Vedi GANGE, Valle del dell'anno: 1973 - 1994
GANGE, Valle del (v. S 1970, p. 340)
La possibilità di un rapporto significativo tra la civiltà della valle dell'Indo (v.) e la civiltà indiana classica, vale a dire la civiltà gangetica, non ha cessato di essere percepita come problema centrale in India, dove la ricerca archeologica è rimasta pertanto sostanzialmente orientata verso la preistoria e, ancor più, la protostoria. Per lungo tempo, e in parte ancor oggi, si è cercato di fornire le prove di una continuità culturale e ideologica, di valori, tra civiltà vallinda e civiltà antico-gangetica, unanimemente riconosciuta come fondativa anche del mondo indiano moderno. I deludenti risultati ottenuti indagando in questa direzione (nessun sito, tra i molti scavati nella piana gangetica, ha mostrato legami significativi con i prodotti della cultura materiale vallinda, anche della sua fase post-urbana) hanno causato il riemergere di altri orientamenti nella ricerca: di quello, in primo luogo, teso a mostrare la storicità di alcuni siti chiave dell'epica indiana (Rāmāyana e Mahābhārata), che è alla base dell'induismo moderno. E anche ripreso il tentativo di riappropriarsi per intero, sulla scia della sua ottocentesca riscoperta in territorio indiano e in virtù dello straordinario prestigio di cui gode, nel mondo contemporaneo, della tradizione buddhista, che l'India, storicamente, ha invece espulso in toto dal suo corpo vivo. Esemplare in questo senso è stata la vicenda della proposta identificazione di Piprāhwā, nell'Uttar Pradesh, con Kapilavastu, e del suo scavo.
Gli scavi condotti nella valle del G. negli anni '70 e '80 hanno continuato a privilegiare l'indagine in verticale, che è la causa della scarsità di materiali utili per controllare gli orizzonti culturali che si è tentato di definire, noti quasi esclusivamente in base ai reperti ceramici. Il ricorso ai dati assoluti ottenuti con l'esame del carbonio 14 (sin dall'inizio frequente nell'area gangetica), indispensabile per definire le sequenze almeno in senso cronologico e tuttavia vicario di una più comprensiva indagine e intelligenza dei siti, ha continuato dal canto suo a essere inteso come ancoraggio per sostenere l'antichità della tradizione: la lettura dei dati assoluti tende a sottolineare le datazioni più alte possibili.
Assai preoccupante, e da più parti lamentata, è la persistente mancanza di pubblicazioni esaurienti sui siti scavati. Alcuni anni or sono si osservò che dell'intera attività archeologica nella valle del G. in questo secolo, soltanto quella relativa a tre siti (Bhīṭā, scavata da J. Marshall agli inizi del '900, Hastināpura, scavata quaranta e più anni fa da B. B. Lai, e Kauśāmbī, scavata anch'essa dopo l'indipendenza da G. R. Sharma) era documentata da pubblicazioni complete. Oggi si segnalano anche la pubblicazione del sito di Atranjīkherā e quella preliminare ma già utilizzabile su Kherāḍih, e soprattutto i risultati definitivi dell'importante scavo tedesco di Sonkh, presso Mathurā. Di tutti gli altri siti, vecchi e nuovi, esistono per alcuni rapporti di scavo parziali, e per altri notizie dai cantieri per solito pubblicate su Indian Archaeology o sulle sempre più frequenti Festschriften che si stampano in India.
Va infine notata, a partire dagli anni '70 in poi, la ricaduta che sull'archeologia indiana (in particolare quella gangetica) hanno avuto alcune tendenze proprie dell'archeologia moderna, in ispecie quelle che, riproponendo temi e metodi mutuati dalla geografia umana, pongono l'accento sui modelli insediamentali, sul popolamento e sulle tematiche ecologiche: sul rapporto p.es. tra uomo e risorse, visto da alcuni, per una sorta di proiezione nel passato di preoccupazioni neomalthusiane, come decisivo dei destini di una civiltà. Applicate in area gangetica, alcune di queste idee, in sé spesso assai utili, hanno spesso congiurato con l'assenza di scavi in areale a perpetuare una visione meccanica, priva di qualsiasi spessore culturale, dei problemi specifici della regione nel I millennio a.C. e nei primi secoli della nostra era. Dalle conoscenze archeologiche e d'ordine tecnico che possediamo, ancor oggi non sarebbe in alcun modo possibile dedurre che essa è una delle più importanti del mondo antico, e che è anzi tuttora in grado di generare modelli di riferimento per una parte cospicua del mondo attuale.
