VALENTE
Famiglia di musicisti napoletani di origine calabrese, che non risulta in rapporto di parentela con Giovanni (Napoli 1825-1890), autore di alcune opere buffe e numerose operette, commedie musicali, canzoni napoletane, né con Vincenzo (Molfetta 1830-1908), di formazione napoletana, autore soprattutto di musica sacra.
Vincenzo Maria Francesco Emanuele nacque a Corigliano Calabro il 21 febbraio 1855, primogenito di Nicola Fabio e Maria Teresa Bovio, possidenti. Trascorse un’infanzia agiata in un contesto famigliare di buona cultura; il padre praticava gli studi umanistici e si dilettava di poesia. Poco più che bambino, manifestata una precoce sensibilità musicale, fu trasferito a Napoli, dove studiò col compositore siciliano Salvatore Pappalardo (per lungo tempo maestro di contrappunto all’Albergo dei poveri). I primi componimenti furono due messe, qualche brano da camera e, nel 1869, una canzone napoletana, T’aggia parlà no poco (parole di Raffaele De Lillo).
Nel decennio successivo, proprio quale autore di melodie per canzoni, cominciò a farsi conoscere nel panorama artistico partenopeo. Si affermò negli anni Ottanta, con le prime partecipazioni ai concorsi per canzoni legati alla festa di Piedigrotta e alla collaborazione con Salvatore Di Giacomo (poco meno di quaranta titoli accomunano i due autori; tra i successi: ’A capa femmena, 1883, loro primo brano; ’E ccerase, 1888; Canzona amirosa, 1889; ’A sirena, 1897; ’E tre terature, 1898; Tarantella sorrentina, 1900; Tango napulitano, 1917). Raggiunta la notorietà, fu incaricato di dirigere il concerto allestito il 16 ottobre 1888 per la visita dell’imperatore di Germania, Guglielmo II (per l’occasione compose una Serenata per solo e coro, versi di Ferdinando Russo). Nel marzo 1890, su proposta del ministro per la Pubblica Istruzione, fu nominato cavaliere nell’Ordine della Corona d’Italia.
Frattanto, nel novembre 1879, aveva sposato la napoletana Virginia Cavalieri, da cui ebbe sei figli: Nicola (Federico Emanuele Maria Geltrude, 1880), Vittorio (Garibaldi Emmanuele Mario, 1885), Valentino (Mario Federico Carlo, 1886), Francesca (1888, nata morta), Valentino (Mario Vittorio Emmanuele, 1891), Federico (Mario Vittorio Emmanuele, 1893).
Nella sua carriera collaborò con i maggiori poeti della canzone napoletana, e non solo napoletana (su testi in italiano compose non poche romanze, tra cui Amate!, 1903, versi di Giosue Carducci): Roberto Bracco (Comme te voglio amà!, 1887; ’A primma vota, 1896), Giambattista De Curtis (Ninuccia, 1894), Pasquale Cinquegrana (Don Saverio 1895; ’O rusecatore, 1896; Muntevergene, 1898), Giovanni Capurro (Ttippete-ttappete, 1900), Aniello Califano (Tiempe belle, 1916, una delle sue ultime canzoni), Russo, col quale raggiunse gli esiti forse migliori (quasi settanta i titoli in comune, tra cui: Suonne d’oro, 1894; Comm’aggia fa?, 1895; ’O cacciatore, 1899; Manella mia!, 1907). Appunto grazie a Russo, Valente si dedicò sempre di più alla canzone di carattere comico, rivelando una spiccata vena umoristica. Con le sue prime macchiette contribuì all’affermazione di un genere caratteristico nella Napoli fin de siècle. Insieme ne scrissero soprattutto per Nicola Maldacea, il principale interprete di allora; tra le tante che spopolarono nei café-chantants, L’elegante, Pozzo fà ’o prevete? (ambedue del 1891, possono considerarsi i primi esemplari di canzone-macchietta), ’O pezzente ’e San Gennaro (1898).
Con oltre 400 brani musicati Valente è stato tra gli autori più prolifici nella storia della canzone napoletana. Molto apprezzato dagli addetti al settore dell’epoca (in occasione delle feste di Piedigrotta del 1902 e 1903 l’editore Morano pubblicò diverse sue canzoni, con due numeri unici a lui dedicati), merita oggi di essere annoverato, insieme ad altri compositori quali Luigi Denza e Mario Pasquale Costa, tra gli artisti che sul finire dell’Ottocento portarono a definizione formale la canzone napoletana cosiddetta ‘classica’.
