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VALENZUELA y ENCISO, Fernando

di Nino Cortese - Enciclopedia Italiana (1937)
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VALENZUELA y ENCISO, Fernando

Nino Cortese

Nato a Napoli il 17 gennaio del 1636, morto a Messico il 7 gennaio 1692. Dal padre, un capitano avventuriero, che morì quando egli era ancora bambino, ebbe in eredità soltanto un ardente spirito d'avventura; ma, in cambio, questo dominò tutta la sua vita.

Nei primi anni andò ramingo in Spagna e in Italia, ansiosamente cercando una fortuna, che non gli potevano procurare né la carriera ecclesiastica né quella militare, per le quali non era portato, né quella degli impieghi, dalla quale rifuggiva per mancanza di solidi studî e preparazione e per la sua superbia di hidalgo. Così, orfano, si recò in Spagna con la madre nel 1640; poi, messosi sotto la protezione del duca d'Infantado, lo seguì in Sicilia quando questi vi si recò come viceré nel 1651; in seguito, nel 1655, ritornò a Napoli. Finalmente trovò la propria strada nel 1661, allorché il matrimonio con Maria Ambrosia de Uceda, criada della regina, gli aprì le porte della corte. Da quel giorno la sua carriera fu rapidissima. Abilmente sfruttando gl'intrighi e le lotte intestine che lacerarono gli ultimi anni del regno di Filippo IV, e che erano chiara prova della profonda decadenza del paese divenuto facile preda degli avventurieri, traendo profitto da una ferita riportata in servigio del re e divenendo segreto informatore della regina Maria Anna Teresa d'Austria, seppe conquistare la simpatia di quest'ultima, e, se non i suoi favori, come si affermò insistentemente, certamente la sua incondizionata fiducia: allora ebbe il soprannome di el duende de Palacio. Poi, la sua potenza fece passi prodigiosi durante la reggenza, in nome del piccolo Carlo II, della regina sua protettrice e durante il governo di Giovanni Evererdo Nithardt, del quale seppe assicurarsi l'appoggio. Allora, per crearsi un ambiente favorevole e spianarsi la strada a sempre maggiori onori cercò di raggiungere la popolarità fornendo lavoro e mezzi al popolo di Madrid, e di vincere l'opposizione e le diffidenze dell'aristocrazia largheggiando nella concessione d'incarichi e di ricompense. Così al terminare della reggenza ottenne il titolo di marchese di San Bartolomé de Villasierra; e ormai padrone dell'animo della regina - per la lotta senza quartiere ingaggiata con Don Giovanni d'Austria e dopo la caduta del Nithardt sempre più bisognosa di avere accanto un uomo di piena fiducia - mosse alla conquista del potere. Le sorti della contesa dapprima volsero incerte ché Don Giovanni d'Austria riuscì ad impedire un prolungamento della reggenza per due altri anni (4 novembre 1675) e dei due pretendenti al potere Don Giovanni fu inviato in Italia e il V. fu nominato ambasciatore a Venezia. Poi, quest'ultimo, che al pari dell'altro non aveva raggiunto la nuova sede, seppe insinuarsi nell'animo del sovrano; e parve che la vittoria gli dovesse arridere. Infatti il 22 settembre 1676 riuscì a far sospendere le riunioni della giunta di governo e a farsi affidare le sue funzioni; in seguito ottenne il grandato di Spagna; e infine seppe persuadere il re ad ordinare che tutti i presidenti dei consigli, tranne quello di Castiglia, dovessero dipendere da lui. Ma allora nobiltà e funzionarî domandarono al monarca l'allontanamento del V., il ritiro della regina e il richiamo di Don Giovanni; il re dovette cedere; e il V., riparatosi nell'Escoriale e qui fatto prigioniero, fu condannato al sequestro dei beni - così si vide che la fortuna da lui accumulata era enorme - e dal tribunale ecclesiastico alla relegazione a Cavite nelle Filippine (28 febbraio 1678); poi si recò a Messico, dove morì.

Bibl.: G. Maura Gamaze, Carlos II y su Corte, Madrid 1911.

Vedi anche
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