinale. La sua efficacia dipende dalla presenza o assenza di anticorpi materni (sebbene, diversamente da quanto si è ritenuto per lungo tempo, il feto sia capace di sintetizzare certe classi di anticorpi, le IgG sono prevalentemente di natura materna; hanno un ruolo protettivo nei primi mesi di vita ma possono, talvolta, inibire i processi immunitari dovuti alle vaccinazioni), nonché dalla natura e dalla dose dell'antigene somministrato; anche la modalità di somministrazione e l'utilizzazione di un eventuale adiuvante possono condizionare la risposta immunitaria. Possono interferire poi fattori legati all'ospite: età, costituzione genetica, stato nutrizionale e immunocompetenza, presenza di una patologia concomitante.
La vaccinazione garantisce la durata della protezione: essa attiva un processo che comprende la presenza di anticorpi circolanti e linfociti reattivi immediatamente disponibili dopo un ulteriore contatto e avvia la sensibilizzazione di un sistema immunitario capace di rispondere immediatamente a un'aggressione da parte di un germe selvaggio. I vaccini batterici possono essere costituiti da microrganismi viventi attenuati (BCG, vaccino antitubercolare di Calmette-Guérin; antitifico orale), uccisi (antipertosse; antitifico iniettabile; anticolera), anatossine (antidifterico; antitetanico), polisaccaridici (antimeningococchi; antipneumococchi; anti-Haemophilus B); i vaccini virali da microrganismi viventi attenuati (antipoliomielitico orale; antirosolia, antimorbillo; antiparotite; antiamarillico), inattivati completi (antinfluenzale; antiepatite A; antipoliomielitico iniettabile; antirabbico ecc.), inattivati a frazione antigenica (antiepatite B). Oggi esistono vaccini batterici e virali ottenuti per ricombinazione genetica. Per essere efficace e determinare una protezione durevole, la maggior parte dei vaccini necessita di ripetute iniezioni e richiami, e pertanto risulta particolarmente utile l'associazione di più vaccini. Si distinguono vaccini mono-, bi-, tri- o polivalenti a seconda che siano rivolti a prevenire una specifica malattia infettiva oppure due, tre o più affezioni. Si deve considerare tuttavia che, ai fini della sua validità, un'associazione vaccinale deve risultare efficace almeno quanto ciascun vaccino somministrato da solo e, inoltre, essere inoffensiva, non incrementare cioè reazioni vaccinali indesiderabili o produrne di nuove.
In questi ultimi anni le conoscenze in materia di vaccinazioni sono notevolmente progredite grazie al contributo sostanziale della ricerca microbiologica applicata alla farmacologia e all'immunologia. Ciò ha prodotto profonde modificazioni nell'epidemiologia di alcune malattie infettive che, nei paesi in cui è stata assicurata un'elevata copertura vaccinale, sono state mantenute sotto controllo. La copertura vaccinale, definita come la frazione di popolazione vaccinata, è un importante indicatore in sanità pubblica per individuare i gruppi di popolazione a rischio, stimare l'entità della popolazione bersaglio protetta e valutare l'efficienza dei servizi sanitari nel conseguirla.
Le malattie infettive continuano a rappresentare un rilevante problema di ordine sanitario, nonostante per molte di queste siano disponibili efficaci interventi preventivi e terapeutici. Ciò può essere attribuito a molti fattori, come, per es., una non completa adozione di misure efficaci, condizioni sociali ed epidemiologiche che favoriscono il riemergere di malattie in via di eradicazione e la comparsa di malattie infettive prima sconosciute; si aggiunga, inoltre, il meccanismo di selezione di germi particolarmente virulenti o resistenti agli antibiotici. In linea di principio si può affermare che il controllo delle malattie trasmissibili non è un problema risolvibile esclusivamente a livello nazionale - anche se ogni Stato deve elaborare proprie regole e applicare proprie strategie - e che le azioni preventive devono essere concertate a livello mondiale. Con questi intenti l'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) ha sollecitato l'assunzione di linee strategiche globali per l'Europa riguardo ai problemi che gli Stati membri si trovano ad affrontare. Nel momento in cui le vaccinazioni, sotto l'impulso dato dall'OMS già dai primi anni Novanta del 20° secolo con il programma vaccinale allargato, si stanno estendendo anche ai paesi del Terzo mondo, i paesi sviluppati si sono trovati ad affrontare problemi nuovi in rapporto all'accettabilità delle vaccinazioni.
