VALDESI
. Una leggenda - già diffusa nelle valli valdesi (Alpi Cozie) verso la fine del Medioevo e quasi concordemente accolta dagli storici valdesi fino alla metà del secolo XIX - vuole identificare il movimento valdese con un residuo della primitiva chiesa apostolica che si sarebbe mantenuta intatta nelle valli delle Alpi Cozie e che i seguaci di Valdo avrebbero trovato quando essi giunsero in quei luoghi. In realtà si può affermare, nonostante lacune e incertezze, che il movimento valdese tragga origine da Pietro detto Valdo (Valdus) - da un imprecisato e imprecisabile paese d'origine - un mercante lionese nato verso il 1140. Il racconto tradizionale afferma che Valdo trascorse la sua giovinezza a Lione, dove si era dato ai commerci e aveva costituito la sua famiglia. La sua conversione risalirebbe alla primavera del 1176: profondamente colpito dall'improvvisa morte di un amico, Valdo credette d'interpretare come un avvertimento celeste il canto di un menestrello narrante le vicende di S. Alessio. Chiese allora a un teologo quale fosse la via perfetta alla salvezza e si sentì ricordare la consegna di Gesù al giovane ricco: "se vuoi essere perfetto, va, vendi ciò che hai e dàllo ai poveri, ed avrai un tesoro nei cieli; poi vieni e seguimi" (Matteo XIX, 21). Valdo cede alla moglie i beni immobili che egli possedeva, affida le sue figlie all'abbazia di Fontevrault nel Poitou, restituisce ciò che egli riteneva di avere indebitamente ricevuto e distribuisce il suo capitale liquido al popolo. Incarica due ecclesiastici - Bernardo Ydros e Stefano d'Anse - di tradurre in volgare i Vangeli e qualche altro libro della Bibbia.
Valdo si diede a predicare il suo ideale di povertà fra le classi più umili, diffondendo in pari tempo fra esse il Vangelo nella traduzione volgare. Presto numerosi seguaci (i "Poveri di Cristo" o Poveri di "Lione") si strinsero intorno a lui e cominciarono a predicare la Parola di Dio nella campagna e nelle città vicine. Invitato dall'arcivescovo di Lione, Guichard, ad astenersi da ogni forma di predicazione e di spiegazione delle Scritture, Valdo rifiutò e, con tutti i suoi seguaci, fu espulso dalla diocesi di Lione (1177).
Nel 1179 una delegazione di Valdesi "a primate ipsorum Valde dictos" era a Roma al III concilio Laterano. La delegazione - della quale non sembra facesse parte lo stesso Valdo - fu ricevuta da Alessandro III il quale "Valdesium amplexatus" approvò "votum quod fecerat voluntariae paupertatis". Walter Mapp, presente al concilio, afferma che i Valdesi presentarono ai padri "un libro in idioma gallico, il quale conteneva il testo e la spiegazione del Salterio e di varî scritti dell'Antico e del Nuovo Testamento. Insistevano assai onde venisse a loro confermata la licenza di predicare". Furono interrogati dallo stesso Mapp e "si ritirarono confusi". Fu loro inibito il diritto di predicare "nisi rogantibus sacerdotibus". il Mapp, che descrive il gruppo valdese con parole che ricordano spesso alla lettera la descrizione del primitivo gruppo francescano lasciataci da Giacomo da Vitry, mostra di aver ben compreso quale pericolo avrebbe potuto costituire per il clero la concessione della richiesta autorizzazione a predicare: "Non potrebbero cominciare più umilmente, perché non possono entrare, ma se li ammettessimo, ci caccerebbero fuori". È probabile che Valdo si attenesse per alcun tempo alle disposizioni del concilio. Certo è che una separazione netta dalla chiesa ufficiale si ha solo dopo la nomina (1181) del nuovo arcivescovo di Lione - Giovanni de Bellesmains. Considerati come ribelli e cacciati nuovamente da Lione, i Valdesi furono esplicitamente condannati dal Sinodo di Verona (1184).
