VALCAMONICA (A. T., 17-18-19 e 24-25-26)
È così detta (dai Camuni, popolo reto-ligure che i Romani debellarono con P. Silio sulla fine del sec. I a. C.) la valle dell'Oglio a monte del Lago d'Iseo. È la maggiore delle valli bresciane; durante il Regno Lombardo-Veneto fu riunita prima alla Valtellina e poi a Bergamo, fino a che non si ebbe, nel Regno d'Italia, l'attuale sistemazione amministrativa, che ne lascia, però ancora una parte al Bergamasco, dal fianco destro della valle di Scalve al Sebino. La sua lunghezza supera gli 81 km., la sua superficie - se identificata con il bacino imbrifero dell'Oglio a monte di Pisogne - si aggira sui 1450 kmq., dei quali 175 rientrano nella provincia di Bergamo. La linea di displuvio di questo bacino è segnata da una lunga serie di elevati rilievi (altezza massima nel monte Fumo, a E. dell'Adamello, m. 3554), che però si deprimono notevolmente verso N. al Passo del Tonale (1885 m.) e a NO. al Colle dell'Aprica (1181 m.), consentendo così agevoli passaggi verso i contigui bacini dell'Adige (Val Vermiggio) e dell'Adda (attraverso la Val di Corteno), rispettivamente. Nella valle confluiscono sulle opposte gronde buon numero di tributarî (il Funeclo, la Val Grande, il Mortirolo, il Fiumicello, l'Allione, la Val Clegna, il Lanico, il Trobiolo di Borno e l'Angolo, sulla destra; il Narcanello, l'Avio, la Val Paghera, il Remulo, il Poja, il Tredenus, il Palobbia, il Re di Niardo, il Degna, la Grigna, il Resia, il rio di Gianico, il Re di Artogne, sulla sinistra); è però caratteristico il fatto che nessuno di questi apra facili vie verso le finitime valli prealpine (Seriana, Trompia). Lo stesso lungo corridoio della Val di Scalve (che immette nella Camonica per la Val d'Angolo o di Dezzo), pur penetrando profondamente sul rovescio delle Orobie, rimane, per la sua aspra morfologia, piuttosto staccato che congiunto alla doccia in cui finiscono le sue acque, gravitando anzi verso Clusone e la Seriana, ciò che spiega perché i confini amministrativi abbiano smembrato in questo caso l'unità idrografica della Camonica.
Tradizionale è la divisione della valle in tre sezioni, alta, media, e bassa (molto meno frequente si sente parlare solo di alta e bassa Valcamonica, congiungentisi a Cedegolo, dove s'apre la Val di Saviore, che è una delle migliori vie d'accesso al gruppo dell'Adamello). La bassa Valcamonica va dallo sbocco dell'Oglio nel Lago d'Iseo sino alla stretta di Breno (km. 22): sull'ampio fondo della doccia, riplasmata dai ghiacciai pliocenici, depressa (200-250 m.) e intensamente coltivata, divaga lento il fiume, che qua e là si suddivide in più bracci, spagliando largamente le sue alluvioni. Gli abitati maggiori (Darfo, Artogne, Pian Camuno, Rogno) si tengono al piede e sui meno elevati terrazzi delle erte pendici, che si ammantano di vigneti e di bei boschi di castagno. Poco prima della verde conca di Breno comincia la media valle, che si continua sino ad Edolo, descrivendo quasi una grande S (37 km.). Le gronde vanno restringendosi via via che si procede verso monte, mentre il fondo valle, ricoperto di depositi morenici terrazzati e sovraccarico di conoidi torrentizî s'apre qua e là in brevi conche verdeggianti (prada), diviso in due dalla stretta di Cedegolo. Gli insediamenti non si fissano più sul fondo valle, ma sulle pendici di questa o sugli aprichi ripiani delle vallette laterali, e sono uniti fra loro da vie tagliate in mezzo al bosco; attraverso le brecce aperte dalle convalli s'aprono sfondi di maestose vette, come il Pizzo Badile (m. 2435) e la Concarena (m. 2549). A monte della conca di Edolo, la Valcamonica si fa tutta alpestre, salendo da 850 m., quanti ne ha il fondo valle alla sua estremità inferiore, fino ai 1250 m. del Ponte di Legno. Qui confluiscono i due bacini del Pezzo - risultante a sua volta dall'unione dell'Oglio Frigidolfo con l'Oglio Fridolfo (quota 1377) - e del Narcanello, il cui affluente Ogliolo adduce al Passo del Tonale. Cessano nell'alta Valcamonica i boschi di castagno, per dar luogo a folte foreste di abeti, mentre magri campicelli di segale e d'orzo trovano posto solo sul versante a solatio, tra il verdeggiare di boschi e di pascoli alpini.
