MAZZOLA, Valentino
Valentino Mazzola nacque il 26 gennaio 1919 a Cassano d'Adda, un paesotto distante una trentina di chilometri da Milano. Il padre, Alessandro, nato a Fara Gera d'Adda (Bergamo) il 1° ottobre 1882, di mestiere faceva l'operaio alla ATM (Azienda Trasporti Milanesi). La madre, Leonina Ester Ratti, nata nel 1887, lavorava nel locale stabilimento del Linificio e Canapinificio Nazionale. Valentino ebbe sette fratelli: il primogenito Pietro (1910), Giuseppe (1911, morto infante), Angelo Paolo (1913, morto infante), Ambrogio (1915, morto infante), Silvio (1920), Carlo (1924) e Stefano (1928).
Da piccolo frequentò le elementari, senza tuttavia concluderle. A undici anni si impiegò come garzone in una forneria e a quattordici fu assunto nel reparto corderia del Linificio. Cominciò, così, a dividere il suo tempo tra il lavoro e il gioco del pallone con gli amici, nei prati e all'oratorio. Passava le estati sul fiume a fare i bagni. Un giorno, mentre giocava 'alla cavalletta', gli capitò di salvare dall'annegamento Andrea Bonomi, vicino di casa, futuro calciatore anche lui e capitano del Milan.
Tifoso juventino, il biondo Tulèn – questo il suo soprannome, dall'abitudine di prendere a calci le vecchie latte che incontrava per strada – eccelleva in ogni attività atletica: in sella a una bici o nella corsa prolungata, nel nuoto a fiume e col 'balòn' tra i piedi. Capitano dell'undici del Gruppo Sportivo Tresoldi, nell'agosto del 1938 fu notato a un provino dall'ex azzurro Mario Magnozzi, allenatore del Dopolavoro Alfa Romeo Milano in serie C. Fu subito ingaggiato come ala destra e, in automatico, ebbe il posto nella fabbrica di automobili. Un salario prezioso per la famiglia, giacché quello del babbo, che sarebbe morto per incidente stradale di lì a due anni, non bastava più, la mamma da tempo non lavorava e il fratello maggiore Piero era disoccupato.
Nel 1939, di leva nella Marina Militare, fu trasferito alla Capitaneria di Venezia dove, frequentando scuole serali, conseguì finalmente la licenza elementare. Venne 'cartellinato' dal Venezia Football Club, in serie A. L'esordio da titolare nelle file dei 'neroverdi' cadde il 31 marzo 1940 a Roma, sul campo della Lazio. Alto 170 cm, di corporatura robusta (75 kg) ma agile e scattante, Mazzola giostrò da centravanti in luogo di Francesco Pernigo. Disputò le restanti partite realizzando un gol al Bari, per una vittoria che garantì ai veneziani la permanenza nella massima serie. Nella stagione 1940-41 partì, però, come riserva. Le sue rare apparizioni non convincevano l'allenatore Bepi Girani. Ma quando il tecnico delle giovanili, Giovanni Battista Rebuffo, prese le redini e lo impiegò da titolare nel ruolo di interno sinistro, le cose mutarono radicalmente.
Nel pieno della sua forza fisica, Mazzola ebbe modo di mettere in mostra le sue qualità più importanti: dribbling, tackle, senso della posizione, moto perpetuo, intelligenza tattica e una versatilità fuori dal comune, per cui lo si poteva impiegare indifferentemente in difesa, al centro e in attacco. Mise a segno nove reti e la stampa specializzata lo consacrò miglior giovane della serie A. Il Venezia giunse a contendere alla Roma, nel giugno del 1941, il trofeo Coppa Italia, poi vinto grazie a una superlativa prestazione di Mazzola, che trascinò i suoi alla rimonta dallo 0-3 al 3-3 nella prima gara di finale, giocata in trasferta allo Stadio del Partito Fascista. L'altra stella della formazione era un fiumano che gli giostrava a fianco da mezzala destra: Ezio Loik.
La coppia Mazzola-Loik conferì al centrocampo dei 'lagunari' uno spessore tecnico che consentì di condurre un campionato 1941-42 di primo piano, in lotta per lo scudetto fino all'ultimo, con avversarie la Roma e il Torino. Per Mazzola arrivò la prima convocazione in Nazionale, da parte del commissario unico Vittorio Pozzo, il 5 aprile 1942 a Genova contro la Croazia; due settimane dopo, a Milano con la Spagna, imbucò la sua prima rete in maglia azzurra.
La storica vittoria in campionato del Venezia fu di poco fallita, per cui durante l'estate i 'gemelli' lasciarono il campo Sant'Elena per trasferirsi a Torino, in un altro celebre terreno di gioco dell'epoca: il Filadelfia. L'accordo di trasferimento di Mazzola e Loik ai 'granata' era stato concluso la sera del 31 maggio 1942 dal presidente Ferruccio Novo, per una somma pari a 1.200.000 lire. Altre società avevano puntato Mazzola e tra queste la Juventus, ma Valentino Mazzola aveva indicato nel 'Toro' la sua meta preferita.
