VALERIO Flacco (C. Valerius Flaccus Setinus Balbus)
Poeta latino, forse nato a Sezze, nella Campania. Della sua vita si sa solo quello che si ricava dal suo poema, cioè che apparteneva al collegio dei quindecimviri, che durante l'impero era il primo dei quattuor amplissima collegia. Come appare dalla dedica, che però probabilmentc fu in parte rimaneggiata, cominciò a scrivere il suo poema dopo l'avvento di Vespasiano. La sua morte avvenne durante il regno di Domiziano fra l'89 e il 92. Di lui ci è rimasto un poema intitolato Argonautica, che ha come argomento la spedizione degli Argonauti nella Colchide per la conquista del vello d'oro.
Predizioni e presagi avevano avvertito Pelia, re della Tessaglia, che suo nipote Giasone sarebbe stato la sua rovina: perciò egli risolvette di esporlo a un'impresa pericolosissima e gli ordinò di recarsi nella Colchide a farsi restituire il vello d'oro. Giasone, fiducioso nell'aiuto di Giunone e di Pallade, si accinse alla spedizione. Fu costruita la nave Argo e da tutta la Grecia accorsero a parte dell'impresa gli eroi più famosi, fra cui Ercole. Ma Giasone indusse a partire con sé anche Acasto, figlio di Pelia: questi, appena se ne accorse, infierì contro i genitori di Giasone, che furono costretti a darsi la morte, e fece uccidere il loro figlio minore. Nei libri seguenti si descrivono le vicende del fortunoso viaggio degli Argonauti fino al loro arrivo nella Colchide: gli episodî principali sono la sosta neghittosa a Lemno, il salvataggio di Esione, la strage dei Ciziceni, il ratto d'Ila e l'abbandono di Ercole, il pugilato di Polluce e di Amico, la favola di Io cantata da Orfeo, la liberazione di Fineo, il passaggio fra le rupi Cianee, la morte di Idmone e di Tifi. Finalmente nel quinto libro gli Argonauti arrivano nella Colchide. Qui c'era guerra tra Eeta, re della Colchide, e suo fratello Perse, che voleva togliergli il trono. Eeta promette a Giasone il vello d'oro in cambio del suo aiuto nella guerra contro Perse. Nel sesto libro si descrive l'aspra battaglia, dove Giasone fa prodigi di valore. Medea, figlia del re Eeta, contempla le gesta dell'eroe dall'alto delle mura della sua città e s'accende d'amore per lui, costretta com'è dai filtri di Venere. Dopo la vittoria, dovuta al valore degli Argonauti, Eeta viola la sua promessa e impone a Giasone di compiere prove prodigiose per la conquista del vello d'oro. Con l'aiuto di Medea, espertissima nelle arti magiche, Giasone supera le prove di aggiogare tori spiranti fuoco, di arare campi incoltivati presso la città e di eludere l'impeto dei guerrieri sorgenti dai solchi seminati. Questa è la materia del settimo libro. Medea, temendo l'ira patema, risolve di fuggire con Giasone. Si reca insieme con l'eroe nel bosco sacro a Marte e rapisce il vello d'oro dopo avere addormentato il drago che lo custodiva. Gli Argonauti salpano in fretta, ma Eeta, conosciuto il ratto del vello e la fuga della figlia, li fa inseguire da una flotta guidata dal figlio Assirto. Gli Argonauti sono raggiunti alle foci del Danubio, nel momento in cui Giasone e Medea festeggiavano nell'isola di Peuce le loro nozze. Essi, presi da paura, insistono presso Giasone perché restituisca Medea. Il poema s'interrompe al v. 467 dell'ottavo libro, mentre Giasone rassicura Medea che teme d'essere consegnata al fratello. Manca dunque l'uccisione di Assirto, il ritorno degli Argonauti in patria, l'apoteosi della nave Argo (cfr. I, 4). È oggi opinione prevalente che l'autore abbia lasciato incompiuto il poema.
La favola degli Argonauti era conosciuta nei suoi lineamenti principali fin dall'età omerica e fu trattata spesso dai poeti successivi, come anche dai prosatori a cominciare dai logografi. Però la fonte principale di V. fu Apollonio Rodio. Ora, come si rileva dal confronto dei loro poemi, V. nella disposizione della materia non seguì pedissequamente Apollonio, ma soppresse o ampliò o abbreviò o mutò di posto molti episodî, alcuni ne aggiunse di sua invenzione o da altre fonti, insomma cercò di dare, per quanto era possibile, un'impronta personale all'opera sua.