Il doāb superiore, ovvero il territorio compreso tra gli alti corsi del G. e della Yamunā, è stato oggetto di ricerche particolarmente numerose perché - esclusivamente lungo alcuni affluenti della Yamunā - sono attestate alcune decine di piccoli insediamenti (il più importante dei quali è Alamgirpur), distanti tra loro 8-12 km, appartenenti alla fase post-urbana della civiltà vallinda. Contemporanea alla produzione tardo-vallinda (1800-1200 a.C., non tuttavia per tutti gli autori), ma per lo più attestata più a S nel doāb, è quella della c.d. OCP Culture, o cultura definita da una «ceramica color ocra» (Ochre Coloured Pottery). Benché appaia sempre meno accettabile definire una «cultura» sulla base di una singola caratteristica - come per l'appunto la ceramica - che la individuerebbe, la lamentata assenza di scavi in areale costringe a piegarsi a questo approccio parzialissimo e meccanico, già dimostratosi fuorviarne per le epoche successive. Risulta, in ogni caso, che la ceramica ocra è associata ad abitazioni dalle pareti a graticcio intonacate con argilla e tetto di paglia, a manufatti quali braccialetti in terracotta e vaghi in terracotta e cornalina e alla coltivazione dell'orzo e del riso. Dev'essere sottolineato il fatto che veri e propri contatti tra la produzione tardo-vallinda e quella della OCP Culture sono limitati ad alcuni siti nel distretto di Saharanpur, nell'alto doāb, ma che ovunque altrove gli assemblaggi rimangono ben distinti. Parimenti distinti dalla produzione vallinda (ma il loro rapporto con la OCP Culture resta incerto) sono gli oggetti formanti la Copper Hoard Culture, e cioè i manufatti in rame rinvenuti esclusivamente in ripostigli e consistenti di utensili e di alcune figure antropomorfe con valenza cultuale.
Anche se tra questo periodo e quello successivo della Painted Grey Ware (PGW, ceramica grigia dipinta) s'inserisce, a entrambi in parte sovrapponendosi, l'orizzonte della «ceramica nera e rossa» (BRW Culture), risalente al 1200-1000 a.C. (?), è la PGW Culture che continua ad attrarre l'attenzione degli studiosi. La ceramica grigia dipinta, che caratterizza i siti del doāb fino alla regione di Kānpur dall'800 a.C. in poi (le date sono per la verità, e ancora una volta, molto discusse), è stata ed è tuttora spesso vista in relazione alle popolazioni arie che, come è ben noto, si trovavano stanziate nell'India centro e nord-occidentale verso la fine del II millennio. Il problema della «casa originaria» - in territorio indiano - degli Arii, sempre di attualità, è riemerso come insoluto dopo l'abbandono dell'ipotesi che a essi si dovesse il crollo della civiltà della valle dell'Indo, e a seguito dell'importanza via via crescente che si tende ad attribuire alle popolazioni indigene del subcontinente: non soltanto tuttavia a quelle dravidiche (vecchio problema a forti tinte ideologiche) ma a quelle parlanti lingue di tipo austro-asiatico, tuttora presenti in India. La PGW, per di più, e la semplice Grey Ware, che con qualche incertezza è a essa eguagliata, è associata alla tecnologia del ferro, le cui miniere si trovavano nelle regioni sub-himalayane di Kangra, Mandi, Almora, ecc. Il riso rimane alla base della dieta, ma nel doāb compare per la prima volta il grano, con la cui farina si preparava già, probabilmente, sui tipici focolari a forma di ferro di cavallo, il chapati. Lo scavo di Bhāgwanpura, nel Haryana (siamo dunque a O del doāb), dovuto a J. P. Joshi, sembra rimettere in discussione, almeno in parte, il quadro suesposto. Due orizzonti culturali successivi al più antico (dove sono state osservate piattaforme in crudo), caratterizzati da ceramica grigia, si sovrappongono infatti a strati che restituiscono ceramica tardo-vallinda. La ceramica grigia risalirebbe dunque alla metà del II millennio, e la sua pertinenza alle popolazioni ario-vediche riceverebbe nuovo fondamento.