La scarsezza delle fonti, il fatto che le più antiche testimonianze provengano da ambiente cattolico e abbiano intonazione polemica, costituiscono da sole gravi difficoltà alla comprensione del primitivo programma dei Poveri di Lione; ma più che tutto osta a questa comprensione lo sviluppo posteriore del movimento valdese, come movimento di opposizione ecclesiastica, il suo accostarsi ad altre sette e infine il suo sfociare in un movimento costituito ecclesiasticamente e aderente alla Riforma. Ma il movimento valdese non ha alle origini alcun atteggiamento esplicito di rivolta contro la chiesa costituita, né si propone - in perfetto parallelismo col movimento francescano - la fondazione di una setta o chiesa o ordine: è un movimento laico di liberi predicatori che intende portare la parola di Gesù a diretto contatto delle classi più umili e più povere. Come tanti altri movimenti contemporanei - come lo stesso movimento francescano - il movimento valdese primitivo vuole essere prima di tutto rinuncia totale a ogni ricchezza attraverso il voto di povertà. Il più completo indifferentismo economico domina il valdesismo primitivo ed è singolare l'attestazione di Alano di Lilla circa il rifiuto dei Valdesi a ogni forma di lavoro manuale. Se si pensa che questo fatto, appena quindici anni dopo la condanna di Verona, è ripetutamente attestato da Gioacchino Fiore, esso acquista un singolare rilievo anche perché Gioacchino inserisce i suoi accenni ai Valdesi e al loro rifiuto di lavorare in passi relativi alle aspettative escatologiche e autorizza a pensare che i Valdesi primitivi, con la consegna tassativa di evitare ogni lavoro che producesse ricchezze, non facessero che riprodurre gli atteggiamenti di quei cristiani primitivi, cui va il rimprovero di Paolo nella II lettera ai Tessalonicesi, i quali, nell'aspettativa del Regno, incrociavano le braccia e si rifiutavano al lavoro. I legami spirituali fra Valdo e S. Francesco appaiono così assai stretti: tutti e due intesi, come sono, in un mondo che sta subendo un processo di radicale trasformazione economica e sociale, a un immediato e diretto richiamo del popolo cristiano ai valori specifici del Vangelo.
Ciò che colpisce nel primitivo movimento valdese - e che ne costituisce il tratto distintivo di fronte al francescanesimo - è quel suo insistere sul diritto alla predicazione per i laici. Ed è questo il carattere destinato a far sviluppare i germi antiecclesiastici impliciti nel movimento, fino a fargli assumere quell'atteggiamento polemico contro le istituzioni della Chiesa che ha portato il valdesismo a contatto con le grandi correnti dell'eresia medievale dominate dal catarismo (v. catari), con il quale il movimento valdese non ha alcuna sostanziale affinità.
Il movimento valdese - anche durante i secoli XIII e XIV - mantiene intatto il suo carattere di movimento evangelico e rifiuta - a differenza dei Catari - ogni sistema filosofico-teologico, mostrando anzi una singolare repugnanza a ogni innovazione di carattere dogmatico. Partendo da una libera interpretazione del Vangelo, il valdesismo diffonde nel popolo precetti di morale pratica, positiva, prospetta come esempio da seguire la vita degli apostoli. Proclamando l'uguaglianza di tutti i fedeli nell'ambito della Chiesa e il sacerdozio universale fondato unicamente sul merito individuale, retaggio di tutti - uomini e donne - e non sopra una consacrazione esteriore (retaggio di una classe privilegiata), spezza alle basi la ragion d'essere della gerarchia ecclesiastica e della Chiesa stessa. Movimento laico e popolare (i Valdesi erano quasi tutti contadini e artigiani), dava con ciò un colpo potente alla stessa organizzazione feudale, strettamente legata alla Chiesa, e rivelava tutto il suo carattere rivoluzionario. Idiotae et illetterati - come li definisce Gualtiero Mapp - i Valdesi conoscevano a perfezione la Bibbia; predicavano la povertà e l'astensione dal lavoro; vivevano d'elemosina; rifiutavano i sacramenti impartiti dagli ecclesiastici; praticavano la confessione l'un con l'altro, negavano la transustanziazione e la validità della Messa; rifiutavano il culto dei santi e dei morti; non ammettevano la comunione dei santi, né il Purgatorio. Condannavano come illecita la menzogna, il giuramento e ogni forma di giudizio. Praticavano la continenza, non in odio alla materia creata, ma per desiderio di perfezione. Uniti in comunità a carattere fraterno, non sembra abbiano conosciuto (almeno fino a tutto il sec. XIV) una forma precisa e definita di vera e propria organizzazione ecclesiastica.
