VAHANA
Nome sanscrito neutro (lett. «cavalcatura», «veicolo») con il quale si indicano, nella mitologia e nell'iconografia indiane, quegli animali che assolvono la funzione di simbolo e veicolo delle diverse divinità, dei Buddha e dei Jina. Spesso è possibile identificare le statue di divinità proprio grazie ai v., poiché a partire dalla fase formativa dell'iconografia in epoca kuṣāṇa (II- IV sec. d.C.), a ogni divinità venne canonicamente attribuito un determinato animale.
I primi animali assimilabili ai v. sono i piccoli makara (animali acquatici mitici simili a coccodrilli) e gli elefanti raffigurati a mo' di base ai piedi degli yaksa (v.) sulle balaustre in pietra degli stūpa buddhisti di Sāñcī e Bhärhut (li-I sec. a.C.). Ancor prima che per il rito venissero impiegate immagini divine antropomorfe, sulla colonna di culto di Besnagar (I sec. a.C.; v. tempio: India; vidiśā) Vāsudeva-Kṛṣṇa fu rappresentato dall'uccello Garuda, simile a un'aquila.
Alcuni dèi della religione vedico-brahmanica come gli spiriti ed eroi delle credenze popolari furono strettamente collegati, attraverso tradizioni mitologiche, a determinati animali. Il dio-sole, p.es., percorreva il firmamento su un carro trainato da cavalli, mentre Candra, il dio- luna, ne aveva uno tirato da antilopi; Indra, il maggiore dio vedico, cavalcava un elefante. L'uccello Garuda era là cavalcatura di Visnu nel suo aspetto solare, attribuita anche a Kṛṣṇa, che fu identificato con Visnu.
Quando, in epoca kuṣāṇa, gli scultori affrontarono il nuovo compito di dar forma a un gran numero di immagini divine, trovò definitiva consacrazione l'idea di assegnare un v. quale animale simbolico a ogni divinità. Per fissare le prime iconografie canoniche si utilizzarono le indicazioni fornite dalla mitologia tradizionale riguardo ai rapporti tra dèi e determinati animali, probabilmente sotto la guida dei brahmani con funzione sacerdotale o dei responsabili del culto nei templi. Così ad Agni, il dio brahmanico del fuoco sacrificale, fu assegnato come animale-simbolo l'ariete, animale sacrificale per eccellenza, e a Vāyu, il dio del vento, la veloce gazzella. Il dio delle acque Varuṇa fu contrassegnato dal makara, e Yama, dio della morte, dal bufalo che, in quanto animale indigeno, appariva alle popolazioni arie vediche estraneo e sinistro.
Per contro altre divinità non erano ancora legate, nei testi, a una precisa raffigurazione simbolica. I diversi «tentativi» degli scultori si possono cogliere p.es. nelle raffigurazioni di Siva realizzate in parallelo nello stesso periodo: tra l'età di passaggio all'epoca kuṣāṇa intorno al 100 d.C., e sino al II sec. inoltrato, abbiamo statue dove il dio è rappresentato in compagnia di un leone. In epoca kuṣāṇa e nella successiva iconografia canonica, invece, Siva sarà sempre in compagnia di un toro (vṛṣa, poi nandin in sanscrito).
Skanda, il dio della guerra dall'aspetto giovanile, tiene dapprima un gallo in mano, mentre dall'epoca gupta (IV- VI sec.) il suo veicolo e simbolo teriomorfo sarà il pavone. Su un rilievo di Mathurā egli è rappresentato seduto frontalmente sul suo v.; lo affiancano in alto due piccole figure divine che, versandogli dell'acqua da una brocca, gli conferiscono l'investitura a «Signore dell'Esercito» (senāpati).
In epoca tardo-kuṣāṇa anche Viṣṇu fu raffigurato frontalmente seduto su Garuḍa. Nella raffinata concezione artistica tardo-gupta si crearono scene come i rilievi nelle nicchie del Tempio dei Daśāvatāra di Deogarh (v. tempio: India-, lalitpur), dove è rappresentato, con un effetto di profondità quasi spaziale, seduto accanto a Garuḍa che si libra in aria mentre, in conformità al mito, libera con la sua forza divina il pio elefante Gajendra dalla stretta dei demoni acquatici, qui rappresentati come nāga (v.). Garuḍa è raffigurato come un essere terioantropomorfo: ha il naso a becco e ampie ali spiegate, con le penne ben riconoscibili.
Nella parte superiore del rilievo con Viṣṇu Śeṣaśayin, nel medesimo tempio, simboleggiante la regione celeste, sono rappresentate le diverse divinità con i loro veicoli: accanto a Skanda sul pavone, è riconoscibile Indra sull'elefante Airavata, mentre sulla destra la coppia Śiva e Parvātī cavalca il toro.
Oltre agli dèi creatori e ctoni, anche le divinità femminili sono contrassegnate da diversi vāhana. La maggiore di queste è Durgā, un aspetto della consorte di Śiva, che in origine godeva però di un culto autonomo. Essa possiede come v. il combattivo leone; non è certo se questa caratteristica possa essere ricondotta all'antico culto mesopotamico di Nana.
Le divinità fluviali Gahgā e Yamunā furono raffigurate, sin dall'inizio dell'architettura templare fissata secondo i canoni gupta, sui portali. Per differenziare il loro aspetto altrimenti identico, ci si servì del v., il makara per Gangā e la tartaruga (kurma) per Yamunā.
Nel buddhismo e nel jainismo il leone venne utilizzato come animale regale sui troni dei santi. Nel corso dell'età gupta furono introdotti diversi v. per identificare la sempre maggiore schiera di santi, e in particolare per contrassegnare gli Illuminati di un pantheon in crescita, spesso esemplato sul modello hindu. Tuttavia i v. non furono raffigurati come cavalcature ma per lo più come animali simbolici di piccole dimensioni ai lati o ai piedi dei relativi santi.
I cinque Tathāgata buddhisti, i c.d. Dhyāni-Buddha della sfera sovraterrestre, possiedono ciascuno un proprio animale-veicolo (elefante, cavallo, pavone, aquila e leone, tutti mutuati dalla parallela iconografia hindu), e anche i ventiquattro Jina o tīrthaṃkara del jainismo, per i quali vennero utilizzati anche animali altrimenti mai rappresentati nell'arte indiana dell'antichità, come p.es. il rinoceronte.
Bibl.: G. Rao, Elements of Hindu Iconography, 2 voll., Madras 19142 (rist. New York 1968); B. C. Bhattacharya, The Jaina Iconography, Lahore 1939 (rist. Delhi 1975); J. N. Banerjea, The Development of Hindu Iconography, Calcutta 19562; B. N. Mukherjee, Nana on Lion, a Study in Kuṣāṇa Numismatic Art, Calcutta 1969; G. Kreisel, Die Śiva-Bildwerke der Mathurā-Kunst. Ein Beitrag zur frühhinduistischen Ikonographie, Stoccarda 1986, pp. 92-95.