valle
In senso proprio indica lo spazio di terreno che è racchiuso fra opposti pendii montani e lungo il quale di solito scorre un torrente o un fiume.
In If XXXII 56 la valle onde Bisenzo si dichina, designa appunto la v. percorsa dal fiume Bisenzio, sede di due castelli della famiglia Alberti, e considerata tutta, in senso lato, proprietà di tale famiglia. Nella canzone ‛ montanina ' (Rime CXVI 62) il poeta ricorda una sua vicenda amorosa svoltasi in mezzo l'alpi, / ne la valle del fiume che ha sempre visto il trionfo d'Amore su di lui. Il fiume è qui certamente l'Arno e la v. collocata in mezzo l'alpi, in regione montuosa, sembra da identificare con l'alto Casentino. Proprio del Casentino, di Pratovecchio, era una donna di cui D. s'innamorò, secondo la glossa dell'Anonimo a Pg XXIV 43-45, e per la quale scrisse la canzone Amor, da che convien (v. per altre notizie i commenti di Barbi-Pernicone e Contini alla canzone). Ancora alla v. dell'Arno si riferisce l'attestazione di Pg XIV 30 degno / ben è che 'l nome di tal valle pèra, che prende rilievo in un contesto polemico, rivolto a condannare la corruzione dei comuni toscani, dal Casentino ad Arezzo, a Firenze, a Pisa, i cui abitatori (cumulativamente li abitator de la misera valle, v. 41) hanno tanto mutato natura da sembrar che Circe li avesse in pastura (v. 42).
A proposito di Pd VI 60 ogne valle onde Rodano è pieno, occorre osservare che il parallelismo di questo membro del discorso con i precedenti, entro la struttura della terzina (quel che fé da Varo infino a Reno, / Isara vide ed Era e vide Senna / e ogne valle onde Rodano è pieno), induce a supporre che l'espressione, per sineddoche, si riferisca in modo specifico ai corsi d'acqua che affluiscono nel Rodano e che con gli altri nominati prima son chiamati testimoni delle imprese di Cesare. S'intende che a sua volta il complesso dei fiumi chiama in causa la Gallia transalpina: per l'immagine qualche suggerimento poté venire a D. da Lucano (Phars. I 399-435); cfr. in specie i vv. 433-434, dov'è cenno alla Saona (latino Arar), le cui acque il Rodano trascina in mare: " Rhodanus raptum velocibus undis / in mare fert Ararim "; ma più diretto sembra l'influsso di Floro (I 37 [III 2]): " Varus victoriae testis, Isaraque et Vindelicus amnis, et impiger fluminum Rhodanus ".
Il circostanziato cenno alla fortunata valle / che fece Scipïon di gloria reda, / quand'Anibàl co' suoi diede le spalle (If XXXI 115) concerne la pianura dove fu combattuta la battaglia detta di Zama, " qua se / Bagrada lentus agit siccae sulcator harenae " (Lucano Phars. IV 587-588).
Per un ampliamento del concetto di " luogo infossato " in cui si raccoglie l'acqua, v. può significare addirittura il mar Mediterraneo, il mare più grande dopo l'Oceano: La maggior valle in che l'acqua si spanda / ... fuor di quel mar che la terra inghirlanda (Pd IX 82, con la ripresa del v. 88).
Altrove sta per " avvallamento del terreno ", da immaginare in virtù del contesto come stretto e profondo (Cv IV XX 8), con funzione di termine concreto di paragone in una similitudine mirante a dipingere lo stato di un'anima priva di nobiltà: E possono dire questi cotali, la cui anima è privata di questo lume, che essi siano sì come valli volte ad aquilone, o vero spelunche sotterranee, dove la luce del sole mai non discende, se non ripercussa da altra parte da quella illuminata.
Letterale è il senso di Pg VII 66, dove il monte scemo, / a guisa che i vallon li sceman quici, forma una cavità che ospita i principi, non scorti prima da D. appunto perché nascosti nella rientranza della costa: quindi seder cantando anime vidi, / che per la valle non parean di fuori (VII 48). Si richiama a quest'accezione anche l'occorrenza del canto seguente: " Ambo vegnon del grembo di Maria ", / disse Sordello, " a guardia de la valle, / per lo serpente che verrà vie via " (VIII 38).
