PIVETTI, Valentino
PIVETTI, Valentino. – Nacque il 5 marzo 1903 a Cento di Ferrara, primogenito di Quinto e di Zenaide Mignatti, in una famiglia abbastanza agiata, proprietaria di un mulino a Renazzo a pochi chilometri da Cento.
All’età di sei anni fu condotto dalla madre a Bologna a vedere volare su un Bleriot il pioniere dell’aviazione Romolo Manissero: si trattò di un’evoluzione brevissima, ma sufficiente ad accendere in Valentino la passione per il volo. Dopo le elementari frequentò l’Istituto industriale dove le esercitazioni pratiche in officina furono l’unico aspetto che riuscì a interessarlo. Quando, nel 1922, fu arruolato e mandato al distretto militare di Pavia, fece domanda di ammissione a un corso per allievi motoristi della costituenda aviazione militare italiana. Ammesso al corso, fu assegnato al Centro scuole motoristi e montatori di Capua, terminato con successo. Accettata la ‘ferma’ di tre anni, rimase poi nella scuola come istruttore. In quel periodo si interessava ben poco alle vicende politiche del Paese, ma la sua passione per gli aerei gli fece apprezzare senza riserve l’attenzione del regime fascista per lo sviluppo dell’aviazione italiana.
Terminata la ferma e il periodo di insegnamento, tornò a casa deciso a non impegnarsi nell’impresa molitoria di famiglia. Informato da un ex collega di Capua dell’apertura della linea aerea civile Venezia-Vienna, si presentò alla direzione della società Transadriatica che, costituitasi nell’agosto del 1925 su iniziativa della tedesca Junkers GmbH, era allora alla ricerca di personale. Grazie alla sua esperienza di istruttore motorista fu subito assunto.
Il gruppo occupato a rendere operativa la linea era composto in quei primi tempi da Pivetti e da appena altre quattro persone: un pilota, un tecnico tedesco della Junkers, un motorista tedesco e un operaio motorista. La società disponeva di un unico aereo, uno Junkers F13, che a ogni guasto andava riparato nel più breve tempo possibile per non interrompere la linea. Il motorista volava accanto al pilota, ne seguiva le manovre durante le partenze e gli atterraggi e gli era spesso permesso di tenere i comandi.
Pivetti poté accumulare una preziosa esperienza sui diversi tipi di vento e di nubi e sui loro effetti sulla navigazione. A seguito di un episodio di caduta ‘in vite’ dentro le nubi in zona montagnosa, causato da una manovra avventata del pilota, decise – per il futuro – di affidarsi solo alle sue capacità personali. La decisione fu altresì rafforzata da ragioni private: essere un semplice motorista lo avrebbe costretto a rinunciare alla fidanzata, Claudina, laureata in chimica e farmacia all’Università di Pavia, il cui padre, dottor Ferdinando Spegazzini, gli aveva vietato di vederla e di scriverle fintanto che non avesse raggiunto una posizione adeguata per poterla sposare. Pivetti decise così di diventare al più presto pilota e di conseguire il brevetto di 1° grado a proprie spese (con un anticipo della Transadriatica da restituire con trattenute mensili sullo stipendio). La prova d’esame fu superata «per la perizia dimostrata» – così recitava il verbale – «nell’atterraggio fuori campo causato dall’arresto del motore» (Autobiografia, p. 32). Nei primi mesi del 1929 ottenne anche il brevetto di 3° grado (il primo brevetto civile di 3° grado in Italia) e nel luglio dello stesso anno, a soli 26 anni, compì il primo volo da comandante.
Nel 1931 sposò Claudina, dalla quale ebbe cinque figli: Luciano (1932), che sarebbe a sua volta diventato pilota civile, Annamaria (1936) architetta, Marco (1938) magistrato, Massimo (1940) economista, Paola (1942) oftalmologa.
