Vaiolo
Il vaiolo (dal tardo latino variola, derivato di varius, "vario, chiazzato") è una malattia infettiva acuta, contagiosa ed epidemica, di natura virale, caratterizzata da un tipico esantema vescicolopustoloso. Può colpire, oltre l'uomo, diversi animali, nei quali, a seconda della specie, riveste carattere ora minaccioso, ora mite. Il vaiolo umano e quello dei diversi animali sono provocati da virus distinti ma appartenenti allo stesso gruppo (Poxvirus). è stato uno dei morbi più devastanti nella storia dell'uomo (in circa 13 secoli ha ucciso più di un miliardo di persone, perlopiù bambini in tenera età), ma, grazie agli sforzi compiuti dall'Organizzazione mondiale della sanità, dal 1980 è stato eradicato.
È difficile dire quando la malattia è comparsa per la prima volta: in molte regioni del mondo è rimasta assente fino a tempi relativamente recenti, in altre la sua presenza appare documentata da migliaia di anni. In Cina la malattia è stata rilevata fin dal 1122 a.C. e i primi tentativi di combatterla attraverso l'inoculazione sono esposti con chiarezza in testi che sono databili al 6° secolo a.C. Il vaiolo e alcuni metodi per combatterlo sono descritti in testi medici sanscriti e la sua presenza nel subcontinente indiano sembra accertata da alcune migliaia di anni. Secondo alcuni autori (Regoly-Merei 1966), certe stimmate sulla pelle delle mummie egiziane potrebbero esser state causate dal vaiolo, anche se l'esame al microscopio elettronico di frammenti della pelle di Ramses V hanno dato esito negativo. Si tratta, quindi, di una diagnosi soltanto ipotetica che, se risultasse corretta, farebbe pensare - tenuto conto della contagiosità del virus e dei legami commerciali fra le rive del Mediterraneo - a una presenza almeno episodica del vaiolo anche in Grecia (Grmek 1983). Al contrario non è stata trovata alcuna descrizione di fonte greca, romana o egiziana della malattia e nessuna altra patologia simile è riportata nei primi testi medici occidentali, inclusi quelli attribuiti a Ippocrate, Aristotele e Galeno.
Nel mondo occidentale la prima descrizione accurata del vaiolo risale al 930 d.C. ed è di Rhazes, medico a Baghdad, che descrisse il morbo e consigliò di curarlo con diete alimentari. Descrizioni di un'epidemia verificatasi in Siria intorno al 300, tuttavia, fanno anche pensare al vaiolo, e quasi certamente la malattia si diffuse alla Mecca fra il 569 e il 571, decimando un esercito di abissini che assediavano la città. Il vaiolo non si è sviluppato in forma epidemica fino al formarsi di popolazioni relativamente numerose. Nelle piccole popolazioni, infatti, la malattia scompare quando tutti gli individui contagiabili sono stati infettati e hanno di conseguenza sviluppato l'immunità verso di essa, e riappare soltanto quando - per nascita o migrazioni - ci sono di nuovo individui contagiabili (Bollet 1987). Il vaiolo si diffonde durante l'Alto Medioevo nel mondo arabo e da qui nel Nord Africa e in Spagna fino ai Pirenei. I crociati lo reintrodurranno poi periodicamente in Europa di ritorno dal Medio Oriente.
Nel 1518 la malattia fa la sua prima comparsa nel nuovo mondo fra gli abitanti dell'isola di Hispaniola, nei Caribi. Il virus sarebbe stato portato da alcuni schiavi africani arrivati al seguito degli spagnoli per lavorare nelle piantagioni di canna da zucchero. La popolazione originaria dell'isola, indiani arawak, contava circa due milioni di persone all'arrivo di Colombo e nel volgere di pochi anni venne ridotta a causa del contagio e della ferocia dei conquistadores a poche decine di individui. Nel 1520 l'epidemia scoppia in Messico con l'arrivo delle truppe spagnole di Pánfilo de Narváez. La metà degli abitanti aztechi di Tenochtitlán (ora Città di Messico) muore di vaiolo durante l'assedio degli spagnoli, che nel 1521 riescono a conquistare la città stremata dall'epidemia con un esiguo contingente di armati. Il vaiolo è sicuramente il germe più mortifero importato dagli europei in America, un potente alleato degli invasori relativamente immuni, contro popoli indigeni privi di difese. "Le malattie portate dagli europei, molto più rapide degli eserciti, si diffusero in America da tribù a tribù, fino a sterminare probabilmente il 95% della popolazione indigena precolombiana" (Diamond 1998, p. 78).