Si può dire che V. sia stato quasi sempre felice nei suoi mutamenti e nelle sue innovazioni. Per esempio, la guerra fra Eeta e il fratello Perse è una novità introdotta da lui per fare rifulgere l'eroismo di Giasone e giustificare il suo ricorso alle arti magiche di Medea dopo il tradimento di Eeta: di più il poeta ha avuto modo d'inserire un catalogo di popoli e la descrizione di una battaglia secondo i grandi modelli di Omero e di Virgilio. Anche la narrazione della morte dei genitori di Giasone e della liberazione di Esione si debbono annoverare fra le aggiunte migliori. E invece omise, come indegno della gravità epica, il responso dell'oracolo intorno all'uomo dal piede scalzo, omise anche, per non diminuire la grandezza di Giasone, la nomina di Ercole a capo della spedizione e la sua rinunzia in favore di Giasone, come pure l'intervento dei figli di Frisso.
Se si considera la tecnica epica, il poema di Valerio Flacco è ben diverso da quello di Apollonio: il suo modello è l'Eneide. Ma vi si sente anche l'influenza della retorica, specialmente nei discorsi così frequenti dei personaggi. Anche nella lingua imita specialmente Virgilio, ma è un felice innovatore di parole (p. es. aegisonus, arcipotens, implorabilis, intemerandus, lustramen, memoratrix, mugitor, ovatus, protono, soligena, superincendo), di significati e di costrutti; però nel suo sforzo di originalità e di concisione riesce talora oscuro. Nella metrica segue il modello di Ovidio.
Valerio eccelle nella rappresentazime dei caratteri e degli affetti. I personaggi principali, come Giasone, Medea, Eeta, sono ben delineati. Le parti più felici del poema sono quelle che descrivono l'amorosa passione di Medea: qui Valerio dimostra la grandezza della sua arte e giustifica il giudizio di Quintiliano, "multum nuper in Valerio Flacco amisimus" (X,1, 90): meritamente oggi è considerato come il maggiore degli epigoni di Virgilio.
In un poema che ha come argomento un mito greco V. ha impresso in più luoghi il segno della romanità. Non parliamo della dedica a Vespasiano e della glorificazione della casa Flavia e nemmeno dell'augurio che la sua voce Latias impleat urbes (I, 2). Ma Giove accenna all'alto destino di Roma (I, 558), e all'eterna grandezza di Roma si allude anche altrove (II, 245; II, 573). Si ricorda anche Giove Albano (II, 304), con singolare anacronismo si attribuiscono armi romane ai combattenti nel sesto libro, si cita in una similitudine il pilota tirreno e il Tevere, infine Venere, assunto il sembiante di Circe, si dice consorte del re Pico e regina del mare Toscano. Né mancano accenni ad avvenimenti del suo tempo, come l'eruzione del Vesuvio (III, 208; IV, 507) e forse anche le guerre daciche di Domiziano.
V. nell'espressione formale imitò specialmente Virgilio, ma anche Ovidio, Lucano, Properzio, Orazio, e altri ancora: fra i Greci soprattutto Omero. A sua volta fu imitato da Stazio, da Silio, da Nemesiano, da Claudiano, da Draconzio e da qualche altro. A lui si riferisce un accenno di Giovenale (I, 7-11). Nel Medioevo cadde in dimenticanza.
Ediz.: L'edizione principe uscì a Bologna nel 1474, altre edizioni notevoli sono l'Aldina del 1523, quelle di L. Carrio (Anversa 1565 e 1566), quelle di N. Heinsius (Amsterdam 1680), di P. Burman (Leida 1724), di G. Thilo (Halle 1863), di P. Langen (Berlino 1897), di C. Giarratano (Milano 1904), di O. Kramer (Lipsia 1913).
Bibl.: Oltre alle storie della letteratura latina, v.: H. Gebbing, De Valeri Flacci dicendi genere quaestiones, Coblenza 1878; I. I. Peters, De C. Valerii Flacci vita et carmine, Königsberg 1890; A. Grueneberg, De V. F. imitatore, Berlino 1893; H. Koesters, Quaestiones metricae et prosodiacae ad Valerium Flaccum pertinentes, Münster 1894; W. C. Summers, A study of the Argonautica of Valerius Flaccus, Cambridge 1894; A. Harmand, De V. F. Apollonii Rhodii imitatore, Nancy 1898; A. Heeren, De Chorographia a V. F. adhibita, Gottinga 1899; E. Marbach, Quomodo Valerius Flaccus Vergilium in arte componendi imitatus sit, Berlino 1904; K. Scott, La data di composizione della "Argonautica" di V. F., in Riv. di filol., n. s., XII (1934), p. 474 segg.