Gli anni Trenta furono il periodo più felice della loro vita di coppia. Abitavano al Lido di Venezia in un grazioso villino e lo stipendio di comandante permetteva loro di condurre una vita agiata. Nel frattempo ministro dell’Aeronautica era diventato Italo Balbo, convinto sostenitore di un’unica aerolinea di Stato verso la quale convogliare tutti i finanziamenti fino a quel momento erogati sotto forma di sovvenzioni a vettori privati. Così, alla fine del 1931 le linee in concessione alla Transadriatica furono trasferite dal ministero alla statale Società aerea Mediterranea (dall’ottobre 1934 Ala littoria), con le sue officine dell’aeroporto di S. Nicolò al Lido, il suo personale navigante e la sua flotta composta di sette monomotori F13 e due trimotori G24.
Pivetti continuò a sorvolare le Alpi verso Vienna, Monaco e Berlino e gli Appennini verso Firenze, Roma e il Sud della penisola su aerei sempre più potenti e sicuri. La cabina di pilotaggio di entrambi gli Junkers, l’F13 e il G24, era ancora all’aperto, non accessibile dal compartimento dei passeggeri, ma nel 1931 – con i trimotori Savoia Marchetti 71, dotati finalmente di una cabina di pilotaggio coperta – i piloti poterono sbarazzarsi di combinazione e caschetto di cuoio, stivaloni esquimesi e guanti ed essere in grado di volare un po’ al di sopra dei 5000 metri. L’esperienza di volo strumentale da lui accumulata in quegli anni, specialmente in relazione alla navigazione attraverso le nubi e alle formazioni di ghiaccio sulle ali e le eliche, fu raccolta in alcuni suoi articoli pubblicati sulla Rivista aeronautica tra il 1934 e il 1940, citati anche in diverse riviste tecniche straniere (Revue aeronautique internationale, Revue maritime, The Royal Air force quarterly, Revista maritima brasileira).
Poi vennero la guerra e i suoi lutti. Per Pivetti il più doloroso fu la perdita del fratello Loris, di cinque anni più giovane, laureato all’Università Ca’ Foscari in economia e commercio e anche lui pilota (medaglia d’oro al valore aeronautico). Il 20 aprile 1941 il suo Savoia Marchetti 82 era scomparso in volo al rientro a Roma da Bengasi.
All’inizio della guerra, anche Valentino Pivetti era passato sul Savoia Marchetti 82 e, come capo equipaggio dei Servizi aerei speciali, aveva compiuto numerosi voli per Bengasi, Tobruk e Asmara. Partecipò al trasporto dei soccorsi destinati alle truppe rimaste isolate in Russia e, successivamente, fu nominato responsabile dell’Aeronautica dell’Egeo con sede a Rodi. Infine, nell’agosto del 1943, assunse la guida della sezione volo della Casa reale e in tale veste, il 9 settembre dello stesso anno, fu testimone della fuga del re, del governo e dei vertici militari. Accadde all’aeroporto di Pescara, dove era stato convocato con la sezione volo in attesa di ordini. Insieme al suo equipaggio Pivetti rimase senza disposizioni di sorta e scelse di dirigersi al Sud dalla parte degli Alleati. Poté tornare a Roma solo il 6 giugno 1944, al seguito delle truppe anglo-americane e come pilota del principe di Piemonte Umberto di Savoia (appena nominato luogotenente del Regno).
La fine della guerra e il successivo seppur accidentato stabilirsi di una ‘normalità’ repubblicana aiutarono Pivetti e Claudina a superare lo iato, anche politico, che si era formato tra loro in quei lunghi mesi.
All’inizio del 1947 riprese a volare come pilota civile, assunto con le funzioni di capo pilota dalla neocostituita Alitalia, società dipendente dall’IRI, finanziata anche con capitale inglese.
La flotta fu costituita inizialmente da due soli tipi di aereo: il Lancastrian, un quadrimotore inglese da bombardamento a grande autonomia la cui fusoliera era stata trasformata in cabina per 13 passeggeri, e il quadrimotore Savoia Marchetti 95. Con il Lancastrian Pivetti effettuò il primo collegamento aereo del dopoguerra dell’Italia con l’Eritrea, e nei primi mesi del 1948 il volo-prova per il Sudamerica con scali a Dakar, Natal, Rio de Janeiro e Buenos Aires. Con il secondo, il primo volo Roma-Oslo, nel luglio 1947, e il primo collegamento con Parigi, nel gennaio 1948.