In quel 1942, il 16 marzo nella chiesa di S. Zeno a Cassano d'Adda, Mazzola convolò a nozze con una ragazza del suo paese, la diciottenne Emilia Ranaldi. A Torino, i coniugi Mazzola andarono a vivere in una casa in via Torricelli, zona Crocetta. Di lì a poco, sarebbe nato il primogenito Alessandro. La stagione calcistica fu egualmente esaltante: il Torino si aggiudicò il campionato 1942-43 grazie a un gol siglato da Mazzola all'ultimo minuto dell'ultima partita, e quindi ghermì la Coppa Italia.
La caduta del regime fascista (25 luglio 1943) indusse la FIGC (Federazione Italiana Giuoco Calcio) a sospendere i campionati. Nel nord Italia si disputarono tornei con formazioni ricavate dall'abbinamento tra i club e aziende cittadine. Mazzola militò così nel Torino-FIAT, che nel 1944 si fece sorprendere in finale dai Vigili del Fuoco La Spezia. Chiusi i 'campionati di guerra', il 1° febbraio 1945 la famiglia Mazzola salutò l'arrivo del secondogenito, Ferruccio. Anche il Torino si rimise in pista, guidato da Luigi Ferrero con la supervisione dell'ungherese Egri Erbstein. Come schieramento di gioco, Ferrero e Erbstein adottarono il 'Sistema' o 'WM', tattica che privilegiava la corsa e l'assalto incessante.
Il contributo di Mazzola al trionfo nella Divisione nazionale 1945-46 (dieci punti di vantaggio sulla Juventus) si sostanziò in 35 partite e 16 gol. Nel 1946-47 il numero dieci del Torino realizzò 29 delle 105 reti del cosiddetto attacco-mitraglia, capocannoniere del torneo davanti al milanista Ettore Puricelli. Famosi per antonomasia diventarono i 'quarti d'ora granata', quando 'capitan Valentino' suonava la carica ai compagni e ogni partita si risolveva in positivo. Pozzo trasferì quasi per intero il 'grande Torino' in azzurro. L'11 maggio 1947 l'Italia affrontò l'Ungheria forte di dieci torinisti: Ballarin, Maroso, Grezar, Rigamonti, Castigliano, Menti II, Loik, Gabetto, Mazzola, Ferraris II; all'appello mancava solo il portiere Bacigalupo.
Problemi venivano, nel frattempo, dalla situazione famigliare. Nell'autunno del 1946, Mazzola si separò consensualmente da Emilia Ranaldi. Difficile comprenderne i reali motivi, ma bisogna considerare che Mazzola aveva un carattere chiuso e faceva del pallone il centro di tutta la sua vita. Fuori del terreno di gioco, la sua timidezza di persona di poche parole e schiva, proveniente dal ceto rurale, era palese negli ambienti borghesi che facevano da sfondo al calcio professionistico. Dentro il campo, con una maglietta sudata aderente al torace e scarpini bullonati ai piedi, Valentino si trasformava, assumendo una personalità che lo rendeva un capo carismatico per i compagni.
Il 9 ottobre 1947 una sentenza del Tribunale di Ilfov (Romania) annullò il matrimonio, pur rimanendo ineffettiva per le leggi italiane. Mazzola dovette far fronte a due cause legali intentategli dalla moglie. Allacciò allora una relazione stabile con un'aspirante 'miss Torino', Giuseppina Cutrona, che impalmò il 20 aprile 1949 a Vienna: nozze registrate 89 giorni dopo la sua morte con effetto retroattivo allo Stato civile di Torino. Anche i figli subirono il disastro degli affetti: 'Sandrino' rimase a Torino col padre e la matrigna, Ferruccio si trasferì con la madre a Cassano d'Adda; i due fratelli tornarono insieme solo nel maggio del 1949.
Nonostante questi gravi crucci nella vita privata, ottimi continuarono a essere i risultati sul fronte sportivo. Nella stagione 1947-48, le reti del Torino toccarono la cifra record di 125, e 16 furono i punti di margine sul Milan. Mazzola fu vice-cannoniere alle spalle dello juventino Giampiero Boniperti. Il fuoriclasse aveva dato il suo nome a un pallone, ma i guadagni modesti che ricavava rimanendo nelle file del Torino FC non gli bastavano più, tanto che il 29 giugno 1948 annunciò il suo prossimo addio. Novo lo convinse a resistere alle lusinghe del presidente dell'Inter, Carlo Masseroni, e il campionato 1948-49 iniziò tra le polemiche. L'irrequietezza del capitano, attenuata da un nuovo ingaggio che prevedeva per lui uno stipendio doppio rispetto ai compagni, non impedì al Torino di presentarsi in testa al rush finale, inseguito dalla rivale Inter.