Delle tre sezioni in cui la Camonica è così divisa, quest'ultima, che si continua per poco più di una ventina di km. in direzione ENE.-OSO., rivela un andamento press'a poco normale a quello delle altre due. Bassa e media valle sono infatti incise nella fascia prealpina delle Orobie (micascisti, arenarie, dolomie e calcari triassici) e dell'Adamello (tonalite) prima, e più a S. nella massa calcarea delle Alpi Bergamasche e in quella scistoso-cristallina delle Camonie. L'alto Oglio, invece, seguita la lunga depressione longitudinale che dalla Valtellina per l'Apricale si congiunge nella Val di Corteno da un lato, e riprende dall'altro, al di là del Tonale, nelle valli di Vermiglio e di Sole; solco che segna il limite fra due diverse unità, tettoniche e geologiche, della catena alpina. Ciò nonostante e nonostante le notevoli differenze che, da settore a settore, la valle presenta in rapporto con la grande varietà della sua costituzione litologica (e in parte anche per le diverse condizioni del clima), il carattere spiccatamente glaciale della doccia in cui corre l'Oglio, con il fondo di solito assai largo, le gronde ampie e ripide, e la frequenza di terreni morenici terrazzati, imprimono al resto della regione un'evidente unità di caratteri che si riflette bene nelle forme con le quali è qui realizzato ab antiqo l'insediamento umano.
Espressione di questa unità è anzitutto la prevalente economia silvo-pastorale che consegue alla comune scarsezza di terreni adatti alle colture agrarie, ciò che conferisce anche alla parte meno elevata del bacino aspetto di vallata alpina. Si deve del resto aggiungere che, specialmente nel tratto superiore longitudinale, il clima è assai più rigido, per es., che nella media Valtellina, sì che la vite si arresta poco a monte di Edolo, e i campi di segale e d'orzo si spingono fin presso gli elevati pascoli alpini. Più apriche e svasate, la media e bassa Valcamonica si adattano naturalmente a una maggiore varietà di colture, facendo posto qua e là, fra vigne e gelseti, ai cereali (soprattutto al mais), mentre sulle pendici domina il castagno, e le alte terrazze si ammantano di prati e di boschi (l'olivo si arresta all'estremità settentrionale del Sebino). Ma in complesso la principale fonte di esistenza è data dovunque dal bestiame, cui tengono dietro per importanza i prodotti forestali e agrarî, e in ultimo le risorse industriali. Sebbene in notevole contrazione rispetto a cinquant'anni fa (specialmente ovini e caprini), il patrimonio zootecnico rimane relativamente cospicuo: l'allevamento, che è volto in sostanza ai bovini (circa 30 mila capi), fornisce soprattutto il latte necessario alla piccola, ma diffusa industria casearia (burro, formaggi e le cosiddette formaggelle). L'agricoltura non basta al consumo locale, ma dà in compenso, nella bassa valle, una larga produzione di vini da tavola (Erbanno), che, al pari della frutta (pere, mele, castagne), consentono anche una discreta esportazione. Esportato su larga scala è poi il legname (massime abete e larice), che pure viene lavorato in un centinaio di segherie della valle (legname segato annualmente: circa 23 mila mc. all'anno).