L'associazione della PGW a popolazioni arie responsabili della sua diffusione è un'ipotesi che conviene tuttavia prendere con ogni possibile cautela. Secondo alcuni, la ceramica grigia appare essere la variante di una categoria ceramica che, con alcune altre varianti dipendenti in gran parte dalle tecniche di cottura, è tipica della regione gangetica. La più nota delle altre varianti è la Northern Black Polished Ware (NBPW), la ceramica nera polita tipica del Nord del subcontinente tra il VII-VI e il II sec. a.C. e oltre, che presenta un tipico lustro nero ottenuto - sembra - aggiungendo una sostanza alcalina alla medesima argilla di base e al medesimo ingobbio ricco di sostanze ferrose di cui è fatta la PGW. Nel periodo in cui PGW e NBPW si trovano associate (per quel tanto che oggi può valere un dato già ritenuto cruciale), la civiltà gangetica è giunta alle soglie dell'urbanizzazione.
È difficile stabilire le ragioni che, verso la metà del I millennio portarono all'emergere di grandi insediamenti circondati da imponenti mura in crudo, e chiarire la loro funzione. Oggi l'orientamento degli studiosi è di considerarli esempi di un'urbanizzazione primaria e di abbassarne, nel complesso, le datazioni - in particolare quelle della loro fase urbana matura, non anteriore all'epoca maurya (fine IV-III sec. a.C.). I forti costruiti nel VI-V sec., al cui interno sono state osservate scarsissime tracce di attività antropica coeva, emergono come capitali dei janapada, dei «territori» (regni e repubbliche oligarchiche) che lottavano tra loro per assicurarsi il controllo dell'intera regione gangetica. Così, Kauśāmbī era la capitale del Vātsa, Rājghāṭ (Benares) del Kāśī, Campā dell'Aṅga, ecc. Le rivalità interstatali, si argomenta, portarono alla centralizzazione dei rispettivi sistemi economici al fine di disporre delle risorse sufficienti a reggere l'urto degli stati concorrenti. La divisione fra i «territori» correva sul filo di differenti modelli istituzionali, a loro volta legati a distinte realtà etniche. In questa prospettiva, i regni sono espressione dell'aristocrazia aria o conquistata al sistema di valori ario; le oligarchie, delle popolazioni gangetiche che si opponevano alla brahmanizzazione della regione. Questo modello interpretativo, in cui non mancano i punti deboli, tende a spiegare sotto questa luce anche il dualismo fra tradizione brahmanica e buddhismo.
L'intera questione della natura e della datazione delle città gangetiche è complicata, anziché - come ci si aspetterebbe - chiarita, dalle notizie desumibili dalle fonti scritte. Oggi non sembra potersi dubitare del fatto che le città descritte nei testi siano quelle di epoca maurya e post-maurya, fino a quelle di epoca śaka e kuṣāṇa del I-II sec. d.C. La questione delle fonti letterarie tocca in particolare la realtà degli insediamenti identificati nel tempo con i luoghi sacri del buddhismo (da Rājagṛha a Vaiśālī, da Śrāvastī a Kuśīnagara), nessuno dei quali sembra risalire a prima del 500 a.C. In certi casi, come a Śrāvastī, le mura non sono databili a prima della metà del III secolo. L'evidenza archeologica sembra così assecondare le teorie, che si appoggiano a dati cronografici e testuali, che vogliono le stesse date del Buddha abbassate al V o al IV sec. a.C. L'esempio di Piprāhwā/Ganwariā, nel tarai indiano ai confini con quello nepalese, identificata con Kapilavastu, è sintomatico. Le strutture in mattoni crudi portate alla luce a Ganwariā, attribuite all'800-600 a.C. da K. M. Srivastava che ha scavato il sito, risalgono in realtà, come quelle analoghe di Sonkh presso Mathurā, agli inizi dell'epoca maurya, e le camere in mattoni cotti all'interno dello stūpa di Piprāhwā in cui vennero depositati i reliquiari di steatite rinvenuti dallo stesso Srivastava (essi vanno ad aggiungersi a quello, assai celebre, rinvenuto nello stesso stūpa da J. H. H. Peppé alla fine del secolo scorso) sono databili alla seconda metà del II sec. a.C.