Poiché alcune epidemie mortali sono scomparse e talune malattie infettive sono in via di estinzione, in America e in Europa è difficile far comprendere alla popolazione la necessità di vaccinare i bambini contro un rischio che sembra essere diventato insignificante, se non nullo. In realtà, la riduzione delle malattie trasmissibili si manifesta come un processo estremamente articolato, che ha bisogno di un approccio integrato tra promozione della salute, prevenzione e trattamento delle malattie. Quindi, se da un lato è presente nella maggior parte dei paesi occidentali la volontà di abbandonare, con l'indispensabile gradualità, l'obbligatorietà in tema di profilassi immunitaria attiva, è d'altra parte evidente la necessità di organizzare parallelamente interventi finalizzati al coinvolgimento operativo e alla formazione continua di varie figure di medici e di operatori sanitari, nonché al miglioramento della qualità dei servizi di informatizzazione e di informazione del pubblico. A fronte dei progressi ottenuti nei paesi industrializzati, permangono gravi problemi in quelli più poveri, dove negli ultimi dieci anni del 20° secolo sarebbero deceduti circa tre milioni di bambini per poliomielite paralitica e venti milioni per morbillo. I nuovi Stati indipendenti nati dallo smembramento dell'URSS, sono ormai da anni colpiti da una vasta epidemia di difterite; si stima che nel 1995 si siano verificati 55-60.000 casi; anche i casi di colera denunciati in Europa dall'OMS sono andati progressivamente crescendo dal 1993. In molte regioni dell'Est europeo la mortalità per tubercolosi è in costante aumento e si osserva anche un incremento della diffusione di ceppi di micobatteri poliresistenti. Inoltre, soprattutto a causa dell'influenza, la mortalità dovuta a malattie respiratorie acute nei bambini di età inferiore ai 5 anni è 100 volte superiore a quella dei paesi occidentali.
Aumentano anche le denunce di epatite B, importata in Occidente dagli immigrati delle zone endemiche. Negli Stati dell'ex URSS i casi di malattie a trasmissione sessuale sono fino a dieci volte più numerosi di quelli registrati dieci o venti anni fa. Anche se l'ondata epidemica sembra attualmente confinata ai paesi dell'Est europeo, il rischio di importazione è molto elevato. L'aumentata mobilità internazionale, l'immigrazione clandestina, l'arrivo di masse di rifugiati politici da paesi in cui l'endemia di malattie infettive va riprendendo rendono necessario mantenere un programma di vaccinazione. Questa costituisce uno dei più importanti progressi della medicina; i dati rilevati negli Stati Uniti sono indicativi della riduzione della morbilità dopo l'introduzione delle principali vaccinazioni. Oggi in Italia vengono comunemente praticate ai nuovi nati le vaccinazioni contro difterite, tetano, poliomielite, epatite B, pertosse, morbillo, rosolia, parotite: le prime quattro obbligatorie, le altre facoltative e raccomandate con maggiore o minore enfasi nei diversi ambiti regionali. Poco frequente è, invece, l'uso del vaccino antitubercolare, che va praticato obbligatoriamente solo ad alcune categorie di soggetti dopo il quinto anno di vita o, eccezionalmente, prima nel caso di figli di soggetti affetti.
La situazione epidemiologica attuale delle malattie per le quali la vaccinazione dei nuovi nati è obbligatoria risulta decisamente soddisfacente, nel senso che i tassi di copertura vaccinale sono alti e del tutto in linea con quelli dei paesi europei considerati all'avanguardia in tema di prevenzione vaccinale. La poliomielite e la difterite risultano eliminate, non sono da tempo segnalati casi di tetano neonatale e vanno ulteriormente riducendosi anche quelli negli adulti. È in continuo decremento anche la morbosità per l'epatite B. Assai meno positiva appare, invece, la situazione per la pertosse, il morbillo, la rosolia e la parotite, per le quali la vaccinazione è facoltativa e la cui morbosità mantiene le oscillazioni tipiche delle infezioni non controllate.
Il calendario delle vaccinazioni è basato su considerazioni concernenti l'epidemiologia della malattia e la risposta immunitaria dei soggetti vaccinati. Nei paesi sviluppati è, pertanto, diverso da quello dei paesi in via di sviluppo dove, essendo insufficienti le strutture sociosanitarie, spesso le vaccinazioni sono effettuate solo in occasione di campagne episodiche. In Italia un gruppo di studio interdisciplinare sulle vaccinazioni dell'età evolutiva ha prodotto un documento in base al quale il Ministero della Sanità, nel 1999, ha elaborato un Piano nazionale vaccini che propone, nell'ambito della promozione di comportamenti e stili di vita favorenti lo stato di salute, suggerimenti coerenti con quelli del Piano sanitario nazionale per il triennio 1988-2000. Fra gli obiettivi vi sono: il raggiungimento di una copertura vaccinale di almeno il 95% della popolazione di età inferiore a 24 mesi, anche immigrata, per morbillo, rosolia, parotite, pertosse, Haemophilus influenzae; l'eradicazione del virus della poliomielite dal territorio nazionale; il monitoraggio degli effetti indesiderabili di tutte le vaccinazioni; la riduzione tendenziale dell'incidenza delle infezioni ospedaliere di almeno il 25%. Il nuovo calendario delle vaccinazioni dell'infanzia, pubblicato il 15 aprile 1999 sulla Gazzetta ufficiale (Piano sanitario... 1999), contiene, rispetto al precedente, una significativa modifica nella sequenzialità della profilassi contro la poliomielite: esso prevede l'utilizzo di due dosi di vaccino antipoliomielitico inattivato al 3° e 5° mese di vita, seguite da due dosi di vaccino attenuato all'11°-12° mese e nel 3° anno. La ragione di questa innovazione è legata all'evolversi della situazione epidemiologica che vede l'Italia in procinto di essere dichiarata esente da poliomielite. Ciò consente di minimizzare il rischio di poliomielite paralitica associata al vaccino, mantenendo i vantaggi ottenuti con l'uso del vaccino vivente attenuato, che ha determinato nel nostro paese la circolazione ambientale di soli ceppi vaccinali.
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