Delle industrie, che occupano in complesso poco più del 10%, del totale della popolazione, la mineraria e la siderurgica hanno tradizioni lontane (estrazione del siderosio a Corteno, Berzo, Demo, Malonno, Borno, Bienno, Gianico, ecc.; fabbriche d'armi a Edolo e ad Angolo, fabbriche di arnesi da cucina a Bienno): quest'ultima, dopo alterne vicende di prosperità e di decadenza, torna ad affermarsi con acciaierie modernamente attrezzate (Darfo, Esine, Bienno, Cividate Malegno, Bren0 ed Edolo), sebbene non trovi più convenienza ad impiegare materia prima locale. Fiorente l'industria idroelettrica, che sfrutta i laghi di circo delle alte superficie montane, e discretamente sviluppate anche le tessili, (Darfo, Cogno) e le chimiche (Darfo, Cedegolo).
La popolazione, che si aggira intorno ai 75 mila ab., è andata aumentando con ritmo piuttosto lento, dal 1871 in poi, come nella maggior parte delle vallate alpine d'Italia, segnando anzi, nel settore a monte di Edolo, una sensibile diminuzione (2,8%) in confronto con il 1921. La densità complessiva della Valcamonica è però relativamente notevole (53 ab. per kmq.), e tanto più se messa in rapporto con la superficie produttiva (71 ab. per kmq.): le medie oscillano fra estremi abbastanza lontani (da 20 ab. per kmq. nel comune di Ponte di Legno a 241 in quello di Cividate Malegno), innalzandosi tuttavia regolarmente nelle zone attorno ai centri maggiori. Questi, che si localizzano di regola agli sbocchi delle valli confluenti nell'Oglio (Lovere, Darfo, Edolo), sono tuttavia per lo più piccoli, nessuno raggiungendo i 5000 ab. Ne conta appena 2825 Darfo, che è il più popoloso, e appena 1600 Breno, che è considerato il capoluogo dell'intera vallata ed ebbe gran parte nella storia di questa.
La Valcamonica, che fu in passato una delle vie più frequentate per le relazioni commerciali tra la media pianura padana e l'Europa centrale, è risalita, dal Sebino all'alta valle, dalla ferrovia Brescia-Iseo-Pisogne-Edolo (km. 104) e dalla strada statale n. 42, che, partendo da Treviglio, giunge a Bolzano attraverso i Passi del Tonale e della Mendola. Da Edolo si diparte poi la strada statale dello Stelvio (n. 38), che collega alla Valcamonica la Valtellina per il Passo di Aprica, cui volge dopo Tresenda.
Bibl.: A. Cozzaglio, Paesaggio di Valcamonica, Brescia 1895; V. Giovannetti, Guida della Valcamonica, ivi 1900; A. Gnecchi, Le montagne dell'alta Valcamonica, ivi 1908; A. R. Toniolo, Ricerche di antropogeografia nell'alta Valcamonica, Firenze 1913 (Mem. geogr. 23); Colfi, Biazzi e Prudenzini, Guida illustrata della Valcamonica, Brescia 1926.
Storia. - La regione appare fiorente già nell'epoca preromana, nel 16 a. C. fu soggiogata da Druso e Tiberio. Vestigia romane cospicue furono trovate a Lovere e specialmente a Cividate, altre a Rogno, Cogno, Berzo, Malegno, Borno, Breno, Losine, Niardo, Cemmo, Grevo, Edolo, Dalegno. Pare che la regione Camuna abbracciasse anche il bacino superiore del Lago d'Iseo e si accentrasse a Cividate. E tuttavia ignota la forma di dipendenza della valle da Roma. Squallido fu invece il periodo delle invasioni barbariche, quando la valle divenne passaggio preferito delle orde guerresche, così che a mala pena gli abitanti, ridotti alla primitiva pastorizia, potevano scampare su per i monti o tra le mura dei castelli più forti, tra i quali primeggiò presto quello di Breno. Vinta la dominazione longobarda, Carlomagno infeudò la Valcamonica ai monaci di Tours; i quali, tuttavia, durando fatica a tenerla soggetta da lungi, cedettero via via i loro beni specialmente al vescovo di Brescia (se pure questi non successe direttamente a un conte franco). La diffidenza e il desiderio d'indipendenza da Brescia però furono sempre vivi nei Camuni; e per ciò gli abitanti della valle favorirono il passaggio del Barbarossa che li privilegiò nel 1164, lasciando, fra l'altro, che potessero governarsi amministrativamente con consoli proprî. Forse gli statuti particolari si cominciarono a redigere allora.