La condanna ecclesiastica determinò il rapido diffondersi del movimento. Già propagatisi in Lombardia, probabilmente fin dall'epoca del concilio Laterano, i Valdesi, allontanati da Lione, si diffondono nel Delfinato e nella Provenza, in Alsazia, in Lorena, in Svizzera, in Germania e persino in Spagna. In Italia un forte gruppo valdese (i cosiddetti "Poveri Lombardi") si costituisce a Milano, a fianco e d'intesa con gli Umiliati (v.). Nel sec. XIII la propaganda valdese stende i suoi bracci fin nell'Ungheria, in Polonia, in Boemia, dove anzi - secondo dati leggendarî - si sarebbe recato e sarebbe morto (1217) lo stesso Valdo. Perseguitati accanitamente - specialmente durante la famosa crociata bandita da Innocenzo III - essi, dopo due secoli e mezzo, erano praticamente scomparsi dall'Austria, Germania, Francia, Spagna. Più a lungo resistettero in Boemia; per quanto sia difficile parlare in concreto di un positivo influsso valdese su G. Huss, è certo che i nuclei valdesi che sussistevano ancora in Boemia verso la metà del sec. XV si fusero con gli Ussiti per opera specialmente di Federico Reiser. Dei gruppi italiani, oltre quelli piemontesi e lombardi, va ricordato quello che si stabilì (primi del sec. XIV) in Calabria.
Ma il gruppo valdese destinato a sussistere e a mantenersi intatto attraverso i secoli fu quello che si venne raccogliendo, fin dal sec. XIII, in alcune valli delle Alpi Cozie (Val Queiras, Valluisa, Valle Argentiera, Val Freissinière, dalla parte della Francia; Val Pragelato, Val Perosa, Val S. Martino, Valle Pellice o di Luserna - con la valle laterale di Angrogna - dalla parte del Piemonte). Se questo gruppo derivi la sua origine dai Valdesi di Lione o dai gruppi lombardi è questione controversa e di difficile soluzione.
Questi nuclei valdesi furono da principio ben accolti dai signori locali, specialmente dai conti di Luserna, ma già nel 1220 gli Statuti di Pinerolo condannavano a un banno di dieci soldi l'ospite del Valdese. Questa situazione di ostilità andò aggravandosi nel corso del sec. XIII con il costituirsi - centro Pinerolo - del principato d'Acaia, che favorì l'opera dell'Inquisizione in Val Perosa. Anche nelle valli occidentali, gravitanti verso Embrun e Briançon, i Valdesi furono perseguitati nel 1289 e quindi nel 1332. Una persecuzione generale fu organizzata da papa Gregorio XI (1370-1378) che si valse dell'opera del francescano Francesco Borelli tristamente famoso per la repressione da lui condotta nelle valli francesi (169 persone salirono il rogo!), mentre nelle valli orientali i domenicani si mostrarono meno severi. Ma nel 1476 un editto della duchessa Violante di Savoia ordinava di eseguire i comandi dell'Inquisizione e gli stessi signori di Luserna, fino allora restii a dar mano libera all'Inquisizione, finirono per piegarsi. Nel 1484 il duca di Savoia Carlo I tentò di sradicare i Valdesi con le armi, ma la campagna finì male per il duca, tanto che - scatenatasi, nel 1487, la crociata antivaldese bandita da Innocenzo VIII e guidata dall'arcidiacono Alberto Cattaneo - essa rimase limitata alle valli del Delfinato (si è pensato e affermato, a torto, che Carlo I abbia emanato un editto di tolleranza) che furono presto e pressoché definitivamente purgate. Nelle valli piemontesi - favoriti dalle precarie condizioni dello stato sabaudo - i Valdesi godettero invece, fin verso la metà del sec. XVI, un periodo di relativa tranquillità.
