VALESIO (Βαλετία?, Balentium, Balesium, Baletium)
Località a S di Brindisi, in cui sorge un vasto insediamento messapico indicato da Strabone (VI, 3, 6) come centro interno non lontano dalla costa, e citato da Pomponio Mela (II, 65-68) e da Plinio (Nat. hist., III, 102-104). Negli itinerari romani viene collocato sul percorso tra Brindisi e Lecce (Tab. Peut., VI, 5; VII, 2; Anon. Rav., V, 1). Durante il IV sec. nel sito fu impiantata una stazione di posta, come risulta dalla testimonianza del Pellegrino di Bordeaux (Itinerarium Burdigalense, 609) che la indica come mutatio Valentia. Agli inizî del XII sec. il geografo Guidone (71) cita il toponimo Valetum vel Valentium la cui identificazione è però dubbia.
L'area dell'antico centro fu riconosciuta agli inizî del Cinquecento dall'umanista Antonio de Ferrariis detto il Galateo che descrive il circuito delle mura in rovina, lunghe c.a 8 stadi, e parla del frequente rinvenimento, nel corso dei lavori agricoli, di monete, vasi e “lapilli quos cornelos dicunt, variis insigniti figuris”). Narra anche della scoperta di un tesoro di argento, portato alla luce da un contadino, che era servito a Maria d'Enghien per finanziare una campagna militare in favore di Alfonso d'Aragona. Il Galateo cita inoltre il corso d'acqua, oggi canale Infocaciucci, che divide a metà l'abitato lungo l'asse E-O. Alla fine dell'Ottocento il De Simone descrive i resti delle mura messapiche che raggiungevano in alcuni punti l'altezza di ben 5 m. Nel corso di questo secolo l'area ha restituito numerosi oggetti in interventi fortuiti; nel 1926 fu scoperto un ingente ripostiglio monetale, databile al III sec. a.C. Materiali architettonici e vasi furono recuperati da edifici e tombe sfuggiti alle distruzioni degli scavi clandestini negli anni '60-'80. Nel 1969 nella località S. Stefano, posta al centro dell'abitato, G. Marzano ha portato alla luce i resti di un impianto termale romano. Nella stessa zona si sono svolte le campagne sistematiche di scavo (1984-1990) della Libera Università di Amsterdam, che hanno permesso di acquisire una documentazione scientifica dell'insediamento.
Sulla base di queste ricerche è possibile riferire alle fasi più antiche i resti di un villaggio di capanne disposto lungo i lati del canale, databile alla prima Età del Ferro sulla base della ceramica geometrica iapigia dell'VIII e del VII sec. a.C. A differenza della regione di Otranto, i materiali di importazione greca risultano piuttosto scarsi in questa zona (pochi frammenti di una kotyle tardo-geometrica corinzia e di vasi protocorinzî). Rare tracce sono state rilevate anche per il VI sec. a.C., quando nella parte centrale dell'abitato dovette svilupparsi un nucleo di case con muri fatti di pietre legate da terra. Un fenomeno notevole è rappresentato invece dalla presenza di numerosi ripostigli monetali nel corso del V e del IV sec. a.C.; a questa fase sembra potersi attribuire anche la coniazione in loco di monete d'argento, attestate sinora soltanto da sei esemplari recanti la leggenda Valethas e Balethas e l'immagine, di derivazione tarentina, dell'eroe sul delfino.
Nella seconda metà del IV sec. a.C. il generale sviluppo insediativo della Messapia produsse anche a V. la creazione di un impianto strutturato di 88 ha, definito da una vasta cerchia muraria di c.a 3.500 m. Insieme agli altri centri della pianura brindisina, Muro Maurizio, Muro Tenente e Mesagne, che però hanno minore estensione, V. fa parte della corona di città che insistono sul porto di Brindisi, svolgendo tra esse un ruolo significativo. Le fortificazioni raggiungono uno spessore di 5 m e sono costruite con blocchi di arenaria locale, tagliati e disposti con maggiore cura sulla faccia esterna, più rozzi all'interno dove sono ricavate le scalette per raggiungere il camminamento superiore. La tecnica edilizia si distingue da quella delle fortificazioni a blocchi squadrati della Messapia meridionale (Lecce, Roca, Vaste, Muro Leccese) e di Egnazia. La struttura è infatti irregolare con pietre non squadrate, di lunghezza variabile; soltanto alcuni blocchi, di forma allungata, hanno dimensioni superiori al metro. In zona S. Stefano si è scavato parte del quartiere abitativo, databile tra la fine del IV sec. e gli inizî del II sec. a.C., che occupava la parte centrale dell'insediamento, in un'area che non superava la metà del territorio chiuso dalle fortificazioni. Le case, costruite con piccole pietre senza uso di malta e coperte da tetti di tegole, avevano ambienti quadrati disposti intorno a cortili e si orientavano lungo strade non ortogonali. In una zona a Ν del canale, la presenza di numerosi elementi architettonici in calcare e in terracotta ha permesso di riconoscere un'area pubblica, con edifici legati alle manifestazioni del sacro e del prestigio sociale dei ceti aristocratici della Messapia.
