CASTELLO, Valerio (Valeriano)
Figlio del pittore Bernardo e della sua seconda moglie Cristofina (o Cristoforina) Campanella, nacque a Genova il 15 dic. 1624 (Labò, 1926; Alfonso, 1968, 1, p. 34).
A questa raggiunta precisione di dati riguardanti la nascita non corrispondono documentazioni altrettanto confortanti circa le vicende della breve vita del C., e soprattutto risultano carenti gli elementi cronologici a sostegno delle opere, in modo che la vicenda stilistica del pittore risulta tuttora piuttosto problematica. Le antiche fonti (Soprani, Ratti), riprese dalle successive note biografiche, riferiscono di una vita di studi appassionati, di un'attività intensa, di una produzione che risuona eccezionalmente ricca, ma sempre tale da non giustificare, per un pittore vissuto trentaquattro anni, l'attuale situazione, non sempre accettabile, dei mercato e del collezionismo antiquario.Perduto il padre nell'ottobre del 1629, sotto la tutela del- fratello Torquato Angelo, che, senza essere il primogenito, come credette il Soprani, aveva funzioni di patria potestà, il C. fu avviato alle humanae litterae:una humanitas così autentica ed assimilata ed insieme così attualizzata, che ne rimarrà imbevuta tutta la sua opera. Accanto a questa educazione di base, c'è l'esercizio sui disegni lasciati dal padre, che egli "ricopiava con industriosa puntualità" e, più avanti, lo studio sugli affreschi di Perin del Vaga nel palazzo Doria in compagnia dei giovani pittori suoi amici. Ed è in questo momento che il C. "prende i principi dell'arte" sia pure "senza la direzione di maestri".
È quindi il primo manierismo toscano e romano rappresentato anche dal Beccafumi, seguito dal più tardo manierismo del Sorri e del Brandimarte (si confrontino la pala del Brandimarte rappresentante la Decollazione del Battista nella chiesa di S. Pietro in Banchi in Genova e l'affresco del C. col medesimo soggetto, opera giovanile, già nella cappelletta del palazzo Sacchi Nemour - già Branca Doria -, ora al Museo di architettura e scultura ligure di S. Agostino a Genova), che costituisce il più remoto sostrato della cultura figurativa locale, e al quale va aggiunto, come riconoscono tutte le fonti antiche e le moderne ricognizioni sull'argomento, l'indiscutibile apporto dì Barocci, di Rubens, di Van Dyck, di Giulio Cesare Procaccini e degli altri milanesi.
Del resto, dal Soprani (p. 231) si apprende che, decisa per il giovane C. una educazione più tecnicamente artistica, egli fu mandato, per l'apprendistato, alla bottega del Fiasella e anche a quella di Giovanni Andrea De' Ferrari. La stessa fonte precisa che di queste esperienze il giovane pittore rimase insoddisfatto, e forse fu proprio l'impossibilità, mentale e di sensibilità, di aderire al mondo, severamente condizionato dalla realtà, dei suoi maestri o alla delusa ricerca di conciliare realtà e fantasia, che lo spinse al viaggio a Milano: era accompagnato da Agostino Merano (fratello del pittore G. B. Merano che gli sarà vicino nella professione e porterà a termine alcune opere lasciate incompiute dal Castello). A Milano il C. sarebbe stato spinto dal bisogno di approfondire la conoscenza del Procaccini, le cui opere, eseguite a Genova dal 1618 al 1620, sono tali da far intuire la misura dell'influenza su di lui. Ma è chiaro che tutta l'arte figurativa lombarda sarà importante per il C., non solo nel linguaggio, ma proprio nel carattere drammaticamente interpretativo: lo dimostrano particolarmente le due tele del Museo di Asti rappresentanti rispettivamente la Morte di Lucrezia ed un altro Episodio classico (Biavati, 1972, pp. 52, 55), e ancora una Lucrezia (Genova, coll. privata; Marcenaro, 1969; Griseri, 1970, p. 67, che l'attribuisce erroneamente a Biscaino; Manzitti, 1972, p. 159), dipinti tutti nei quali appaiono, accanto ai residui del cosiddetto "naturalismo", le altre esperienze giovanili, volte però ad una dinamica compositiva e gestuale che presuppone l'urgere della sensibilità barocca. Non a caso il comune denominatore della cultura figurativa milanese sfocerà dopo il sesto decennio del secolo nel fenomeno di un certo, e tutt'altro che stretto, parallelismo tra il C. e Carlo Francesco Nuvoloni. Il viaggio a Milano fu seguito da quello a Parma: prese corpo, cioè, per il C. l'interesse, finora mediato, non solo per Correggio ma anche per Parmigianino (Gavazza, 1971, p. 201, fig. 131).