L'uso dei mattoni cotti per costruire strutture monumentali è infatti attestato nella piana gangetica solo a partire dal II sec. a.C., nonostante alcuni studiosi indiani continuino, stante la generale tendenza ad alzare le datazioni, a collocare i primi monumenti in cotto anche nel IV o V secolo. L'orientamento contrario ad abbassare molte date, tipico di buona parte degli studi occidentali, ha portato anche a riconsiderare le datazioni del più antico circolante monetario della regione, e cioè le monete punzonate. Già attribuite a un'epoca estremamente antica (un'autorità come D. D. Kosambi le dava già in circolazione nell'VIII-VII sec. a.C.) è ora sufficientemente chiaro che esse apparvero solo nel IV sec. a.C. Come ha mostrato J. Cribb, le più antiche monete punzonate, in argento, vennero prodotte agli inizi del IV sec. nella regione di Benares, derivate da quelle già in circolazione nel Gandhāra, a loro volta dipendenti da modelli greco-iranici. Fu lo stato maurya a unificare, in una certa misura, e a diffondere questo tipo di monetazione a tutta la valle del Gange. Fase urbana matura, monetazione, ed esistenza storica di personaggi chiave dell'antica storia gangetica come il Buddha rimangono comunque fenomeni collegati.
L'esame delle evidenze mostra che la fase matura delle città gangetiche si andò esaurendo, con poche eccezioni, a partire dal III sec. d.C., ovvero dopo la disgregazione dello stato dei Kuṣāṇa, il cui ruolo (insieme con quello degli Śaka) attende ancora una valutazione attenta in relazione alle regioni centro-orientali e orientali dell'India. Un esempio della grande attività edilizia di epoca śaka è l'imponente vasca in mattoni cotti portata alla luce a Śṛṅgaverapuram presso Allahabad, datata da B. B. Lal agli inizi della nostra era e indicante un notevolissimo sforzo nella direzione di dotare le città e il territorio di opere idrauliche, attestate anche altrove nella stessa epoca (a Mathurā e a Kathmandu: per quest'ultimo luogo, v. nepal). La spinta urbana si esaurì in concomitanza del progressivo imporsi del modello di società proprio dei Gupta (sul piano politico) e dei Bhāgavata (su quello ideologico), fondato su una chiusa economia di villaggio strettamente controllata dalle istituzioni templari. A Hulaskhera, nel distretto di Lucknow, l'insediamento di epoca kuṣāṇa, che comprende una strada di cui è stato esposto un tratto lungo 200 m, è seguito nel tempo da strutture anche importanti che fanno tuttavia uso esclusivo di mattoni di reimpiego; per Śrāvastī, oltre ai dati archeologici, vi è la testimonianza di Fa Xian, che nel V sec. trovò la città scarsamente popolata; a Masaon, nel distretto di Ghazipur, le strutture di epoca gupta mostrano un netto impoverimento rispetto a quelle precedenti; a Sohgaura (Gorakhpur) si osserva uno iato di secoli tra l'insediamento kuṣāṇa e quello medievale; a Kherāḍih (Ballia), dove si è avuto cura di estendere lo scavo in areale, privilegiando proprio l'orizzonte kuṣāṇa, e dove sono stati portati alla luce i resti di una via fiancheggiata da abitazioni con più stanze pavimentate con mattoni cotti, non sono venuti alla luce materiali gupta; assai più a E, il sito di Candraketugarh, nel Bengala, mostra come ai livelli abitativi di epoca pre-kuṣāṇa e kuṣāṇa si sovrapponga una struttura templare.