In questo periodo - anteriore all'adesione dei Valdesi alla Riforma - non si può parlare di vere e proprie comunità Valdesi nelle valli. I Valdesi vivono all'ombra e nell'orbita della chiesa cattolica, che essi frequentano simulando per quanto possibile l'esser loro, confortando in privato la loro fede, aiutati dalle visite dei loro "barba" (barba, propriamente "zio"), sorta di predicatori ambulanti. Solo con l'adesione alla Riforma il movimento valdese acquistò una vera e propria autonomia di fronte alla chiesa romana.
I primi contatti dei Valdesi con la Riforma risalgono al 1526: due barba - Martino Gonin e Guido di Calabria, della Val Pragelato - si recano appositamente in Svizzera e in Germania. Quattro anni più tardi i Valdesi di Provenza incaricano i barba Giorgio Morel di Freissinière e Pietro Masson di Borgogna di sottomettere ai Riformatori svizzeri un questionario. I due prendono contatto con Guglielmo Farel e quindi con Ecolampadio e Martino Butzer, ne ricevono tutte le spiegazioni richieste, specialmente in merito alle posizioni specifiche della Riforma sulle dottrine della salvezza, e l'esortazione a separarsi apertamente dalla chiesa romana.
L'adesione formale alla Riforma fu decisa nel famoso Sinodo di Cianforan (Valle d'Angrogna), al quale parteciparono (12 settembre 1532) tutti i barba delle valli, delle comunità valdesi di Puglia e di Calabria e i tre riformatori svizzeri Guglielmo Farel, Antonio Saunier e Pietro Robert detto l'Olivetano. La questione più importante fu l'istituzione di un culto pubblico. Fu altresì bandita ogni forma di simulazione e di compromesso riguardo alla partecipazione dei Valdesi alle cerimonie del culto cattolico e fu infine accettata una formula di fede che implicava l'adesione dei Valdesi alle idee dei riformati svizzeri sui seguenti punti: la predestinazione, le opere buone, il giuramento, la confessione fatta a Dio soltanto, il riposo domenicale, il digiuno non obbligatorio, il matrimonio lecito a tutti, l'accettazione di due soli sacramenti: battesimo ed eucarestia. La formula ripudia la vendetta, ammette la liceità della professione di magistrato, ammette che "non tuta usura he prohibita de Dio".
Due barba del Delfinato, Daniele di Valenza e Giovanni di Molines, raccolsero intorno a sé un gruppo dissidente e cercarono appoggi anche in Boemia. Ma il sinodo di Prali, nell'agosto del 1533, confermò le decisioni di Cianforan. (Per la nuova traduzione valdese della Bibbia, v. bibbia, VI, p. 904).
Il culto pubblico fu inaugurato nella valle d'Angrogna nel 1555 Due anni dopo si ha ricordo di 12 pastori a posto fisso nelle valli Valdesi. L'organizzazione ecclesiastica seguiva nelle sue grandi linee quella delle chiese riformate svizzere. Ma l'adesione dei Valdesi alla Riforma segnò il principio di un'odissea di persecuzioni che - salvo brevi interruzioni - durarono due secoli.