Dalla fine degli anni Ottanta si era avvicinato al teatro musicale, nell’intento di confrontarsi con generi di maggior respiro rispetto alla canzone. L’esordio avvenne il 26 ottobre 1889 al teatro Gerbino di Torino con l’operetta I granatieri (libretto di Guglielmo Méry e Raffaele Della Campa), edita da Ricordi, a lungo rappresentata in Italia e all’estero. Seguirono un’opera comica in tre atti (Donna Paquita, 1893, Méry e Della Campa, poi ripresa modificata con i titoli Paquita, La contessa catalana, La contessa Paquita) e diverse operette: La sposa di Charolles (1894), Rolandino (1897), L’usignolo (1899), Rosaura rapita (su libretto di Di Giacomo da Lo cunto de li cunti di Giambattista Basile, edita nel 1904 da Ricordi; ma per divergenze tra questi e la compagnia incaricata d’inscenarla non fu mai allestita), Lena (1918), L’avvocato Trafichetti (1919), Nèmesi (completata postuma dal figlio Nicola), La signorina capriccio (terminata negli ultimi mesi di vita, non fu pubblicata né messa in scena). Sue musiche furono utilizzate nella rivista Ieri!… Oggi… Domani?… (1914, di R.E. Nato e C.O. Lardini, pseudonimo di Edoardo Nicolardi).
Tra il 1909 e il 1914 Valente risulta risiedere in Francia, prima a Marsiglia poi a Parigi. Le ragioni del trasferimento sono ignote, ma alcune sono ipotizzabili: l’ambizione di confrontarsi con la patria dell’operetta (di cui si reputava forse il maggiore rappresentante italiano; allora ne scrisse una anche su testo francese, Vertiges d’amour), il decadimento del sistema canzonettistico napoletano (in un articolo del 1908 si era lamentato dei meccanismi viziati ruotanti intorno ai concorsi di Piedigrotta; cfr. Valente, 1908), gli scarsi guadagni da esso derivanti (nel giugno 1899, a tutela della propria produzione, s’era iscritto alla Società degli autori).
Rientrato a Napoli allo scoppio della prima guerra mondiale, riprese a comporre canzoni (pubblicò con le case editrici Gennarelli e La Canzonetta, oltre a un nuovo numero unico, Piedigrotta Vincenzo Valente, 1917, con l’Istituto nazionale del commercio). L’ultima fu È Napule! (1921), su versi di Nicolardi.
Negli ultimi anni di vita aveva fondato una scuola di canto in casa propria in via Saverio Baldacchini al Rettifilo, dove ebbe per allievi aspiranti artisti del varietà in lingua napoletana, italiana e francese.
Morì nel primo pomeriggio del 6 settembre 1921, proprio alla vigilia della festa di Piedigrotta. Al funerale dell’indomani Libero Bovio pronunciò un discorso commemorativo, pubblicato il giorno seguente sul Mattino e sul Corriere di Napoli col titolo L’ultimo grande musicista popolare è morto. Nel 1927 l’amministrazione di Corigliano gli intitolò il Teatro comunale.
Nicola Federico Emanuele Maria Geltrude, figlio di Vincenzo, nacque a Napoli il 28 agosto 1880. La casa paterna era frequentata dai principali autori della canzone napoletana, talché il piccolo Nicola entrò presto in contatto con la musica, per la quale mostrò predisposizione. Il padre lo iscrisse al conservatorio di S. Pietro a Majella, dove si diplomò in armonia e composizione sotto la guida di Niccolò van Westerhout e Daniele Napoletano, e in pianoforte con Francesco Simonetti.
Di carattere estroso e volubile, terminò gli studi nel 1902 per intraprendere la carriera da concertista, che subito interruppe – secondo un aneddoto – dopo aver assistito con stupore a un’esibizione pianistica di Ferruccio Busoni a Milano (Di Massa, 1969, p. 166). Fatto ritorno a Napoli, si dedicò alla composizione di canzoni. Il 26 agosto 1903 sposò la concittadina Gemma Ceravolo, da cui non ebbe figli.
Già dagli anni Novanta, sulle orme del padre, aveva cominciato a musicare macchiette (su testi di Francesco Achille Bonenzio: So’ semp’ ’o stesso!; Don Pippetto; Fanny!, premiata con diploma d’onore al concorso Piedigrotta 1899 della rivista La tavola rotonda). A differenza di Vincenzo, versato in vari generi musicali, Nicola può essere ricordato quasi esclusivamente per le sue canzoni napoletane. Ne coltivò tutti gli stili, dal comico all’appassionato, e alcuni brani divennero molto popolari. Tuttavia la sua produzione non ebbe un livello pari a quello del genitore, pur rimanendo egli tra i protagonisti dell’ultima stagione della fase classica accanto a E.A. Mario (pseudonimo di Giovanni Ermete Gaeta), Gaetano Lama, Ernesto Tagliaferri.