Di particolare ricchezza sono i corredi delle necropoli, anch'esse disposte entro le mura lungo le fasce periferiche, che hanno restituito vasi di tipo indigeno (trozzelle), ceramica italiota, in particolare apula, attribuita ai principali ceramografi tarentini, e vasi di Gnathia.
Con la romanizzazione dopo la metà del III sec. a.C., il potenziamento del porto e della colonia latina di Brindisi portò alla crisi dei centri vicini. L'area dell'antica V. appare destinata prevalentemente alle attività agricole, come dimostrano gli scavi di S. Stefano con il rinvenimento di un complesso abitativo del II sec. a.C., interpretato come villa rustica, che si sovrappone all'abitato messapico e che presenta vari ambienti disposti intorno a un vasto cortile e una fornace per la cottura dei vasi. L'antico asse stradale da Brindisi a Lecce fu valorizzato in particolare a partire dal III sec. d.C. con l'impianto della mutatio Valentia. Gli scavi olandesi hanno messo in luce il complesso termale con l’apodyterium, gli ambienti dei bagni, e le fornaci. I vani, coperti da volte a botte, erano rivestiti con lastre di marmi colorati; nell'ambiente di ingresso era un mosaico pavimentale a tessere bianche e nere con la rappresentazione di un kàntharos. Il complesso sembra essere stato abbandonato nella prima metà del V sec. d.C.
Sulla stessa area in età medievale (XII-XIII sec.) fu costruito un casale, che forse prese il nome di S. Stefano, citato in un documento del 1182 nel quale Tancredi lo assegna al monastero benedettino dei Ss. Niccolò e Cataldo a Lecce. Gli scavi ne hanno evidenziato le strutture edilizie, probabilmente raccolte intorno a una torre di difesa, numerose sepolture e gli scarichi dell'abitato, con ceramica del tipo protomaiolica e con vasi dipinti a linee sottili brune e rossicce.
Bibl.: A. De Ferrariis Galateus, Liber de situ Iapygiae, Basilea 1558, p. 73 ss.; L. G. De Simone, Note japigo-messapiche, Torino 1877, pp. 33-36; C. De Giorgi, La provincia di Lecce, bozzetti di viaggio, Lecce 1888, II, pp. 310-312; F. Ribezzo, Nuove ricerche per il CIM, Roma 1944, pp. 114-116; G. Radke, in RE, Vili, I, 1955, pp. 260-262, s.v. Valetium; G. Delli Ponti, Carta archeologica d'Italia, F. 204 (Lecce), Firenze 1964; G. Marzano, Di un tesoro di monete greche e di un santuario a Valesio, in RivStBrindisi, I, 1964, pp. 45-51; id., Ulteriori novità a Valesio, ibid., VI, 1972, pp. 63-67; L. Quilici, S. Quilici Gigli, Repertorio Beni Culturali Provincia di Brindisi, Fasano 1975, pp. 106-109; F. G. Lo Porto, in The Princeton Encyclopedia of Classical Sites, Princeton 1976, p. 140, s.v. Baletium; F. D'Andria, Documenti del commercio arcaico tra Ionio e Adriatico, in Magna Grecia, Epiro e Macedonia. Atti del XXIV Convegno di Studi sulla Magna Greda, Taranto 1984, Napoli 1985, pp. 367-370; J. S. Boersma, A Cantharus from Valesio, in Enthousiasmes. Essays Presented to J. M. Hemelrijk, Amsterdam 1986, pp. 203-212; J. S. Boersma, D. Yntema, Valesio. Storia di un insediamento apulo dall'età del Ferro all'epoca tardoromana, Fasano 1987; J. S. Boersma, Oria and Valesio. Dutch Archaeological Investigations in the Brindisi Region of Southern Italy, in Kon. Nederl. Akademie van Wetenschappen, LIII, 1990 pp.57-108 D. Yntema, A Specific Group of Black-gloss Ware Excavated at Valesio. The HFR Group and Its Connections, in Studi di Antichità. Università di Lecce, VI, 1990, pp. 167-186; J. S. Boersma, Designing a Bath Building: the Plan of the Late-Roman Baths at Valesio, in Stips votiva. Papers Presented to C.M. Stibbe, Amsterdam 1991, pp. 11-19; id., A Roman Republican Building at Valesio (Br), Salente, in MededRom, L, 1991, pp. 115-135; id., Le terme tardoromane di Valesio (Salento), in Les thermes romains. Actes table ronde, Rome 1988, Roma 1991, pp. 161-173; D. Yntema, Le ceramiche e l'artigianato del Salento tra l'età del Ferro e la Romanizzazione, in Atti del XXX Convegno di Studi sulla Magna Grecia, Taranto 1990, Napoli 1991, pp. 139-207; M. Lombardo, I Messapi e la Messapia nelle fonti letterarie greche e latine, Galatina 1992, passim; D. Yntema, The Settlement of Valesio, Southern Italy: Final Report on the Field Survey, in BaBesch, LXVIII, 1993, pp. 49-70; J. Boersma, J. Prins, Valesio and the Mint of Brindisi, in Studi di Antichità. Università di Lecce, VII, 1994, pp. 303-326; J. Boersma, Mutatio Valentia. The Late Roman Baths at Valesio, Salento, Amsterdam 1995.
