VALENTINIANO III imperatore
Imperatore romano d'Occidente dal 424 al 455. Nacque nel 419 da Costanzo III (v.) e da Galla Placidia, sorella di Onorio; fu designato alla successione sin da quando Onorio nominò Augusto Costanzo (8 febbraio 421). Dopo la morte di quest'ultimo, Galla Placidia, non si sa precisamente per quale cagione, portando con sé il piccolo V. e la figlia Giusta Grata Onoria, fuggì a Costantinopoli, dove il governo era di fatto nelle mani di Pulcheria. Però la morte di Onorio, avvenuta qualche tempo dopo (15 agosto 423), rese possibile, dopo la breve usurpazione di Giovanni, il suo ritorno in Occidente e la successione di V.
Non sembra che i diritti di V. fossero riconosciuti senz'altro dalla corte di Costantinopoli. In un primo tempo Pulcheria e Teodosio II avrebbero ben volentieri, secondo alcuni storici, colto l'occasione creata dalla morte di Onorio e dall'essere Galla Placidia e i suoi figli completamente in loro balia, per afferrare anche l'Impero d'Occidente e restaurare l'unità dell'impero romano: fu l'usurpazione di Giovanni che indusse l'imperatore d'Oriente a recedere da quest'intenzione. Il ricollocare sul trono d'Occidente i legittimi successori di Onorio parve allora il miglior programma in nome del quale combattere l'usurpatore: V. fu nominato così Cesare in Tessalonica (424), e a cementare l'unione delle due parti dell'impero e l'alleanza tra i due rami dei Teodosidi, fu fidanzato con la figlia di Eudocia e di Teodosio II, la principessina Eudossia. Il 23 ottobre del 425, dopoché i generali di Teodosio II, Aspar e Ardabur, ebbero eliminato Giovanni, V. fu incoronato solennemente in Roma.
Il regno di V. fu uno dei più infelici: esso coincide con l'ultima e più spaventevole crisi, dalla quale il cadente impero d'Occidente non poté più riaversi. La maggior parte dei suoi territorî era già occupata da nazioni barbariche. Pochi anni dopo la sua incoronazione, i Vandali e gli Alani passarono in Africa. Li guidava Genserico. In pochi anni i Vandali s'impadronirono di quasi tutta l'Africa settentrionale; da questa regione ricca di porti essi, assuefattisi ben presto al mare, cominciarono a corseggiare il Mediterraneo. L'impero d'Occidente, che aveva dovuto anche cedere a Teodosio II una gran parte della Pannonia in compenso dell'aiuto prestato a Galla Placidia e a Valentiniano, era ridotto di fatto alla sola Italia e a porzioni isolate nella Rezia, Pannonia, Gallia, Spagna e Libia. L'Italia fu anche funestata dalla guerra civile tra Ezio e Bonifacio, che scoppiò nel 432, conseguenza della rivalità tra i due generali aspiranti alla suprema carica militare. Allorché nel 434 Bonifacio, in uno scontro col suo nemico, cadde mortalmente ferito, Ezio rimase l'unico onnipotente ministro di V. Il governo di quest'uomo geniale ritardò di qualche anno la rovina definitiva dell'impero d'Occidente. In mezzo a tanti disastri si svolgeva la minorità di V.; ma ben presto apparve che l'impero non avrebbe nulla guadagnato con la maggiore età del suo sovrano: inetto, vile, sensuale, egli non era che la copia peggiorata degli altri discendenti del grande Teodosio.
Nel 450 si riversò sull'impero d'Occidente il flagello degli Unni. Attila, al quale la sorella di V., Grata Onoria, esiliata per la sua relazione col maggiordomo Eugenio, aveva offerto la propria mano, coglieva pretesto dal rifiuto della corte di Ravenna a concedergliela per muovere contro l'Occidente. V. sarebbe stato perduto senza l'opera di Ezio, che era riuscito in quegli anni a stringere attorno a Roma quasi tutti i popoli stanziati entro i confini dell'impero; e tanto più V. era tutto nelle mani del suo ministro in quanto era venuto proprio allora a mancargli il sostegno della madre, Galla Placidia. Nell'aprile del 451, avendo Attila invaso la Gallia, Ezio riportò la grande vittoria dei Campi Catalaunici; ma proprio da questo momento i suoi nemici cominciarono a esercitare sull'animo dell'imperatore quell'opera di sobillazione contro il grande generale, che doveva condurli entrambi alla rovina. Il malumore di V. verso il suo ministro si cambiò in disprezzo, allorché, morto Attila, dovette crederne ormai superflua l'opera. L'occasione per lo scoppio della crisi non tardò a presentarsi. Ezio aspirava a imparentarsi con l'imperatore. Questi aveva sulle prime ceduto promettendogli in sposa per il figlio Gaudenzio una delle sue due figlie. L'altra era promessa a Unnerico, figlio di Genserico re dei Vandali. Il 21 settembre 454, parlandosi tra l'imperatore e il ministro del matrimonio, quegli, preso da un subitaneo accesso d'ira, si scagliò su questo e lo trafisse di propria mano. Fu un atto inconsulto: l'ucciso, il maggior sostegno dell'impero, lasciava infatti tutta una cerchia di devoti, esacerbati contro l'uccisore e desiderosi di vendetta. Né i barbari e i militari erano i soli a odiare V.: anche tra i Romani v'erano di quelli, che, offesi negli affetti domestici dal suo libertinaggio, agognavano la vendetta: tra questi il patrizio Petronio Massimo a cui V. aveva violentato la moglie. Si formò una congiura di cui questi si fece anima. Il 16 marzo 455 V., uscito da Roma (dove da poco era tornata la famiglia imperiale), fu ucciso sulla via Prenestina (presso l'odierna Tor Pignattara) da due antichi commilitoni di Ezio, Optila e Traustila. Con questi avvenimenti l'impero d'Occidente piombava in un'anarchia da cui in pochi anni doveva essere condotto alla caduta.
Bibl.: A. Güldenpenning, Geschichte des oströmischen Reiches unter den Kaisern Arcadius und Theodosius, II, Halle 1885; Th. Hodgkin, Italy and her invaders, Oxford 1892; F. Gabotto, Storia dell'Italia occidentale nel Medioevo, Pinerolo 1911; C. Bugiani, Storia di Ezio generale dell'Impero sotto Valentiniano III, Firenze 1905; O. Seeck, Geschichte des Untergangs der antiken Welt, VI, Stoccarda 1920, p. 91 seg.; A. Gitti, Eudossia e Genserico, in Archivio storico italiano, s. 7ª, IV (1925); S. Dill, Roman society in the last century of the Westener Empire, Londra 1925; M. Brion, La vie d'Attila, Parigi 1933; E. F. Gauthier, Genséric roi des Vandales, Parigi 1933; C. A. Balducci, La politica di Valentiniano III, Bologna 1934; A. Solari, La crisi dell'Impero rom., IV, Milano-Napoli 1936.