Dal 1912, insieme al contratto della casa editrice Polyphon e a un reddito costante (fino al 1933 pubblicò anche con Gennarelli, La Canzonetta, Santa Lucia), arrivarono le prime affermazioni: Parole d’ammore (1912, su versi di Di Giacomo, di cui musicò pure Serenata a na vicina, 1913), ’E figliole (1912, Rocco Galdieri), Voca e canta (1914, Cinquegrana), Serenata a Pusilleco (1915, Russo). Come Vincenzo con Russo, Nicola ebbe con Bovio una feconda collaborazione; tra i frutti iniziali, Nun voglio fa’ niente (1913), Brinneso! (1922), L’addio (1923).
In questo periodo compose anche per il teatro musicale, a partire dalla rivista Madama Europa (1916; la ‘prima’ fu al Trianon di Milano) e dalla commedia La moglie nascosta, su libretto di Galdieri (1916; ‘prima’ al Sangiorgi di Catania). Passò poi all’operetta: nel 1918 musicò La bella Mara (tre atti, su libretto di un tal Zecchi; cfr. Annali del teatro italiano, I, Milano 1921, p. 283); nel 1923 completò la paterna Nèmesi (tre atti, Alfredo Napolitano), riproposta modificata nel 1925 col titolo Lo shimmy verde; nel 1928 scrisse insieme a Tagliaferri la musica di Mugika (tre atti, Napolitano).
Tornando alla canzone, dalla fine degli anni Venti ebbe inizio per Valente un ciclo fortunato. Nel 1927 e 1928 realizzò rispettivamente due suoi capolavori di stile comico, N’accordo in fa (su testo di un maestro della macchietta, Gigi Pisano) e ’A casciaforte (parole di Alfonso Mangione), cavalli di battaglia di Gennaro Pasquariello, cantante partenopeo tra i più acclamati. Nel 1930 fu la volta di Torna! (’sta casa aspetta a te…, canzone appassionata su testo di Pacifico Vento) e nel 1931 di Signorinella, il suo brano più celebre (testo in italiano di Bovio).
Composta su versi che, discostandosi dalla coeva retorica fascista, cantano la giovinezza in chiave patetica e nostalgica, Signorinella ha rappresentato uno dei primi segnali del tramonto della gloriosa epoca della canzone napoletana classica, con il conseguente trasferimento dell’eredità alla canzone italiana. Interpretata, tra gli altri, da Carlo Buti, Alberto Rabagliati, Achille Togliani, Claudio Villa, rimase in auge fino al secondo dopoguerra.
Bovio e Valente produssero altre canzoni fortunate, in particolare Te ne vaie (1931), Napule d’ ’e ccanzone (1931) e Sciantusella (1932), entrate nel repertorio delle dive di allora, tra cui Anna Fougez (Maria Annina Laganà Pappacena), Ada Bruges (Ida Papaccio), Gilda Mignonette (Griselda Andreatini); e Passione (musica composta in collaborazione con Tagliaferri per la Piedigrotta del 1934), che fu tra le prime pubblicazioni della Bottega dei 4, la casa editrice musicale fondata il 13 dicembre 1933 da Valente insieme allo stesso Bovio, a Tagliaferri e Lama (rimase attiva solo qualche anno). La guerra ispirò Simmo ’e Napule, paisà (1944, Giuseppe Fiorelli); Addio, mia bella Napoli (1946, Tito Manlio) e ’E denare (pubblicata postuma nel 1947) furono gli ultimi lavori.
Morì a Napoli il 16 settembre 1946. A fine carriera si era molto lamentato della graduale esclusione delle canzoni napoletane dalle trasmissioni radiofoniche, a vantaggio delle italiane, ch’egli reputava inferiori eppure destinate a prevalere.
V.V., Grandezza o decadenza di Piedigrotta?, in Piedigrotta Morano, X (1908), p. 32; D. Petriccione, È morto V. V., Roma, 7 settembre 1921; V.V., in Dizionario universale dei musicisti, a cura di C. Schmidl, II, Milano 1938, p. 638; V. Viviani, V., Giovanni, in Enciclopedia dello spettacolo, IX, Roma 1962, p. 1390; E. De Mura, Enciclopedia della canzone napoletana, I, Napoli 1969, pp. 369-376; S. Di Massa, Il café-chantant e la canzone a Napoli, Napoli 1969, pp. 155 s., 166 s.; E.G. Oppicelli, L’operetta da Hervé al musical, Genova 1985, p. 179; A. Sessa, Il melodramma italiano, 1861-1900, Firenze 2003, pp. 477 s.; C. Pittari, La storia della canzone napoletana, Milano 2004, pp. 295 s.; L. De Bartolo - L. Misurelli, I suoni dell’anima. V. V. interprete del sentimento popolare napoletano, Cosenza 2005; R. Cossentino, La canzone napoletana dalle origini ai giorni nostri, Napoli 2013, pp. 118 s., 244; A. Sessa, Il melodramma italiano, 1901-1925, Firenze 2014, pp. 890-892; P. Gargano, Nuova enciclopedia illustrata della canzone napoletana, VII, Napoli 2015, pp. 371-377.