VALERIANO imperatore (P. Licinius Valerianus)
Era di nobile origine. Scarse o malsicure le notizie sulla sua vita e specialmente sul periodo precedente a quello dell'impero. Rivestì il I consolato prima del 238. Non è chiaro quale parte avesse nel 238 durante la sollevazione dei Gordiani. Sotto Decio dovette occupare un posto importantissimo nel governo dell'impero, per quanto sia da respingere la notizia della Storia Augusta che ne fa un censore con estesi poteri, scelto dal senato per invito di Decio: il compito che l'imperatore gli affidò sembra essere stato quello di sostituirlo all'interno e di curare particolarmente l'esecuzione delle misure contro i cristiani, mentre egli era occupato alla frontiera a tenere testa ai barbari. Nel 253 (o 252) V. si trovava nella Rezia, esercitando funzioni la cui natura ed estensione è difficile precisare ed era incaricato da Treboniano Gallo di radunare milizie per combattere l'usurpatore Emiliano. Avvenuta la morte di Treboniano, prima che V. potesse intervenire, le truppe ai suoi ordini nella Rezia, lo acclamarono imperatore. Alla notizia dell'avanzarsi di V. i soldati uccisero Emiliano e passarono a V. Il senato lo riconobbe volentieri e con le migliori speranze (253). V. prese subito come correggente il figlio Gallieno. Data la situazione militare difficilissima, perché i nemici premevano sulle frontiere nei punti più distanti, dall'Africa al Danubio, dal Reno all'Eufrate, V., ritenendo impossibile di tenere da solo il comando supremo, decise di dividere col figlio il compito della difesa dell'impero, affidandogli la condotta della guerra in Occidente, mentre egli si riservava la direzione delle operazioni nelle provincie orientali. Qui i Persiani di Sapore I invadevano la Siria e pare occupassero temporaneamente Antiochia nel 255 o 256. Recatosi in Oriente, V. si preoccupò anzitutto di ristabilire la situazione nella Siria, dove andò personalmente, ponendo il quartiere generale ad Antiochia, e si valse della collaborazione di Successiano, che richiamò da Pityus sul Ponto, da lui difesa vittoriosamente contro l'attacco dei Borani. Riportò sui Persiani dei successi, celebrati sulle monete, dove appare anche esaltato come Restitutor Orientis. Avvenuta l'invasione dei Goti nell'Asia Minore, V. inviò a Bisanzio, perché provvedesse alla difesa, un generale Felice non meglio conosciuto e in persona si avanzò con l'esercito da Antiochia nella Cappadocia, per ritornare però indietro subito dopo, giacché i nemici erano in ritirata alla volta delle loro sedi. Ma Sapore, ripresa l'offensiva, stringeva d'assedio Edessa. V., il cui esercito era stato colpito da una pestilenza che vi aveva fatto strage, dapprima esitò ad andare in soccorso della città, poi vi si decise, e questo provocò la catastrofe per cui un imperatore romano cadde nelle mani dei Persiani e finì la sua vita in prigionia. Come avvenne la cattura di V. non è chiaro. Quale data dell'avvenimento comunemente si indica il 260, qualcuno però pone in quest'anno la morte di V., nel 259 la sua cattura; è stato fatto anche il tentativo di porre questa nel 257, ma a torto, perché documenti e avvenimenti impediscono di risalire al di là del 259. Ad ogni modo si può far finire con certezza il periodo dell'impero di V. col 260.
Sulla politica interna di V. scarse in generale o poco attendibili sono le notizie. È lecito tuttavia affermare che essa fu ispirata a un indirizzo conservatore e al buon accordo col senato: questo si può dedurre dalla politica di Gallieno che fu del tutto in contrasto con quella del padre e dall'unica misura di V. su cui siamo esattamente informati, la persecuzione contro i cristiani. Dopo essere stato per alcuni anni tollerante verso il cristianesimo, V. riprese con maggior vigore la politica di restaurazione religiosa di Decio, promulgando nel 257 un primo editto con cui esigeva dai cristiani l'osservanza delle cerimonie del culto statale, vietava loro di riunirsi in assemblea e di entrare nei cimiteri, che confiscò insieme con tutti i beni dei cristiani. Ben più duro il secondo editto emanato nel 258 con cui puniva con la morte i vescovi, i preti, i diaconi e anche i senatori, i cavalieri e gli alti funzionarî dello stato che dopo la perdita della loro dignità continuassero a professare la fede cristiana; per altri disponeva l'esilio, la confisca dei beni e i lavori forzati. Sull'esecuzione del II editto nelle varie provincie non molte le notizie, ma ce ne sono abbastanza particolareggiate per Roma, l'Africa e la Spagna Tarraconese. Le vittime più illustri furono a Roma S. Sisto II e S. Lorenzo, in Africa S. Cipriano.
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