Per pura deduzione, questo viaggio si può fissare tra il 1640 e il 1646, periodo nel quale tuttavia dovrebbero collocarsi anche opere che non riesce agevole identificare tra quelle' che, pur attendibilmente, sono attribuite al pittore. Al 1646-1647 vengono datati i due dipinti dell'oratorio di San Giacomo della Marina a Genova, la Vocazione e il Battesimo del santo titolare (Alizeri, 1846, p. 399; Castelnovi, 1953, p. 20; Manzitti, 1972, p. 102).
Nel Battesimo il C. ha già risolto parecchi dei problemi del linguaggio barocco, specialmente quello della dinamicità dello spazio, soluzioni che sembrerebbero essere destinate a sbocciare negli affreschi più tardi. Per la verità, in questo dipinto così denso di sollecitazioni culturali che vanno dal Veronese e dal Tintoretto al Procaccini e al Rubens, non è neppure del tutto superata quella sensibilità naturalistica, che è l'unico legame con il clima del primo Seicento genovese.
Dopo questa ipotesi cronologica, i dati documentari atti a sostenere la trama storica del percorso stilistico del C. sono di scarsissimo aiuto: 1648, in una tela d'altare della chiesa di S. Siro a Santa Margherita Ligure, rappresentante i SS. Sebastiano, Lorenzo, Rocco, firmata; 1655, in un'altra pala d'altare nella parrocchiale di Recco raffigurante S. Marco Evangelista coi ss. Giovanni Battista, Cecilia, Giorgio e Lorenzo, siglata; e, secondo il Labò (1942), ancora 1655, data relativa ad un quadro con Madonna con Bambino e i ss. Giovanni Battista e Giorgio, nei depositi di Palazzo Bianco. Nondimeno, questi dipinti non solo non offlono un panorama di svolgimento critico, ma sono tutti più arcaizzanti di quell'avveniristico quadro che è il Battesimo di s. Giacomo. Inoltre si ha la notizia dal Labò (1942) di un documento che servirebbe a datare al 1652 otto grandi quadri di storie profane con figure intere commissionatigli da un certo Pietro Fenoglio di Ventimiglia, ma non ancora identificati.
Secondo le fonti, tra gli affreschi più antichi del C. fu un S. Bernardo in contemplazione della Vergine con Bambino su di una facciata di piazza S. Donato (perduto); certamente giovanili sono anche gli affreschi delle due cappelle laterali (la prima a sinistra del presbiterio e la centrale a destra) di S. Martino, rispettivamente con Storie di Maria e la Vergine del Rosario, mentre è più maturo il grandioso, concitato affresco nell'arcone trionfale della stessa chiesa con l'Assunta, di un empito più decisamente barocco di chiara derivazione rubensiana. Sono ora perduti gli affreschi di palazzo Nascio con storie tratte dalle Metamorfosi di Ovidio, temi evocanti il clima della cultura letteraria che aveva già fornito argomenti alla decorazione cinquecentesca, anche per il tramite di letterati familiari del padre Bernardo, quali il Chiabrera, il Marino, il Grillo, il Cebà, l'Imperiali, ed ora diversamente riproposta, nella interpretazione secentesca, anche dalle incisioni del Castiglione e di Andrea Podestà, alimentata dal classicismo romano. La volta della chiesa di S. Marta con l'Annunciazione presenta un moto più ritmicamente scandito, anticipatore di un certo rococò, mentre gli affreschi della chiesa di S. Maria in Passione, eseguiti in collaborazione con Domenico Piola, Cristo che cade sotto la Croce, la Magellazione, la Coronazione di spine e l'Orazione nell'Orto, memori tutti di una mediata interpretazione veneziana, ora staccati e conservati al Museo di S. Agostino, mutilati dalla distruzione bellica, rientrano nel discorso del barocco incipiente. Il culmine di questa attività di frescante.. e della maturazione barocca è rappresentato dagli affreschi Balbi e da quelli Durazzo: i primi, nella galleria e in due salotti, rappresentanti Miti e Divinità pagane e, nel salone, l'Allegoria del tempo, con la collaborazione del quadraturista Andrea Seghizzi, che contribuisce non poco alla realizzazione dei termini spaziali del discorso, decisamente di un livello eccellente, che ne fa il capolavoro e, in ogni caso, una delle più alte espressioni barocche in assoluto; i secondi, più giovanili, con la Fama ed altre Allegorie e con le prospettive di Giovanni Maria Mariani Ascolano, recentemente ripristinati, lavoro nell'insieme meno ardito e complesso, ma intenso nell'esprimere il rapporto spazio-moto e, nei monocromi, ancora suggestivo dell'interpretazione rinnovata del modulo manieristico.
