vago
Il vocabolo, praticamente presente solo nelle Rime e nella Commedia, e con maggior frequenza nelle ultime due cantiche del poema, già per questo rivela una tonalità espressiva raffinata e letteraria, resa più evidente dalla tendenza a esser usato in rima (16 volte).
Il fenomeno è tanto più singolare in quanto, come ha dimostrato Angela Castellano, v. è parola sconosciuta alla lirica siciliana e scarsamente attestata nella rimeria provenzaleggiante toscana e negli stilnovisti.
La Castellano ha ben chiarito come la diffusione di v. nell'italiano due-trecentesco tragga origine dal vocabolario del corteggiamento amoroso, spesso affidato, nel costume medievale, al muto linguaggio degli occhi e degli sguardi: una riprova indiretta della validità di questa tesi si ha anzi nel fatto che D., su 20 presenze complessive, usi v. nove volte in stretta correlazione con ‛ occhi ', o altri sostantivi di ugual significato, o con il verbo ‛ vedere '.
Sul recupero dantesco deve però aver largamente influito anche l'autorità dei classici latini, da Virgilio a Livio, da Ovidio a Marziale, nei quali vagus ricorre assai spesso per indicare il movimento disordinato di chi vaga senza una meta precisa.
Si spiega così il duplice valore che il vocabolo ha nel lessico dantesco; esso infatti ricorre tanto per esprimere un desiderio intenso, e al tempo stesso indeterminato, non circoscritto in un oggetto preciso, quanto per richiamare alla mente l'idea di un movimento suggerito da un impulso interiore e non meditato.
I due concetti sono anzi spesso contemporaneamente presenti nella coscienza linguistica di D., non solo perché il desiderio di conoscere ciò che ci è ignoto induce al moto (e se ne ha un esempio in Pg XXVIII 1 Vago già di cercar dentro e dintorno / la divina foresta... lasciai la riva, / prendendo la campagna), ma perché l'avvertito bisogno di appagare un'esigenza fisica o spirituale si risolve in irrequietezza o in ansia, cioè, appunto, in un turbamento dell'animo che, sul piano della realtà psicologica, è il corrispondente del moto.
Questo valore è più evidente quando l'aggettivo non è seguito da alcuna specificazione. Lo dimostra già l'unica attestazione in prosa, e cioè quella di Cv I IV 5 Questi cotali tosto sono vaghi e tosto sono sazi... ogni cosa fanno come pargoli, santa uso di ragione, dove la correlazione tosto… tosto e l'accostamento al comportamento infantile sottolineano la volubilità espressa da vaghi. Per questo in Pg III 13 la mente mia, che prima era ristretta, / lo 'ntento rallargò, sì come vaga, l'aggettivo, oltre che " desiderosa di cose nuove " (Chimenz; e cfr. E. Caccia, in Lect. Scaligera II 98 n. 1), può significare " incostante per natura " (Sapegno. V. anche VAGHEZZA). Lo stato di disponibilità psicologica a percepire una realtà ignota può risolversi in un'attesa assorta e ansiosa; e sospesa e vaga, cioè " intenta e trepidante ", appare Beatrice a D. nel momento in cui sta per rivelarsi loro il trionfo di Cristo (Pd XXIII 13). E si veda ancora Pg XV 84, dove per altro l'aggettivo indica semplicemente il desiderio di D. di osservare le particolarità del nuovo girone.
A una raffinata trasfigurazione del linguaggio popolare d'amore ci conduce l'esempio di Rime LXXXVI 5 l'altra ha bellezza e vaga leggiadria, / adorna gentilezza le fa onore; la donna cui sono attribuite queste qualità rappresenta allegoricamente la Bellezza, e leggiadria allude al momento del diletto cavalleresco; naturale, quindi, che sia vaga, " suscitatrice d'amore ".