L'identificazione e il significato della maggior parte dei materiali portati alla luce rimangono difficili e controversi. Più volte tipologizzati, di rado sono stati compresi. Di molte categorie di manufatti resta ancor oggi da capire la funzione, e dunque - a maggior ragione - il significato contestuale ai varí luoghi di rinvenimento. La scarsa attenzione portata agli assemblaggi (d'altronde di rado documentati come tali a causa dei metodi seguiti nello scavo) rende problematico e poco controllabile, qualunque tipo di interpretazione. Sembra tuttavia di poter affermare che alcuni dei materiali più ricorrenti, generalmente di terracotta (figurine animali e antropomorfe e oggetti di varie forme che rappresentano probabilmente parti del corpo umano) formavano assemblaggi di tipo votivo, a quanto pare legati a rituali cruenti. I manufatti a forma di testa umana fornita di tenone, provenienti in gran numero da strati databili dal II sec. a.C. al II sec. d.C. e oltre, sono probabilmente parte di assemblaggi simili.
Anche le ben note immagini femminili, esse pure di terracotta, attribuite tradizionalmente all'epoca maurya (ma, almeno in parte, certamente più tarde), riccamente adorne di elementi a stampo raffiguranti loti, sono state interpretate di recente come immagini pertinenti a piccoli santuari, connesse a rituali di cui non si è peraltro in grado di stabilire la natura. In termini generali si può affermare che urge un'interpretazione globale di questi dati, sinora oggetto di assai scarso interesse, che sola permetterebbe un salto di qualità nella comprensione della realtà anticogangetica. Particolare attenzione andrebbe rivolta al rapporto tra modelli alti (dalla speculazione e dai rituali vedici al devozionalismo dei movimenti proto-visnuiti, proto-scivaiti e buddhisti) e modelli via via superati ma rimasti a coprire, a certi livelli, i bisogni ideologici di interi gruppi sociali.
La valle media e orientale del G. non è il luogo privilegiato della ricerca preistorica, ma le indagini compiute in questa direzione meritano un cenno, in ragione soprattutto della divergente valutazione sulla data di alcuni siti risalenti all'Epipaleolitico e Mesolitico e al Neolitico posti lungo il corso del fiume Belan, un affluente di destra del medio Gange. Chopani Māndo, Koldihāwa e Mahāgara, scavati negli anni '70, erano stati datati da G. R. Sharma a un periodo compreso tra il 12000 e l’8000 a.C. per il Mesolitico e dall'8000-7000 a.C. in poi per il Neolitico. Koldihāwa avrebbe fornito, in particolare, la più antica evidenza della coltivazione del riso nel subcontinente, nel VI millennio. Si tratta in realtà di datazioni azzardate, che sono state recentemente oggetto di revisione.
L'intera industria di Chopani Māndo è compresa tra il 7000 e il 2000 a.C., più in sintonia con il quadro stabilito, per il Mesolitico e il Neolitico indiani, da autori come H. D. Sankalia e F. R. Allchin. Per la coltivazione del riso, in particolare, non sembrano esserci evidenze anteriori alla metà del II millennio. Scavi che indagano il periodo neolitico si segnalano a Terādih, nel distretto di Gayā, e indagini relative al Paleolitico inferiore, al Mesolitico (particolarmente ben documentato) e al Neolitico sono state condotte in un gruppo di siti sul fiume Tārāpheni, tra Jamshedpur e Midnapur, nel Bengala.
V. anche atranjīkhera; bhītā; indiana, arte; kausāmbī; mathurā, arte di; moneta: india; nepal; pātalinputra; rājgir; sonkh; srñgaverapuram; sonkh; vaisālī; varānāsi.
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