VALENTE imperatore
Imperatore romano d'Oriente dal 364 al 378. Flavio Valente nacque in Pannonia attorno al 328 da Graziano, un oscuro soldato arrivato ai più alti gradi della milizia. Allorché il suo maggiore fratello, Valentiniano, fu eletto imperatore (29 febbraio 364), dovette assumersi un collega a cui affidare il governo di Costantinopoli con la parte orientale dell'impero, e la sua scelta cadde su V., che il 28 marzo fu proclamato Augusto. V., come suo fratello Valentiniano I, era uomo di nessuna cultura, ma bene intenzionato: il suo carattere era pieno di contrasti, e a notevoli virtù si opponevano grandi difetti. Come uomo politico e generale valeva poi molto meno del fratello. Sue buone qualità erano invece un grande e sincero amore del bene dei sudditi, una vita privata virtuosa, parsimoniosa, oltre a ciò un notevole equilibrio di passioni e di idee che gl'ispirò grande tolleranza in materia religiosa. A differenza del fratello, che era niceno convinto, V. era seguace di quella forma temperata d'arianesimo che era stata consacrata dalla quarta formula di Sirmio nel 359 e in base ad essa cercò di restaurare l'unificazione della Chiesa, tentata già da Costanzo II. In un primo tempo perseguì il suo scopo con mezzi abbastanza violenti, che poi andò attenuando (v. arianesimo). I pagani furono, sostanzialmente, lasciati tranquilli.
Per ciò che riguarda altri rami della politica interna, V. operò varî sgravî d'imposte, tentò d'infrenare, senza però riuscirvi, gli abusi e l'avidità dei funzionarî. Costruì o restaurò opere di pubblica utilità e opere militari lungo le frontiere. Però, e specialmente all'inizio del suo regno, commise anche gravi errori. Tra questi furono la nomina a patrizio del proprio suocero Petronio e quella di Nebridio, impopolare per la sua avarizia e crudeltà, a prefetto del pretorio. Questi gravi errori, oltre ai primi atti della sua politica religiosa, destarono un gran malcontento, le cui conseguenze non tardarono a farsi sentire. Nella primavera del 365, mentre egli partiva per la Siria, scoppiò la rivolta di Procopio (v.), che lo mise in serio pericolo. Nel 366 la rivolta fu domata, Procopio fu ucciso, ma della vittoria si abusò con sanguinose vendette. Uno strascico della rivolta procopiana fu una prima breve guerra coi Visigoti, partigiani del ribelle nel loro attaccamento alla casa di Costantino. La guerra si chiuse vittoriosamente nel 369. Tra V. e il duca visigoto, Atanarico, fu personalmente stipulato un trattato di pace.
Negli anni dal 371 al 377 V. si recò in Asia Minore, quindi ad Antiochia. Il re Sapore II aveva invaso e occupato l'Armenia dove V. aveva inviato il duca Terenzio a restituirvi il pretendente di sangue reale, Pap, già ospite dei Romani. I rapporti tra l'impero romano e i Persiani in questi anni non sono troppo chiari. Nel 371 vi fu una battaglia presso Bagavan, in Armenia, dove i Romani rimasero vincitori. Sembra anche che V. passasse nel 373 l'Eufrate, respingendo i Persiani oltre il Tigri. La campagna rimase però indecisa, e da una parte e dall'altra si dové trascorrere molto tempo in preparativi. Alla fine si concluse una pace, con la quale si dovette abbandonare alla Persia una metà dell'Armenia, che essa occupò insieme con l'Iberia (378).
Se V. aveva concluso questa pace svantaggiosa le cause sono evidenti: nel 376 gli Unni avevano cominciato a premere sui Goti, e questi a loro volta si erano riversati sul confine danubiano, chiedendo agl'imperatori il permesso di attraversarlo e l'ospitalità nei territorî limitrofi. Ciò fu loro concesso da V. alla condizione che consegnassero le armi e come ostaggi un gran numero dei loro figli. La perfidia dei governatori e dei funzionarî imperiali che, mentre angariavano in tutti i modi i nuovi ospiti, trascurarono che la clausola sulla consegna delle armi fosse poi applicata, condusse alla guerra. Sotto il loro capo Fritigerno i Visigoti, rafforzati da schiere di Alani, Ostrogoti e Unni, si riversarono nella Tracia e, nella primavera del 378, arrivarono ad Adrianopoli: schiere isolate si spinsero fin quasi sotto Costantinopoli. Intanto V. era ritornato da Antiochia, e, apprestato un grande esercito, mosse su Adrianopoli, senza attendere l'arrivo dall'Occidente dell'imperatore Graziano, che, proprio in quel tempo, aveva trionfato degli Alemanni in Alsazia. V. attaccò il nemico presso la città, con le milizie stanche. La battaglia fu decisa da una carica della cavalleria degli Alani e Unni, che, dopo aver respinto quella imperiale, gettò lo scompiglio tra la fanteria e la respinse in strettoie tali da non potervi manovrare. V. non sopravvisse alla disfatta: o perì nella mischia, o, come si disse, morì bruciato in una capanna alla quale il nemico aveva appiccato il fuoco (9 agosto 378). La catastrofe che, sia per l'entità, sia per l'andamento tattico, è stata giustamente paragonata a Canne, ebbe la conseguenza di dare la Penisola Balcanica in balia dei Visigoti, che più non si riuscì a respingere oltre il Danubio.
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