VALLOMBROSA (A. T., 24-25-26 bis)
Antico e celebre monastero sulle pendici del Pratomagno, 25 km. a oriente di Firenze nel territorio del comune di Reggello, a 961 m. s. m. Se ne deve l'origine a San Giovanni Gualberto (v.; e v. anche Vallombrosani). Per le belle abetine che lo circondano, curate e sviluppate dai monaci, per le annose faggete e i castagneti costituenti oggi proprietà demaniale inalienabile (1453 ha.), per il mite clima estivo e la ricchezza e freschezza delle acque, Vallombrosa divenne presto una ricercata e frequentata stazione climatica, onde sorsero e si moltiplicarono alberghi e ville, specialmente dopo che nel 1892 fu costruita una ferrovia a cremagliera che, staccandosi dalla stazione di S. Ellero della linea Firenze-Roma, faceva capo a Saltino, località a un km. dall'antico convento, divenuto un ridente centro abitato. Abbandonata durante la guerra mondiale, la ferrovia non fu più ripristinata e venne sostituita da comodi servizî automobilistici da Firenze.
Vallombrosa fu una delle prime località dove si cominciarono a eseguire regolari osservazioni meteorologiche. I dati climatici che se ne possiedono sono i seguenti: temperatura media invernale 1°,8; primaverile 7°,2; estiva 16°,4; autunnale 9°,8. Pioggia annua mm.1531; frequenza 137 giorni.
Monumenti. - Il monastero che doveva essere splendido ai primissimi del sec. XVI e ricco di opere d'arte, non ha più la grande tavola di Andrea del Sarto, dipinta nel 1528, rappresentante San Giovanni Gualberto e Bernardo degli Uberti, insieme con S. Michele e S. Giovanni Battista (ora agli Uffizî, n. 8395), né la bella Assunzione coi Ss. Bernardo, Giovanni Gualberto e Benedetto dipinta nel 1500 dal Perugino (ora agli Uffizî, n. 8366), per incarico dell'abate Biagio Milanesi. Il Perugino ritrasse anche il Milanesi e un monaco di nome Baldassarre nei due famosi ritratti anch'essi ora agli Uffizî (nn. 8375 e 8376). Poche cose d'arte sono ancora nella chiesa, un S. Giovanni Gualberto in trono fra quattro santi, tavola di Raffaellino dei Carli, e alcuni affreschi di Giuseppe Antonio Fabbrini (1780) nella cupola e nella vòlta della navata, la Trinità di Lorenzo Lippi e il ricco reliquiario del braccio di S. Giovanni Gualberto a forma di urna esagonale sormontata da un tempietto, in argento dorato e smalti, bellissima opera dell'orafo fiorentino Paolo Sogliani (1500) e nell'abside un bel coro in legno intagliato e intarsiato di Francesco da Poggibonsi.
Storia. - Il primo nucleo del futuro monastero fu l'eremo di S. Maria d'Acquabella, sul monte di Vallombrosa, detto originariamente Taborra, dove si erano ritirati due monaci del convento di Settimo. Là si recò San Giovanni Gualberto, da San Miniato, quando per avere accusato di simonia il vescovo di Firenze, dovette lasciare la sua sede. Al principio del sec. XI si comincia a trovare usato il nome di Vallombrosa. Nel 1020, aumentata la famiglia dei religiosi, si istituì una vera regola. Nel 1039 la badessa del monastero di S. Ellero fece donazione agli eremiti del territorio di Acquabella. L'anno successivo i monaci nominarono abate il fondatore dell'ordine. I loro possedimenti si ampliarono sempre più con le donazioni e conferme della contessa Matilde, di Clemente III, Innocenzo III e Onorio III. Come signori del castello di Magnale gli abati ebbero titolo di conti. Nel sec. XIII, per intervento di Alessandro IV, le monache di S. Ellero furono trasferite a Firenze, e tutti i loro beni passarono al monastero di Vallombrosa. Nel 1302 l'abate Ruggieri de' Buondelmonti ebbe dal comune di Firenze giurisdizione su diversi castelli, ville e territorî. Nel secolo seguente Martino V conferì all'abate il titolo di marchese di Monte Verdi e di Canneto. A Vallombrosa fiorirono le lettere e le arti; da segnalare, nel sec. XII il monaco Iacopo, miniatore di libri corali; all'inizio del sec. XVI l'abate Biagio Milanesi, protettore di artisti, che fu tuttavia perseguitato e imprigionato da Leone X. Nel 1529 il monastero fu saccheggiato dalle milizie di Carlo V e poco dopo spopolato dalla pestilenza. Sali a nuovo splendore, specialmente verso la metà del sec. XVII, per opera dell'abate Averardi Niccolini. L'Accademia del Cimento affidò ai monaci le prime osservazioni meteorologiche. Nel 1808 il governo francese espulse i monaci dalla loro sede. Questi furono reintegrati nei loro possessi da Ferdinando III. Nel 1866 avvenne la soppressione definitiva, e l'antica badia fu convertita in un istituto forestale, che vi rimase fino al 1914.