VALENTINIANO II imperatore
Dopo la morte di Valentiniano I fu proclamato Augusto in Aquincum (22 novembre 375), il figlio d'egual nome che egli aveva avuto quattro anni prima dalla seconda moglie Giustina. Sia Valente sia Graziano, il primo in Oriente il secondo in Gallia, dovettero riconoscerlo. Graziano prese le provincie transalpine, a V. rimasero l'Italia, parte dell'Illirico e l'Africa. Data l'età di V., non si può naturalmente parlare d'una sua politica personale se non nell'ultimo anno della sua vita: per lui governarono la madre Giustina e in parte Graziano, non ostante che anche questi fosse giovanissimo. Dopo la morte di questo (25 agosto 383) gran parte degli atti di governo di V. si devono a Teodosio. Giustina, che era ariana, diede alla sua politica un indirizzo contrario ai niceni, il che doveva attirarle l'opposizione del clero ortodosso, tanto più temibile in quanto sul seggio della capitale era un uomo come sant'Ambrogio. L'effetto del contrasto fu infatti una diminuzione del prestigio e dell'autorità del governo di Milano. In tal guisa l'usurpatore, che dal 383 si era insediato in Gallia, Magno Massimo, trovò un terreno favorevole allorché nel 387 valicò le Alpi: V. e la madre dovettero fuggirsene presso Teodosio, e Massimo, che cominciò a godere d'una grande popolarità, si insignoriva dell'Italia. Dopo la disfatta e la morte dell'usurpatore per opera di Teodosio (28 agosto 388), poté V. ritornare in Occidente. Nel frattempo era morta l'imperatrice Giustina. Al giovane imperatore, precoce e intelligente, ma non ancora maturo al governo, fu dato allora per ministro e tutore Arbogaste (v.), generale di Teodosio, e ambedue si insediarono in Gallia. Ma ben presto scoppiò tra loro un fiero dissidio: il ministro era un Franco romanizzato, pagano, come tutta la sua nazione, che tributava ogni simpatia e appoggio anche al paganesimo classico; l'imperatore a sua volta, dalla tendenza arianeggiante della madre era passato alla più fervida ortodossia e venerava specialmente sant'Ambrogio. Acutizzandosi il dissidio, V., che cominciò a temere per la propria vita, invocò l'aiuto di Ambrogio, come già invano aveva invocato quello di Teodosio. Ambrogio si mise in viaggio per Vienne, dove risiedeva l'imperatore, allo scopo di riconciliarlo col suo ministro e anche per battezzarlo; ma, prima che potesse arrivare, V. era morto: fu trovato impiccato nel suo palazzo (392). Si dubitò se si trattasse di suicidio: non è assodato che la sua morte fosse ordinata da Arbogaste. A ogni modo l'opinione che questi, o mandante o attore egli stesso, ne fosse il colpevole, rimase radicata in molti, e a vendicatore dell'ucciso si atteggiò Teodosio.
Bibl.: Delle opere generali, v. specialmente E. Gibbon, History of the decline and fall of the Roman Empire, cap. XXVII; G. F. Hertzberg, St. dell'Imp. romano, trad. it., Milano 1895, p. 1056 segg.; O. Seeck, Gesch. des Untergangs der antiken Welt, V, Berlino 1913; E. Stein, Gesch. des spätröm. Reiches, I, Vienna 1928, pp. 210 e 225. Inoltre: G. Rauschen, Jahrbücher der christlichen Kirche unter dem Kaiser Theodosius dem Grossen, Friburgo 1897; A. Solari, La crisi dell'Impero romano, II, Milano-Napoli 1933.