Questa esperienza lo indusse a giudicare il Savoia Marchetti 95 «un aereo completamente inadatto alle rotte del Nord Europa» perché, in aggiunta a una strumentazione di bordo inadeguata contro le formazioni di ghiaccio e agli atterraggi con scarsa visibilità, «aveva una struttura in legno, tela e tralicci di acciaio soggetta a fulmini capaci di provocare danni imponenti» (Autobiografia, p. 47). Pochi giorni dopo la formulazione di questo giudizio un SM 95 della compagnia proveniente da Parigi venne colpito da un fulmine e precipitò in fiamme all’altezza di Tarquinia, determinando la messa a terra di tutti gli apparecchi di quel tipo. Iniziò così per Alitalia l’epoca degli aerei americani.
Nel 1950 Pivetti fu inviato a Miami presso la PAN AM per l’addestramento sul Douglas DC 4 e nel 1953 a Denver e a San Diego per l’addestramento a terra e in volo sul Convair 340, un bimotore a suo giudizio dalle qualità aerodinamiche meravigliose. Insieme a due colleghi lo portò in Italia e nel viaggio di trasferimento riuscirono a effettuare per la prima volta, con quel tipo di aereo, la traversata del Nord Atlantico da Gander a Shannon con un volo diretto di otto ore e dieci minuti. Dopo il DC 4 e il Convair la flotta Alitalia si arricchì, sempre con Pivetti come capo pilota, dei quadrimotori DC 6 e DC 7C (ultimo sviluppo della formula con motori a pistoni) e dell’inglese a medio raggio Viscount, dotato di quattro motori Rolls Royce a turboelica.
Pivetti smise di volare nel 1962, prima dell’inizio dell’impiego da parte di Alitalia di aerei con motori a getto. Svolse fino al pensionamento incarichi ispettivi e nel comitato di sicurezza della compagnia, ma senza trarne grandi soddisfazioni: la sua principale passione rimase volare come comandante di linea e formare nuovi piloti.
Morì a Roma, nel suo letto, il 29 gennaio 1987, cinque anni prima della moglie.
Opere. Rilevamenti radiogonometrici e una fonte d’errore, in Rivista aeronautica, X (1934), 4, pp. 88-91 (con Loris Pivetti); La navigazione aerea attraverso le nubi. Le formazioni di ghiaccio, ibid., XII (1936), 2, pp. 171-202; La potenza dell’arma aerea e l’elemento sorpresa, ibid., 11, pp. 198-211; La formazione rapida ed economica del navigatore completo, ibid., XIV (1938), 1, pp. 36-52, 2, pp. 256-269; La potenza dell’arma aerea e la guerra di rapido corso, ibid., XV (1939), 3, pp. 491-502; La navigazione aerea attraverso le nubi, le formazioni di ghiaccio ed altri scritti, Bari 1940; Tecniche ed impiego nei servizi di trasporto aereo, in Rivista aeronautica, XVIII (1942), 4, pp. 1-17; Il primo travagliato volo sperimentale, in Sâl. L’isola del Capo Verde entrata nella storia dell’aviazione commerciale italiana, a cura di G. Lazzeri - A. Pellegrino, Bivigliano 2001, pp. 31-35 (tratto dall’Autobiografia).
Fonti e Bibl.: Il dattiloscritto dell’Autobiografia di Pivetti (1979) è conservato presso la famiglia.
Per un inquadramento dell’aeronautica militare e civile cfr. R.E.G. Davies, A history of the world’s airlines, London - New York 1964; F. Pricolo, La Regia aeronautica nella seconda guerra mondiale: novembre 1939 - novembre 1941, Milano 1971; Storia dell’aviazione di linea, a cura di B. Catalanotto - C. Falessi, Firenze 1990; A. Pellegrino, Quelli della stanza uno. I primi cinquant’anni dell’Alitalia, Milano 1997; A Ferrari, Storie di aerei e piloti, in Pegaso, XXXIII (1997), 3, pp. 20-25; Come un’araba fenice. La rinascita dell’aviazione commerciale italiana, 1947-1957, a cura di A. Pellegrino, supplemento a Pegaso, XXXIV (1998), 3.