(F. D’Andria)
Monetazione. - L'incerta ubicazione del sito (Valesio o Alezio) ove furono prodotte alcune rare monete in argento (se ne conoscono 6: 2 stateri, 3 tetroboli, 1 diobolo) sembra ora risolta a favore di Valesio.
Molti elementi concorrono a conferma di tale localizzazione e di una cronologia tra il 480 e il 460 a.C.: 1) i luoghi di rinvenimento, sempre tra Taranto e Lecce; 2) la circolazione monetaria a V. (trovamenti in tesoretto e sporadici, con una cronologia a partire dalla fine del VI sec. a.C.) e ad Alezio (che, sinora, non ha restituito monete preromane); 3) il sistema ponderale (euboico-corinzio, che divide lo statere in tre tetroboli, come a Taranto per una rara serie databile intorno al 485-475 a.C.); 4) la tecnica; 5) la leggenda (Balethas / Valethas) che può essere genitivo singolare di un nome femminile o un nome individuale maschile al nominativo (in entrambi i casi il rapporto con il nome tràdito come toponimo è non di identità immediata, ma di dipendenza); la grafia delle singole lettere potrebbe portare alla fine del V sec. (∃ ⊣ sul R/ presenta notevoli problemi sia per il significato sia per motivi paleografici: la spiegazione che si riferisca al nome di un magistrato non convince in una monetazione ridotta e di così breve durata; l'uso di ⊢ per indicare l'aspirazione in messapico comparirebbe in una fase più recente); 6) la tipologia (il «giovane su delfino», il delfino, il «crescente» se di crescente lunare si tratta e non della raffigurazione di un'ansa portuale, vedi Zankle); 7) lo stile, definito «barbaro-arcaico».
Chi ha prodotto i conî per queste monete ha avuto come confronto per la tecnica, per la tipologia e per lo stile le emissioni tarentine con giovane su delfino/ruota, di cui conosciamo alcune «imitazioni» definite messapiche. La coniazione Balethas può essere contemporanea a queste «imitazioni» e non va considerata come un fenomeno completamente isolato: potrebbe trattarsi di monete di alleanza o di impero, coniate sotto l'egemonia di Taranto, a sancire mediante l'esibizione del tipo del giovane su delfino la dipendenza da Taranto? Le monete, però, a leggenda Balethas non erano necessariamente copie di nominali correnti nell'area, e la scelta del tipo può essere legata al desiderio di identificarsi in un simbolo che può aver rivestito un significato diverso da quello che aveva a Taranto o di rivendicarlo. Queste produzioni, almeno in parte, potrebbero essere state possibili in una società indigena o in un contesto misto greco-messapico, in zone periferiche. La scelta dei nominali coniati si inserisce nel sistema monetale delle colonie «achee» dell'arco ionico della Magna Grecia, le quali sono così abbondantemente presenti a V. nel V sec. a.C. V., anche per la presenza frequente di tali monete, appare sempre di più come un centro di estrema importanza nei rapporti interadriatici, con un'economia monetaria sviluppata che potrebbe aver svolto un ruolo attivo nella raccolta e nello smistamento dei traffici tra Magna Grecia, Messapia e Grecia.
Bibl.: A. Siciliano, J. Prins, Baletium, in A. Siciliano (ed.), Le zecche della Messapia, in Atti del XXX Convegno di Studi Magna Grecia, Taranto 1990, Napoli 1991, pp. 226-235.
(A. Siciliano)