In Provenza due successivi editti del 18 novembre 1540 e del 1° gennaio 1545 portarono presto lo sterminio nelle valli francesi. I pochi profughi che nel 1550 poterono tornare nelle valli, subirono una nuova persecuzione nel 1562 e aderirono alla Chiesa riformata di Francia.
Nel Delfinato e nel Piemonte, pur sottoposti alla dominazione francese, la situazione si mantenne quasi normale fino alla ricostituzione della monarchia sabauda con Emanuele Filiberto a seguito del trattato di Cateau-Cambrésis (1559). Il 15 febbraio 1560 il duca - per desiderio di far cosa grata al pontefice dal quale sperava aiuto contro le usurpazioni di Francia e di Spagna - emise un editto il quale vietava di ascoltare le prediche dei Valdesi. Ne scoppiò una guerra risoltasi in modo sostanzialmente favorevole ai Valdesi. Il 5 giugno 1561 fu firmata a Cavour una capitolazione con la quale si concedeva la tolleranza del culto valdese con limitazioni determinate riguardo ai luoghi (il culto poteva essere esercitato solo in determinati luoghi delle valli; rimaneva vietato a Torre Pellice, nel territorio di Luserna e di S. Secondo) e alle persone (poteva essere esercitato solo dai Valdesi). Questa capitolazione ha grande importanza perché oltre a stabilire, per la prima volta, un regime di tolleranza legale per i Valdesi, pone quei caposaldi intorno ai quali si muoverà tutta la legislazione sui Valdesi. Tutte le leggi posteriori di Emanuele Filiberto, di Carlo Emanuele I, Vittorio Amedeo I, Maria Cristina, Carlo Emanuele II ribadiscono in sostanza gli stessi principî, precisando se mai di volta in volta le limitazioni all'esercizio del culto e alla capacità giuridica del valdesi. Inoltre si emanano a getto continuo leggi intese a favorire il diffondersi del cattolicesimo nelle valli concedendo privilegi di ogni sorta ai cattolici e ai convertiti. Naturalmente la resistenza dei Valdesi ad accettare queste limitazioni e le continue trasgressioni alle medesime da una parte, i continui abusi di potere delle autorità ducali preposte all'applicazione delle leggi limitative dall'altra, portavano a continui e spesso sanguinosi conflitti. Celebri nella storia europea sono rimasti i massacri (le cosiddette Pasque Piemontesi) perpetrati nell'aprile del 1655 dalle truppe di Vittorio Amedeo I comandate dal commissario ducale Andrea Gastaldo e che, per l'intervento degli stati protestanti e soprattutto dell'Inghilterra, si conclusero con l'emanazione delle "patenti di grazia" (Pinerolo, 18 agosto 1655). Questo episodio mise in luce alcune delle figure più note ed esaltate dalla storiografia valdese: il pastore Giovanni Léger e l'eroico condottiero Giosuè Giavanello.
Due fatti vanno inoltre ricordati: il massacro che - nel giugno 1561 - per opera dell'inquisitore Valerio Malvicino e del viceré di Calabria portò alla completa distruzione delle colonie valdesi della Calabria; e l'emanazione della confessione di fede cosiddetta del 1655 - ma probabilmente anteriore - che è tuttora, con l'aggiunta di un "Atto dichiarativo" approvato dal Sinodo valdese del 1894, la confessione di fede vigente nella chiesa valdese, confessione d'impronta rigidamente calvinista e modellata sulla Confessione gallicana delle chiese riformate in Francia.
