VALFRÉ, Sebastiano beato
– Nacque a Verduno (Cuneo) il 9 marzo 1629 da Giovanni Battista e da Argentina Mazzone, in una famiglia di umili condizioni.
Avviato alla vita ecclesiastica, intraprese gli studi dapprima presso le scuole dei minori conventuali di Alba e successivamente a Bra (città di origine del padre), dove si era trasferito nel 1643. Fra il 1644 e il 1645 ricevette la tonsura e gli ordini minori da parte del vescovo di Alba.
Alla fine del 1645 Valfré si recò a Torino, con lo scopo di completare la sua formazione presso il collegio gesuitico della capitale sabauda, dove si addottorò in filosofia nel 1650 e in teologia nel 1656. La frequentazione degli ambienti ignaziani ebbe un significativo peso anche sulla spiritualità del giovane studente, orientata verso «un fondamentale ottimismo, un graduale ed equilibrato metodo ascetico ed un accentuato metodo apostolico» (Dordoni, 1992, p. 11). Nonostante il forte influsso esercitato su di lui dalla Compagnia di Gesù, il giovane chierico (che, intanto, aveva conseguito l’ordinazione suddiaconale) si mostrò maggiormente attratto dalla proposta religiosa dell’Oratorio di s. Filippo Neri. A questa scelta non fu forse estranea la notevole fama di cui godeva nelle terre del Piemonte meridionale la figura di Giovenale Ancina, oratoriano vescovo di Saluzzo morto in odore di santità nel 1604 e per il quale nel 1621 era stato avviato il processo di beatificazione. Il 26 maggio 1651 Valfré entrò dunque nella piccola e recentissima comunità torinese dell’Oratorio, fondata appena due anni prima.
Ordinato diacono il 3 giugno 1651 e sacerdote il 24 febbraio 1652, Valfré si segnalò subito per il dinamismo manifestato nella gestione della presenza oratoriana che, dopo diverse localizzazioni provvisorie, dal 1668 trovò sede presso la chiesa parrocchiale di S. Eusebio.
Questa parrocchia, di patronato della nobile famiglia Della Rovere, era stata ceduta agli oratoriani dal marchese Gerolamo. Si tratta di un significativo indizio della capacità, precocemente dimostrata dai filippini, di esercitare il loro ascendente sui ceti dirigenti della capitale, tramite i quali la fama dell’Oratorio, «il cui modello, basato sull’assenza dei voti, l’organizzazione non gerarchica e l’impegno nella vita attiva, appariva distante dal mondo tradizionale dei regolari dediti alla contemplazione» (Silvestrini, in Oratorio e laboratorio, 2008, p. 68), riuscì ben presto a penetrare anche negli spazi aulici.
Qui Valfré, che intanto aveva assunto il ruolo di preposto della Congregazione, seppe farsi notare dal duca Carlo Emanuele II, il quale decise di assegnare agli oratoriani una nuova, prestigiosa sede. Ubicata nel cuore di Torino, l’imponente chiesa dedicata a S. Filippo Neri fu al centro di un lungo e complesso cantiere al quale lavorarono i migliori architetti a servizio dei Savoia: dapprima Guarino Guarini, poi Filippo Juvarra. La scelta di queste figure, artefici fra Sei e Settecento della trasformazione urbanistica di Torino commissionata dal governo sabaudo, lascia intuire la rilevanza assunta a corte dall’Oratorio e, in particolare, l’influsso di Valfré. Il quale nel 1676, dopo la morte di Carlo Emanuele II, venne chiamato dalla reggente, Maria Giovanna Battista, per seguire l’educazione religiosa del principe ereditario.
Con il giovane Vittorio Amedeo II, salito effettivamente al trono nel 1686, Valfré instaurò un intenso rapporto che si rivelò fondamentale non solo nella direzione di coscienza (che esercitò fino al 1690, quando venne nominato confessore delle principesse Maria Adelaide e Maria Luisa Gabriella), ma anche nell’orientamento della politica ecclesiastica del sovrano, a sua volta influenzata dalle complesse contingenze del quadro politico-diplomatico nel quale lo Stato sabaudo si era venuto a trovare.
È il caso della decisione di espellere la minoranza valdese insediata nelle valli pinerolesi, assunta nel 1686 a seguito della revoca dell’editto di Nantes da parte di Luigi XIV, di cui il duca di Savoia era in quel momento alleato. Nell’estate del 1687 Valfré venne inviato nelle valli di Pinerolo con lo scopo di consolidare la riconquista cattolica del territorio attraverso il suo fervente apostolato che, peraltro, non fu mai disgiunto da un concreto sostegno di natura economica all’organizzazione parrocchiale.
In quegli anni l’oratoriano fu inoltre consultato in merito ai progetti governativi di riduzione delle immunità ecclesiastiche (giudicate ormai eccessive e foriere di persistenti abusi) e di rafforzamento della competenza statale nelle nomine di vescovi e curati. Per Valfré, desideroso di non alimentare le tensioni che si stavano profilando fra la corte torinese e la Sede apostolica in materia giurisdizionale, ogni pur legittimo tentativo di riforma andava perseguito dall’autorità pubblica tenendo nella dovuta considerazione la centralità degli ordinari diocesani, ai quali spettava il compito di garantire la disciplina del clero e il buon governo delle chiese locali.