Dal Seicento il vaiolo colpisce ripetutamente tutti i paesi del mondo abitato. La malattia diventa endemica uccidendo periodicamente centinaia di migliaia di persone. In circa due secoli si stima che il vaiolo abbia colpito all'incirca l'80% dell'intera popolazione europea, con una mortalità variabile dal 20 al 40%. In Islanda, nel 1707, la malattia uccide diciottomila persone su cinquantamila dell'intera popolazione; nel 1719 miete duecentomila morti in Russia, ventimila persone muoiono di vaiolo a Parigi nel 1723 e sedicimila a Napoli nel 1768. Ancora nel 1853 un'epidemia di vaiolo alle Hawaii uccise più dell'80% dell'intera popolazione. L'Inghilterra fu ripetutamente colpita da epidemie di vaiolo e molti membri della famiglia reale ne furono vittime. Nel 1562 la ventinovenne regina Elisabetta I per poco non ne morì e comunque rimase sfigurata. Durante la sua malattia il Parlamento varò in tutta fretta una legge speciale per la successione, per affrontare eventuali improvvise crisi dinastiche dovute a malattia. Il vaiolo colpì molte famiglie reali: morirono a causa di questa malattia un imperatore austriaco e un imperatore cinese, un re di Spagna e una regina di Svezia e, ancora, Luigi XV di Francia e lo zar Pietro II di Russia. Anche il re Sole, Luigi XIV, si ammalò di vaiolo, ma non gravemente.
La medicina occidentale era impotente di fronte alla malattia, quindi non esistevano veri e propri metodi di cura. Si prescrivevano diete, si tenevano le navi in quarantena, si vietavano spostamenti e contatti fra le persone in periodo di contagio. Fra le teorie più stravaganti si pensava che il colore rosso funzionasse da trattamento terapeutico per i colpiti da vaiolo, un rimedio che sembra risalire a pratiche giapponesi del 10° secolo. Ancora durante un'epidemia del 1902 nello Smallpox hospital di Boston venne adoperata questa terapia: i pazienti, vestiti con pigiami rossi, erano confinati in stanze dipinte di rosso con tende rosse e venivano loro somministrate bevande rosse (Bollet 1987).
Le dicerie popolari, confermate dall'esperienza, mostravano che il morbo non si prendeva mai due volte. Avendo notato che molti degli schiavi provenienti dall'Oriente che avevano sul viso i segni della malattia ne erano immuni, si poteva tentare di provocare artificialmente la malattia in forma benigna, sperando così di proteggere un soggetto sano da ulteriori contaminazioni. Da questa constatazione era nata la pratica dell'inoculazione, messa in atto da secoli in Persia e in India, dove era di privilegio esclusivo dei bramini. In Cina l'inoculazione è documentata nel 590 a.C.: il medico prelevava delle croste secche da un malato non grave, le polverizzava e soffiava la polvere ottenuta nelle narici di persone sane. Circa il 2% delle persone inoculate, tuttavia, si ammalavano gravemente.
Talvolta la pratica diffondeva il morbo perché non venivano prese misure di isolamento. La tecnica, detta anche di vaiolizzazione, ebbe pure altre varianti. Perlopiù si procedeva al prelievo da un malato di pus vaioloso, che veniva trasmesso a un soggetto sano per via cutanea (con un filo, una piccola incisione, una scarnificazione o un'iniezione). L'infezione veniva trasmessa anche attraverso le mucose nasali mediante fazzolettini impregnati di pus, o facendo inalare le croste in polvere come prese di tabacco o attraverso una pipa. In Georgia e in Circassia, dove molte giovani donne venivano vendute per rifornire gli harem della Turchia, quest'ultima pratica era adoperata comunemente per evitare che l'eventuale malattia le potesse sfigurare. In Turchia l'operazione dell'inoculazione aveva luogo in un contesto di cerimonie tradizionali, dove una donna più anziana provvedeva a inoculare le più giovani. L'introduzione della pratica trovò forti resistenze in Occidente, anche se esistono testimonianze del suo uso sporadico in Spagna, dove sembra essere stata introdotta dagli arabi, e in Danimarca, dove venne introdotta alla fine del Seicento dall'anatomista Th. Bartolinus. Nel 1774 il medico francese Th. Tronchin inoculò il re Luigi XVI infilandogli sotto la pelle un filo che aveva fatto passare attraverso una pustola di un convalescente. La regina si sottopose al procedimento solo dopo averlo fatto sperimentare su sei condannati a morte.