La critica più recente (Gavazza, 1971) colloca questi tre cicli (arcone trionfale di S. Martino, salone Balbi, salotto Durazzo) in una data genericamente coincidente, con la metà del secolo, accettabile non tanto nello svolgimento interno del pittore, quanto piuttosto come momento chiave evolutivo della cultura figurativa europea. A questi affreschi documentati si aggiungono quelli con cinque Storie di Maria nella piccola cappella del palazzo Saredo Parodi (Biavati, 1962; attualmente staccati e pannellati con grave scapito della loro conservazione). La loro collocazione cronologica è tuttora controversa e difficile, sembrando anteriore a quel punto d'arrivo insuperato che sono gli affreschi Balbi (vedi, per la questione, Biavati, 1962 e 1972, pp. 54, 58; Gavazza, 1971, p. 208).
Richiedono un discorso critico particolare i bozzetti (Biavati, 1972), di una straordinaria vivacità di tocco, con lunghe pennellate dense di bianchi che creano nel tessuto cromatico una trama arabescata con effetto rapidissimo e guizzante, da quello del Battesimo di s. Giacomo (Genova, coll. privata) a quello, di proprietà del duca De' Ferrari, esposto alla mostra della pittura in Liguria del 1947, presumibile abbozzo della grande tela col Ratto delle Sabine già in Palazzo Rosso (distrutto nella seconda guerra mondiale).
Recentemente sono apparsi sul mercato antiquario un Mosè salvato dalle acque e un Tobiolo e l'angelo, pendants, con piccole figure di Valerio in paesaggio di altra mano, in una collaborazione sconosciuta fino a questo momento; per essi tuttavia non esistono elementi sufficienti ad ipotizzare una collaborazione di C. col paesista Gio. Angelo Vicino o col fratello Gio. Michele, indicati dal Soprani (1674, p. 234) e dal Soprani-Ratti (1768, I, pp. 344, 350) come specialisti nel genere paesaggio accanto al Castello.