Più frequentemente v. è usato nel senso di " desideroso " ed è seguito da un complemento; in questo caso l'interesse semantico si sposta dall'aggettivo al genitivo che esso regge: Rime Cv 1 Se vedi li occhi miei di pianger vaghi; Pg X 104 Li occhi miei, ch'a mirare eran contenti / per veder novitadi ond' e' son vaghi; Pd III 34 io a l'ombra che parea più vaga / di ragionar, drizza'mi; e così in Rime dubbie III 55, VIII 7, If XXIX 3, Pg XXIV 40, XXVII 106. Ha l'accezione più intensa di " bramoso ", in If VIII 52 Maestro, molto sarei vago / di vederlo attuffare in questa broda (che per la cruda intensità di un impulso violento resta esempio isolato: " Sequitur auctor humanum appetitum ", commenta Benvenuto).
In Rime CXVI D. presenta l'immagine della donna, separata da lei e " innamorata " di sé stessa, che lo costringe ad andare dove ella vuole, cioè dove si trova la donna vera: La nimica figura... / vaga di se medesma andar mi fane / colà dov'ella è vera (v. 34).
Compare così anche in D. l'accezione di " innamorato ", " amante ", con la quale v., specie se sostantivato e al femminile, è diffuso nella poesia d'intonazione popolaresca, ad esempio in Folgore (" Ed ogni giovedì torneamento / e giostrar cavalieri ad uno ad uno... / E po' tornare a casa alle lor vaghe ", XIX 9) o nel Sacchetti (O vaghe montanine pasturelle 1) e poi, ampiamente, nel Boccaccio.
In nessun'altra occorrenza quest'accezione è documentabile con certezza. In Pd XII 14 a guisa del parlar di quella vaga / ch' amor consunse, l'aggettivo (sostantivato) potrebbe alludere all'amore di Eco per Narciso, potrebbe significare " bella ", ma più probabilmente accenna alla mobilità dell'eco che non ha sede fissa e si sente or qua or là, o al vagabondaggio della ninfa, che andò errabonda consumandosi del suo vano amore; che l'ultima interpretazione sia la più fondata lo lascia supporre il riscontro con Met. III 370, dove, sia pure riferito a Narciso e non a Eco, si trova un vocabolo di ugual etimo (" ubi [Echo] Narcissum per devia rura vagantem / vidit et incaluit "). Altrettanto discussa l'interpretazione in Pd XXXI 33 Elice... / rotante col suo figlio ond'ella è vaga: " che essa vagheggia con affetto materno ", secondo il Chimenz; " a causa del quale ella è vagante in cielo " per altri; ma forse ha ragione il Sapegno, per il quale vaga " esprime, nello stesso tempo, la predilezione materna... e il rapporto di vicinanza astrale ".
Le difficoltà offerte all'esegesi da Pg XIX 22 Io volsi Ulisse del suo cammin vago / al canto mio, sono invece dovute alle varie possibilità di concordare vago nel contesto o riferendolo a cammin, nel senso di " errabondo ", " avventuroso " (Del Lungo), o attribuendolo a Ulisse, il che consente due spiegazioni diverse: " quantunque fosse vago, bramoso, del cammino, d'andare a sua meta " (Barbi, Problemi I 228) e " invaghito del mio canto " (Tommaseo); e cfr. anche il Maggini e il Chimenz.
Il senso della frase non è chiaro neppure nella descrizione del drago, il quale, dopo aver strappato con la coda una parte del fondo del carro della Chiesa, gissen vago vago (Pg XXXII 135): " desideroso " di procurare altri danni, secondo il Vandelli; " serpeggiando " (Sapegno, Pézard), " bel bello ", " tutto soddisfatto " (Mattalia), " lontano " (Chimenz), o anche in altro modo, in correlazione con le varie interpretazioni allegoriche proposte per tutto il passo (v. DRAGO).
Bibl. - A. Castellano, Storia di una parola letteraria: it. vago, in " Arch. Glottologico Ital. " XLVIII (1963) 126-169 (in partic. pp. 142-146); F. Maggini, Due letture dantesche inedite, Firenze 1965, 77-78.