Tradizionalmente il merito di aver diffuso il metodo in Inghilterra è attribuito a M. Wortley Montagu, moglie dell'ambasciatore inglese a Costantinopoli. Donna intelligente e curiosa, la Montagu aveva imparato un po' il turco ed era venuta a conoscenza della pratica dell'inoculazione. Particolarmente sensibile al problema, essendo stata in parte sfigurata dalla malattia pochi anni prima, descrisse accuratamente la pratica in diverse lettere indirizzate in Inghilterra. In Turchia fece inoculare suo figlio di 3 anni e a Londra nel 1721, allo scoppio di un'epidemia, sottopose allo stesso trattamento la figlia di 5 anni. I tentativi della Montagu di diffondere la pratica arrivarono alla famiglia reale e re Giorgio I fece sperimentare l'inoculazione su sei condannati a morte: si ammalarono solo lievemente e ottennero in cambio la libertà. Nel 1722 il medico di corte C. Aymand inoculò la principessa Amelia di 11 anni e la principessa Carolina di 9, oltre ai propri figli e a numerosi membri della nobiltà inglese. La pratica si diffuse successivamente in tutta Europa: nel 1749 in Olanda, nel 1750 in Germania, nel 1755 in Francia. Per molti anni però continuarono le discussioni e le controversie sulla sua utilità e soprattutto sull'innocuità del procedimento. L'inoculazione rappresentò comunque la scoperta pratica di un processo immunitario.
Un nuovo capitolo della lotta al vaiolo è rappresentato dalla vaccinazione. La storia della medicina ne attribuisce la paternità a un medico inglese, E. Jenner, ma anche altri ne hanno rivendicato la scoperta. Si sapeva che le vacche trasmettevano un morbo simile al vaiolo alle mani delle contadine che le mungevano. Ma si sapeva anche che quelle ragazze divenivano immuni dal vaiolo, tanto che in Inghilterra era famosa la bellezza delle contadine addette alla mungitura, probabilmente perché non avevano il viso sfigurato da piaghe. Tuttavia studi sistematici sul fenomeno non erano mai stati compiuti. Jenner iniziò i propri studi sulla relazione tra la malattia che colpiva le vacche (cowpox) e il vaiolo che colpiva gli uomini nel 1778. Notò soprattutto che le persone infettate dal vaiolo vaccino resistevano anche all'inoculazione, il che faceva ipotizzare che fossero protette dalla malattia. Le ricerche durarono quasi vent'anni e solo nel 1796 Jenner si decise a sperimentare la sua ipotesi. Prelevò del pus dalla mano di una giovane mungitrice e lo trasmise su un bambino sano di 8 anni, che non era stato mai inoculato. All'incirca un mese e mezzo dopo inoculò il piccolo ripetutamente con pus proveniente da una pustola infetta, ma egli rimase immune. L'inoculazione fu ritentata dopo diversi mesi, ma di nuovo il bambino rimase immune. Una pubblicazione sull'esperimento fu presentata da Jenner alla Royal society, ma non venne accettata.
Due anni dopo l'esperimento, nel 1798, Jenner pubblicò un libro dal titolo An inquiry into the causes and effects of the variolae vaccinae, in cui descriveva il suo procedimento, che venne denominato vaccinazione dall'origine del materiale infettivo. Il procedimento di Jenner ebbe successo e si diffuse in Europa abbastanza velocemente, anche se con il tempo vennero rilevati alcuni inconvenienti, come la perdita progressiva dell'efficacia del vaccino umano e soprattutto il rischio di altre malattie infettive che derivava dalla pratica della vaccinazione da braccia a braccia. Napoleone fece vaccinare tutti i suoi soldati nel 1805, e dal 1807 tutti i bambini bavaresi dovevano obbligatoriamente essere vaccinati. La Norvegia rese obbligatoria la vaccinazione nel 1810, la Svezia nel 1815, l'Inghilterra nel 1867, la Danimarca nel 1871, la Germania nel 1874. La lotta contro questa malattia nel Novecento, una volta realizzato che il morbo non si conserva nell'uomo, è stata sempre più efficace. Nel 1967, tuttavia, la malattia era ancora endemica in 33 paesi con quasi quindici milioni di ammalati ogni anno. Una campagna dell'Organizzazione mondiale della sanità, durata più di dieci anni, sembra oggi aver eradicato definitivamente la malattia: l'ultimo caso segnalato è del 1977 in Somalia. La campagna è costata circa cento milioni di dollari e vi hanno contribuito in modo sostanziale gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica.
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