vagheggiare
Come indirettamente conferma la sua presenza solo nel Purgatorio e nel Paradiso, è vocabolo proprio del lessico letterario, che esprime un amoroso anelito a contemplare con desiderio e ammirazione un essere che lascia stupefatti per la sua bellezza. Così Adamo vegheggia il suo fattor (Pd XXVI 83) e la ghirlanda degli spiriti sapienti vagheggia / la bella donna ch'al ciel... avvalora Dante (X 92).
Il significato proprio del verbo è ben colto dalla chiosa del Buti a Pd X 92 (" vagheggiare è, con desiderio d'avere la cosa amata, ragguardare "), ma in entrambi gli esempi è possibile intuire una maggior pregnanza semantica: la contemplazione di Adamo non è solo atto affettivo, ma anche speculativo, e così pure il v. che i sapienti fanno di Beatrice conserva, sì, " una sfumatura di nobile galanteria " (Mattalia), ma implica anche un'allusione agli studi teologici dei quali, in vita, quegli spiriti erano stati cultori e che Beatrice simbolicamente raffigura.
In senso figurato, è riferito all'atto intellettuale di contemplare nell'intimità della propria mente: Dio vagheggia / prima che sia... / l'anima semplicetta (Pg XVI 85); D. invita il lettore a vagheggiar ne l'arte / di quel maestro che dentro a se' l'ama (Pd X 10), cioè a " figgere con amore " l'attenzione della mente nel mirabile ordine dell'universo, suprema opera d'arte di Dio (e si noti che qui il verbo è intransitivo).
Il pianeta Venere è indicato mediante la perifrasi la stella / che 'l sol vagheggia or da coppa or da ciglio (Pd VIII 12). Il verso può essere inteso in due modi diversi, a seconda che si consideri 'l sol come soggetto e che come oggetto, o viceversa, ma in ogni caso il significato del verbo non muta, né vien meno l'accenno al diverso modo di apparire di Venere, ora alla sera dietro il sole, ora alla mattina davanti ad esso. A rendere più plausibile la seconda ipotesi, può forse indurre l'osservazione di M. Pecoraro (in " Convivium " III [1951] 354) che v. " si disse... da uomo a donna, e mai viceversa ". Cfr. anche la nota di A. Pézard, in Lett. dant. 1504 n. 2.