La politica di Vittorio Amedeo II nei riguardi dei Valdesi, che costituisce il capitolo più drammatico della storia di questi, può dividersi in due periodi nettamente distinti che corrispondono e sono in funzione della diversa politica seguita dal duca sabaudo nei riguardi della monarchia francese. Già prima che con l'abolizione dell'editto di Nantes (22 ottobre 1685) desse inizio alla vasta azione intesa a sradicare il protestantesimo dai suoi stati, Luigi XIV si era rivolto (12 ottobre) al duca di Savoia per indurlo a fiancheggiare la sua azione anche per evitare - ciò che difatti avvenne - che gli Ugonotti banditi dalla Francia trovassero ricetto nelle valli valdesi. Vittorio Amedeo II resistette a lungo più per calcolo politico che per convinzione, ma finì col cedere alle minacce del re di Francia. Il 4 novembre 1685 emanò un editto che vietava ai Valdesi di portare aiuto in qualsiasi modo ai protestanti francesi, e il 31 gennaio 1686 emanò un secondo editto revocante ogni misura di tolleranza per i Valdesi con il divieto formale del culto, l'ordine di distruggere i templi e l'offerta a tutti i laici ed ecclesiastici di scegliere fra l'abiura e l'esilio. I cantoni protestanti svizzeri intervennero presso il duca e ottennero da lui la concessione per i Valdesi di emigrare in Svizzera (editto del 9 aprile 1686). Ma i Valdesi si rifiutarono di emigrare. Le truppe francesi e ducali, al comando del generale Nicolas de Catinat, iniziarono un'azione in grande stile contro le valli: i Valdesi, tre volte traditi nella loro buona fede, furono in breve sgominati e alla fine di aprile circa dodicimila di loro erano relegati prigioni nelle carceri di Torino, Susa, Asti, Mondovì, Vercelli. Seguirono alcuni editti intesi a distruggere definitivamente il valdesismo: il 23 maggio 1686 il diritto di abitare nelle valli fu ristretto esclusivamente ai sudditi cattolici, e tre giorni dopo i Valdesi, dichiarati rei di lesa maestà, si videro confiscati in blocco tutti i loro beni fondiarî. Ma intanto i cantoni protestanti svizzeri erano di nuovo intervenuti e il duca fu lieto di liberarsi di tutti i prigionieri (del resto falcidiati a migliaia dalle malattie nelle carceri ducali), sicché il 3 gennaio 1687 diede a tutti il permesso di emigrare in Svizzera, mentre stabilì (cfr. anche editto del 3 marzo 1687) che i Valdesi cattolicizzati fossero insediati nella provincia di Vercelli. L'odissea dei Valdesi in questi anni è certo una delle pagine più tristi della storia religiosa moderna. Mentre i Valdesi cattolicizzati (in numero di 2226) distribuiti in terre in parte incolte in parte acquitrinose, malvisti dalla popolazione, erano falcidiati dalla malaria, gli altri, privati contro i patti dei loro pastori (trattenuti in ostaggio), dei loro figli (consegnati questi a famiglie cattoliche per essere allevati nella religione cattolica: e questo abuso si perpetuerà fino ai primi anni del sec. XIX), giunsero in Svizzera (dal gennaio 1687 e fino all'estate successiva) decimati di numero a seguito di ogni sorta di disgraziate circostanze e di mali trattamenti di ogni genere. Erano circa 3500 individui che mal tolleravano la lontananza dalla patria e che - col loro turbolento atteggiamento - finirono per alienarsi gli stessi Svizzeri ospiti, i quali invano si adoperarono per farli emigrare nei territorî del Brandeburgo, del Württemberg e del Palatinato. Quelli fra i Valdesi che si recarono in Germania tornarono ben presto in Svizzera. Intanto, anima di tutto il già ricordato Giavanello e il pastore Enrico Arnaud, due volte (giugno 1687 e giugno 1688) gruppi di Valdesi e di Ugonotti avevano tentato - invano - di rientrare nelle valli. Un terzo tentativo - organizzato sempre dall'Arnaud con l'aiuto dello statholder d'Olanda Guglielmo Enrico d'Orange - era destinato a riuscire. L'impresa, nota nella storiografia valdese col nome di "Glorioso rimpatrio", iniziata il 16-17 agosto (calendario giuliano) 1689, durò dieci giorni: nonostante i tentativi franco-piemontesi di tagliare la strada ai reduci, i Valdesi, validamente fiancheggiati dagli Ugonotti francesi rifugiati in Svizzera, riuscirono a penetrare nelle valli e a mantenervisi tutto l'inverno e la primavera successiva.