Fu forse anche in virtù dell’impegno ad armonizzare le ragioni della Chiesa con le istanze riformatrici della Corona che, agli occhi di Vittorio Amedeo II, Valfré sembrò essere il candidato migliore per occupare la cattedra episcopale di Torino, resasi vacante nel 1689. Questa scelta, comprensibile anche alla luce dell’assidua partecipazione di Valfré alla vita religiosa della città, venne tuttavia ostacolata nella Curia romana (e, probabilmente, anche in alcuni ambienti della corte ducale), dove si riteneva inopportuno affidare la principale carica ecclesiastica dello Stato sabaudo a un soggetto di origini non nobiliari.
Valfré continuò così a impegnarsi nell’apostolato attivo, privilegiando la predicazione, la catechesi, le opere pie e mostrandosi, per molti versi, ‘erede’ di Francesco di Sales nella divulgazione di «un modello di pratica devota largamente accessibile, aliena da misticismi, basata sulla preghiera e l’esercizio della carità» (Silvestrini, in Oratorio e laboratorio, 2008, p. 74). Rientrava fra i caratteri fondamentali della sua «pietà calda, libera da formalismi» e svincolata «da rigidezze giuridiche e da sottili speculazioni intellettualistiche» (Dordoni, ibid., p. 60) anche la profonda devozione mariana e l’ardente venerazione per la Sindone, del cui culto Valfré si fece promotore in chiave marcatamente dinastica. Il richiamo alla Vergine e all’insigne reliquia della Passione custodita dai Savoia divenne più frequente e denso di significati in concomitanza con eventi (la sospirata nascita dell’erede al trono ducale nel 1699 e la inattesa liberazione dall’assedio francese di Torino nel 1706) che Vittorio Amedeo II, seguendo gli orientamenti del suo vecchio direttore spirituale, volle vedere come provvidenziali indizi della protezione celeste in un periodo – quello del pontificato di Clemente XI – segnato dal progressivo deterioramento, e infine dalla rottura, dei rapporti politici fra il Ducato di Savoia e la S. Sede.
Il forte legame con la corte sabauda non impedì a Valfré di coltivare relazioni e amicizie a Roma, dove l’oratoriano fu fra i più convinti artefici dell’Accademia ecclesiastica, l’istituzione sorta agli inizi del Settecento con lo scopo di curare la formazione del clero avviato alla carriera diplomatica.
Valfré si spense a Torino il 30 gennaio 1710 e le sue spoglie furono tumulate nella chiesa di S. Filippo.
Circondato da un’aura di santità in vita, dopo la morte divenne oggetto di una venerazione che Vittorio Amedeo II e l’Oratorio torinese si impegnarono perché fosse ufficialmente riconosciuta dalla Chiesa. Nel 1725, nel clima di distensione delle relazioni fra la S. Sede e i Savoia, inauguratosi con l’avvento al soglio pontificio di Benedetto XIII, il sovrano sabaudo promosse l’avvio della causa di canonizzazione. Dichiarato venerabile da Pio VI nel 1784, il 15 luglio 1834 Gregorio XVI lo proclamò beato (ricorrenza il 30 gennaio).
In occasione della beatificazione di Valfré furono organizzati solenni festeggiamenti a Roma e a Torino, che lo elevò a compatrono della città. Carlo Alberto, già impegnato in un ambizioso progetto di promozione dell’agiografia dinastica, volle ascrivere il padre filippino, di cui fu celebrato soprattutto lo stretto rapporto con la corte ducale, nel novero dei più fulgidi esempi della sacralità sabauda.
Fonti e Bibl.: L’epistolario del Beato S. V. Scritti di un fedele dispensatore dei misteri di Dio, a cura di D. D’Alessandro, prefazione di G. Mola Di Nomaglio, Torino 2017 (i principali fondi archivistici contenenti documentazione su Valfré sono elencati alle pp. XLII-XLIV).
F. Marino, Vita del ven. Servo di Dio p. S. V. della Congregazione dell’Oratorio di Torino. Raccolta da’ processi fatti per la sua Beatificazione, Torino 1748; G.B. Semeria, Vita del beato S. V. della Congregazione dell’Oratorio di Torino, cavata da’ processi apostolici e da altre autentiche memorie, Torino 1834; C. Gasbarri, V. S., in Bibliotheca Sanctorum, XII, Roma 1969, coll. 929-931; C. Fava, Vita e tempi del beato S. V. prete dell’Oratorio di San Filippo di Torino, Pinerolo 1984; A. Dordoni, Un maestro di spirito nel Piemonte tra Sei e Settecento. Il padre S. V. dell’Oratorio di Torino, Milano 1992; Oratorio e laboratorio: l’intuizione di san Filippo Neri e la figura di S. V., a cura di F. Bolgiani et al., Bologna 2008 (in partic. A. Dordoni, La figura di S. V. oratoriano, pp. 37-66; M.T. Silvestrini, S. V., Vittorio Amedeo II e la chiesa di San Filippo tra Sei e Settecento, pp. 67-84); Annales Oratorii, VIII (2009), parte 2, n. monografico: Omaggio al beato S. V. nel III centenario del “dies natalis”: 1710 (30 gennaio) - 2010 (in partic. A. Mola Di Nomaglio, «Questo uomo di Dio di cui è tanto venerata la memoria in Piemonte»: traccia per una bibliografia di scritti editi riguardanti S. V., pp. 31-46; P. Gentile, Dalla capitale della cristianità alla capitale di un regno: le cerimonie religiose di Roma e Torino per la beatificazione di S. V., pp. 159-169).