Ghibellina in massima rimase la valle: ghibellini erano i maggiori feudatarî; con il comune di Brescia il contrasto fu assai lungo, tanto che Alberto della Scala nel 1279, Matteo Visconti nel 1292, furono chiamati arbitri per la diuturna lotta, riaccesasi ancora nel 1311. Arrigo VII approfittò di tale situazione, e, pur confermando il privilegio del Barbarossa, inviò un suo vicario nel 1311. Nel 1319 gli Scaligeri, avversi a Brescia, s'impadronirono della valle, che fecero governare dai loro "podestà di Vallecamonica"; lo stesso fecero i Visconti di Milano che s'impadronirono della valle nel 1337. Il dominio visconteo durò, eccettuato il breve e contrastato dominio del Malatesta (1407-19), fino al 1427; nel quale anno Venezia s'impadronì della Valcamonica. Tale avvenimento parve iniziare un'epoca di splendore e di sicurezza; ma i signorotti già spadroneggianti non si diedero pace, tramarono contro la Dominante e favorirono le pretese milanesi. Donde assedî lunghi ai castelli, specie a quello di Breno nel 1438-1440 e nel 1454, fin che la Serenissima riuscì a ottenere completa vittoria. Il castello di Breno fu preso dai Francesi nel 1512, poi riconquistato da un gruppo di ardimentosi brenesi e bresciani; quindi passò in dominio degli Spagnoli nel 1516. Poco dopo, quasi miracolosamente, la Serenissima riusciva a riprendere le sue terre. Seguì allora una lunga epoca di pace. Penetravano invece nella valle le dottrine della Riforma: anzi nel 1580 venne nella valle S. Carlo Borromeo a inquisire sullo stato spirituale delle popolazioni. Nella guerra di Valtellina, la valle fu per tre anni (1624-27) percorsa da soldati; e, quasi conseguenza logica, si ebbe il propagarsi della peste nel 1630. Altra calamità quasi "periodica" furono gl'incendî e le alluvioni: nel 1644 Cevo restò in gran parte incendiato e Niardo, Prestine, Bienno, Berzo, Esine vennero assai danneggiati da inondazioni.
La Repubblica Cisalpina divise la valle in tre parti nel 1797; nel 1798 univa la Valcamonica alla Valtellina e nel 1801 a Bergamo, da cui a lungo con petizioni e memoriali i Camuni tentarono sottrarsi. Nel 1799 i Camuni aiutano i Francesi nel fronteggiare a Edolo e a Vezza migliaia di Tedeschi scesi dal Tonale; nel 1809 un gruppo di "Tirolesi" riprende il passo per fomentare rivolte tra gli abitanti, ma fugge al primo apparire dei Francesi; dal novembre 1813 all'aprile 1814 al confine avvengono continue scaramucce tra Francesi e Austriaci. Le idee della "Giovane Italia" penetrano nella valle: nel 1834 a Darfo c'è ribellione di popolo. Nel 1848 i patrioti della valle parteciparono alla rivoluzione mandando aiuti a Brescia e a Milano e un forte gruppo d'armati a invadere le valli trentine di Non e di Sole fino a Toblino. Combatterono di poi sul Tonale e fecero guardia al passo di Crocedomini. L'Austria, ritornata, per premunirsi fece costruire la via da Edolo all'Aprica nel 1854, mentre dal 1850 per alcuni anni tenne fortificato il passo Tonale. Ma con il 1859 la Valcamonica era liberata e riaggregata a Brescia. Nel 1862 era compiuta la via da Darfo ad Angolo e Val di Scalve, e lo stesso anno si costruiva la bellissima trasversale di Breno. Dalla Valcamonica partirono alcuni dei Mille; nel 1861 un battaglione della "Guardia Nazionale" accorse a Fossombrone; nel 1866 un forte gruppo di Camuni accorse allo Stelvio per accerchiare l'esercito austriaco, mentre il Castellini combatteva, con avversa fortuna, a Vezza d'Oglio. Né va dimenticato che la Valcamonica durante la guerra del 1915-1918 fu teatro di importanti azioni militari.