Il 24 aprile 1949 Mazzola segnò l'ultima rete in carriera: la numero 139 in 274 gare ufficiali. Non stava bene, ma decise di unirsi a una trasferta aerea a Lisbona, dove il Torino era chiamato a esibirsi col Benfica nel giorno dell'addio al calcio di Francisco Ferreira, suo amico e capitano della nazionale lusitana. Di ritorno dal Portogallo, alle 17.05 del 4 maggio 1949, l'aereo FIAT G 212 che trasportava la squadra, i dirigenti e i tre giornalisti al seguito (Renato Casalbore, Luigi Cavallero, Renato Tosatti), a causa d'una nebbia fitta si schiantò contro il muro della Basilica di Superga, sulla collina omonima antistante la città. Morirono le 31 persone a bordo.
La tragedia di Superga commosse profondamente il Paese, e fu proclamato il lutto nazionale. Il 6 maggio una folla calcolata in mezzo milione di persone seguì i funerali, con le salme portate solennemente in corteo fino al Duomo. La FIGC diede al Torino il titolo di campione 1949, pur mancando quattro turni al termine del torneo.
Valentino Mazzola riposa oggi, insieme ai suoi compagni in maglia granata, in un'area riservata del Cimitero monumentale di Torino. Viene considerato il giocatore più completo nella storia del calcio italiano.
Il 'dna' del mitico campione, mai dimenticato, ha avuto sviluppi grazie alle carriere sportive seguite dai suoi due rampolli. Non tanto nel minore, Ferruccio, nato a Torino il 1° febbraio 1945 e morto a Roma il 7 maggio 2013 e giocatore nelle file del Lecco, della Fiorentina e della Lazio, poi allenatore nelle serie B, C e tra i dilettanti, quanto piuttosto nel maggiore, Alessandro detto Sandro, nato a Torino l'8 novembre 1942. Un interno d'attacco e mezzala di regia di finissimo talento e bruciante scatto, alto 179 cm per un peso forma di 74 kg.
Come il padre, anche 'Baffo' Mazzola, che nei primi anni Settanta ha conteso a Gianni Rivera, il capitano del Milan suo 'rivale' per antonomasia, la palma di più forte centrocampista della serie A, va ritenuto uno dei migliori esponenti del calcio italiano di tutti i tempi: lo dicono i risultati. Con indosso la casacca dell'Inter, società nella quale ha militato dal 1960 al 1977 partendo dalle giovanili, Sandro ha vinto quattro scudetti (1963, 1965, 1966, 1971), due edizioni della Coppa dei Campioni (1964, 1965) e altrettante della Coppa Intercontinentale (1964, 1965). Sommano a 418 le presenze e a 116 le reti realizzate per i 'nerazzurri'. Ugualmente glorioso il carnet ottenuto con la Nazionale: 70 partite giocate e 22 reti segnate, con l'atout della conquista della Coppa Henry Delaunay, il Campionato d'Europa per Nazioni, nel 1968 a Roma. Nel giugno del 1970, sulle alture del Messico durante i Campionati del Mondo, fu protagonista della chiacchieratissima staffetta con Rivera, elaborata dal commissario tecnico Ferruccio Valcareggi per arrivare a disputare al Brasile di Pelè la finalissima della Coppa Rimet.
Appesi gli scarpini al chiodo, Sandro Mazzola si è speso per molti anni come dirigente dell'Inter. Quindi ha abbracciato la professione di giornalista opinionista e commentatore televisivo. Unico neo, il forte contrasto scoppiato col fratello Ferruccio al momento della pubblicazione da parte di quest'ultimo di alcune interviste ai giornali che formalizzavano le note accuse di doping rivolte alla 'Inter euro-mondiale' del presidente Angelo Moratti e del manager Helenio Herrera.
Brindisi a mezzanotte per i coniugi Mazzola. Il matrimonio viennese nei racconti di Valentino, in Nuova Stampa sera, 22-23 aprile 1949; G. Cutrona, Valentino racconta…, Torino 1950; A. Ghirelli, Storia del calcio in Italia, Torino 1954 (1990), pp. 325-343; G. Brera, Storia critica del calcio italiano, Milano 1975 (1999), pp. 215-218; G. Gandolfi, V. M. Novo lo soffiò alla Juve, in Calciomese alè Toro, 1977, n. 1, pp. 22 s.; S. Mazzola, La prima fetta di torta, a cura di L. Falsiroli, Milano 1977, pp. 7-11; G. Rocca, Torino amore e morte, in Il calcio è una scienza da amare, a cura di W. Veltroni, Milano 1982, pp. 109-111; M., V., in Dizionario del calcio a cura della redazione de La Gazzetta dello Sport, Milano 1990, p. 117 (e Mazzola, Sandro); A. Papa - G. Panico, Storia sociale del calcio in Italia. Dai club dei pionieri alla nazione sportiva (1887-1945), Bologna 1993, p. 236; R. Tavella,Valentino Mazzola. Un uomo, un giocatore, un mito, Torino 1998; J. Foot, Calcio. A history of italian football, London 2007, pp. 168-171; F. Mazzola, Il terzo incomodo. Le pesanti verità di Ferruccio Mazzola, Torino 2006; I. Balbo, Novo, Ferruccio, in Dizionario biografico degli Italiani, LXXVII, Roma 2013, p. 836.