Omettiamo ovviamente le citazioni delle molte altre opere in collezioni private, che negli ultimi anni sono rifluite in Italia, specie dall'Inghilterra, dove il Soprani, del resto, avvertiva come se ne fosse verificato il reclutamento più massiccio, "a qualunque prezzo comperate", e citeremo alcuni dei dipinti più significativi, delle chiese e gallerie pubbliche, ribadendo che un catalogo scientifico delle opere del C. è ancora da compilare: Sacra Famiglia (Genova, Palazzo Bianco, dep. Accademia Ligustica); Madonna del velo (Genova, Palazzo Bianco, dep. ospedale di Pammatone); Cena in casa del Fariseo (Genova, Palazzo Bianco, depositi: se ne conoscono una piccola derivazione, negli stessi depositi, e un esemplare firmato con una inconsueta firma corsiva per esteso, già sul mercato antiquario: cfr. catal. Finarte, nov. 1964, 11, n. 75); Due opere di carità di s. Camillo (Genova, S. Croce); Cristo e il centurione (ibid.); Decollazione del Battista (Milano, Museo del Castello); Abramo convitato dagli angeli (Genova, palazzo Durazzo-Pallavicini); Pietà (Savona, Pinacoteca: se ne conoscono almeno due bozzetti in collezioni private); Pesca miracolosa (Genova, S. Bernardino); Martirio di s. Lorenzo (Genova, Palazzo Bianco, depositi); Morte di s. Carlo Borromeo (ibid.); Giudizio di Salomone (ibid.); Fuga in Egitto (ibid.); Adorazione dei pastori (Genova, già S. Stefano, ora Sovrintendenza); Visione di s. Paolo (ibid.); Tre episodi di s. Francesco Saverio (Genova, chiesa del Gesù: un bozzetto, già in pal. Durazzo della Meridiana, è insieme con altri nella coll. Wannenes (Zampetti, 1967, p. 25, fig. 17); Ratto delle Sabine (Firenze, Uffizi: fu esposto all'Annunziata nel 1706; vedi F. Borroni Salvadori, Le esposizioni..., Firenze 19743 p. 14 e nn. 56, 64); Ratto di Proserpina (Roma, palazzo del Senato, già a Genova, palazzo reale); Ratto di Proserpina (Roma, Galleria Corsini); Gloria di s. Rosalia con committente (Genova, chiesa di S. Gerolamo di Castelletto); La Vergine del Rosario con due domenicani (Genova, chiesa dell'ospedale di S. Martino); Mosèche fa scaturire l'acqua dalla rupe (Parigi, Louvre); Adorazione dei pastori (Roma, Galleria Pallavicini); La Vergine, s. Martino e s. Antonio, sportelli per l'altare delle reliquie (Genova., S. Francesco di Paola); Miracolo di s. Zita (Genova, S. Zita: bozzetto a Palazzo Bianco); Sposalizio della Vergine (Genova, Galleria Spinola); Disputa di Gesù (Genova, Palazzo Bianco, depositi).
Il 26 giugno 1657, durante l'infuriare della terribile peste, che stava mietendo forse la più fervida generazione di pittori che Genova abbia mai avuto, il C. fece testamento (Alfonso, 1968, 23 pp. 36 s.): le sue volontà testamentarie coinvolgono la madre Cristofina, la sorella Tecla Maddalena e il fratello Torquato Angelo, tutti figli di primo letto di Bernardo.
Un altro documento reperibile in S. Martino registra il matrimonio del pittore avvenuto il 12 ott. 1657 con Paola Maria De Ferrari, che infatti risulta esclusa dal testamento, ed infine dal registro Battesimi, matrimoni, decessi per gli anni dal 1653 al 1670 della chiesa della Maddalena, si ricava la notizia che il 17 febbr. 1659 il C. morì improvvisamente. Egli fu colto dalla morte nel pieno dell'attività che svolgeva, come il padre, nella bottega posta nel cuore della città (sestiere della Maddalena), dove probabilmente ebbe anche la casa, e fu sepolto, come da testamento, nella cappella gentilizia di S. Martino.
Nella biografia del C., il Soprani fa menzione dei suoi allievi più diretti, ma anche su queste figure la critica deve ancora indagare; e forse si chiarirebbe il problema di tanti dipinti "atipici" che vanno sotto il comodo nome di Castello.
Fonti e Bibl.: oltre alla bibl. in U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, VI, p. 158(ma vedi la recens. a Grosso, 1910, in Repert. für Kunstwissenschaft, XXXIV [1911], pp. 188 s., 197), siveda, per la letteratura fino al 1972, C. Manzitti, V.C., Genova 1972, utile come repertorio fotogr. ma non sempre attendibile nelle attribuzioni (recens. di E. Waterhouse, in The Burlington Mag., CXVI [1974], pp. 544 s.). In particolare, vedi anche: R. Soprani, Le vite de' pittori..., Genova 1674, pp. 231-236;P. A. Orlandi, L'abecedario pittorico, Bologna 1719, p. 471;R. Soprani-C. G. Ratti, Vite de' pittori... genovesi, I, Genova 1768, pp. 339-350;M. Cochin, Voyage d'Italie, Paris 1773, II, p. 10;S. Ticozzi, Diz. degli architetti, scultori, pittori, Milano 1838, I, pp. 295-296;F. Alizeri, Guida artistica della città di Genova, Genova 1846-1847, I-II, passim;M. Staglieno-L. T. 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