Altrove il vocabolo è chiamato a indicare una parte depressa del suolo rispetto ai rilievi circostanti, e si accosta al concetto di " pianura ": così è per la piana di Campaldino, la valle [che il diavolo]... / da Pratomagno al gran giogo coperse / di nebbia (Pg V 115). Ragioni di analogia consentono di considerare qui il caso di If VIII 71 Maestro, già le sue meschite / là entro certe ne la valle cerno, dove secondo Scartazzini-Vandelli D. chiama v., al paragone del pendio roccioso che lo sovrasta e anche delle acque della palude Stigia, " tutto il ripiano, inclinato dall'esterno all'interno, che forma il 5° e il 6° cerchio ". Il Porena propone di emendare ne lo vallo, ma senza alcuna necessità. Da considerare invece la nota del Petrocchi (ad l.), che dà al vocabolo il valore di " avvallamento di tutto il cerchio " o di " profondo fossato " come potrebbero suggerire i vv. 76-77 (l'alte fosse / che vallan, ecc.). Anche per il Chimenz deve pensarsi a " tutto l'avvallamento che costituisce il 5° cerchio con la sua palude, chiuso tra la parete rocciosa scendente dal 4° cerchio e le alte mura di Dite ".
Siamo così introdotti nel gruppo delle occorrenze in cui v. è elemento della topografia dell'Inferno. La parola è intanto adoperata per definire il luogo dello smarrimento di D.: poi ch'i' fui al piè d'un colle giunto, / là dove terminava quella valle / che m'avea di paura il cor compunto (If I 14); e quindi: " Là sù di sopra, in la vita serena ", / rispuos'io lui, " mi smarri' in una valle, / avanti che l'età mia fosse piena... " (XV 50): se ne conclude che v. sia la " bassura " coperta dalla selva, messa in chiaro contrasto con il colle illuminato dal sole (guardai in alto, ecc.).
In una visione complessiva o parziale, v. è lo stesso abisso dell'Inferno: la valle d'abisso dolorosa (If IV 8: abisso duplica in certo modo v.); da tutte parti l'alta valle feda / tremò... (XII 40); Ben è vivo, e sì soletto / mostrar li mi convien la valle buia (XII 86); profonda notte / che sempre nera fa la valle inferna (Pg I 45); la valle ove mai non si scolpa (XXIV 84); la valle dolorosa (Pd XVII 137); lasciammo il muro e gimmo inver' lo mezzo / per un sentier ch'a una valle fiede, / che 'nfin là sù facea spiacer suo lezzo (If X 135); Lor corso in questa valle si diroccia (XIV 115).
Di Anfiarao è detto che non restò di ruinare a valle / fino a Minòs che ciascheduno afferra (If XX 35): evidente il ricordo di Stazio Theb. VII 816-818 " alte praeceps humus ore profundo / dissilit... / illum ingens haurit specus ", e VIII 27-29 " iuxta Minos cum fratre verendo / iura bonus meliora monet regemque cruentum / temperat " (ma cfr. anche i vv. 30-126); certo ‛ ruinare a v. ' significa nella presente attestazione " precipitare giù ", ma contiene anche l'idea del " precipitare nell'Inferno ", secondo la concezione figurativa del poeta cristiano.
Più volte il termine denota una delle dieci bolge in cui è suddiviso l'ottavo cerchio: Quel cinghio che rimane adunque è tondo / tra 'l pozzo e 'l piè de l'alta ripa dura, / e ha distinto in dieci valli il fondo (If XVIII 9); questo basti de la prima valle / sapere (XVIII 98); Indi un altro vallon mi fu scoperto (XIX 133); e vidi gente per lo vallon tondo (XX 7: la forma ‛ vallone ', con la stessa caratterizzazione semantica, anche in XXIII 135 e XXXI 7): altri esempi in XXIV 39, XXV 137, XXIX 9, 38 e 65.
Il comando di Virgilio al discepolo, ficca li occhi a valle (If XII 46), è legato all'avvicinarsi del Flegetonte (s'approccia / la riviera del sangue, vv. 46-47): il sollecito Virgilio vuole che D. " guardi verso il basso ", in direzione del nuovo girone. Il vocabolo è in funzione dell'atto visivo anche in Pd XXXI 121 quasi di valle andando a monte / con li occhi, dove il paragone esplica il sollevarsi dello sguardo dantesco dal basso, cioè dal luogo in cui si trovava s. Bernardo (tenendo li occhi pur qua giù al fondo, v. 115), alla sommità dei circoli dei beati nella rosa celeste.
Infine v. ha valore metaforico-morale nelle parole con cui Cacciaguida predice a D. che il maggior danno a lui riservato dall'esilio sarà la compagnia di esuli indegni: quel che più ti graverà le spalle, / sarà la compagnia malvagia e scempia / con la qual tu cadrai in questa valle (Pd XVII 63): " scilicet exilii et miseriae " (Benvenuto), " cioè in questa bassezza et in questa avversità " (Buti).