Un avvenimento decisivo per i Valdesi - in questi anni cruciali della loro storia - fu il radicale mutamento della politica estera sabauda a partire dal 1690 e dall'accessione alla Grande Alleanza di Vittorio Amedeo II (v.). Quando Luigi XIV, subodorando l'insidia, mise alle strette il duca, questi (aprile 1690), inserendo nuovamente il problema valdese nel giuoco della sua realistica politica internazionale, pensò di offrire un'alleanza offensiva e difensiva alla Svizzera in cambio del permesso ai Valdesi di tornare in patria, circostanza questa che avrebbe inoltre fornito al duca dei soldati di prim'ordine in un'eventuale guerra con la Francia. Contemporaneamente (giugno 1690) si alleava formalmente con la Spagna e, respinto un ultimatum francese, iniziava senz'altro le ostilità. Questo fatto alienò al duca le simpatie dei cantoni cattolici svizzeri e rese impossibile - scoperto il giuoco - la stipulazione della progettata alleanza, tanto più che il duca si era, senz'altro attendere, procurato l'aiuto dei Valdesi atti alle armi. Ma non per questo il duca rinunciò a servirsi dei Valdesi ai fini della sua politica ed iniziò subito trattative con l'Olanda e l'Inghilterra, offrendo ad esse la sua alleanza in cambio di leggi tolleranti nei riguardi dei Valdesi e di una somma in danaro. Le trattative si protrassero a lungo per la scrupolosa cura dei due stati protestanti nel voler assicurare ai Valdesi le maggiori garanzie e per la difficoltà di accordarsi sulla somma da pagare al duca. Il 20 ottobre 1690 il trattato fu alla fine stipulato e - a seguito di un articolo segreto relativo ai Valdesi - il 23 maggio 1694 fu emanato, dopo laboriosissime trattative coi rappresentanti olandese e inglese e nonostante la vibrata opposizione dei teologi sabaudi, l'editto che restaurava la tolleranza del culto riformato nelle antiche valli valdesi e che fu causa di serie controversie fra il ducato di Savoia e la Santa Sede. L'emanazione della carta fondamentale della tolleranza valdese - ché tale deve considerarsi l'editto del '94 - non segnò la fine dell'odissea di questo popolo: giuoco, ancora una volta, nella politica estera del duca. Infatti quando questi, nel 1696, stipulò la pace separata con la Francia, dietro imposizione del potente vicino pubblicò un editto (1° luglio 1698), che sanciva l'espulsione in massa dalle valli dei rifugiati francesi. Questi, in numero di circa 3000, e fra essi lo stesso Arnaud, furono costretti ad emigrare nel ducato del Württemberg, nel Baden e nell'Assia dove costituirono delle colonie valdesi che nel 1820 vennero incorporate nella Chiesa luterana tedesca.
Scoppiata la guerra di successione di Spagna il duca, deciso ad abbandonare nuovamente Luigi XIV, condusse segrete trattative per un'alleanza con l'Inghilterra, impegnandosi con questa (trattato del 4 agosto 1704) a riconfermare l'editto di tolleranza del 1694 e ad estendere la tolleranza alla Valle Pragelato - in massima parte abitata da Valdesi - che, a norma del trattato, avrebbe dovuto essere ceduta dalla Francia alla Savoia. Ma all'atto della stipulazione della pace di Utrecht (1713) la Francia acconsentì bensì a cedere al duca la Valle Pragelato, ma con l'espresso patto che il culto valdese fosse per sempre bandito dalla valle. Il che fu fatto (editti del 1° febbraio 1716 e 20 giugno 1730): ancora oggi non esistono più Valdesi nel Pragelato. Va peraltro notato che l'editto del 1730 valse anche ad alleviare i Valdesi da alcuni aggravî cui essi risultarono sottoposti dopo la pubblicazione delle cosiddette "Costituzioni piemontesi" (1723), nelle quali si concretò la riforma legislativa di Vittorio Amedeo II.
Durante il resto del secolo XVIII la vita dei Valdesi si svolse (regnanti Carlo Emanuele III, Vittorio Amedeo III) abbastanza quietamente, mentre la rivoluzione francese prima e l'impero napoleonico poi apportarono ai Valdesi una situazione del tutto favorevole. Ma con l'avvento di Vittorio Emanuele I furono restaurate le antiche limitazioni.
La definitiva emancipazione dei Valdesi - propugnata tra gli altri da Vincenzo Gioberti e da Roberto d'Azeglio - fu sancita da Carlo Alberto con l'editto del 17 febbraio 1848 (pubblicato il 25). La situazione fatta ai Valdesi dallo Statuto del regno e dalla legge 24 giugno 1929 sui culti ammessi non differisce dalla situazione fatta in Italia a tutti gli altri culti non cattolici.
Naturalmente i secoli XIX e XX hanno visto un grande impulso del valdesismo, che uscito fuori dalle valli si diffuse un po' dovunque in Italia. Secondo una statistica del 1930 esistevano, a quella data, 17 comunità valdesi nelle valli; 28 in Piemonte, Veneto e Lombardia, 13 in Liguria, Toscana e Nizza, 18 nel Lazio e nell'Italia meridionale, 11 in Sicilia. Oltre questi 5 "distretti" italiani esiste un 6° distretto che comprende 11 comunità sud-americane (Uruguay e Argentina). Si calcola che oggi i Valdesi assommino in totale (1937) a circa 70.000 dei quali 45.000 in Italia, 15.000 nell'America Meridionale, 2000 nell'America Settentrionale e 8000 nei rimanenti stati d'Europa e in altri paesi.
L'organizzazione attuale della chiesa è di tipo presbiteriano. La Assemblea legislativa della Chiesa Valdese è il "Sinodo", composto di tutti i pastori e di altrettanti membri laici eletti dalle chiese. L'autorità rappresentativa e amministrativa della Chiesa Valdese è la "Tavola" eletta dal Sinodo. È composta di un presidente che ha il titolo di "moderatore", di varî pastori, ciascuno dei quali è sovrintendente amministrativo di uno dei distretti della Chiesa, e di alcuni membri laici. Una funzione particolare dell'organizzazione della Chiesa Valdese spetta al Corpo dei pastori (presieduto dal moderatore), il quale ha il compito di vegliare al mantenimento della sana dottrina. Esso ha un'azione capitale nella designazione dei professori per la Facoltà di teologia (esistente in Roma), esamina - quanto alla loro fede - i candidati al Ministero, ordina i nuovi ministri.
Alla testa di ogni singola parrocchia è il pastore assistito dagli anziani e coadiuvato dai diaconi che - tutti insieme - formano il Concistoro, o Consiglio di chiesa.
Bibl.: H. Böhmer, in Realencyklopädie für protest. Theologie und Kirche, XX, Lipsia 1908, pp. 799-840 (bibl. a pp. 799-806); A. W. Dieckhoff, Die Waldenser im Mittelalter, Gottinga 1851; W. Preger, Beiträge zur Geschichte der Waldesier im Mittelalter, Monaco 1875; K. Müller, Die Waldenser und ihre einzelnen Gruppen bis zum Anfang des 14. Jahrh., Gotha 1886; E. Comba, Storia dei Valdesi, Torre Pellice 1930; G. Jalla, Storia della Riforma in Piemonte, voll. 2, Firenze 1914, Torre Pellice 1936; id., Histoire des Vaudois des Alpes et de leurs colonies, Pinerolo 1926; M. Viora, Storia delle leggi sui Valdesi di Vittorio Amedeo II, Bologna 1930. Cfr. inoltre gli articoli pubblicati nel Bollettino della Società di storia valdese (Torre Pellice, dal 1884).